Cos’è lo sciopero?

Sciopero: cos’è, come funziona, articolato, selvaggio, straordinario, Ostruzionismo, bianco, i limiti, servizi pubblici essenziali

Cos'è lo sciopero?
Cos’è lo sciopero. Nel corso del tempo, i lavoratori, per cercare di ottenere condizioni di lavoro migliori, hanno escogitato diverse forme di protesta per farsi sentire e per lottare. Una di queste forme è lo sciopero. Scioperare significa accordarsi collettivamente per non andare al lavoro e rappresenta il principale strumento di “lotta” sindacale, con il quale i lavoratori possono ottenere “conquiste” in termini di regolamentazione dei propri rapporti con i datori di lavoro.

Lo sciopero è un diritto soggettivo che, però, può essere esercitato soltanto in forma collettiva. Lo sciopero, infatti, nasce per rivendicazioni collettive e non individuali dei singoli lavoratori. Però, quando lo sciopero è proclamato da un sindacato, anche un solo lavoratore può legittimamente prendervi parte.

Questo diritto è garantito dalla costituzione, la quale stabilisce che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” (art. 40). Anche se tali leggi non sono state mai emanate, il diritto di sciopero gode di tutela incondizionata anche nei confronti del legislatore. I soli limiti sono quelli desumibili dal necessario rispetto di altri diritti.

Lo sciopero è un’azione molto forte contro l’azienda perché si ritrova senza il proprio personale e dunque non può espletare le sue regolari attività quotidiane. Siccome lo sciopero comporta l’assenza del dipendente dal lavoro, il datore di lavoro ha diritto a non pagare lo stipendio durante lo sciopero. Inoltre, il datore di lavoro potrà tenere conto degli scioperi effettuati nell’anno ai fini dei conteggi della tredicesima e delle ferie, attuando un percentuale ridimensionamento degli stessi.

Infine, la prosecuzione del rapporto di lavoro per tutto il tempo in cui lo sciopero viene attuato ha come conseguenza che il lavoratore non perde i benefici assicurativi previsti dalla legge (ad esempio, ai fini del trattamento di malattia o per il versamento dei contributi).

Diritto allo sciopero: storia

In seguito all’unità d’Italia, con il Codice penale Zanardelli (1889) si assunse un atteggiamento di tolleranza nei confronti di tale forma di lotta sindacale (senza, però, affermare la presenza di un vero e proprio diritto allo sciopero).

Poi, durante il fascismo, con il Codice Rocco (1930) si tornò a considerare lo sciopero come un reato.

Invece, con l’emanazione della Costituzione del 1948, lo sciopero fu riconosciuto come un vero e proprio diritto (art. 40). Tale disposizione, sancì che “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano“. L’articolo 40 della Costituzione, oltre a riconoscere il diritto di sciopero ne rimanda la regolamentazione alla legge ordinaria. Tuttavia, l’intervento legislativo non ha mai avuto luogo. Quindi, ad oggi, non esiste in Italia una legge che disciplina compiutamente lo sciopero.

Una legge sullo sciopero non è mai stata approvata perché i sindacati non hanno mai accettato che la legge intervenisse in una materia che le parti sociali considerano propria e che intendono dunque regolamentare da soli.

L’unico intervento regolativo è rappresentato dalla legge 146/1990 (modificata e integrata dalla legge 83/2000), che si occupa di normare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Infine, nel 1970, lo statuto dei lavoratori (art. 15, 16, 28) ha sancito il divieto degli atti discriminatori compiuti dal datore di lavoro nei confronti dei dipendenti che abbiano partecipato a uno sciopero.

Tipi di sciopero
  • Sciopero articolato: i dipendenti non si assentano tutti insieme, ma si alternano (solo quelli di un reparto, oppure per alcuni brevi periodo, ecc.);
  • Sciopero selvaggio (detto anche “a sorpresa”);
  • Sciopero dello straordinario;
  • Non collaborazione: il rifiuto delle prestazioni accessorie;
  • Ostruzionismo e sciopero pignolo: applicazione pedantesca dei regolamenti e delle disposizioni dell’imprenditore, al fine di rallentare o paralizzare l’attività lavorativa;
  • Sciopero delle mansioni: rifiuto di svolgere determinate mansioni;
  • Sciopero del cottimo: osservare i ritmi produttivi necessari per conseguire il supplemento di cottimo;
  • Sciopero bianco: andare in ufficio o in fabbrica e rimanere a braccia conserte senza fare niente.

