Figure retoriche: cosa sono e a cosa servono

Figure retoriche: cosa sono, a cosa servono, quando e perché si usano, metafora, ossimo le più conosciute

Figure retoriche: cosa sono e a cosa servono
Figure retoriche. La “figura retorica” è un forma di espressione letteraria il cui scopo è quello di creare un effetto sonoro o di significato all’interno di una frase. Artifici linguistici con lo scopo di creare una deviazione dal linguaggio comune, un interessante e al contempo sorprendente contrasto. Quindi, il risultato è un linguaggio artificiale, quasi forzato, rispetto alla lingua comunemente parlata.

Le figure retoriche sono utilizzate sia nel linguaggio quotidiano che in quello letterario. Fra le più note si ricordano la metafora, la metonimia, l’ossimoro, l’iperbole, la sineddoche e l’antonomasia. Queste sono solo alcune delle principali figure retoriche che probabilmente hai già incontrato durante il tuo percorso scolastico, in poesia o in prosa. Sono utilizzate per impreziosire e/o rendere meno noioso o banale sia il linguaggio parlato che quello scritto. Non è facile riconoscerle, ma sono fondamentali per fare un’analisi del testo.

Le figure retoriche si suddividono in gruppi:
  • Figure fonetiche (o di suono);
  • Figure di contenuto (o di significato);
  • Figure di parola (o di ordine).
Quali sono le principali figure retoriche?

Accumulazione: consiste nel mettere insieme una serie di termini linguistici accostati in modo più o meno ordinato.
Es:
“Fuor che funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie, fustigazioni di servi, incesti, incendi, impiccagioni, invasioni d’eserciti, saccheggi, stupri, pestilenze, noi non s’è visto niente”.

Allegoria: consiste nel costruire un discorso che va oltre il suo significato letterale, presentando anche un senso nascosto e più profondo.
Es:
“Passa la nave mia, sola, tra il pianto degli alcioni, per l’acqua procellosa”.

Allitterazione: quando 2 parole iniziano con o contengono le stesse sillabe, per rafforzare un suono duro o morbido.
Es:
Trentatrè trentini entrarono a Trento.

Anabasi: serve a dare un incremento di enfasi nel discorso. “Anabasis” in greco antico significa infatti “salire”.
Es:
“Poiché vi sarà sementa di pace; la vigna darà il suo frutto, il suolo i suoi prodotti, e i cieli daranno la loro rugiada”.

Anacoluto: consiste in un periodo grammaticalmente sospeso, in un periodo in cui volutamente non è rispettata la coesione tra le varie parti che lo compongono.
Es:
“Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto”.

Anadiposi: è la ripetizione di un vocabolo o di un’espressione nella frase successiva.
Es:
“Per me si va nella città dolente. Per me si va nell’eterno dolore. Per me si va tra la perduta gente”.

Anafora: ripetizione di una o più parole all’inizio di una o più frasi, versi, periodi.
Es:
Per me si va nella città dolente;
Per me si va nell’eterno dolore;
Per me si va tra la perduta gente.

Anastrofe: consiste nell’inversione dell’ordine naturale di due termini.
Es:
Ciò detto in luogo di detto ciò.

Antifrasi: consiste nell’uso di una parola o di un’espressione in senso contrario a quello proprio, in genere con intenti ironici.
Es:
“Quanto sei gentile!” anziché “Quanto sei scortese!”.

Antitesi: accostamento di 2 parole o frasi di significato opposto in una frase che così assume un tono solenne.
Es:
Vincere o morire.

Antonomasia: deriva dal greco e significa “denominazione inversa”. Consiste nell’usare un nome comune o un appellativo al posto di un nome proprio.
Es:
“Il divino poeta” per indicare Dante Alighieri.

Apostrofe: dal greco “il rivolgersi a qualcuno”. E’ un discorso rivolto a qualcuno con un tono molto enfatico.
Es:
“Italia mia, benché il parlar sia indarno…”.

Asindeto: dal greco “assenza di legami”. Consiste nell’omissione della congiunzione copulativa tra due o più temini.
Es:
“Stormir di fronde, cinguettio d’uccelli, risa di donne, strepito di mar”.

