Ogni offesa pronunciata o digitata di fronte a almeno due persone (e su internet ce ne sono molte più di due) integra il reato di diffamazione
Come guadagnare con gli insulti sui social degli haters? Per coloro che utilizzano i social e non riescono a ottenere guadagni dai propri follower, esiste un modo per fare soldi senza sforzo: grazie agli insulti degli haters. Ogni offesa pronunciata o digitata di fronte a almeno due persone, e su internet ce ne sono molte più di due, integra il reato di diffamazione.
Ci sono 2 modi per affrontare la diffamazione: con una querela penale e con una richiesta di risarcimento del danno. Molti aspiranti influencer e creatori puntano proprio sulla seconda opzione.
Offendere qualcuno sui social è diffamazione?
Offendere qualcuno sui social può costituire il reato di diffamazione aggravata, punito con la reclusione fino a due anni o con una multa fino a 2065 euro. Perché un insulto sia considerato illecito, deve mirare a denigrare o danneggiare l’onore e la reputazione morale o professionale della persona, non semplicemente criticare il suo operato.
La “non contestualità” delle affermazioni è ciò che caratterizza la diffamazione. Se gli scambi avvengono in una discussione diretta, si tratta di ingiuria, non di reato. Ad esempio, se Roberto commenta in modo offensivo un post di Marco e Marco legge il commento dopo due minuti, si configura la diffamazione. Ma se la discussione avviene istantaneamente, non c’è reato.
La diffamazione comporta responsabilità penale e civile, quindi la vittima ha diritto a un risarcimento danni. Secondo la Cassazione, non è necessario utilizzare parolacce per commettere diffamazione; anche emoji offensive possono configurare il reato.
Come risalire all’account responsabile?
Per risalire al responsabile di un account sui social, se il nome del titolare è reale, si può verificare il luogo di residenza dalle informazioni di profilo o dalle foto e richiedere un certificato di residenza all’Anagrafe della popolazione residente.
La richiesta del certificato non richiede una motivazione specifica, poiché tutti hanno il diritto di conoscere la residenza di un cittadino italiano, anche per fini giudiziali.
Se il nome dell’account è fittizio, la procedura è più complessa ma non impossibile. È necessario presentare una querela penale alla polizia postale, che può risalire all’indirizzo IP di connessione e, quindi, al luogo di connessione.
Anche se la procedura penale non va avanti, è possibile rivolgersi al responsabile per un risarcimento in via civile con le informazioni ottenute.
Identificare l’hater diventa più difficile se si collega a internet tramite una connessione wi-fi pubblica. Se utilizza una VPN per nascondere l’indirizzo IP, l’individuazione diventa quasi impossibile, ma questa è una minoranza dei casi.
Cosa fare dopo aver individuato l’hater?
Dopo aver individuato l’hater, la vittima ha 2 opzioni:
La prima opzione è sporgere una querela entro 3 mesi dalla scoperta dell’offesa. Questa può essere presentata alla Procura della Repubblica, alla Polizia postale o ai Carabinieri e non richiede un avvocato. Tuttavia, per richiedere il risarcimento, la vittima deve costituirsi parte civile nel procedimento penale successivo con l’assistenza di un avvocato.
La seconda opzione, più comunemente usata, è inviare una lettera di diffida per richiedere il risarcimento del danno. È consigliabile coinvolgere un avvocato, che saprà quali espressioni costituiscono diffamazione e intimorirà l’hater, dimostrando la serietà dell’intenzione di agire legalmente contro di lui.
Lo scopo della lettera è far pagare all’hater per evitare conseguenze legali che potrebbero danneggiarlo sul lavoro, socialmente ed economicamente.
La lettera di diffida non necessariamente porta a un’azione legale, ma mira a una risoluzione amichevole tra le parti. Tuttavia, la vittima potrebbe decidere di sporgere querela per preservare il proprio nome senza affrontare spese, poiché il processo penale è intentato dallo Stato e non richiede un avvocato, a meno che non si desideri chiedere un risarcimento.
I termini di prescrizione del risarcimento del danno
Per quanto riguarda la prescrizione del risarcimento del danno in via civile, il danneggiato ha un periodo di 5 anni per richiedere il risarcimento. Se il termine è prossimo alla scadenza, la vittima può farlo ripartire da capo inviando una diffida, interrompendo così la prescrizione.
Come deve essere la diffida?
Perché una diffida sia efficace, deve contenere alcuni elementi fondamentali:
- Una copia della pagina contenente la diffamazione, solitamente uno screenshot.
- Una quantificazione del danno, indicando una cifra che la vittima è disposta ad accettare per risolvere la questione.
- Un termine ultimo per il pagamento, oltre il quale si procederà civilmente e/o penalmente.
Per quantificare il danno derivante dalla diffamazione sui social, di solito è il giudice a stabilire l’importo. Questo può variare in base a diversi fattori:
- Il tipo di frase o parola utilizzata: ad esempio, chiamare qualcuno “mafioso” può essere considerato più grave che chiamarlo “imbecille” o “disabile“.
- L’attribuzione di un fatto specifico: accusare qualcuno di un particolare crimine può essere più grave che fare un’affermazione generica.
- Il ruolo sociale e/o professionale della vittima: un’offesa rivolta a un professionista come un ginecologo può avere conseguenze più gravi rispetto a un’offesa rivolta a uno studente, a causa del danno professionale che può causare.
Il periodo in cui la frase rimane online: se l’insulto viene rimosso rapidamente, potrebbe influenzare l’entità del risarcimento.
Quali sono le parole che rientrano nella diffamazione?
Secondo la Cassazione, non è solo chi pronuncia una parolaccia a commettere diffamazione. Infatti, sono diffamazione parole come:
- maleducato;
- mefistofelico, diabolico;
- mantenuta, l’ha sposato per soldi;
- coglione;
- moroso, non paghi i debiti;
- quella esaurita che non è altro;
- ebete;
- è un intrallazzato;
- raccomandato, leccaculo, leccapiedi;
- pregiudicato (sempre che effettivamente non sia in corso un procedimento penale);
- nei confronti di un giornalista «pseudo giornalaio (…) pagato per blaterare»;
- viscido e senza spina dorsale;
- è un miserabile bisognoso di cure psichiatriche;
- professore, si fa per dire…;
- buffone (a meno che il destinatario sia un politico);
- stronza;
- zappatore;
- femmina senza palle;
- testa di cazzo;
- il fatto di rivelare un tradimento;
- penoso, mezza manica, è uno che frega il proprio datore di lavoro;
- pagliaccio, imbecille, bimbominkia.
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