Cosa c’entra Massimo D’Alema con la vendita di armi alla Colombia

Massimo D’Alema è coinvolto in un’indagine per corruzione a Napoli che riguarda la vendita di armi per un valore di 4 miliardi di dollari alla Colombia

Cosa c'entra Massimo D'Alema con la vendita di armi alla Colombia
Massimo D’Alema, insieme ad altre sette persone, tra cui l’amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo e l’ex manager di Fincantieri Giuseppe Giordo, è stato recentemente coinvolto in un’indagine per corruzione a Napoli. Questa indagine riguarda la vendita di armi per un valore di 4 miliardi di dollari alla Colombia. D’Alema è accusato di aver agito come mediatore informale tra le società coinvolte nella fornitura di armi e i vertici delle stesse.

La vicenda si basa su un’informativa della Digos risalente al 28 novembre 2022, in cui si evidenzia il ruolo “propulsivo” di D’Alema. L’ex premier è accusato di aver sfruttato la sua rete politico-istituzionale a vantaggio personale.

L’informativa include le chat tra D’Alema e Paride Mazzotta, consigliere regionale di Forza Italia in Puglia, che non è coinvolto nell’indagine. Nelle conversazioni, D’Alema fa riferimento all’invio di documentazione e all’importanza di dimostrare il ruolo dei promotori commerciali. Si parla anche di problemi nella ricezione dei materiali e della necessità di accelerare i tempi.

Le chat rivelano la preoccupazione di D’Alema riguardo alla mancanza di riscontri da parte degli interlocutori e all’arrivo di manifestazioni di interesse da parte di altri stati.

La difesa di D’Alema sostiene che gli eventi in questione rientrino in regolari scambi commerciali. L’ex premier ha anche dichiarato di aver menzionato una cifra di 80 milioni di dollari in una conference call come unico modo per chiudere l’affare e ha sottolineato di fornire consulenza e assistenza a imprese italiane per investimenti all’estero.

Attualmente, D’Alema ha chiesto di essere interrogato, ma finora non è stato convocato dalle autorità.

Il Colombiagate

Gli uffici e le abitazioni di Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio, e di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Leonardo, sono stati perquisiti dai poliziotti della Digos su ordine della procura di Napoli. I due sono indagati, insieme ad altre sei persone, per un affare da 4 miliardi di euro, poi tramontato, legato alla vendita di armi e aerei da guerra alla Colombia.

Il caso in questione, noto come “Colombiagate”, ha scosso il mondo politico ed economico italiano, con implicazioni che vanno oltre i confini nazionali. Secondo quanto emerso dalle indagini, Massimo D’Alema avrebbe svolto un ruolo di mediazione informale nei rapporti con i vertici di Leonardo e Fincantieri, entrambi partecipati dal ministero dell’Economia, per la cessione delle forniture militari. Gli indagati avrebbero cercato di vendere al governo colombiano aerei M346, prodotti da Leonardo, e piccoli sommergibili e corvette realizzati da Fincantieri.

Il decreto di perquisizione indica che tutti gli indagati sono accusati con “l’aggravante di aver commesso il reato attraverso il contributo di un gruppo criminale organizzato operante in più di uno stato quali Italia, Usa, Colombia ed altri stati in via di accertamento.” L’affare avrebbe consentito ai mediatori di incassare una commissione pari al 2 per cento, circa 80 milioni di euro, con Massimo D’Alema che avrebbe parlato apertamente di questa transazione in una telefonata con Edgar Fierro, un paramilitare sudamericano già condannato per diversi omicidi.

Ruolo degli indagati

Secondo la procura di Napoli, l’ex primo ministro italiano si sarebbe adoperato per mettere in contatto due broker pugliesi, Emanuele Caruso e Francesco Amato, entrambi indagati, con le società italiane coinvolte nella vendita delle forniture belliche. Sarebbe stato uno studio americano, lo studio Robert Allen Law con sede in Florida, a ricevere i compensi per poi distribuirli alle parti coinvolte nella trattativa, italiana e colombiana.

Nell’indagine, oltre a Profumo, D’Alema e ai due broker, sono indagati anche Umberto Bonavita e Gherardo Gardo, che avrebbero rappresentato in Italia lo studio legale Allen Law indicato da D’Alema per finalizzare gli accordi, e Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di Carmiano per Forza Italia, considerato vicino all’ex premier e coinvolto nella trattativa.

Tuttavia, i contratti non sono mai stati conclusi, e l’affare miliardario è saltato insieme agli 80 milioni di euro previsti come provvigione illecita. La procura di Napoli procede per corruzione internazionale e sostiene che gli indagati italiani avrebbero trattato con funzionari politici e militari del governo colombiano, tra cui Edgar Fierro Flores, Marta Lucia Ramirez, German Monroy Ramirez e Francisco Joya Prieto, promettendo loro una tangente illecita di 40 milioni di euro, il 50 per cento della provvigione complessiva.

Francesco Amato ed Emanuele Caruso operavano come consulenti per la cooperazione internazionale del ministero degli Esteri della Colombia, grazie a Giancarlo Mazzotta. Quest’ultimo ha affermato che Massimo D’Alema, grazie al suo curriculum di incarichi internazionali, agiva come mediatore informale nei rapporti con i vertici delle società italiane, come Alessandro Profumo di Leonardo e Giuseppe Giordo di Fincantieri.

Dichiarazioni degli indagati

Massimo D’Alema, nel marzo 2022, aveva negato le accuse, definendo la vicenda delle tangenti “fandonie.” Tuttavia, la situazione aveva portato Fincantieri a sollevare dall’incarico Giuseppe Giordo, dopo un audit interno. Ora, oltre un anno dopo, le perquisizioni sono state eseguite, e gli investigatori cercano prove nella documentazione sequestrata.

Gianluca Luongo, avvocato di Massimo D’Alema, ha dichiarato che il suo assistito ha collaborato pienamente con l’autorità giudiziaria e che sarà dimostrata la sua estraneità alle accuse. Allo stesso tempo, Cesare Placanica, avvocato di Giuseppe Giordo, ha affermato che il suo assistito è assolutamente tranquillo e ha criticato la costruzione giuridica delle accuse.

La procura di Napoli, nel marzo scorso, aveva chiesto una proroga di sei mesi per l’indagine, data la complessità delle verifiche in corso riguardo a fatti avvenuti al di fuori del territorio italiano, sulla rotta Italia-Colombia.

Intercettazioni

L’informativa della Digos include numerose chat tra i protagonisti dell’affare. In una di queste chat, Massimo D’Alema parla esplicitamente di come lui e gli altri avrebbero ricevuto 80 milioni di euro una volta chiusi i contratti. Si fa riferimento anche alla distribuzione della somma tra i vari partecipanti all’affare, e si menziona il coinvolgimento di altri stati oltre alla Colombia.

Tuttavia, la difesa di D’Alema ha contestato queste intercettazioni, affermando che si tratta di una conversazione privata illegalmente registrata e manipolata. Inoltre, è emerso che D’Alema conosceva bene il passato dell’ex paramilitare Edgar Ignacio Fierro, con cui aveva discusso dell’affare.

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