Per capire quanto guadagna effettivamente uno stabilimento balneare, è necessario considerare vari aspetti: dai redditi dichiarati alle spese di produzione e al costo delle concessioni
Quanto guadagna uno stabilimento balneare? Il settore dei lidi balneari è attualmente sotto la lente d’ingrandimento per diverse ragioni. Le polemiche principali riguardano il rinnovo delle concessioni, che avviene spesso senza gara pubblica, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva europea “Bolkestein” sulla libera concorrenza. Inoltre, esiste una notevole discrepanza tra i redditi dichiarati dai gestori degli stabilimenti e i redditi effettivi, il che mette in luce un’ampia evasione fiscale che risulta difficile da contrastare.
Le informazioni disponibili sui lidi balneari rivelano che il canone annuale per le concessioni incide solo per circa l’1,3% sul fatturato degli stabilimenti. Questo dato indica che il costo della concessione è relativamente basso rispetto ai guadagni, il che potrebbe contribuire al fenomeno dell’evasione fiscale.
Per capire quanto guadagna effettivamente uno stabilimento balneare, è necessario considerare vari aspetti: dai redditi dichiarati alle spese di produzione e al costo delle concessioni. Tuttavia, la scarsa trasparenza e il controllo limitato sulle dichiarazioni fiscali complicano la valutazione accurata dei guadagni reali del settore.
Quanti sono gli stabilimenti balneari in Italia?
In Italia, il settore degli stabilimenti balneari è composto da 7.244 imprese. Tuttavia, solo 2.270 di queste presentano regolarmente i propri bilanci. La maggior parte delle imprese che depositano i bilanci sono costituite come società a responsabilità limitata (SRL). Gli stabilimenti balneari danno lavoro a circa 50.000 persone, creando un indotto occupazionale di tipo stagionale che contribuisce significativamente all’economia locale.
Il problema delle concessioni degli stabilimenti balneari
Le concessioni balneari in Italia sono regolamentate attraverso atti amministrativi con cui i Comuni affidano a privati l’utilizzo di tratti di spiaggia per attività turistico-ricreative, come la gestione di stabilimenti balneari. Questo sistema, in vigore da decenni, ha contribuito alla creazione di un settore economico significativo. Tuttavia, la pratica di rinnovare le concessioni più volte ha creato una situazione di stallo, limitando l’ingresso di nuovi operatori e riducendo la concorrenza.
La direttiva Bolkestein dell’Unione Europea, che riguarda i servizi nel mercato interno, prevede che le concessioni demaniali siano assegnate tramite gare competitive periodiche. Tuttavia, l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per non aver rispettato questa direttiva. Le concessioni di lunga durata hanno comportato rincari dei prezzi e una diminuzione della qualità dei servizi.
Per evitare conflitti con i gestori esistenti, i governi italiani hanno frequentemente prorogato automaticamente le concessioni, ignorando le procedure di infrazione europee. Molti stabilimenti balneari sono passati di generazione in generazione, trattati quasi come beni familiari. Il Decreto Legge n. 198/2022, convertito nella Legge n. 14/2023 (Decreto Milleproroghe 2023), ha ulteriormente prorogato le concessioni fino al 31 dicembre 2024. Questa proroga è stata criticata in quanto contraria alle recenti sentenze del Consiglio di Stato, che hanno stabilito che le concessioni non possono essere rinnovate automaticamente.
Il governo ha giustificato la proroga sostenendo che molte spiagge sono ancora disponibili per nuove concessioni. Nel frattempo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato procedimenti contro i Comuni costieri che, alla fine del 2023, hanno prorogato le concessioni per tutto il 2024 senza le necessarie gare pubbliche. Roberto Biagini, presidente dell’associazione Mare Libero, ha osservato che la proroga dovrebbe essere concessa solo ai Comuni che hanno avviato una gara europea senza completarla in tempo, ma molti Comuni hanno adottato interpretazioni più ampie. Biagini ha inviato diffide a circa 80 comuni e ha ottenuto impugnazioni delle delibere di proroga davanti ai rispettivi TAR regionali.
