Quelli che hanno marciato con Prigozhin erano solo 5 mila

Gli altri 20mila hanno seguito l’appello di Putin. Era quindi impossibile il colpo di Stato (che Prigozhin non ha mai menzionato)

Quelli che hanno marciato con Prigozhin erano solo 5 mila
La cosiddetta marcia su Mosca di Prigozhin si è rapidamente interrotta. La mediazione del presidente bielorusso, amico ventennale del fondatore della Wagner e molto legato anche a Vladimir Putin, è risultata determinante. Del resto Prigozhin non aveva molte altre alternative. I combattenti della sua compagnia che lo accompagnavano non erano oltre i 5mila su 25mila aderenti, ovvero altri ventimila avevano ascoltato l’appello di Putin e si erano distanziati dal loro comandante.

Sebbene sia presto per un esame approfondito e dettagliato di quanto avvenuto, ma l’inizio di qualunque lettura non può prescindere da qualche domanda: cosa voleva ottenere Prigozhin? Davvero pensava di poter rovesciare il Cremlino con 5.000 uomini? Ce ne sono voluti 5 volte di più per aver ragione di Bakhmut in tre mesi di combattimenti.

Prigozhin ha giocato il tutto per tutto, certo. Per lui la Wagner era lo strumento principale di pressione sull’intero sistema politico russo. Non poteva accettare il ridimensionamento strategico della Wagner con ciò che comporta per il suo ruolo nel gruppo dirigente moscovita. L’idea di poter disporre di un esercito parallelo, un vero e proprio contropotere militare nel Paese, in grado di rafforzare il suo potere d’interdizione sull’establishment russo, avrebbe permesso uno sviluppo della sua ambizione politica, che immaginata subito dopo la vittoria sull’Ucraina, giovandosi del ruolo della brigata.

Ma di fronte all’obbligo di inserire la Wagner negli organici dell’esercito russo, perdendone così il controllo, ha tentato la mossa disperata, convinto forse che Putin, da sempre il suo riferimento, avrebbe avuto un atteggiamento dialogante ed avrebbe consentito alla Wagner uno status diverso, tale da permettergli di continuare ad operare per gli interessi russi ma senza dipendere dalla Russia. In Africa, ad esempio, dove le possibilità di utilizzo di combattenti esperti possono divenire molteplici, l’identità dell’organizzazione paramilitare è decisiva per un suo possibile (e ben remunerato) ingaggio. Trasformarli in un reparto militare russo significa però impedire in radice ogni altra ipotesi di impiego che non sia quella agli ordini dei vertici militari russi. Quindi anche sul piano finanziario l’ordinanza presidenziale di incorporazione della Wagner agli ordini del Ministero della Difesa, è stata vista come la fine di un percorso che lo aveva reso multimiliardario e, con esso, delle sue ambizioni politiche.

Di fronte a quella che è sembrata a tutti gli effetti una rivolta militare di una brigata irregolare, il Presidente Putin ha risposto con forza e senza possibilità di interpretazioni. Ha denunciato come traditore Prigozhin e ha chiesto ai militari della Wagner (in buon numero ex appartenenti alle forze speciali russe) di non seguirlo e di sottomettersi all’autorità politica nazionale, di tornare ai loro posti di combattimento in Ucraina proponendo in cambio l’assoluta impunità ed anzi, l’immissione nei ranghi ufficiali con tutti i benefici economici che questo comporta. Appello andato a buon fine, visto che ben 20.000 uomini della Wagner non hanno seguito Prigozhin. Il che non significa che Putin sosterrà i suoi generali, la cui sorte è appesa all’esito dell’operazione speciale in Ucraina.

Gli stessi analisti del Pentagono ritengono che sia difficile credere che pensasse davvero di ingaggiare combattimenti con l’esercito russo a difesa della capitale, data la soverchiante superiorità delle truppe regolari e considerato il totale sostegno politico di istituzioni, esercito, maggioranza e opposizione politica offerto a Putin.

Ma per un uomo che ha dimostrato di non essere in grado di valutare il contesto, essendo concentrato solo sui suoi affari privati, la mediazione del presidente bielorusso, Lukashenko, è stata opportuna e precisa. L’offerta di riparo a Minsk e il perdono per l’accaduto è stato il massimo che Prigozhin avrebbe potuto chiedere e che ha ottenuto.

Sul piano politico le considerazioni sono di diverso tipo. Visto dall’Occidente e dai suoi media, Putin è più debole per il solo fatto di essere sceso in campo direttamente per scongiurare uno scontro fratricida. Non si capisce perché ma del resto sono gli stessi media che dal 2022 hanno detto che era malato grave, poi che era morto, poi che mandava un sosia alle riunioni e via fantasticando.

