Quando scatta l’obbligo di indicazione degli asset digitali nella dichiarazione dei redditi e come funziona l’imposizione fiscale sui guadagni: i casi di esenzione
Criptovalute: quando vanno dichiarate e come sono tassate. Le criptovalute sono diventate un tema sempre più discusso, e molti si chiedono quando e come devono essere dichiarate nella dichiarazione dei redditi e quale sia la tassazione sui guadagni derivanti dal loro utilizzo. Un errore comune è pensare che le criptovalute debbano essere dichiarate solo quando generano guadagni. Tuttavia, non è così. Anche il semplice possesso di criptovalute deve essere indicato, indipendentemente dal fatto che abbiano generato un profitto o meno. Questo significa che, anche se le criptovalute sono solo custodite nel proprio wallet elettronico o su un conto deposito, è necessario adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale.
Nel caso in cui si detengano criptovalute senza realizzare guadagni, non sono dovute tasse, ma è comunque obbligatorio compilare uno specifico quadro nella dichiarazione dei redditi. Quando invece si realizzano profitti dalla compravendita di criptovalute, questi vengono tassati, a meno che non rientrino in una fascia di esenzione prevista per piccoli guadagni.
La legge italiana, in particolare il Decreto Legislativo n. 90/2017, definisce le criptovalute come una “rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente legata a una valuta con corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. In questa definizione rientrano valute digitali come i Bitcoin, che possono essere utilizzate come forma di pagamento alternativa se accettate da operatori privati, anche se nessuna di queste valute ha corso legale in Italia o nell’Unione Europea.
Dal punto di vista fiscale, la Legge di Bilancio 2024 fornisce una definizione ancora più ampia, includendo le criptovalute come “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Questo riferimento va chiaramente alla blockchain e ad altre tecnologie di archiviazione elettronica simili.
Trading in criptovalute: guadagni o perdite
Il trading di criptovalute è diventato una pratica comune, soprattutto a scopo speculativo. Le criptovalute vengono acquistate, detenute e rivendute con l’obiettivo di ottenere un guadagno dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita. Questo mercato, tuttavia, è caratterizzato da una forte volatilità, il che significa che i prezzi delle criptovalute possono variare molto rapidamente e in modo significativo. Di conseguenza, è possibile ottenere profitti consistenti, ma anche subire perdite notevoli.
Per coloro che hanno meno esperienza, investire in criptovalute comporta il rischio di perdere l’intero capitale investito. Inoltre, esiste anche la possibilità di essere vittima di truffe, un rischio sempre presente in mercati complessi e non regolamentati.
I guadagni delle criptovalute sono tassati?
Dal punto di vista fiscale, quando si realizza un guadagno dalla vendita di criptovalute a un prezzo superiore rispetto a quello di acquisto, si genera una plusvalenza. Questa viene considerata come un “reddito diverso” ai sensi dell’articolo 67 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), nello specifico alla lettera c-sexies, introdotta dalla Legge di Bilancio 2024. In base a tale norma, le plusvalenze derivanti dalla vendita, permuta o detenzione di criptovalute, o altre cripto-attività, sono imponibili.
Il momento in cui scatta l’obbligo fiscale è quello in cui si conclude l’operazione di vendita che genera un guadagno. Non importa quando è stato effettuato l’acquisto delle criptovalute; ciò che conta è la differenza di valore tra il momento dell’acquisto e quello della vendita. È irrilevante se il denaro ricavato dalla vendita rimane su un conto deposito utilizzato per il trading o viene prelevato e incassato.
Esistono comunque delle eccezioni. In alcuni casi, infatti, i guadagni derivanti dal trading di criptovalute non sono soggetti a tassazione se non superano una determinata soglia, chiamata franchigia.
Come si dichiarano le plusvalenze da criptovalute?
Le plusvalenze derivanti dalla compravendita di criptovalute devono essere dichiarate compilando il quadro RT del modello Redditi Persone Fisiche. In questo quadro, si inseriscono le plusvalenze che sono soggette all’imposta sostitutiva del 26%, che rappresenta l’aliquota fissa prevista per questo tipo di guadagni. A partire dal 2024, coloro che utilizzano il modello 730 possono indicare queste voci nel quadro W, mentre in passato era sempre necessario farlo nel modello Redditi PF. Questo adempimento si applica anche agli obblighi dichiarativi che riguardano il semplice possesso delle cripto-attività, conservate nel portafoglio digitale o tramite altre forme di conservazione.
