“Rom” nella loro lingua (il romanes) significa “uomo”. I “non Rom” (il resto del mondo) vengono definiti “gagè” (gli altri)
Chi sono i Rom? Quelli che comunemente vengono definiti “zingari“, sono i “rom“. La parola “rom“, nella loro lingua (il romanes), significa “uomo“. I “non Rom” (il resto del mondo) vengono, invece, definiti “gagè” (gli altri). Per i rom, il gagio (singolare di gagè) è un credulone, superstizioso, troppo attaccato alle cose, talvolta violento. I gagè, invece, li chiamano zingari (per via del luogo comune che li vede trasandati, infidi, ladri, e senza cultura). In realtà, nell’Est europeo (e anche in Italia), i Rom vivono in normali case (non occupate abusivamente), lavorano, studiano e la convivenza coi gagè è tranquilla.
La storia dei Rom
I 7 milioni di Rom che vivono in Europa discendono da una popolazione che parlava una forma volgare di sanscrito, il praclito. Infatti, la parola “rom” deriva dal termine in sanscrito (un’antica lingua indiana) “domba” che significa “uomo libero” e il termine “sinto” deriva da “Sindh“, il nome del fiume Indro, il più lungo del Pakistan.
Nel 1000 d. C. circa, la popolazione lasciò il delta dell’Indo (fra India e Pakistan) e in 4 secoli si insediarono in molti Paesi europei, a partire dai Balcani. Vi erano esperti nella lavorazione dei metalli, chiamati athinganoi (da qui “zingari”).
Si possono suddividere in 3 aree geografiche. La prima, quella Balcanica, durante l’impero Ottomano li vide sviluppare un gran numero di professioni (soprattutto artigianali). Alla fine del XVI secolo erano tutti censiti, abitavano in dimore fisse e pagavano le tasse. Erano ottimi contribuenti e divisi in corporazioni: lautari (musicisti e costruttori di strumenti musicali), fabbri, orefici, sarti, macellai, venditori di cavalli, “veterinari”, contadini liberi.
La seconda area, che corrispondeva ai principati di Valacchia e di Moldavia (oggi parte della Romania), li vide, invece, nel ruolo di schiavi. Erano proprietà del principe, e lui poteva permettere loro l’esercizio di mestieri itineranti (acrobati, addestratori di orsi, giocolieri), lingurari (costruttori di utensili di legno), calderai e ramai, a patto che gli pagassero i tributi. Spesso erano anche schiavi di feudatari e monasteri che li utilizzavano nei campi. Rimasero tali fino alla metà dell’800, quando, con le rivoluzioni liberali, fu abolito lo schiavismo nella regione.
Oggi, queste due aree (Balcanica e Rumena) ospitano il 90% dei Rom europei. Vivono in vere case e sanno fare i mestieri più diversi.
La terza area, l’Europa occidentale, è il “Paese dei campi” (intendendo i “campi nomadi”, recintati, dove i rom vivono in baracche fatiscenti).
Fra il 1417 e il 1430, dall’Italia all’Olanda, arrivarono compagnie di pellegrini che si dicevano “egiziani” (da cui vengono alcuni nomi come gipsy o gitani). Le compagnie erano condotte da presunti conti e duchi, ed erano composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. Dicevamo: “Siamo egiziani, ma cristiani, dobbiamo espiare una penitenza per un peccato di apostasia che ci condanna a un pellegrinaggio di 7 anni. Per favore aiutateci“. Le lettere erano firmate da Sigismondo (imperatore del Sacro Romano Impero), dal papa o da altri grandi. Alcune erano vere, molte altre false.
La nascita dell’industria nell’Europa occidentale, richiedeva mano d’opera salariata e non consentiva forme di accattonaggio o mestieri da girovaghi. Si diffusero, così, bandi per cacciare i Rom. Nonostante la repressione, però, i Rom si legarono a vari territori, da cui presero il nome (come Sinti piemontesi, Sinti lombardi, Kalè andalusi, Manouche francesi, Romanichals gallesi, ecc.).
Il 50% della loro lingua rimase quella delle origini, per il resto acquisirono termini delle lingue locali. Il nomadismo fu, quindi, un adattamento di fronte alla repressione, non una condizione etnica.
A causa del loro abbigliamento bizzarro, della lingua incomprensibile, del loro vivere di elemosina e per le pratiche di chiaroveggenza (scambiata per stregoneria) le autorità locali emanarono una serie di decreti che penalizzavano e discriminavano la popolazione.
In Germania, la pena di morte (riservata agli uomini) venne estesa anche alle donne zingare. Inoltre, nel 1500, un provvedimento imperiale garantì l’impunità a chiunque avesse ucciso uno di loro. In Spagna, nel 1492 furono condannati all’esilio assieme ai mori e agli ebrei. In Ungheria furono accusati di cannibalismo. In Italia, il primo decreto di espulsione fu emanato a Milano nel 1512 perché accusati di portare la peste.
Le persecuzioni ebbero fine intorno al XVIII secolo, quando i sovrani dell’epoca, invece di condannarli a morte o all’esilio, cercarono di integrarli con la popolazione del luogo.
Questo, però, significava spogliarli delle loro tradizioni e delle loro usanze. Ad esempio, in Ungheria e Transilvania furono obbligati ad abbandonare la loro lingua per esprimersi esclusivamente nella lingua nazionale. Inoltre, dovevano rinunciare alla loro vita nomade per stabilirsi in appartamenti, esercitare mestieri comuni, non mendicare, andare in chiesa e vestirsi come la popolazione locale. In cambio, il governo distribuiva case, mezzi agricoli e bestiame. L’iniziativa fallì.
I diversi Paesi, col tempo, divennero più liberali nei loro confronti, tant’è che in Romania, tra il 1855 e il 1856, vennero liberati dalla schiavitù. Da lì in poi, cominciò un’altra ondata migratoria che coinvolse non solo l’Europa, ma anche l’America, Brasile e Argentina.
Tuttavia, dato lo storico odio nei loro confronti, finirono nel mirino dei nazisti. Circa 500mila morirono in quello che gli zingari chiamano “barò porrajmos” (che in lingua romanì significa “il grande genocidio”). Considerati una razza inferiore e “asociali“, i gitani erano talmente discriminati tra i discriminati che ad Auschwitz vivevano in baracche a loro riservate.
Rom in Italia
I dati in Italia non sono precisi, si va dai circa 80 mila a 200 mila. Circa l’80% di loro ha la cittadinanza italiana e il 20% sarebbe straniero e proveniente per lo più dai Balcani. Circa la metà di loro non supera i 18 anni e appena il 3% arriva supera i 60 anni di età. Il tasso di natalità è alto (5-6 bambini a famiglia), così come lo è quello di mortalità.
Il matrimonio, in genere, avviene in giovane età ed è regolato da usanze e tradizioni che variano in base all’etnia di appartenenza. Ad esempio, per i sinti avviene tramite “la fuga” (i due ragazzi vivono per qualche giorno da alcuni parenti). Per i rom la famiglia dello sposo “compra” la sposa (cioè corrisponde una cifra in denaro alla famiglia della giovane come una sorta di risarcimento).
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