Cos’è lo Statalismo?

Lo statalismo è la tendenza ad attribuire allo Stato un ruolo molto forte nelle varie attività del Paese, soprattutto nel controllo dell’economia nazionale e nel possesso delle aziende

Cos'è lo Statalismo?

Cos’è lo Statalismo? Lo statalismo è un approccio in cui lo Stato assume un ruolo predominante nelle attività di un Paese, specialmente nella gestione dell’economia e nel controllo delle aziende. In questo contesto, lo Stato interviene direttamente nel funzionamento dell’economia nazionale, spesso possedendo o gestendo imprese. Questo termine viene utilizzato anche in senso critico, per indicare un’ingerenza eccessiva dello Stato in diversi settori della vita pubblica e privata.

Quando si parla di statalismo, si fa spesso riferimento a sistemi in cui lo Stato ha un controllo molto forte, come nel caso dei regimi totalitari, tra cui l’Italia fascista e la Germania nazista. Questi regimi, infatti, hanno applicato politiche stataliste, concentrando nelle mani dello Stato un potere significativo su vari aspetti della società e dell’economia. Allo stesso modo, anche alcune forme di stato sociale possono essere considerate stataliste, poiché prevedono un intervento massiccio dello Stato nell’economia e nella vita dei cittadini.

Il processo attraverso cui lo Stato assume il controllo di imprese private è noto come nazionalizzazione o statalizzazione. Questo avviene, ad esempio, quando lo Stato interviene per salvare aziende in difficoltà economica, prevenendone il fallimento o un ridimensionamento drastico. Al contrario, la privatizzazione è il processo inverso, in cui lo Stato cede il controllo delle imprese al settore privato.

L’etimologia della parola “statalismo” rivela il suo significato: deriva dal latino “statu(m)“, che significa “Stato“, combinato con vari suffissi che indicano appartenenza a un sistema o a un gruppo di pensiero. In sintesi, il termine si riferisce a un sistema politico in cui lo Stato concentra su di sé gran parte del potere e dell’autorità.

Lo statalismo può assumere forme diverse. Esiste uno statalismo assoluto, in cui lo Stato controlla praticamente ogni aspetto della vita economica e sociale, e uno statalismo parziale, in cui, pur mantenendo il controllo su molti settori, lo Stato lascia alcuni spazi di libertà agli individui. In alcuni casi estremi, lo statalismo può evolvere in una forma di autoritarismo o totalitarismo, dove lo Stato esercita un potere quasi illimitato.

Un esempio storico del potere dello Stato sull’economia si può osservare nei Paesi dell’Europa dell’Est durante la Guerra Fredda. Qui, l’economia pianificata rappresentava il culmine dell’intervento statale, con il governo che regolava ogni aspetto della produzione e della distribuzione dei beni, a scapito delle leggi di mercato.

Storia dello Statalismo

Lo statalismo ha radici filosofiche che si possono rintracciare nel pensiero di alcuni grandi filosofi come Thomas Hobbes, Niccolò Machiavelli e Jean-Jacques Rousseau. Questi pensatori hanno influenzato l’idea di uno Stato forte e centralizzato. Anche il positivismo di Auguste Comte e le idee di Georg Wilhelm Friedrich Hegel e dei suoi seguaci si allineano a una visione statalista, dove lo Stato gioca un ruolo centrale. Tuttavia, Karl Marx si discosta da questa visione, poiché considerava lo Stato come un’entità da abolire. Nonostante ciò, la fase socialista che precede l’abolizione dello Stato, nota come dittatura del proletariato, è stata spesso interpretata come una forma di statalismo, poiché prevede il controllo statale dell’economia.