Criptovalute: obblighi dichiarativi
Oltre alla tassazione dei guadagni, esiste anche un obbligo di dichiarazione basato sul possesso delle criptovalute nell’anno fiscale di riferimento. Il valore delle criptovalute detenute deve essere riportato nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, oppure nel quadro W del 730, che non ha una funzione direttamente impositiva. Tuttavia, serve per il cosiddetto monitoraggio fiscale e può essere utilizzato come base per il calcolo dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Detenute all’Estero), applicabile per conti correnti e depositi bancari che superano i 15.000 euro.
L’importo da dichiarare è il valore delle criptovalute al 31 dicembre dell’anno di riferimento, espresso in euro e calcolato in base alle quotazioni di mercato. Questo valore può essere ottenuto dal sito o dalla piattaforma dove sono state acquistate le criptovalute o, in mancanza di informazioni, da altri exchange specializzati nelle rilevazioni di prezzo delle cripto-attività. Se le criptovalute sono state vendute durante l’anno, il controvalore da dichiarare sarà quello relativo alla data della vendita o dello scambio.
Nel caso in cui le criptovalute siano detenute presso un operatore o un intermediario italiano, non è necessario adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale descritti, poiché non si tratta tecnicamente di attività finanziarie detenute all’estero. Le informazioni fiscali confluiscono automaticamente nelle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, come avviene per i conti e i depositi detenuti in Italia. Tuttavia, è importante verificare sul sito del proprio gestore finanziario dove si trova la sede legale dell’operatore e se ci sono altri obblighi di monitoraggio fiscale da rispettare.
Sanzioni per omessa dichiarazione di criptovalute
Se un contribuente non presenta il quadro RW nella dichiarazione dei redditi, pur avendo compilato correttamente le altre sezioni della dichiarazione, può incorrere in sanzioni pecuniarie. La multa per l’omessa dichiarazione varia dal 3% al 15%% degli importi non dichiarati. Tuttavia, se gli investimenti e le attività sono stati effettuati in Stati con un regime fiscale privilegiato, noti come “paradisi fiscali” e inseriti nella black list aggiornata dall’Agenzia delle Entrate, la sanzione può raddoppiare. Questi Stati non hanno convenzioni di scambio informativo con l’Italia e con altri Paesi dell’Unione Europea.
Nel caso in cui il quadro RW venga dichiarato in ritardo, la sanzione fissa è di 258 euro, purché la dichiarazione sia presentata entro 90 giorni dalla scadenza prevista.
Criptovalute: esenzioni dalla tassazione
Il profitto derivante dalla compravendita di criptovalute è considerato reddito imponibile e rientra nella categoria dei redditi diversi. Tuttavia, esiste una soglia di esenzione fiscale. Attualmente, se i guadagni annuali dal trading di criptovalute sono inferiori a 2.000 euro, non sono soggetti a tassazione. È comunque necessario rispettare gli obblighi dichiarativi e riportare tali guadagni nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Se il reddito annuale eccede i 2.000 euro, l’importo che supera questa soglia è tassato con l’aliquota del 26%, applicabile ai capital gain. È possibile consultare le aliquote fiscali per altre rendite finanziarie, come titoli azionari, titoli di Stato e investimenti in libretti o buoni postali, per avere un quadro completo delle tassazioni.
Le minusvalenze, ovvero le perdite riportate, possono essere dedotte. È possibile dedurre le minusvalenze riportate nell’anno corrente e nei quattro anni precedenti. Questo può contribuire a mantenere il reddito imponibile sotto la soglia dei 2.000 euro. Ad esempio, se in un anno si ottengono guadagni totali di 3.400 euro dal trading, ma si riportano perdite per 1.600 euro, il profitto netto sarà di 1.800 euro. In questo caso, essendo al di sotto della soglia di esenzione, non sarà necessario pagare imposte.
La certificazione delle minusvalenze deve essere fornita annualmente dall’intermediario utilizzato per il trading di criptovalute e può essere fornita anche in formato digitale.
Permuta di criptovalute con altri asset digitali: è imponibile?
Se si effettuano permute di criptovalute con altri asset digitali, come ad esempio vendere Bitcoin e usare il ricavato per acquistare NFT (Non Fungible Tokens), non si applica la tassazione sulle plusvalenze. Questo perché, in una permuta di questo tipo, non si considera avvenuta una compravendita imponibile che generi una plusvalenza.
In particolare, l’articolo 67, comma 1, lettera c) sexies del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, introdotto dalla Legge di Bilancio 2024, stabilisce che: «Non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni». Questo significa che, finché si scambiano criptovalute con altri asset digitali che hanno caratteristiche e funzioni simili, non si considera tale operazione come fiscalmente rilevante ai fini della tassazione delle plusvalenze.
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