I rincari previsti per famiglie e imprese

Per pasta e pane si parla di rincari tra i 10% e il 30%. Nel settore siderurgico, invece, si sta già attingendo alle scorte

I rincari previsti per famiglie e imprese
I rincari previsti per famiglie e imprese. Da una parte ci sono i forti rincari energetici che da mesi rischiano di “strangolare” i bilanci di aziende e famiglie, dall’altra c’è la guerra in Ucraina con tutti i suoi risvolti economici (dalle sanzioni alla Russia al blocco dei trasporti anche marittimi nelle zone interessate dal conflitto).

Non sarà, quindi, soltanto la Russia a pagare il conto della guerra in l’Ucraina. Anche l’Europa, e soprattutto Italia, a breve saranno costrette a fare la conta dei danni. Le stime, a una settimana dall’inizio del conflitto, sono ancora premature e gli analisti non si sbilanciano, ma le “fibrillazioni” sui mercati e i rialzi dei prezzi delle materie prime non lasciano presagire nulla di buono. Le tensioni maggiori sono su alluminio, rame, nickel, ghisa, palladio, grano e fertilizzanti (ogni giorno i prezzi toccano nuovi record).

Cosa dicono le associazioni di categoria

Secondo Franco Verrascina, presidente della Copagri (Confederazione di produttori agricoli): “Le previsioni e le strategie relative ai mercati agricoli per il 2022 e per le prossime annate sono state letteralmente stravolte dal drammatico evolversi della situazione sul fronte geopolitico internazionale“.

Federalimentari, invece, stima che “Con la guerra in Ucraina il prezzo della pasta, insieme a tutti gli altri prodotti a base cereale, potrebbe superare il 10%. L’incremento si aggiunge all’aumento di prezzo del 10% della pasta avvenuta a fine dello scorso anno“. Il pane potrebbe aumentare del 30%.

A causa delle forniture di mais interrotte dall’Ucraina sono in “fibrillazione” anche la zootecnia da carne e l’allevamento da latte. Cia-Agricoltori italiani (la Confederazione italiana agricoltori) dice che “le nostre stalle sono fortemente dipendenti dal mais. Il granturco è, infatti, è il principale ingrediente delle diete per gli animali (47%) ed è strategico nelle filiere nazionali dei prodotti zootecnici e bio-industriali“.

Il nostro Paese importa il 53% del mais dall’Ucraina e nell’ultimo biennio il prodotto ha subito un forte rialzo dei prezzi. La guerra in Ucraina sta andando ad acuire la situazione (gli aumenti sono già del 35% rispetto al 2021). Il prezzo del grano ha raggiunto i massimi da 14 anni ad un valore di 33,3 centesimi al chilo.

Inoltre, l’Italia importa il 65% del fabbisogno di grano tenero, ma soprattutto da Canada, Australia e Francia. La quota proveniente da Ucraina e Russia è intorno al 5% del totale. I paesi Nord Africa, però, sono fortemente dipendenti per i cereali da Russia e Ucraina. Quindi, se restassero senza scorte (Egitto e Tunisia sono già in difficoltà) si rivolgerebbero ai fornitori italiani e i prezzi schizzerebbero. A catena ci sarebbero, quindi, impatti sui panifici italiani e sugli scaffali dei supermercati.

Domenico Filosa, Presidente Unipan-Confcommercio Campania, dice che “ai prezzi crescenti dell’energia, ora si sono aggiunti aumenti vertiginosi delle materie prime: la farina del 40%, la semola del 110%. Decine di panifici artigianali hanno chiuso nell’ultimo anno in Campania, e molti altri rischiano di dover sospendere la produzione perché non ce la fanno più a sostenere i costi“.

In aumento anche i prezzi dell’olio di girasole (importiamo l’80% del fabbisogno), indispensabile per la produzione di biscotti e dolciumi. Invece, non ci dovrebbero essere grossi problemi per la pasta che utilizza grano duro, perché non proviene da Russia e Ucraina.

Nel settore siderurgico, infine, si sta attingendo alle scorte, ma non potranno durare per molto. Gianclaudio Torlizzi, fondatore di E-Commodity, spiega che: “La Russia è il primo esportatore netto mondiale di acciaio. L’industria siderurgica italiana ha autonomia per un mese, un mese e mezzo. La situazione si sta aggravando di ora in ora. Ogni settimana ad esempio c’erano navi cariche di ghisa, bramme di acciaio e alluminio che partivano dal porto di Mariupol per scaricare a Trieste. Ora è tutto fermo. Si stanno cercando di incrementare le importazioni dal Brasile, dal Nord Africa, dalla Bosnia. Ma la compensazione è solo parziale“.

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