Nazionalizzazioni illuministiche

In Italia, il concetto di statalismo si è manifestato in diverse epoche storiche, a partire dal periodo illuminista. Durante il “secolo dei lumi”, con la nascita dello Stato moderno, si è verificata una prima ondata di nazionalizzazioni. Un esempio significativo è la nazionalizzazione del servizio postale, che in molti Stati era precedentemente gestito da privati. In seguito a questa nazionalizzazione, i mastri di posta e i postiglioni furono integrati in un sistema statale, indossando uniformi e operando sotto lo stemma del sovrano. In particolare, nel Regno di Sardegna, la statalizzazione delle poste fu sancita dall’editto di Vittorio Amedeo II del 1718, che stabilì che il servizio postale sarebbe stato gestito direttamente dallo Stato con personale retribuito, introducendo anche un primo tariffario dettagliato per le spedizioni nazionali ed estere. Analogamente, nel Ducato di Milano, il governo austriaco prese il controllo delle poste, compensando la famiglia Serra, che ne aveva la concessione, con una somma di 320.000 fiorini. Altri esempi di nazionalizzazioni postali si verificarono nella Repubblica di Venezia nel 1747 e nel Regno di Sicilia nel 1786, quando Ferdinando III centralizzò il servizio postale sotto il controllo statale, creando le “Poste di Sicilia“.

Nazionalizzazioni giolittiane

Nel periodo dell’Italia unita, la prima grande nazionalizzazione avvenne nel 1905 con la statalizzazione delle ferrovie. In quell’anno, le concessioni per l’esercizio delle ferrovie, detenute da varie società private, stavano per scadere. Queste società, nonostante operassero in condizioni economicamente favorevoli, trascuravano la manutenzione e l’innovazione, sfruttando anche il personale. Per questo motivo, il primo ministro Giovanni Giolitti ritenne opportuno che lo Stato assumesse la gestione diretta delle ferrovie, creando l'”Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato“. Il riscatto delle reti ferroviarie avvenne il 1º luglio 1905, con l’entrata in vigore della “legge Fortis“, che assegnava allo Stato la gestione di oltre 10.000 km di linee ferroviarie, successivamente ampliati con l’acquisizione di ulteriori reti. Nel 1907, lo Stato definì la struttura amministrativa per la gestione delle ferrovie, pur lasciando in attività alcune compagnie private che gestivano linee minori.

Sempre nel 1907, scadevano anche le concessioni telefoniche. Le reti telefoniche erano obsolete e le società concessionarie non erano interessate a investire in miglioramenti, poiché alla scadenza delle concessioni le infrastrutture sarebbero passate allo Stato senza compensazione. Inoltre, nel 1903, uno scandalo aveva coinvolto alcune società telefoniche a causa di conflitti d’interesse, portando alla creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta. Di conseguenza, lo Stato nazionalizzò le reti delle principali concessionarie, come la Società generale italiana dei telefoni, legata alla americana Bell, e la Società Telefonica Alta Italia, emanazione della Siemens. Queste reti furono poste sotto la gestione del Ministero delle poste e dei telegrafi, anche se rimasero attive numerose piccole concessionarie locali.

L’ultima grande nazionalizzazione sotto il governo di Giolitti fu quella delle assicurazioni sulla vita. Con la legge 305 del 4 aprile 1912, lo Stato nazionalizzò questo settore per finanziare la Cassa per la vecchiaia e invalidità dei lavoratori, senza gravare sulle finanze pubbliche. Nello stesso anno, fu istituito l’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni), che divenne l’ente pubblico responsabile del monopolio delle assicurazioni sulla vita in Italia. Sebbene il decreto legge del 1923 reintroducesse la concorrenza nel settore, impose alle compagnie private di riassicurare parte del loro portafoglio vita presso l’INA, mantenendo così una forma di controllo statale sulle assicurazioni.

Nazionalizzazioni fasciste

Negli anni Trenta, durante il periodo fascista, l’Italia affrontò una delle più gravi crisi economiche della sua storia a causa della Grande Depressione. In risposta a questa crisi, lo Stato intervenne massicciamente per salvare molte industrie e banche in difficoltà. Questo intervento avvenne attraverso la creazione dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), un ente concepito inizialmente come temporaneo, il cui scopo principale era quello di salvare le aziende e le banche in crisi. L’IRI si articolava in due sezioni principali: una dedicata ai finanziamenti e l’altra allo smobilizzo delle attività. La prima mossa dell’IRI fu quella di assorbire l’Istituto di Liquidazioni, che controllava importanti entità come l’Ansaldo e il Banco di Roma. Successivamente, nel 1934, l’IRI stipulò accordi con le tre maggiori banche italiane, ovvero Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma, attraverso i quali queste banche cedevano all’IRI le loro partecipazioni industriali e i crediti verso le imprese, ricevendo in cambio la liquidità necessaria per continuare la loro attività bancaria.

