La fine del bipolarismo e dell’egemonia statunitense hanno condotto l’ordine globale a trasformarsi in un grande disordine internazionale
I luoghi dove possono scoppiare le prossime guerre. La fine del bipolarismo e dell’egemonia statunitense hanno condotto l’ordine globale a trasformarsi in un grande disordine internazionale, anarchico e senza regole precise. In quest’ottica si sono alimentati focolai di tensione nel contesto di un sempre più graduale disfacimento dei pesi e dei contrappesi che delimitavano gli equilibri di potenza. Così, gli scenari di guerra ibrida ed economica emersi in diversi contesti hanno fatto il resto portando le potenze a contatto in varie aree del mondo.
Le guerre preventive scatenate da Azerbaijan e Russia rispettivamente contro Armenia e Ucraina hanno, infatti, mostrato il ritorno dell’uso della forza come strumento di risoluzione delle contrapposizioni tra Stati.
La guerra scoppiata in Ucraina ha così dimostato come anche l’Europa, oltre all’Asia e all’Africa, potrebbe essere lo scenario di un nuovo conflitto di vaste proporzioni.
Siria, Libia, Yemen
Il Medio Oriente e l’area del Nord Africa sono le prime zone da valutare con attenzione. Anche se al momento nessuno mette a repentaglio la permanenza al potere del regime alauita di Bashar al-Assad, la Siria fatica a ritrovare unità. Infatti, la ripresa delle operazioni turche contro i Curdi del Rojava ci ha ricordato quanto il Paese mediorientale abbia problemi di stabilità. Oltre alla Siria, anche Yemen e Libia sono divisi da guerre civili per procura.
Usa e Cina
Negli ultimi mesi, le esercitazioni navali di Pechino nello Stretto di Taiwan e la visita della Speaker della Camera di Washington Nancy Pelosi nell’isola ritenuta “provincia ribelle” da Pechino hanno segnato le tensioni e la rivalità politica tra Cina e Stati Uniti.
Da inizio 2022 la Cina ha completamente militarizzato con le proprie forze 3 delle numerose isole che ha costruito nel conteso Mar Cinese Meridionale, armandole con sistemi missilistici di vario tipo (tra cui il Donfeng-21 antinave). Il Guardian ha ricordato: “Il comandante indo-pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio John C Aquilino, ha affermato che le azioni ostili erano in netto contrasto con le precedenti assicurazioni del presidente cinese Xi Jinping che Pechino non avrebbe trasformato le isole artificiali in acque contese in basi militari“.
Inoltre, nelle isole Spratly (contese con altre nazioni della regione, prime fra tutte Filippine e Vietnam), la Cina usa dei pescherecci come arma di proiezione e mediamente essi gettano l’ancora nell’arcipelago conteso dell’Indo-Pacifico per almeno 9 mesi all’anno.
Washington ha risposto con un articolato sistema di presenza navale. Il Comando del Pacifico, che gestisce anche le operazioni dell’Oceano Indiano, ha a disposizione 2 flotte (la Terza e la Settima), con le portaerei Nimitz, Carl Vinson, Ronald Reagan e Theodore Roosevelt schierate a San Diego e la Abraham Lincoln a Yokosuka in Giappone. Quindi, oltre a Taiwan, armata fino ai denti per difendersi, Washington per contenere la Cina conta sul Giappone, sul Vietnam e sulla base dell’aeronautica e navale di Guam.
Kashmir e Curili
Sempre in Asia vi sono contesti in cui le contese territoriali la fanno da padrone.
L’aggressione russa all’Ucraina e la tragica morte di Shinzo Abe hanno riacceso i fari sulla rivendicazione giapponese delle Isole Curili, “strappate” a Tokyo dall’Unione Sovietica dopo la breve guerra lanciata da Mosca all’impero nipponico nell’agosto 1945. L’omicidio di Abe ha tolto al Giappone l’unico statista che avesse provato una strategia diplomatica per avvicinarsi gradualmente a una soluzione della questione con la Russia.
Ancora più problematica è la situazione del Kashmir, conteso tra India e Pakistan. Epicentro di un conflitto potenzialmente devastante su scala globale, dove la tensione è sempre ai massimi tra le 2 potenze nucleari. India e Pakistan hanno provato più volte a avviare dialoghi per risolvere il controverso statuto della regione, discusso dal 1947, e in passato si sono combattute 4 volte (1948, 1965, 1971 e 1998).
Baltico
Il Mar Baltico è diventato il punto più critico del confronto tra campo euroatlantico e Federazione Russa, perché risulta centrale per le infrastrutture energetiche.
Il Baltico è la regione dove si trova la linea di espansione della Nato, destinata a estendersi a Svezia e Finlandia nei prossimi anni. La zona risulta interessata dalla presenza russa a Kaliningrad e nella regione di San Pietroburgo. Oltre che dalla presenza della flotta russa e dalle forze armate dei Paesi europei più anti-Mosca (Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia).
Afghanistan
Da diversi mesi l’Afghanistan è di nuovo nel caos con il ritorno al potere dei Talebani. Potrebbe, quindi, dare vita a una guerra civile considerando i recenti attentati rivendicati dall’Isis.
Joe Biden ha promesso che saranno vendicati i soldati americani uccisi all’aeroporto di Kabul, ma la contesa potrebbe essere tutta incentrata sullo sfruttamento delle ingenti risorse di terre rare (la Cina avrebbe già un accordo con i Talebani, con gli USA che di conseguenza sarebbero tagliati fuori dalla corsa all’accaparrarsi questo nuovo oro).
Dopo aver completato il ritiro delle truppe in Afghanistan, appare improbabile che gli Stati Uniti possano tornare sui propri passi, a meno di una nuova “guerra al terrorismo” che Biden potrebbe lanciare per cercare di limitare l’espansione di Pechino.
Libia
Le elezioni che erano in programma a dicembre sono state annullate, con i due governi di Tripoli e Bengasi che ancora non hanno deposto le proprie armi.
A fare da sfondo alla guerra civile ci sono le risorse del sottosuolo libico, con la presenza di mercenari turchi e russi che non sta favorendo il raggiungimento di un’intesa politica.
Gli schieramenti sono risaputi. Con Tripoli ci sono Stati Uniti, buona parte dell’UE, Regno Unito, Turchia, Qatar, Sudan, Algeria, Marocco e Tunisia. Con Bengasi ci sono Russia, Egitto, Francia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Ciad, Siria e Bielorussia.
Corea del Nord
Le acque in Corea del Nord ultimamente si sarebbero calmate dopo la crisi degli scorsi anni quando, dopo aver ammassato le proprie truppe in Corea del Sud, Donald Trump sembrava essere pronto a un attacco.
Alla fine, però, fortunatamente la diplomazia ha avuto la meglio, ma Pyongyang non rinuncia a lanciare missili balistici verso il Mar del Giappone, a mo’ di monito verso la nuova amministrazione Biden.
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