L’equa retribuzione (o equo compenso) è un compenso proporzionato al lavoro svolto, alla sua qualità e quantità, così come al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale
Cos’è l’equa retribuzione? Il 25 giugno 2021 è stata presentata una proposta di legge, la C. 3179, dai deputati Meloni, Morrone e Mandelli. Questa proposta riguarda le norme sull’equo compenso e le clausole vessatorie nelle convenzioni con banche, assicurazioni e grandi imprese.
Il 29 giugno, in Commissione Giustizia, si è dato il via libera a un nuovo testo base che sostituisce le proposte precedenti. Lo scopo principale di questa nuova regolamentazione è garantire che i professionisti ricevano un compenso equo nei loro contratti, specialmente quando si trovano in una posizione svantaggiata rispetto all’altra parte del contratto. Questo nuovo approccio mira a dare effettività al principio costituzionale dell’articolo 36, che stabilisce che un lavoro deve essere giustamente retribuito per garantire la dignità della persona.
La proposta di legge ha l’obiettivo di difendere i professionisti nei contratti in cui chi richiede il servizio è molto più forte. Nella legge professionale per avvocati (legge 247/2012), l’art. 13 bis è stato aggiunto dal d.l. 148/2017 (convertito con modifiche in legge 172/2017) che estende le regole previste per gli avvocati anche agli altri professionisti, quando applicabili. Specificamente, riguarda i professionisti indicati nell’art. 1 della legge 81/2017, incluso chi è iscritto agli ordini e collegi. La proposta di legge cerca di assicurare un compenso equo per tutte le categorie di professionisti introducendo alcuni paragrafi nell’art. 2233 del Codice civile.
Cos’è l’equo compenso e a chi si applica
L’equo compenso, secondo la proposta di legge (art. 1), è un compenso proporzionato al lavoro svolto, alla sua qualità e quantità, così come al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale.
Questo compenso deve rispettare i corrispettivi stabiliti:
- per gli avvocati, dal decreto del Ministero della Giustizia (ex art. 13 c. 6 legge 247/2012);
- per i professionisti (ex art. 1 legge 81/2017), compresi coloro iscritti agli ordini e collegi professionali, dai decreti ministeriali emanati ex art. 9 d.l. 1/2012.
Questa legge (art. 2) si applica ai rapporti professionali disciplinati da accordi che riguardano l’esecuzione, anche tramite collaborazioni associative o societarie, di attività professionali per:
- istituti bancari e compagnie assicurative;
- imprese che, nei tre anni precedenti alla conferma dell’incarico, hanno impiegato più di sessanta dipendenti;
- oppure hanno registrato ricavi annuali superiori a 10 milioni di euro.
La legge si estende a qualsiasi tipo di accordo, preliminare o definitivo, vincolante per il professionista, il cui contenuto sia:
- redatto unilateralmente;
- oppure utilizzato dalle imprese suddette.
Inoltre, le disposizioni di questa legge si applicano alle prestazioni fornite dai professionisti a favore della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione.
Le modifiche all’art. 2233 c.c. in materia di compenso
Le modifiche proposte all’articolo 2233 del Codice Civile riguardano il compenso. Attualmente, l’articolo consiste di 3 paragrafi, e si suggerisce di aggiungere altri 9, portando il totale a 12.
Le modifiche prevedono la nullità delle clausole che stabiliscono un compenso non equo o non proporzionato al lavoro svolto. Sono considerate tali le disposizioni in cui il compenso è inferiore ai parametri o alle tariffe di riferimento. Se un atto contiene un compenso ingiusto, solo il professionista può contestarlo davanti al tribunale nella giurisdizione in cui ha la residenza o la dimora. Il professionista può richiedere il parere di congruità dall’ordine di appartenenza, che costituisce prova completa delle caratteristiche, della natura, e del valore dell’affare. Nel corso di questo procedimento, il giudice non può avvalersi di consulenza tecnica.
Inoltre, sono considerate nulle le disposizioni che:
- Vietano al professionista di richiedere acconti durante la prestazione.
- Impongono l’anticipazione di spese.
- Assegnano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto o del servizio reso.
Viene indicato un elenco di nove clausole che sono considerate vessatorie, anche se oggetto di trattativa. Ad esempio, la possibilità per il committente di modificare unilateralmente il contenuto del contratto (punto b) o il pagamento oltre i 60 giorni (punto f). Questo elenco segue quanto previsto dall’articolo 13 bis della legge professionale forense, che si propone di abrogare (come indicato dall’articolo 10 della proposta di legge). Le clausole considerate vessatorie sono nulle, ma il contratto rimane valido per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista e può essere rilevata d’ufficio, a meno che il professionista rinunci espressamente e irrevocabilmente a tale tutela nel proprio interesse.
La disciplina dell’equo compenso
La disciplina dell’equo compenso è regolata dall’articolo 4 della proposta di legge. Tale disposizione stabilisce che gli accordi tra i professionisti e le imprese sono presunti unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, a meno che si dimostri il contrario. Nel caso in cui il giudice accerti l’inequità del compenso del professionista, procede a determinare l’importo utilizzando i parametri tariffari. In aggiunta, se viene constatato il carattere vessatorio di una clausola, ai sensi del rinnovato articolo 2233 del codice civile, il giudice ne dichiara la nullità.
