Il delitto di Novi Ligure fu un caso di parricidio che avvenne nel 2001. Erika De Nardo (16 anni) e il fidanzato Mauro Favaro (17 anni) uccisero la madre di lei Susanna Cassini e il fratello Gianluca
Cos’è il delitto di Novi Ligure? Il delitto di Novi Ligure fu un caso di parricidio che avvenne nel 2001 nella città di Novi Ligure, in provincia di Alessandria.
Erika De Nardo, di 16 anni, e il fidanzato Mauro Favaro, di 17 anni, uccisero premeditatamente con coltelli la madre di lei, Susanna Cassini, e il fratello 11enne Gianluca De Nardo. Secondo l’accusa, avevano anche progettato di uccidere il padre Francesco De Nardo, ma desistettero quando Omar si ferì alla mano durante il duplice omicidio.
Durante la sua detenzione, Erika intrattenne una corrispondenza con un musicista veronese, Mario Gugole, che alcune testate indicarono come suo nuovo fidanzato. Gugole rilasciò diverse interviste e partecipò ad alcuni programmi televisivi. Morì in un incidente stradale nel 2008.
Nel 2006, Erika ottenne un’uscita temporanea dal carcere per partecipare a una partita di pallavolo amatoriale. L’evento ricevette molta pubblicità da parte dei media, ma venne considerato eccessivo e fuorviante da molti osservatori.
Omar venne rilasciato nel 2010 a seguito dei benefici dell’indulto e di sconti riconosciutigli per la buona condotta. Si trasferì in Toscana e iniziò a lavorare come barista. Affermò di voler formare una famiglia con la sua nuova fidanzata e di non voler più pensare a Erika, verso la quale dichiarò di non portare alcun rancore.
Erika venne scarcerata nel 2011, dopo aver conseguito la laurea in filosofia. Affermò di volersi rifare una vita, dichiarandosi ancora innocente e addossando a Omar l’intera responsabilità della strage.
Don Antonio Mazzi, che gestisce la comunità Exodus di Lonato in cui Erika era ospite, ha dichiarato che la giovane sarebbe “cambiata” durante la detenzione e che la responsabilità del delitto sarebbe dovuta all’abuso di stupefacenti, anche se a suo tempo fu escluso che la ragazza avesse fatto uso di droghe, se non sporadicamente.
Storia
La dinamica del crimine ricostruita dai RIS dei Carabinieri è stata considerata fondamentale nel processo, mentre le dichiarazioni dei colpevoli sono state considerate meno importanti.
Dopo essere stati identificati come colpevoli, i due hanno adottato una linea di difesa basata su reciproche accuse, senza fornire una chiara descrizione della vicenda. La versione di Erika, che cercava di scaricare la responsabilità su Omar, è stata giudicata falsa. D’altra parte, le affermazioni di Omar sono state supportate dalle prove oggettive, come la ferita causata da un morso di Gianluca, come aveva affermato lui stesso, mentre Erika sosteneva che la ferita fosse stata causata accidentalmente da una coltellata. Inoltre, Omar ha dimostrato un maggiore e immediato ravvedimento riguardo alla gravità del crimine, nonostante abbia minimizzato il proprio ruolo.
Intorno alle 19:30 del 21 febbraio 2001, Susy Cassini e suo figlio Gianluca De Nardo sono tornati a casa loro in via don Beniamino Dacatra 12, nel quartiere novese del Lodolino. Poco dopo, nella cucina della casa, è iniziata una lite tra la Cassini e sua figlia maggiore a causa dei brutti voti scolastici della ragazza, che frequentava il Collegio San Giorgio dopo due anni molto deludenti al liceo scientifico Amaldi, e i timori della madre riguardo alle possibili cattive compagnie della figlia.
In questa circostanza, Erika ha afferrato un coltello e ha colpito la madre con il primo fendente. Il suo fidanzato, che fino ad allora si era nascosto nel bagno del pianterreno dove aveva già indossato i guanti, è accorso in suo aiuto. Solo allora, Erika si è messa i guanti. I due ragazzi sono riusciti ad attaccare Susy alle spalle: uno dei due le ha tappato la bocca con una mano e insieme hanno iniziato a pugnalarla. La donna si è dibattuta e nel tentativo di sfuggire alla loro furia omicida, è andata a sbattere contro il tavolo della cucina che si è spezzato in due per la violenza dell’urto. I giovani l’hanno riagguantata e hanno continuato a colpirla con fendenti, finché non hanno avuto la certezza di averla uccisa. In totale, Susy Cassini ha ricevuto 40 coltellate. Omar ha affermato che prima di morire, la madre ha implorato il perdono della figlia e le ha chiesto di risparmiare il fratello.