Quanto guadagna un lido balneare?
Per comprendere i guadagni degli stabilimenti balneari, è utile esaminare i dati ufficiali sui bilanci. Nel 2022, i dati elaborati da InfoCamere mostrano che il fatturato medio per un lido balneare era di 405.762 euro. I costi di produzione ammontavano a 381.005 euro, portando a un utile ante imposte di 26.035 euro e a un utile netto di poco più di 10.000 euro all’anno.
Questi dati rappresentano i “redditi ufficiali“, ma non considerano l’evasione fiscale, che è diffusa e difficile da contrastare nel settore. A differenza di altri settori come la ristorazione, dove i controlli fiscali possono essere basati sulle spese per forniture e altri acquisti, il settore balneare acquista la materia prima—come ombrelloni e sdraio—una sola volta e non in base alla quantità di clienti. Questo aspetto complica ulteriormente la verifica dei redditi effettivi e dei guadagni reali.
Quali sono le spese che sostengono gli stabilimenti balneari?
Gli stabilimenti balneari affrontano diverse spese e tasse che incidono sui loro bilanci. Innanzitutto, devono sostenere il pagamento dell’IMU, che, secondo la Cassazione, si applica anche ai prefabbricati in legno amovibili, come le cabine per il cambio. A questa si aggiunge la Tari, l’imposta sulla spazzatura, e le imposte sul reddito, come l’IRES.
Altre spese includono i costi per il personale e la manutenzione dell’arenile. Inoltre, gli stabilimenti devono pagare il canone per l’uso della spiaggia, che varia in base ai metri quadrati in concessione e al tipo di struttura, che può includere aree scoperte o aree con impianti di facile o difficile rimozione.
A quanto ammontano le concessioni degli stabilimenti balneari?
Il tema dei canoni per le concessioni balneari è stato recentemente oggetto di accese polemiche, principalmente per il loro ammontare estremamente basso. Questi canoni hanno contribuito a generare ricavi significativi per le imprese balneari, che secondo molti non riflettono adeguatamente la loro capacità contributiva.
Dal 1989 al 2020, i canoni sono rimasti pressoché invariati, ma nel 2021, sotto il governo Draghi, sono stati aumentati da 360 a 2.500 euro. Nel 2023, i canoni sono saliti a 3.377 euro, mentre nel 2024, a causa della diminuzione dell’inflazione, sono scesi a 3.225,5 euro annui. Secondo un report di Legambiente del 2023, il canone medio incide solo tra l’1,2% e l’1,3% del fatturato di uno stabilimento balneare.
Un esempio significativo riguarda le spiagge di Rimini, dove le 410 concessioni cittadine contribuiscono al demanio con appena 3.192.957 euro, rispetto a centinaia di milioni di euro di fatturato complessivo. Nonostante un notevole incremento del settore, con un aumento del 26% nel numero di stabilimenti dal 2011 e un incremento del giro d’affari del 43,5% tra il 2018 e il 2022, la redditività rimane modesta. Le spese sono cresciute del 40,2% negli ultimi cinque anni, mentre l’utile ante imposte è solo il 4,9% del fatturato, rendendo l’utile netto medio di 10.000 euro particolarmente esiguo.
Inoltre, le dichiarazioni fiscali non riflettono completamente i guadagni reali, con una significativa parte dei ricavi che rimane non trasparente. Tra le pratiche comuni vi sono il noleggio di pedalò e tavole da surf, il pagamento in contante per abbonamenti stagionali e consumazioni, e l’emissione di scontrini parziali. Inoltre, alcuni stabilimenti non rispettano pienamente le normative sul pagamento dei lavoratori stagionali, che spesso risultano non regolarizzati o sottopagati rispetto alle ore effettivamente lavorate.
Nel 2023, il canone demaniale ha mostrato un tasso di evasione del 18,4%, con soli 77,8 milioni di euro incassati su 95,3 milioni dovuti. Gli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA) indicano che il 50% delle dichiarazioni fiscali delle aziende balneari è non conforme.
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