Rahma Nur è la prima maestra nera in Italia e insegna italiano, storia e inglese presso la scuola elementare Fabrizio De André di Pomezia, nel plesso Martinelli. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha condiviso la sua esperienza di insegnante. Ha dichiarato: «Questo è il mio Paese, ma oggi c’è chi non ha più vergogna di manifestare il proprio razzismo»
Rahma Nur è la prima maestra nera in Italia e insegna italiano, storia e inglese presso la scuola elementare Fabrizio De André di Pomezia, nel plesso Martinelli. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha condiviso la sua esperienza di insegnante in un contesto scolastico italiano, esprimendo un forte senso di amarezza e delusione. Ha dichiarato: «Questo è il mio Paese, ma oggi c’è chi non ha più vergogna di manifestare il proprio razzismo».
Rahma Nur, che è anche disabile, ha raccontato che alcuni genitori hanno trasferito i propri figli in altre scuole a causa della presenza di troppi stranieri in classe. Il preside della scuola ha tentato di opporsi a queste decisioni. La sua storia inizia quando, all’età di cinque anni, arriva in Italia dalla Somalia nei primi anni ’70 per stare con la madre e ricevere cure per la poliomielite. L’intenzione iniziale era di tornare in Somalia dopo qualche anno, ma le cose sono cambiate. Dopo aver frequentato le scuole elementari e medie, si iscrive alle magistrali presso un collegio gestito da suore. Durante questo periodo, subisce diversi interventi chirurgici per rafforzare le gambe e poter camminare con l’ausilio delle stampelle.
Dopo aver completato il Magistero, Rahma Nur si trova a dover affrontare l’impossibilità di partecipare ai concorsi per diventare insegnante perché non aveva ancora la cittadinanza italiana. Solo nel 1989 riesce ad ottenerla, vent’anni dopo il suo arrivo in Italia. Dal 1992 inizia a insegnare a Pomezia. Attualmente è sposata e ha una figlia di undici anni.
Quando ha scoperto che sarebbe andata a insegnare a Pomezia, Rahma Nur ha visitato la scuola con suo padre. Racconta: «Troviamo il collaboratore – gli spiego che sono la nuova maestra. Lui, molto gentile, ci fa entrare e ci racconta come funziona la scuola». Tuttavia, una volta iniziato il suo lavoro, ha notato che gli insegnanti erano un po’ cauti nei suoi confronti. Con il tempo, alcuni colleghi le hanno confidato che il collaboratore aveva detto loro che lei parlava a stento italiano.
Le difficoltà non si sono limitate solo ai rapporti con i colleghi. Rahma Nur ricorda una situazione difficile durante un collegio dei docenti: «Tempo fa c’era una collega che durante il collegio dei docenti mi diceva: “Tu come la pensi, cioccolatino?”». Per lei, questo termine sembrava essere usato come un vezzeggiativo.
Nel raccontare il suo percorso scolastico, Rahma Nur esprime tristezza: «Ho vissuto momenti davvero tristi e difficili. Nel collegio dove ho fatto le superiori mi sono sentita sola e non capita». Ricorda anche un episodio in cui un assistente le chiese perché non tornasse nel suo Paese: «Una volta risposi a una di questi assistenti… Le dissi: siete voi che siete venuti nel mio Paese in Somalia, a farci colonia».
Riflettendo sulla situazione attuale, afferma: «Si parla di più di antirazzismo, antiabilismo, femminismo. Sono persone che studiano e si documentano. Dall’altro lato però vedo che non ci si vergogna più di essere definiti razzisti». Nonostante le difficoltà affrontate nel corso degli anni, Rahma Nur ha trovato sostegno in alcune persone. Ricorda con affetto la sua prima collega Carmela Crea: «Temevo di non riuscire a comunicare con i bambini, ma ho capito che, se non avevo paura, loro mi avrebbero vista come una persona che ama il suo lavoro e trasmette curiosità per il sapere».
Uno degli aspetti più positivi del suo lavoro è come i bambini percepiscano la diversità. Rahma Nur osserva: «I bambini sono più curiosi che paurosi». I suoi studenti si preoccupano del fatto che lei non possa accompagnarli nelle gite scolastiche a causa della mancanza di strutture accessibili. Quando tornano dalle gite, spesso si mostrano timidi nel raccontarle delle loro esperienze divertenti perché si sentono tristi per lei. Infine, sottolinea come i bambini la vedano come una persona e non come una disabilità: «Mi disegnano con la mia carrozzina blu piena di stickers; per loro è normale».
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