Lo statistico Roberto Volpi ha stimato che l’Italia ha tra i 10 e i 15 anni per evitare che la popolazione italiana raggiunga il punto di non ritorno
Gli italiani sono a rischio estinzione? Roberto Volpi, è uno statistico che ha diretto uffici pubblici di statistica prima di dedicarsi all’attività privata nella progettazione e realizzazione di sistemi informativi socio-sanitari ed epidemiologici. Ha progettato il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, coordinato e diretto il Gruppo tecnico di programmazione che ha redatto il Piano strategico della città di Pisa.
Nel suo ultimo saggio, “Gli ultimi italiani. Come si estingue un popolo“, ha spiegato che l’Italia ha 10 anni o al massimo 15 anni per evitare che la popolazione italiana raggiunga il punto di non ritorno.
Di demografia non si parla quasi mai in Italia, invece dovrebbe essere la prima preoccupazione. Le classi dirigenti non se ne occupano. Il caso più recente è il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che dell’argomento se ne disinteressa. Eppure, è proprio a partire dall’andamento demografico che si può immaginare il futuro.
Gli italiani nel 2020 erano circa 60 milioni. Nel 2070 saranno 47,6 milioni (12,1 in meno) secondo l’Istat (altre proiezioni prevedono anche peggio). A fine secolo, poi, probabilmente gli italiani saranno meno di 40 milioni, (forse si arriverà a 30 milioni se le nascite saranno attorno alla soglia di 400 mila l’anno, ha calcolato il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo). Nel 2050, per ogni nato ci saranno due morti. Un Paese, quindi, che produrrà “una popolazione pressoché spenta dal punto di vista vitalistico-riproduttivo“, dice Volpi.
Il calo demografico è un fatto che riguarda tutto il Paese ma è il Mezzogiorno a soffrirne di più: da qui al 2070, il Nord perderà 3,3 milioni di abitanti (il 12%), il Centro 2,1 (il 18%) e il Sud più di 6,6 milioni (il 33%).
Quali sono le origini e le ragioni del declino accelerato della popolazione italiana secondo Volpi?
Non solo l’economia e la difficoltà dei giovani a trovare lavoro. Non sono nemmeno la mancanza di asili nido e di servizi determinano la decisione degli italiani e delle italiane di non procreare.
L’origine della crisi è culturale e parte nelle legislazioni degli anni ’70: divorzio, aborto, e nuovo diritto di famiglia. In particolare, il crollo del numero dei matrimoni religiosi è stato una forza potente nella limitazione delle nascite: nel 1963, su 420 mila matrimoni, 400 mila furono cattolici; nel 2019, questi erano meno della metà dei 184 mila totali. Questo perché con l’introduzione del divorzio, è venuto meno il “per sempre” e con esso l’idea di famiglia composta da figli. Volpi non ne fa una questione morale, ma vede semplicemente corrispondenze nei numeri tra calo delle coppie stabili e calo delle nascite.
Volpi, inoltre, parla di allungamento dell’età in cui ci si sposa, poco sesso, nascita e declino del figlio unico, immigrazione e molto altro.
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