In Veneto quasi 4mila morti a causa degli PFAS?

Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università degli Studi di Padova ha svelato cifre allarmanti riguardanti la mortalità nella regione Veneto correlata all’esposizione ai PFAS

In Veneto quasi 4mila morti a causa degli PFAS?

In Veneto quasi 4mila morti a causa degli PFAS? Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università degli Studi di Padova ha svelato cifre allarmanti riguardanti la mortalità nella regione Veneto correlata all’esposizione ai PFAS. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Health e sottoposti a revisione paritaria, sono stati resi noti in seguito alla commissione della regione Veneto, con il contributo del Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e del gruppo Mamme NO PFAS.

L’indagine si è concentrata sull’area rossa veneta, che comprende 30 comuni e le province di Vicenza, Padova e Verona, dove le sostanze PFAS hanno contaminato le risorse idriche e hanno avvelenato una vasta parte della popolazione. Dal 1985 al 2018, l’incremento di mortalità è stato tale da equiparare il numero di decessi a quello di una piccola comunità, come dimostrato dallo studio.

I PFAS, un gruppo di oltre 10.000 molecole sintetiche utilizzate in svariati processi industriali, sono considerati “inquinanti eterni” a causa della loro persistenza nell’ambiente. L’esposizione a queste sostanze è stata collegata a una serie di gravi problemi di salute, tra cui malattie cardiovascolari, danni al fegato, cancri e impatti negativi sulla fertilità.

Secondo Annibale Biggeri, docente del Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova, i dati raccolti dimostrano un chiaro legame tra esposizione ai PFAS e mortalità per malattie cardiovascolari, oltre a una correlazione con cancri del rene e dei testicoli nella popolazione veneta dell’area contaminata. L’eccesso di decessi riscontrato è stato di circa 3.890 rispetto alle aspettative, il che equivale a una morte aggiuntiva ogni tre giorni.

Le evidenze emerse dallo studio hanno sollevato ulteriori preoccupazioni riguardo all’incidenza di altre patologie, come problemi alla tiroide, deficit di attenzione nei bambini, neonati con basso peso alla nascita e interruzioni di gravidanza, tutte potenzialmente correlate all’esposizione ai PFAS.

Il gruppo Mamme NO PFAS, insieme a diverse riviste di consumo critico, ha sottolineato l’importanza di avviare lo studio di coorte promesso dalla Regione nel 2016 ma mai realizzato. Michela Zamboni, portavoce del gruppo, ha evidenziato la necessità di un’immediata azione per affrontare la situazione, inclusa una totale abolizione della produzione di PFAS in Europa.

Nonostante siano stati implementati filtri anti-PFAS e inaugurati nuovi sistemi idrici, rimangono ancora sfide significative. Famiglie non allacciate all’acquedotto continuano a dipendere da pozzi contaminati, e la piena efficacia dei nuovi impianti non è garantita ovunque. Inoltre, i limiti di rilevazione dei filtri attuali potrebbero non essere sufficienti a prevenire completamente l’assunzione di PFAS attraverso l’acqua potabile.

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