Secondo un rapporto della Regione Emilia Romagna, riportato dal Corriere della Sera, solo un terzo delle opere di protezione idrogeologica previste è stato completato
Un anno dopo la devastante alluvione del maggio 2023 in Emilia Romagna, che causò 17 morti e danni per 8,5 miliardi di euro, la regione si trova nuovamente a fronteggiare l’emergenza maltempo. Nonostante gli ingenti fondi stanziati negli ultimi dieci anni per la prevenzione del dissesto idrogeologico, i risultati ottenuti sono limitati. Secondo un rapporto della Regione Emilia Romagna, riportato dal Corriere della Sera, solo un terzo delle opere di protezione idrogeologica previste è stato completato.
In particolare, su un totale di 402 cantieri pianificati nelle province maggiormente colpite, come Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, solo 130 sono stati conclusi, mentre 158 sono ancora in corso e 114 restano in fase di progettazione. Questo significa che a un anno dall’alluvione, due terzi degli interventi necessari per prevenire ulteriori disastri naturali sono ancora incompleti o non avviati.
Il valore complessivo di questi lavori ammonta a 343 milioni di euro. Questa cifra si aggiunge ai quasi 600 milioni stanziati tra il 2014 e il 2023 per contrastare il dissesto idrogeologico nella regione. Di questi fondi, 254 milioni provengono dal Ministero dell’Ambiente, 227 milioni dal Ministero dell’Interno, 17 milioni dal Dipartimento Casa Italia e 3 milioni dal Ministero delle Infrastrutture. A questi si sommano i 2,5 miliardi di euro stanziati dopo l’alluvione del 2023, dei quali 1,6 miliardi sono già stati erogati.
Con l’arrivo di una nuova ondata di maltempo causata dal ciclone Boris, che ha colpito non solo l’Emilia Romagna ma anche altre aree d’Europa, si è subito scatenato un dibattito sulle responsabilità. Il ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, ha dichiarato: “Se l’Emilia-Romagna potesse fare lo sforzo di farci sapere quante di queste risorse sono state spese, spero tutte o quasi, se ci facesse la cortesia di dirci quali sono i territori più vulnerabili ancora, quali sono quelli su cui intervenire in un rapporto di reciproca e leale collaborazione istituzionale, noi da Roma potremmo programmare ulteriori interventi in regime ordinario”.
Il problema non riguarda solo l’uso dei fondi, ma anche la mancanza di grandi interventi strutturali per ridurre il rischio idrogeologico. Un piano di intervento da 4,5 miliardi di euro è stato presentato dal commissario straordinario all’emergenza, il generale Francesco Paolo Figliuolo, solo nel marzo 2024, e approvato in via definitiva a luglio. Tuttavia, questo ritardo ha impedito che i cantieri potessero essere già operativi.
A Faenza, uno dei centri più colpiti dall’alluvione del 2023, si sono verificati nuovi danni. Sebbene un muro costruito dopo l’alluvione abbia protetto il centro storico, un argine temporaneo predisposto in un’altra area è stato spazzato via dall’acqua. Il Comune avrebbe voluto realizzare un’opera più solida, ma i lavori non sono stati avviati. Anche a Budrio, un quartiere si è allagato per la terza volta in sei anni, colpendo le stesse famiglie che erano state evacuate nel 2019 e nel 2023. Inoltre, il fiume Idice è esondato nuovamente vicino al ponte della Motta, crollato nel 2023.
La situazione in Emilia Romagna riflette un problema più ampio che coinvolge l’intero territorio italiano. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), l’11% della superficie emiliano-romagnola è soggetta a rischio idrogeologico a causa di precipitazioni abbondanti e frane. Questo significa che circa 1,6 milioni di abitanti della regione vivono in aree esposte a tali pericoli.
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