Con questo processo, lo Stato acquisì il controllo di numerose imprese, tra cui banche, industrie, compagnie di navigazione, imprese elettriche e telefoniche. Tuttavia, la gestione di queste imprese pubbliche non sempre seguì criteri di efficienza manageriale, ma piuttosto fu influenzata da considerazioni politiche e da pratiche di clientelismo elettorale. Questo approccio andava contro i principi di gestione auspicati da Alberto Beneduce, l’artefice della creazione dell’IRI e suo primo presidente, che avrebbe voluto un’operazione più orientata all’efficienza e alla modernizzazione.

Nazionalizzazioni durante il miracolo economico

Negli anni del miracolo economico italiano, le nazionalizzazioni continuarono. Nel 1955, scadute nuovamente le concessioni telefoniche, tre delle cinque principali compagnie telefoniche italiane erano già sotto il controllo dell’IRI tramite la STET. Queste erano la STIPEL, la TELVE e la TIMO, che operavano in diverse regioni italiane. Le altre due concessionarie, la TE.TI e la SET, erano controllate rispettivamente da gruppi privati italiani e svedesi. Grazie alla gestione positiva delle compagnie telefoniche sotto il controllo della STET, Guglielmo Reiss Romoli, presidente di STET, riuscì a ottenere che anche le altre due concessionarie venissero cedute all’IRI. Questa operazione fu formalizzata con un decreto ministeriale l’11 dicembre 1957 e, l’anno successivo, le due concessionarie passarono sotto il controllo della STET.

Nel 1962, un’altra significativa nazionalizzazione riguardò le imprese elettriche. Questa operazione faceva parte di un piano politico promosso dall’alleanza di centro-sinistra, che aveva l’obiettivo di creare un ente elettrico nazionale per gestire in modo centralizzato l’energia elettrica e per sviluppare una politica energetica nazionale, prendendo esempio da altri paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna. Il quarto governo Fanfani si impegnò a proporre entro tre mesi un provvedimento per unificare il sistema elettrico nazionale. Così, il 27 novembre 1962, la Camera approvò una legge che istituiva l’Enel (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) e nazionalizzava tutte le attività di produzione, importazione, esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica. L’Enel assorbì quindi le attività di quasi mille aziende elettriche, tra cui i principali produttori di energia come la SIP, Edison, SADE, SELT-Valdarno, SRE e SME. Solo gli autoproduttori e le piccole aziende municipalizzate, che producevano meno di 10 milioni di chilowattora all’anno, furono esclusi dalla nazionalizzazione. Per compensare queste acquisizioni, furono stabilite modalità di valutazione del valore delle aziende e venne previsto un indennizzo da corrispondere in dieci anni, con un tasso di interesse del 5,5%.

A partire dagli anni Novanta, molte delle aziende che erano state nazionalizzate durante questi decenni furono successivamente privatizzate, segnando un’inversione di tendenza rispetto alla politica economica statalista che aveva caratterizzato gran parte del ventesimo secolo in Italia.

Potrebbero interessarti anche questi articoli:

L'informazione è di parte! Ci sono giornali progressisti e giornali conservatori. La stessa notizia ti viene raccontata in modo diverso. Se cerchi un sito che ti spieghi le cose con semplicità, e soprattutto con imparzialità, allora questo è il posto giusto per te. Cerchiamo notizie e fatti social del momento e li rimettiamo in circolo, senza giri di parole e senza influenzarti con le nostre opinioni.

FONTEUFFICIALE.it riassume le notizie pubblicate dalle agenzie di stampa e da altri media autorevoli (come Ansa, Agi, AdnKronos, Corriere della Sera, ecc..), quindi non è direttamente responsabile di inesattezze. Se, però, ritieni che un nostro articolo debba essere modificato o eliminato puoi farne richiesta [ scrivendo qui ].

Per ricevere i nostri aggiornamenti e restare informato ti invitiamo a seguirci sul nostro profilo ufficiale di Google News.