La prima udienza sarà l’8 luglio davanti al Tribunale civile di Roma. Il risarcimento ammonta a circa 100 milioni di euro
Il processo contro lo Stato voluto dalle famiglie dei morti di Covid. Circa 500 persone (tra mariti, figli, nipoti) chiedono di condannare la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Salute e la Regione Lombardia a un risarcimento per danni non patrimoniali subiti che ammonta a circa 100 milioni di euro.
L’atto, una continuazione di quello consegnato a dicembre ai giudici, riguarda, in particolare, la gestione della crisi sanitaria dopo il maggio del 2020 quando, a detta dei legali, Governo e Regione non avrebbero contribuito a un miglioramento della situazione nonostante fossero a conoscenza dell’”assoluta inesistenza di un piano pandemico“, così come sarebbe dovuto essere scritto in base a una decisione del Parlamento europeo del 2013 e alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive (ECDC).
Le accuse alle Istituzioni
Le responsabilità delle istituzioni deriverebbero da “atti commissivi e omissivi in violazione della legge e delle disposizioni nazionali e sovranazionali“.
“Da soli i verbali della task force“, si legge nella prima parte del documento, proverebbero le colpe di chi ha governato ora e in precedenza una delle stagioni più buie del nostro Paese. Colpevoli di avere scelto di “non spaventare la popolazione“, come si evince dal verbale, pur sapendo che l’8 febbraio c’erano già 3 casi di positività in Italia coi 2 cittadini di Taiwan che avevano viaggiato su un treno da Firenze a Roma.
In un contesto in cui si registrava un innalzamento dei casi in Cina, si decise di non tracciare gli asintomatici “anche quando l’Ecdc emanava una direttiva in cui si sottolineava l’importanza” di farlo perché erano i soggetti più pericolosi per la diffusione. Tra le varie contestazioni anche quella di avere bloccato solo i voli diretti dalla Cina sebbene fosse noto che da quel Paese arrivassero molti viaggiatori che facevano scalo altrove.
Da questi verbali in sostanza si rileva che “l’Italia non era dotata nemmeno degli strumenti minimi che potessero essere immediatamente attivati in vista del rischio emergenziale proprio perché nulla era stato fatto nel corso degli anni per preparare il sistema, soprattutto sanitario, ma anche economico e finanziario” per affrontare e rispondere efficacemente all’emergenza. Questo avrebbe contribuito alla perdita di migliaia di vite umane rendendo l’Italia il secondo Paese con più morti di Covid al mondo “dopo il Brasile“.
Il piano pandemico datato
Nell’atto viene dato largo spazio alla questione del piano pandemico, come il report pubblicato e poi sparito dal sito dell’OMS sulle falle della gestione italiana nella prima fase. Il piano era “fermo” al 2006 con dei fasulli aggiornamenti frutto di “uno scandaloso copia e incolla“, ma anche inattuabile e incompleto. La responsabilità cadrebbe sempre sui “funzionari e i politici deputati all’adeguamento” che invece non hanno mai completato il loro lavoro.
Che fosse un “semplice fascicolo di carta” privo di efficacia pratica si può dedurre, secondo i rappresentanti dei familiari, anche dalla circostanza che, dopo l’esplosione dei primi focolai, venne chiesto dal Governo al matematico Stefano Merler di redigere gli scenari della pandemia. Un compito che sarebbe dovuto essere disciplinato da un piano che non c’era. Se si fosse costituito un Comitato pandemico permanente, è il ragionamento portato ai giudici, i danni e le vittime sarebbero stati più limitati.
Il mancato aggiornamento del piano sarebbe, però, “la punta di un iceberg che, sotto la superficie, nasconde incuria, negligenza, noncuranza, slealtà e grave imprevidenza“.
Al Ministro della Salute e al Presidente del Consiglio è imputato anche di avere avuto la “pretesa” di governare una pandemia senza un piano pandemico operativo, anche perché i piani regionali e locali non erano stati armonizzati. Le presunte responsabilità di Giuseppe Conte, Roberto Speranza e del resto dell’esecutivo vengono allargate ai predecessori dell’era pre-Covid, a coloro i quali avrebbero mentito, attribuendosi capacità che l’Italia non aveva sviluppato.
Le accuse alla Regione Lombardia
La parte finale dell’atto è dedicata alla Regione Lombardia alla quale viene attribuito di non avere istituito “immediatamente” la zona rossa nei comuni bergamaschi nuovi focolai, come avrebbe potuto fare sulla base del dpcm che davano la facoltà di sigillare i confini anche alle amministrazioni locali.
Sono riportate diverse mail di medici che chiedevano in modo disperato di ricevere dispositivi di protezione e supporto alle Ats. Invece, più che essere concentrati sul recupero delle mascherine e sul tracciamento, scrivono i legali, gli amministratori locali e anche Conte sarebbero stati impegnati in campagne a difesa della Bergamo “polmone economico” che non doveva fermarsi. Il premier “era a conoscenza” col presidente lombardo Attilio Fontana della grave situazione nel Bergamasco “almeno dal 28 febbraio 2020” ma stabilì di non istituire la zona rossa facendo un’unica zona arancione “solo” il 9 marzo.
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