Per quanto riguarda la prescrizione del diritto del professionista al pagamento dell’onorario, come previsto dall’articolo 2946 del codice civile, la decorrenza avviene in due situazioni:
- Dal momento in cui, per qualsiasi motivo, si interrompe il rapporto con l’impresa.
- Nel caso di prestazioni multiple svolte in seguito a un singolo incarico e senza carattere periodico, la prescrizione parte dalla data dell’ultima prestazione compiuta.
Equa retribuzione ed equo compenso non sono la stessa cosa. L’equa retribuzione si riferisce al salario minimo, la base che un datore di lavoro dovrebbe pagare al dipendente in proporzione alle ore lavorative svolte, mirando a proteggere il lavoratore da eventuali sfruttamenti. D’altra parte, l’equo compenso per i professionisti riguarda un compenso minimo adeguato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. In passato, questo principio era applicato principalmente agli avvocati, ma ora è stato esteso a tutti i professionisti, indipendentemente dall’iscrizione a un ordine professionale.
Sebbene possano sembrare sinonimi, in realtà si differenziano nel fatto che l’equa retribuzione si applica al lavoro dipendente, mentre l’equo compenso riguarda il mondo delle professioni in senso più ampio. Anche se concettualmente vicini, in termini pratici e giuridici sono distinti.
Chi stabilisce l’equa retribuzione?
L’equa retribuzione è definita come la remunerazione che permette di condurre una vita “libera e dignitosa“, come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione. I minimi salariali derivano dai contratti collettivi, risultato della negoziazione tra rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, noti come parti sociali.
Non è consentito al datore di lavoro derogare unilateralmente e pagare meno del dovuto al dipendente. Sebbene possano esistere contratti collettivi con retribuzioni inferiori, il riferimento principale sono i contratti stipulati dalle organizzazioni più rappresentative su base nazionale.
L’equo compenso, invece, si riferisce ai professionisti e indica una remunerazione adeguata in base alla complessità della consulenza, al tempo dedicato allo studio del caso e alla fornitura di soluzioni. Questo concetto è anch’esso basato sull’articolo 36 della Costituzione ed è esteso a tutti i lavoratori, compresi dipendenti, lavoratori autonomi e professionisti.
Dopo l’abolizione delle tariffe da parte del Ministro Bersani, è emersa la necessità di avere un punto di riferimento per la retribuzione dei professionisti, poiché la concorrenza spesso ha portato a una riduzione dei prezzi, sminuendo il valore del lavoro e delle competenze professionali.
Come funziona l’equa retribuzione?
Il funzionamento di questa normativa è chiaro e diretto: stabilisce un compenso minimo al di sotto del quale non è possibile scendere, e questo compenso deve essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto. Inoltre, vi sono alcune clausole contrattuali considerate vessatorie, anche se accettate specificamente, che potrebbero rendere nullo il contratto. Queste clausole includono modifiche unilaterali al contratto, il rifiuto della forma scritta, la richiesta di prestazioni aggiuntive, l’anticipazione delle spese da parte del professionista, la rinuncia al rimborso delle spese collegate alla prestazione, termini di pagamento superiori a sessanta giorni, il riconoscimento parziale delle spese legali in favore del cliente e la stipula di una nuova convenzione sostitutiva che comporti compensi inferiori a quelli precedentemente previsti.
La legge n. 172/2017 fa riferimento ai decreti ministeriali per valutare l’equità del compenso concordato, stabilendo i parametri da utilizzare nei tribunali. Attualmente, questa legge può essere applicata quando il cliente è una banca, un’assicurazione, una grande azienda o la pubblica amministrazione.
Come viene calcolata l’equa retribuzione?
Il calcolo del compenso avviene attraverso parametri specifici per ciascuna categoria professionale:
- Per gli avvocati, si fa riferimento al decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10 marzo 2014, noto come “Nuovi Parametri Forensi“, in linea con la riforma dell’ordinamento professionale.
- Per i commercialisti, il compenso viene determinato in base ai parametri istituiti con il Decreto Ministero della Giustizia n. 140 del 22 agosto 2012, seguendo l’abrogazione delle tariffe professionali prevista dal comma 2 dell’art. 9 del D.L. n. 1 del 24 gennaio 2012.
- I consulenti del lavoro utilizzano i parametri elencati nel D.M. n. 46/13, in vigore dal 22 maggio 2013, con le regole generali per l’applicazione approfondite nella Circolare del Consiglio nazionale dell’Ordine n. 1106/14.
- Per le professioni sanitarie (quali medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica) si fa riferimento al decreto del Ministero della Sanità del 19 luglio 2016, n. 165, che stabilisce i parametri per la liquidazione dei compensi.
- Per le professioni tecniche (come agrotecnico, architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore, biologo, chimico, dottore agronomo e dottore forestale, geometra e geometra laureato, geologo, ingegnere, perito agrario, perito industriale, tecnologo alimentare) si applicano le tabelle stabilite dal D.M. del 17 giugno 2016, emanato dal Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, come previsto dall’ex D.M. 143 del 31 ottobre 2013.
Chi stabilisce che è un giusto compenso?
Il giusto compenso per i professionisti è stabilito attraverso decreti ministeriali. Nel 2019, è stato pianificato un tavolo tecnico presso il ministero per discutere e definire il sistema di calcolo e l’estensione dei soggetti a cui applicarlo. Si auspica che questo sistema possa essere applicato universalmente, anche considerando le prassi degli altri Paesi dell’Unione Europea.
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