Visto invece con maggiore lucidità, si può dire che da un lato Putin conferma di avere una autorevolezza ed un peso che lo rende inattaccabile internamente ed internazionalmente, ma dall’altro una sedizione come quella della Wagner e le divergenze nella catena di comando militare, non offrono uno spaccato di saldezza istituzionale a prova di tutto. Il presidente russo ha avuto comunque l’occasione per verificare lealtà e affidabilità di tutto l’establishment e di misurare il polso delle turbolenze tra i ranghi militari e ci si può aspettare che nei prossimi giorni o settimane interverrà con decisione.

Resta la gravità di quanto avvenuto: proprio nel momento in cui il Paese è in guerra contro la NATO e l’Ucraina, destabilizzarlo internamente, arrivando alla minaccia militare, è colpa non perdonabile. L’iniziativa di Prigozhin ha recato danni in diverse direzioni: la prima verso i partner strategici di Mosca, (Pechino in primo luogo) che hanno seguito con preoccupazione gli eventi e che s’interrogano sulla saldezza istituzionale russa. Ha reso inquieti anche il complesso dei paesi impegnati nei BRICS e nello SCO, come in altri accordi regionali, che contano proprio sulla direzione politica, sulla forza e sull’affidabilità russa nella battaglia per un nuovo ordine internazionale.

Quanto all’Occidente, la CIA ritiene che Putin sapesse delle intenzioni di Prigozhin e non l’abbia fermato per permettere così la soluzione al problema. Washington ha però dovuto considerare con sufficiente timore l’ipotesi di un possibile vuoto di potere a Mosca (una crisi militare in un Paese con 6500 testate nucleari multiple non è uno scherzo) e nonostante le uscite imbarazzanti di Biden sa che Putin è l’elemento di maggiore stabilità e moderazione nel gruppo dirigente russo. Persino l’Ucraina è riemersa dai fondali della sua famosa controffensiva ed ha colto nella crisi una vulnerabilità russa, cosa che peserà ulteriormente nelle ipotesi di trattativa. Infine, verso l’opinione pubblica russa, che ha assistito ad uno scontro fratricida tra un mercenario ambizioso e dei vertici della Difesa quanto meno deficitari, perché incapaci di affrontare e risolvere il problema dei rapporti con lui da diverso tempo.

A questi danni, tutti riparabili, se ne aggiunge un altro, maggiormente insidioso. Sebbene il Paese abbia dimostrato saldezza istituzionale ed autorevolezza presidenziale, le divisioni emerse all’interno della catena di comando militare russa, fanno ipotizzare ulteriori e più ampi scenari di intervento da parte dei servizi segreti occidentali. E’ probabile che aumenteranno i budget per le agenzie come CIA, MI6, DGSE Mossad, per provare a penetrare ed infiltrare maglie che sono apparse meno serrate di come sarebbe necessario che fossero. Ciò obbligherà l’intelligence russa ad un ulteriore lavoro e ad ulteriori risorse per la difesa. Il che, da nessun punto di vista può essere considerata una buona notizia.

Prigozhin fermato dalla diplomazia

La ribellione del Gruppo Wagner guidato da Prigozhin ha deluso coloro che speravano in un’epica marcia trionfale verso Mosca o in una guerra civile in Russia. Le speranze di un cambiamento di governo e di una svolta del fronte di guerra in Ucraina sono state disattese dagli eventi successivi. Le analisi e le previsioni sbagliate dei media hanno mostrato la distanza tra fantasia e realtà. Tuttavia, ammettere gli errori non è facile per coloro che si limitano a ripetere le narrazioni provenienti da Washington.

Si sta enfatizzando la presunta debolezza del governo russo e di Putin, che non ha autorizzato l’uso della forza per fermare il Gruppo Wagner. Alcuni esperti suggeriscono che Putin avrebbe dovuto impiegare l’esercito e le forze speciali per affrontare violentemente i membri del gruppo. Tuttavia, risolvere una crisi senza spargimento di sangue non dovrebbe essere considerato un demerito per un capo di Stato. Se Putin avesse autorizzato un uso violento della forza, lo avrebbero accusato di essere un sanguinario dittatore che massacra i propri cittadini per mantenere il potere.

Si sottolinea anche il coinvolgimento dell’alleato bielorusso nella risoluzione della crisi. Secondo le dichiarazioni di Alexander Lukashenko, le trattative con Prigozhin erano in corso fin dalle prime ore del mattino. Pertanto, il Cremlino potrebbe aver deciso di lasciar progredire la galoppata di Prigozhin verso Mosca senza interferire, controllando la situazione in attesa degli sviluppi.

La risoluzione di una grave crisi come quella avvenuta in Russia senza ricorrere a tonnellate di bombe e senza causare centinaia di morti evidentemente non rientra nell’approccio diplomatico statunitense ed europeo. L’uso della forza bruta sembra essere considerato l’unico modo per risolvere i problemi internazionali secondo tali prospettive. Questo dimostra che l’idea di esportare la democrazia nei paesi guidati da dittatori ha un prezzo che si paga con il sangue.

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