Assonanza: a partire dalla vocale accentata sono uguali le vocali e diverse le consonanti.
Es:
Son solo, ma ugualmente volo.

Bisticcio: consiste nell’accostare 2 parole uguali ma di significato differente.
Es:
“Apre la porta e porta inaspettata guerra”.

Chiasmo: disposizione incrociata dei termini di un enunciato in uno stesso verso.
Es:
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori.

Climax: enumerazione in cui i termini sono disposti in ordine di intensità (ad esempio, per favorire una crescente emozione o il suo contrario).
Es:
Quivi sospiri, pianti ed alti guai (Per raccontare con realismo la disperazione trovata all’Inferno, Dante usa un climax e sceglie termini via via sempre più gravi).

Consonanza: quando le parole finali dei versi hanno, dopo l’accento tonico, le consonanti uguali ma le vocali diverse.
Es:
Una voce sento, poi odo il canto.

Cacofemismo: consiste nell’usare un termine (o un’espressione) sgradevole invece di un termine gradevole.
Es:
“Sei proprio un genio del male”.

Comparazione: serve ad instaurare un confronto tra 2 immagini o concetti che siano almeno in parte simili tra loro.
Es:
“Caddi come corpo morto cade”.

Domanda retorica: è una domanda finta, perché la sua risposta è ovvia.
Es:
Che c’è di più bello dell’amore?
C’è qualcosa di più analcolico dell’acqua?.

Ellissi: consiste nell’eliminare in una frase alcuni dei suoi elementi, con lo scopo di dare al periodo più concisione.
Es:
Mario lavora nel settore metalmeccanico, Matteo nel chimico.

Enallage: consiste nel far uso di una parte del discorso invece di un’altra, allo scopo di dar maggior vigore espressivo alla frase.
Es:
“Io non ci vedo chiaro” anziché “Io non ci vedo chiaramente”.

Epifonema: deriva dal greco “esclamazione”. Rappresenta una sentenza morale espressa in tono solenne e generalmente in forma esclamativa.
Es:
“Più si dà e meno si riceve: questa è la giustizia del mondo!”.

Eufemismo: serve ad attenuare frasi o espressioni un po’ forti o pesanti o irriguardose.
Es:
“È passato a miglior vita” anziché dire “È morto”.

Ipallage: deriva dal greco antico “inversione”, consiste nell’invertire la relazione normale tra due termini.
Es:
“dare i venti alle vele” anziché “dare le vele ai venti”.

Invettiva: consiste nello scagliarsi con violenza, in una frase o in un intero discorso, contro qualcuno o contro qualcosa.
Es:
“Ahi Pisa, vituperio de le genti”.

Iperbato: deriva dal greco “trasposizione”. Rappresenta una forma ardita d’inversione nella costruzione di un periodo.
Es:
“La libera dei padri arte fiorì”.

Iperbole: esagera i fatti.
Es:
“Sta antipatico a tutto il mondo”. “C’era un chilometro di coda in posta”.

Ironia: espressione che dà alle parole un significato contrario o diverso da quello letterale con intento critico e derisorio.
Es:
Quando il tuo amico ha una bicicletta rotta e dici: bella la tua bici!.

Ipotiposi: deriva dal greco “rappresentazione”. Rappresenta una descrizione vivace e pittorica.
Es:
“Come lion di tori entro una mandra or salta a quello in tergo e sì gli scava con le zanne la schiena, or questo fianco addenta or quella coscia”.

Ironia: chi usa l’ironia dice una cosa che in realtà vuole significare il suo contrario.
Es:
Un’ora che ti aspetto: sei in anticipo!.

Litote: affermazione di un concetto mediante la negazione del contrario.
Es:
Paolo a scuola non va benissimo.

Metafora: paragone abbreviato.
Es:
Sei bella come il sole.

Metonimia: consiste nel trasferimento di significato da una parola all’altra.
Es:
“Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
du la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto”

Metalogismo: modifica il valore logico di una frase, violando le regole di veridicità e facendo perdere all’intero periodo il suo significato letterale.
Es:
Quella ragazza è bella da morire.

Onomatopea: parole ad imitazione di un suono naturale o di oggetto.
Es:
Una certa acqua minerale aiuta a fare “plin-plin”.