Durante tutto ciò, il rumore generato ha attirato l’attenzione di Gianluca, che si trovava al piano superiore per farsi il bagno dopo una partita di pallacanestro. Quando è sceso al piano terra, ha assistito impotente all’omicidio della madre. I due assassini si sono accorti della sua presenza e hanno rivolto la loro furia contro di lui: Gianluca è stato colpito dalla sorella al piano terra, come dimostrato dallo schizzo di sangue rinvenuto sul cavo del telefono della cucina, poi i due lo hanno accompagnato al piano superiore, come provato dalle gocce di sangue della giovane vittima rinvenute anche sulle scale, cercando di calmarlo.
Nella frenesia, i due assassini hanno lasciato tracce di sangue sulle scale e segni sul muro, insieme a goccioline ematiche provocate dai coltelli. Erika ha spinto il fratellino verso il bagno, dicendogli che lo avrebbe aiutato a lavarsi e medicare la ferita, ma Gianluca era preso dal panico e ha cercato rifugio nella camera di Erika. Tuttavia, senza vie di scampo, è stato raggiunto da ulteriori coltellate.
Per evitare che i vicini sentissero le grida, Erika ha aumentato il volume dello stereo al massimo, sul cui manopolo sono state trovate altre tracce ematiche. Probabilmente, l’eliminazione di Gianluca non era nei piani dei due assassini, ma la sua presenza imprevista sulla scena del crimine e la sua reazione lo hanno reso un testimone scomodo.
Gianluca, con le poche energie rimaste, cercò di fuggire in cerca di rifugio nel bagno, dove fu poi intrappolato dagli assassini: Erika tentò prima di avvelenarlo con della polvere per insetti, di cui vennero poi trovate tracce vicino alla vasca da bagno, nel pianerottolo del piano superiore e sulle scale, poi lo gettò nella vasca piena d’acqua cercando di annegarlo. In tutta la frenesia, entrambi i tentativi fallirono, mentre Gianluca continuava a lottare disperatamente, mordendo Omar nella zona della piega tra il pollice e l’indice della mano destra, causandogli una ferita sanguinante. A quel punto, avendo ancora uno dei coltelli usati per uccidere Susy, i due ricominciarono a colpire Gianluca per un quarto d’ora, infliggendogli ben 57 coltellate fino alla morte.
Dopo il crimine, i due giovani tornarono al piano terra, dove scoppiarono in una discussione riguardo alla decisione di aspettare il ritorno del padre di Erika per ucciderlo: Erika insisteva, ma Omar si sentiva troppo stanco e le intimò di agire da sola. In seguito, i ragazzi cercarono di pulire il sangue dagli ambienti, senza però riuscirci completamente; lavarono comunque le armi per tentare di cancellare le impronte[10]. Uno dei coltelli fu gettato nei rifiuti, chiuso in un sacchetto insieme ad un paio di guanti, mentre l’altro fu lasciato nella casa, sul pavimento della cucina. Alle 20:50 Omar lasciò la casa attraverso la porta principale e partì con il suo motorino, venendo visto da un passante che, notando i pantaloni insanguinati, l’indomani informò i Carabinieri.
Le indagini
Verso le 21, Erika uscì dalla villetta con i vestiti ancora macchiati di sangue e vagò lungo via Dacatra, chiedendo aiuto ad alta voce. I vicini allertarono le forze dell’ordine, che arrivarono sul posto. Inizialmente, Erika raccontò loro che due malviventi extracomunitari, che lei descrisse come “albanesi” fornendo una descrizione sommaria, erano entrati in casa per una rapina e che la situazione era degenerata in un duplice omicidio.
Questa versione fu ritenuta credibile dalle autorità e fu ripresa dai principali organi d’informazione e da esponenti politici, provocando manifestazioni di protesta contro gli immigrati in tutta Italia, inclusa Novi Ligure. Poco dopo, un giovane albanese somigliante all’identikit fornito dalla ragazza fu rintracciato e fermato dalle forze dell’ordine, ma fu rilasciato rapidamente dopo che il suo alibi fu verificato.
