Nei giorni scorsi, i ministri italiani Antonio Tajani, Guido Crosetto e Matteo Salvini hanno invocato la Costituzione per spiegare la loro opposizione alla fornitura di armi all’Ucraina destinate a colpire obiettivi in Russia. Questa richiesta era stata avanzata dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e aveva ottenuto l’approvazione di Stati Uniti, Germania e Francia.
Tajani, in un intervento a Canale 5, ha dichiarato che “le armi italiane possono essere usate soltanto all’interno del territorio ucraino per impedire l’avanzata dei russi e quindi per garantire la libertà dell’Ucraina”, citando l’articolo 11 della Costituzione italiana, che afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Crosetto ha ribadito questa posizione in un’intervista con il quotidiano Domani, sottolineando che la Costituzione e le leggi italiane permettono solo aiuti difensivi. Anche Salvini, ospite a Otto e mezzo su La7, ha affermato che la Lega sosterrà un nuovo invio di armi solo se sarà garantito che non verranno usate per attaccare il territorio russo.
Dal momento dell’invasione russa, l’Italia ha inviato all’Ucraina otto pacchetti di armi, il cui contenuto è tenuto segreto per ragioni di sicurezza. La legge n. 185 del 1990, che regola il commercio degli armamenti, vieta l’esportazione di armi verso paesi in guerra, ma gli invii all’Ucraina sono stati autorizzati dal Parlamento in tre diverse votazioni, la prima a marzo 2022, la seconda a dicembre 2022 e la terza a febbraio 2024.
È corretto quanto affermato da Tajani e Crosetto riguardo alla Costituzione? L’articolo 11 della Costituzione italiana è ispirato a principi pacifisti, affermando il ripudio della guerra come strumento di offesa e ammettendo limitazioni della sovranità per garantire pace e giustizia tra le nazioni. Tuttavia, non vieta assolutamente la partecipazione dell’Italia a guerre, purché non siano offensive. Sono consentite azioni belliche a carattere difensivo, e questo principio si estende anche alla difesa di altri Stati, in linea con le norme internazionali sul diritto alla legittima difesa.
Che cosa dice la Costituzione
La Costituzione italiana, nell’articolo 11, afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Questa disposizione si basa su un principio pacifista. Nella prima parte, si dichiara il ripudio della guerra, mentre nella seconda si accettano limitazioni alla sovranità nazionale per garantire pace e giustizia, permettendo la partecipazione italiana a organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite.
Nonostante questo orientamento pacifista, la Costituzione non vieta in termini assoluti la partecipazione dell’Italia alla guerra. L’articolo 78, ad esempio, permette al Parlamento di dichiarare lo “stato di guerra”. L’articolo 11 è strutturato per impedire la partecipazione dell’Italia a guerre offensive e l’uso della guerra per risolvere controversie internazionali. Questo include anche il divieto di fornire assistenza, come armi, a Stati impegnati in guerre offensive. Tuttavia, sono consentite azioni belliche di carattere difensivo.
Non è chiaro dall’articolo 11 se l’Italia possa partecipare a guerre difensive per altri Stati oltre che per sé stessa. La risposta a questa domanda si trova nelle norme di diritto internazionale che regolano l’uso della forza e il diritto alla legittima difesa, norme che l’articolo 11 richiama indirettamente attraverso il riferimento alle organizzazioni internazionali che perseguono la pace e la giustizia.
Che cosa dicono le norme internazionali
Le norme internazionali sono fondamentali per comprendere la questione. L’articolo 5 del Trattato della Nato stabilisce il principio della difesa collettiva: se un Paese membro viene attaccato, gli altri devono intervenire, anche militarmente. Tuttavia, questo non si applica all’Ucraina, poiché non fa parte della Nato.
Enrico Grosso, professore di Diritto costituzionale all’Università di Torino, ha spiegato che non si può invocare l’adesione comune alle Nazioni Unite, poiché non c’è stato un intervento specifico del Consiglio di Sicurezza per difendere l’Ucraina. Questo rende irrilevante l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che permette la legittima difesa in caso di attacco armato a un membro dell’ONU, fintanto che il Consiglio di Sicurezza non intervenga.
È rilevante, invece, l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, che impone agli Stati membri di astenersi dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato. Tuttavia, l’invio di armi a un Paese aggredito, come l’Ucraina, non è considerato un uso della forza vietato, poiché è un sostegno per la legittima difesa.
Gli obblighi di neutralità derivanti dall’articolo 6 della XIII Convenzione dell’Aia del 1907 vietano la consegna di materiale bellico da parte di potenze neutrali a potenze belligeranti. Tuttavia, questi obblighi sono ritenuti incompatibili con il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite e con le alleanze regionali, che prevedono un dovere di assistenza reciproca per gli Stati membri. Pierfrancesco Rossi, professore di Diritto internazionale alla Luiss, ha affermato che l’invio di armi può essere giustificato come una “contromisura collettiva” in risposta alla violazione da parte della Russia di norme internazionali.
Quindi, l’articolo 11 della Costituzione, interpretato alla luce del diritto internazionale, non sembra vietare l’uso della forza per assistere un Paese attaccato in legittima difesa e non impone restrizioni sull’uso delle armi da parte del Paese che le riceve.
Il Trattato sul commercio delle armi
Il Trattato sul commercio delle armi, adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2013 e entrato in vigore nel 2014, stabilisce vincoli specifici sull’uso delle armi da parte del Paese destinatario. Questo trattato si applica anche ai trasferimenti di armi gratuiti, come nel caso dell’Italia con l’Ucraina.
Secondo l’articolo 6 del trattato, uno Stato non può esportare armi se sa che saranno utilizzate per violare le Convenzioni di Ginevra, ad esempio per commettere genocidi o crimini contro l’umanità. L’articolo 7 richiede una valutazione per determinare se le armi potrebbero essere impiegate per violazioni gravi del diritto internazionale umanitario, diritti umani o per atti illeciti come il terrorismo o la criminalità transnazionale organizzata.
Per quanto riguarda i decreti del governo italiano che hanno autorizzato la consegna di armamenti all’Ucraina, il processo è avvolto dal segreto. Non si conosce né il tipo di armi fornite né le procedure seguite per accertare che il loro utilizzo non violi il diritto internazionale.
Armi solo in territorio ucraino?
Non vi è alcuna disposizione legale che impone che l’uso delle armi trasferite debba limitarsi al territorio dello Stato aggredito anziché sul suolo dello Stato aggressore. Tuttavia, l’uso delle armi deve rispettare il principio di proporzionalità, che vieta attacchi che causino danni sproporzionati alla popolazione civile o a obiettivi civili in rapporto al vantaggio militare concreto atteso.
Ogni Stato ha il diritto di imporre restrizioni sull’uso delle armi trasferite per la legittima difesa da parte di un altro Paese. Tuttavia, queste restrizioni sono principalmente una questione di discrezionalità politica e non trovano necessariamente fondamento legale nelle normative sovranazionali o nella Costituzione italiana.
Secondo il costituzionalista Grosso, il fatto che le armi fornite vengano utilizzate sul territorio del Paese aggredito o su quello del Paese aggressore non è determinante dal punto di vista legale. Quello che conta è che l’uso delle armi sia in linea con i principi del diritto internazionale e che sia coerente con la legittima difesa del Paese aggredito.
In base a questa interpretazione, l’Ucraina potrebbe legittimamente utilizzare le armi anche sul territorio russo, a condizione che rispetti i principi del diritto internazionale, come la proporzionalità degli attacchi e la legittima difesa.