La dura vita di un padre separato

Dopo una separazione, cambia tutto. Ti ritrovi da solo, fuori dalla casa in cui hai cresciuto i tuoi figli. Ci sono le difficoltà economiche. Se hai una famiglia che ti sostiene è un conto, altrimenti ti senti abbandonato


La dura vita di un padre separato. In Italia continuano ad aumentare i nuovi poveri. Secondo i dati diffusi dalla Caritas, 1 su 2 è costituito da un padre separato che non è collocatario. Ciò vuol dire che i suoi figli, in seguito all’avvenuta separazione, vivono con la mamma. I papà separati oppure divorziati nel nostro Paese sono 4 milioni, fra loro circa 800.000 vivono poco al di sopra della soglia di povertà. Il 66% non riesce per questo a sostenere più le spese riguardanti le prime necessità.

Il motivo di questo impoverimento è, secondo i dati, legato all’assegno di mantenimento, spesso superiore alle capacità economiche. L’Unione Padri Separati spiega che nel 94% dei casi, l’uomo deve versare l’assegno di mantenimento, solo nel 30% dei casi viene concesso al papà di mantenere la casa, mentre il 70% deve sostenere le spese relative a una nuova abitazione.

L’Avvocato Valentina Ruggiero, specializzata in diritto di famiglia, ha detto: “Purtroppo, i fatti di cronaca ci raccontano situazioni di estrema difficoltà, con padri costretti a vivere in auto perché non riescono a sostenere le spese di una casa. Questo, oltre ad essere intollerabile per una società civile, implica anche delle limitazioni alla loro genitorialità, poiché appare evidente che non potranno tenere i figli con sé, facendoli dormire in auto, riducendo il tempo da trascorrere insieme. Con la pandemia e le relative difficoltà economiche, poi, la situazione è peggiorata ulteriormente. Certamente nella valutazione del Giudice c’è sempre l’obiettivo primario di tutelare i minori, ma sarebbe auspicabile tenere nel giusto conto anche la vita dei genitori“.

Diritti

Entrambi i genitori hanno uguali diritti e doveri nei confronti dei figli, e ciò anche nel caso in cui l’unione coniugale dovesse venir meno e, di conseguenza, cessasse la coabitazione tra i coniugi. Tuttavia, la prassi giudiziaria favorisce spesso le madri che rimangono a vivere nella casa coniugale con i figli, trascorrendo con essi la maggior parte del tempo. Il padre, invece, lasciando la casa coniugale, risulta costretto a prendere in locazione un altro appartamento, con conseguenti aggravi economici, o a chiedere ospitalità presso amici e parenti, senza poter più abitare insieme ai figli.

Il venire meno della coabitazione padre-figlio dovrebbe esser controbilanciato dal cosiddetto “diritto di visita“, il quale, tuttavia, prevede la frequentazione con i figli solamente per qualche ora a settimana.

Infatti, i figli minori della coppia, seppur in regime di affido condiviso, avranno il domicilio prevalente presso un genitore, che viene così definito “collocatario”, nella maggior parte dei casi è la madre. Al genitore non collocatario rimane, invece, il diritto di visita, ossia la possibilità di incontrare periodicamente i figli, come ad esempio uno o due pomeriggi a settimana ed un intero finesettimana a settimane alterne. Così anche per festività e vacanze estive, il papà ha diritto a trascorrerle con i figli, alternandosi con la madre.

Il venir meno della coabitazione con i figli potrebbe inficiare la possibilità di esser presenti nella loro vita quotidiana, condividendo gioie e preoccupazioni, ma anche impartendo loro la giusta educazione.

Secondo i dati Istat del 2019, matrimoni e separazioni/divorzi arrivano quasi ad equivalersi e ogni anno la situazione peggiora. La casa viene assegnata quasi sempre alla mamma e l’assegno di mantenimento da parte dell’uomo arriva al 94%”. Meno dell’1% dei figli di genitori separati sta con il papà. Infatti, gli affidamenti congiunti riguardano la stragrande maggioranza dei divorzi (l’85,51%) e il restante 12,26% viene affidato alla mamma.

La collocazione dei figli presso il padre, quindi, avviene in casi residuali, quando la madre viene ritenuta non idonea e di pregiudizio per la loro crescita sana. Il che conferma che il giudice prima verifica l’attitudine della donna e, se non dovesse sussistere tale presupposto, accerta le capacità dell’uomo, per poi collocare i minori presso di lui.
Praticamente i padri nella stragrande maggioranza dei casi sono costretti ad abbandonare la casa familiare, anche se di proprietà esclusiva e magari con un mutuo in corso, e a versare un assegno di mantenimento nei confronti della madre (se non ha reddito sufficiente) e comunque nei confronti dei figli. Ne consegue per il genitore soccombente un impoverimento fisiologico dovuto alle doppie spese tra mutuo e affitto per la nuova abitazione, mantenimento diretto e indiretto dei figli e perdita degli assegni familiari che fanno abbassare il reddito.

In sostanza la situazione generale e quella di una grave disparità di genere, dove ci si trova coinvolti in procedimenti di “usanza e burocrazia” con provvedimenti dettati dalla prassi. Ai padri sono negati in partenza dal sistema i pari diritti e le opportunità concesse alle madri sia in termini di tempo con i figli che economiche. Addirittura, davanti a situazioni più critiche, ai padri non viene data la possibilità di non essere considerati colpevoli, a priori, di accuse spesso create artificiosamente per le quali, una volta scoperta l’infondatezza, nessuna pena o sanzione viene comminata a chi le ha rivolte.

Legge 8 febbraio 2006, n. 54

La Legge 8 febbraio 2006, n. 54 non è obsoleta, anzi parla di bigenitorialità e affidamento condiviso nell’interesse morale e materiale esclusivo dei figli, dove i minori hanno il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori.

Sfortunatamente questa legge, non essendo ben definita, lascia troppo margine di interpretazione ai giudici che purtroppo continuano ad adottare un sistema obsoleto e di prassi dove il riferimento continua ad essere quello della legge del 1970: il giudice ordina sempre per uno dei coniugi l’obbligo di somministrare a favore dell’altro un assegno, e nella maggior parte dei casi i tempi di permanenza con i figli non sono paritetici, ma 80% madre e 20% padre. Pertanto la legge c’è ma non viene rispettata.

Mobbing genitoriale

Il mobbing genitoriale consiste nella condotta vessatoria, reiterata nel tempo, mirata ad escludere l’altro genitore dall’esercizio della potestà genitoriale, spesso strumentalizzando i figli minori. Esistono, infatti, sabotaggi delle frequentazioni della prole, l’emarginazione dai processi decisionali tipici dei genitori, le minacce, la denigrazione e delegittimazione familiare, l’esclusione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti del ramo genitoriale paterno. E’ evidente che tale comportamento è una chiara violazione sui diritti del minore.

Un “abuso” conosciuto come PAS (Sindrome di Alienazione Parentale, o meglio in inglese “Parental Alienation Syndrome”), ma non ancora accettato e riconosciuto ufficialmente. L’ha scoperta Richard Gadner, che è uno psichiatra americano e, anche se non è riconosciuta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, apre la strada a un problema molto serio.

Suicidi

Un rapporto di qualche anno fa di Eures (il Centro di ricerche economiche e sociali) sostiene che nel 2009 ben 253 uomini separati e divorziati si siano suicidati e che abbiano fatto lo stesso 64 donne. Statisticamente, e in termini generali, i maschi ricorrono al suicidio molto più delle femmine.

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