Gli investigatori notarono che non c’erano segni di effrazione su porte o finestre e che non era stato rubato nulla di valore dalla casa. Inoltre, i vicini dissero che i due cani da guardia della famiglia De Nardo non avevano abbaiato quella sera. Le armi usate per l’omicidio appartenevano alla famiglia e facevano parte del servizio da cucina; sembrava quindi improbabile che la rapina, che comunque non era stata consumata, fosse il movente dell’omicidio. Questo spinse gli inquirenti a sospettare di Erika. Omar fu chiamato in causa dopo che un passante lo aveva visto percorrere via Dacatra con i pantaloni insanguinati la sera del delitto.
Nel pomeriggio del 22 febbraio, i due giovani furono convocati in caserma, ufficialmente come persone informate sui fatti, e lasciati soli per qualche ora in una stanza in cui erano state installate microspie e telecamere nascoste. Senza saperlo, gli investigatori poterono ascoltare la conversazione dei ragazzi, che rivelò la loro colpevolezza.
Infatti, i due discussero degli identikit che Erika avrebbe dovuto disegnare per la polizia e, ad un certo punto, Omar la rimproverò per aver disegnato un volto troppo simile al suo, esortandola a non disegnare nemmeno uno somigliante a un suo compagno di scuola di origine albanese. In seguito, discussero della possibilità di essere scoperti e ipotizzarono di fuggire se avessero avuto dei sospetti addosso. Le telecamere nascoste ripresero inoltre Erika che, intenta a rievocare la serata, mimò il gesto di affondare una coltellata, mentre il fidanzato la chiamava “assassina” e le avvertiva dei rischi di una pesante condanna penale, chiedendole se si fosse divertita ad uccidere Susy e Gianluca. Alla fine, Erika raccomandò a Omar di vestirsi bene per i funerali delle loro vittime, previsti per il giorno successivo.
Il 23 febbraio, il giorno successivo, circa alle ore 19, i due giovani fidanzati furono arrestati e quindi portati nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Dopo che la loro versione della rapina si rivelò essere falsa, Erika e Omar iniziarono a incolparsi a vicenda per il crimine commesso. A causa dell’ostilità delle altre detenute, per lo più imprigionate per reati minori, e a seguito della scoperta da parte della polizia penitenziaria del suo tentativo di contattare segretamente Omar per concordare una versione dei fatti che avrebbe alleviato la posizione di entrambi, Erika fu trasferita al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano.
A causa della contraddittorietà e della incompletezza delle versioni fornite da Erika e Omar, la ricostruzione della dinamica dei fatti dovette essere effettuata dal RIS di Parma sulla scena del crimine: le analisi attribuirono a entrambi una responsabilità sostanzialmente uguale nella commissione degli omicidi. Durante le indagini sulla vita dei due ragazzi, gli inquirenti scoprirono l’esistenza di una situazione conflittuale latente e litigiosa tra Erika e sua madre Susy, delusa dallo scarso rendimento scolastico della figlia e preoccupata per le conseguenze del suo rapporto con Omar: infatti, i due tendevano a isolarsi dagli amici e Susy temeva che frequentassero compagnie pericolose e facessero uso di droghe. Gli inquirenti scoprirono che in alcune occasioni i due giovani avevano fatto uso di cocaina e cannabis quando erano insieme, ma esclusero che la coppia fosse tossicodipendente; venne anche esclusa la possibilità che fossero sotto l’effetto di droghe la sera del delitto.
I processi
Il 14 dicembre 2001, Erika De Nardo e Omar Favaro furono condannati in primo grado dal tribunale per i minorenni di Torino, guidato dal magistrato Graziana Calcagno, a rispettivamente 16 e 14 anni di reclusione. Successivamente, le sentenze furono confermate, dapprima dalla corte d’appello di Torino il 30 maggio 2002 e poi, definitivamente, dalla Corte di Cassazione il 9 aprile 2003.
Durante i tre gradi di giudizio, Erika fu difesa dagli avvocati Mario Boccassi e Cesare Zaccone, mentre Omar dagli avvocati Vittorio Gatti e Lorenzo Repetti. La difesa puntò sulla seminfermità mentale, ma i ragazzi furono dichiarati capaci di intendere e di volere. Il pubblico ministero Livia Locci aveva chiesto pene più severe per i due ragazzi, ovvero 20 anni di reclusione per Erika e 16 per Omar.
Secondo le sentenze di condanna, pur nell’apparente assenza di un movente comprensibile, l’ideazione dei delitti è da attribuire a Erika, fermo restando il ruolo di Omar che, nello svolgimento del crimine, acquisì progressivamente importanza fino a risultare paritario. I giudici definirono la premeditazione del delitto, qualificato come uno degli episodi più drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria italiana, lucida e utilitaristica, realizzato con piena capacità di intendere e di volere.
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