La prossima rivalutazione delle pensioni è attesa a gennaio 2025, ma gli importi saranno differenti da quelli degli ultimi anni
La rivalutazione delle pensioni non comporta aumenti a giugno, nonostante quanto riportato su molti giornali. L’importo pagato a giugno è il risultato della rivalutazione applicata a inizio anno, quindi non ci sono novità in arrivo nei prossimi mesi.
Nel corso del 2024 non sono previsti ulteriori aumenti delle pensioni dovuti all’adeguamento con il costo della vita. A differenza degli anni precedenti, non è previsto alcun conguaglio anticipato, poiché il tasso di rivalutazione del 5,4% utilizzato a inizio anno si è rivelato essere definitivo.
Non ci saranno quindi aumenti della rivalutazione sulla pensione né a giugno né nei mesi successivi. Il prossimo incremento dovuto all’inflazione è atteso per gennaio prossimo, ma l’aumento previsto sarà molto più basso rispetto agli anni precedenti.
L’inflazione attesa nel 2024
Il Documento di economia e finanza approvato nell’aprile scorso fornisce un’indicazione preliminare sul tasso di inflazione previsto per il 2024, stimato all’1,6%. Sebbene possa subire variazioni fino alla fine dell’anno, non sono previsti cambiamenti significativi. Questo conferma che i prossimi aumenti delle pensioni saranno molto meno consistenti rispetto agli anni passati, quando i tassi di inflazione erano stati dell’8,1% e del 5,4%.
Pertanto, se quest’anno c’è stato un aumento di 54 euro su una pensione di 1.000 euro (81 euro l’anno precedente), nel 2025 ci si potrà aspettare solo un aumento di appena 16 euro. Per una panoramica completa sull’incremento delle pensioni dovuto alla rivalutazione di gennaio 2025, è possibile fare clic qui.
L’incognita “taglio”
La nuova rivalutazione delle pensioni presenta ancora un’incognita. Attualmente non ci sono certezze sul meccanismo che verrà utilizzato, poiché il “taglio” introdotto dal governo Meloni per il 2023 e “corretto” nel 2024 dovrebbe essere valido solo per questo biennio.
A partire da gennaio, si prevede il ritorno al tradizionale meccanismo di rivalutazione, che prevede un aumento del 100% fino a un importo quattro volte il trattamento minimo, del 90% per la parte compresa tra quattro e cinque volte, e del 75% per gli importi superiori a cinque volte il trattamento minimo. Questo sistema è più vantaggioso rispetto a quello utilizzato negli ultimi anni, ma comporta un costo più elevato per lo Stato.
Per il 2025, con un tasso di rivalutazione dell’1,6%, la spesa sarà inferiore, quindi il ritorno al vecchio sistema non richiederebbe un notevole stanziamento di risorse. Tuttavia, si terrà conto dei vincoli di spesa imposti dall’Unione Europea nella prossima legge di Bilancio.
Un altro elemento che potrebbe favorire il ritorno alle vecchie regole è il fatto che negli ultimi sei anni la rivalutazione originaria è stata applicata solo una volta (nel 2022), mentre in tutte le altre occasioni i governi hanno optato per tagliarla. Questa questione è finita davanti alla Corte Costituzionale, che dovrà nuovamente esprimersi sulla legittimità dei continui blocchi alla rivalutazione.
FONTEUFFICIALE.it riassume le notizie pubblicate dalle agenzie di stampa e da altri media autorevoli (come Ansa, Agi, AdnKronos, Corriere della Sera, ecc..), quindi non è direttamente responsabile di inesattezze. Se, però, ritieni che un nostro articolo debba essere modificato o eliminato puoi farne richiesta [ scrivendo qui ].
Per ricevere i nostri aggiornamenti e restare informato ti invitiamo a seguirci sul nostro profilo ufficiale di Google News.