Per molto tempo, lo sciopero articolato (a singhiozzo, a scacchiera, parziale), quello selvaggio e quello straordinario sono stati considerati forme illegittime dalla giurisprudenza (in quanto contrarie al principio in base al quale il danno provocato al datore di lavoro e la diminuzione retributiva che ne consegue ai lavoratori devono essere di entità pari dal punto di vista della valutazione economica).

La sentenza della Cassazione n. 711 del 30.1.1980 ha mutato questa interpretazione, affermando che sono legittime tutte quelle forme di sciopero che hanno come conseguenza una diminuzione nella produzione (di qualsiasi entità essa sia), ma non vengano a ledere la capacità dell’azienda di produrre e le sue potenzialità produttive.

I limiti al diritto di sciopero

Prima, era consentito solo lo sciopero che aveva contenuti di natura retributiva. Poi, nel 1974, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 503 del codice penale che puniva lo sciopero motivato da fini diversi da quelli contrattuali. Da quel momento in poi, si è ritenuto ammesso non soltanto lo sciopero politico (purché non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale), ma anche quello “di solidarietà” (sciopero di altri lavoratori di diversa categoria o impresa), e quello di “protesta” (attuato contro un provvedimento della direzione aziendale).

I limiti al diritto di sciopero sono stati definiti e delimitati dalla Corte costituzionale, chiamata a giudicare la conformità all’art. 40 della Costituzione delle norme del codice penale che puniscono come reato, oltre allo “sciopero per fini contrattuali” (art. 502), anche quello “per fini non contrattuali” (art. 503) e quello “a scopo di solidarietà o di protesta” (art. 505).

La Corte ha eliminato dal nostro ordinamento l’art. 502 cod. pen., perché considerare reato lo sciopero effettuato allo scopo di ottenere migliori condizioni contrattuali si poneva in contrasto con l’art. 40.

Quanto allo sciopero per fini non contrattuali (ad esempio “per fine politico”), la Consulta ha distinto 3 ipotesi diverse:
  • Se la finalità dello sciopero è quella di ottenere (o impedire) determinati provvedimenti della pubblica autorità che riguardano le condizioni dei lavoratori (ad esempio, la politica dei redditi, la politica fiscale, la politica delle abitazioni, ecc.), non può essere perseguito né penalmente, né civilmente perché rientra nella garanzia costituzionale dell’art. 40;
  • Se la finalità dello sciopero è estranea alle condizioni dei lavoratori (ad esempio, sciopero a favore della pace nel mondo, contro la fame, ecc.), allora si configura uno sciopero “politico”. Però, nel vigente ordinamento improntato al rispetto della libertà sindacale, lo sciopero politico deve comunque considerarsi una libertà e non può, quindi, essere penalmente perseguibile;
  • Se la finalità dello sciopero è quella di “sovvertire l’ordinamento costituzionale” o di “impedire od ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare“, allora è legittima la sanzione penale.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

Con diverse leggi lo Stato ha affrontato il tema del diritto allo sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali. In alcuni ambiti, infatti, l’esercizio del diritto di sciopero rischia di compromettere altri diritti, altrettanto importanti. Ad esempio, il diritto alla salute, alla libertà di circolazione, alla sicurezza, all’istruzione.

Se tutti gli addetti ad uno di questi servizi scioperassero insieme un malato che si reca al pronto soccorso potrebbe morire, le persone non potrebbero muoversi liberamente, ecc.. Da ciò deriva l’idea di garantire il diritto allo sciopero anche ai dipendenti che operano in questi settori, ma cercando di ridurre al minimo i disagi per i cittadini che fruiscono dei servizi essenziali.

Le leggi approvate dal legislatore affidano ai contratti e agli accordi tra le parti sociali (che rappresentano le aziende dei servizi pubblici e i dipendenti dei servizi pubblici) il compito di trovare un giusto equilibrio tra i diritti dei dipendenti a scioperare e i diritti di chi riceve quei servizi a non subire eccessive conseguenze dallo sciopero. Allo Stato resta il ruolo di controllo.

Alcune categorie di lavoratori non possono scioperare: ad esempio, le forze di polizia e le forze armate. Infatti, se questi lavoratori si astenessero dal lavoro, metterebbero in pericolo la sicurezza nazionale.

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