Ossìmoro: accostamento di parole di senso opposto, che sembrano incompatibili tra loro.
Es:
Aveva uno sguardo di ghiaccio bollente.

Omoteleuto: deriva dal greco “uguale terminazione”. Consiste nell’accostamento di 2 o più vocaboli le cui ultime lettere hanno un suono identico.
Es:
“Non sa ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare, ci sia qualch’altra felicità”.

Pleonasmo: uso superfluo di qualche termine.
Es:
A me mi…

Paradosso: quando, in una frase, si parte da premesse plausibili ma si arriva ad assurdità illogiche.
Es:
Lo so di mentire, dico la verità.

Parallelismo: consiste nello sviluppare un concetto disponendo in modo simmetrico brevi enunciati.
Es:
“Occhi azzurri, capelli biondi”.

Paronomasia: giro di parole usato per designare un concetto che dovrebbe essere espresso col suo nome specifico.
Es:
“La città eterna” in luogo di “Roma”.

Perifrasi: giro di parole per descrivere un concetto invece di esprimerlo col suo nome specifico.
Es:
“La mia dolce metà”, “Il frutto del mio sudore”.

Pleonasmo: uso superfluo di qualche termine.
Es:
A me mi…

Polisindeto: coordinazione di vari elementi di una proposizione o di varie proposizioni mediante la ripetizione della medesima congiunzione.
Es:
“E pioggia e neve e gelo sopra la terra ottenebrata versa”.

Preterizione: dichiara di tacere una cosa e invece la afferma.
Es:
“Non voglio dire che tu debba studiare di più, ma hai visto i tuoi voti bassi?”, “Non ti dico le feste!”

Prosopopea: attribuisce alle cose facoltà umane.
Es:
“Il vento fischia”, “Il dovere mi chiama”, “La rabbia lo divora”.

Reiterazione: consiste nel ripetere lo stesso concetto con altre parole oppure nell’esprimere approvazione verso un concetto già espresso precedentemente.
Es:
Quell’uomo è morto, non c’è più, è scomparso!.

Reticenza: consiste nel sospendere una frase senza ultimarla, lasciando intendere al lettore la parte finale, normalmente reso in grafica con i tre puntini di sospensione.
Es:
“So da certi ragguagli che è un uomo che non ha tutta quella prudenza, tutti quei riguardi…”, “O frati, i vostri mali… Ma più non dissi”.

Sarcasmo: ironia tagliente che dà un giudizio contro qualcuno o qualcosa.

Sermocinatio: quando, in un dialogo con un’altra persona, rappresentiamo una terza persona, imitandone lo stile invece di riportarlo in forma indiretta.

Sillessi: esprime una concordanza a senso, per cui un elemento della proposizione non si accorda secondo le norme grammaticali con il termine a cui si riferisce.
Es:
“Per tutto c’è degli aizzatori”.

Similitudine: paragone tra 2 immagini solitamente introdotto da nessi.
Es:
Sei furbo come una volpe.

Sinchisi: modifica l’ordine sintattico consueto di una frase, sovvertendo la struttura del discorso e producendo una certa difficoltà di comprensione del messaggio.
Es:
“Le dal Sol percosse Del suo fiotto inegual spume d’argento”.

Sineddoche: consiste nel designare qualcosa anziché col vocabolo proprio, con un altro che abbia col primo un rapporto di quantità,
Es:
“Il tetto natio” per indicare “la casa”; “Guadagnarsi il pane” al posto di “guadagnarsi da vivere”.

Sinestesia: accosta sensazioni che appartengono a sensi diversi.
Es:
“La musica classica è più dolce del rock”, “Il rosso è un colore caldo”, “Ho una fame nera”, “Un urlo nero della madre che andava incontro al figlio”.

Tautologia: consiste nell’aggiungere del contenuto ripetitivo in una frase o in un discorso, con lo scopo di aumentarne l’enfasi. Spesso indica un’ovvietà.
Es:
Le persone emotive hanno comportamenti emotivi.

Zeugma: consiste nel far dipendere da un’unica forma verbale 2 o più termini che richiederebbero ciascuno un proprio verbo.
Es:
“Parlare e lacrimar vedrai insieme”.

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