Le multinazionali gestiscono 6 dei 10 centri migranti in Italia

Le multinazionali europee hanno lucrato 53 milioni di euro tra il 2018 e il 2021 sulla gestione dei CPR, dove centinaia di individui, senza aver commesso reati, vengono privati della libertà

Le multinazionali gestiscono 6 dei 10 centri migranti in Italia
Le multinazionali gestiscono 6 dei 10 centri migranti in Italia. In Italia, sei dei dieci Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) attivi sono gestiti da multinazionali. Questi centri, nati con l’obiettivo di identificare ed espellere immigrati irregolari, ora fungono da luoghi di detenzione, mescolando in modo problematico il concetto di accoglienza con quello di restrizione della libertà personale. Il tutto si traduce in gravi conseguenze per coloro che cercano asilo nel nostro paese.

L’ong Actionaid ha condotto un’indagine di un anno e mezzo in collaborazione con il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, pubblicando il report “Trattenuti” che svela una realtà inquietante. Multinazionali europee hanno lucrato 53 milioni di euro tra il 2018 e il 2021 sulla gestione dei CPR, dove centinaia di individui, senza aver commesso reati, vengono privati della libertà.

Il processo di privatizzazione della detenzione migratoria è un fenomeno che preoccupa esperti e attivisti. Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, sottolinea come affidare la gestione dei centri a privati metta a rischio il rispetto dei diritti fondamentali a causa della priorità data al profitto. Le aziende, per loro stessa natura, devono generare utili, e ciò spesso avviene a spese della dignità delle persone detenute.

Il passaggio da enti come la Croce Rossa a gare d’appalto vinte da cooperative ha segnato l’inizio del coinvolgimento di grandi multinazionali europee nel mercato dei CPR. Tuttavia, è a partire dal 2018 che questo fenomeno si intensifica, portando ad una pericolosa ibridazione tra il sistema di accoglienza e quello di detenzione. Il decreto Cutro del governo Meloni ha contribuito ad esasperare la situazione, con la detenzione diretta all’arrivo per i richiedenti asilo provenienti da paesi considerati sicuri.

Il caos amministrativo è inevitabile, con locali di detenzione che sorgono all’interno dei centri di accoglienza, confondendo funzioni distinte. Inoltre, la mancanza di distinzione tra le spese di accoglienza e quelle di detenzione crea ulteriori complicazioni, con gli stessi enti che gestiscono entrambe le strutture e catalogano le spese con lo stesso codice di bilancio.

Il taglio dei servizi e dei fondi ha reso difficile alle prefetture trovare enti per la gestione dei CPR, dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e dei Centri di Prima Accoglienza (CPA). Le gare, in molte città italiane, rimangono deserte, poiché cooperative e associazioni del terzo settore, responsabili dei rifugiati e dei diritti umani, evitano di partecipare a causa della scarsità di fondi per garantire servizi adeguati.

A beneficiare di questo scenario sono le grandi multinazionali della detenzione, che, proponendo ribassi significativi sui prezzi, si aggiudicano gli appalti a rischio di violazioni dei diritti fondamentali dei detenuti. L’esempio dei tempi dedicati alle attività essenziali, come l’informativa legale e il supporto psicologico, evidenzia una situazione in cui i diritti di difesa sono sacrificati, e le persone detenute spesso non comprendono neanche le ragioni della loro restrizione.

Multinazionali come la Organisation for Refugees Service (ORS) e Ecofficina-Edeco-Ekene hanno gestito alcuni dei CPR più grandi in Italia, ma sono state oggetto di critiche e inchieste per la loro gestione controversa in passato. ORS, ad esempio, è stata accusata di tagliare costi a discapito della qualità delle condizioni di vita dei migranti.

I CPR, luoghi chiusi e inaccessibili, nascondono dietro le loro porte un tasso allarmante di suicidi, autolesionismo, abuso di psicofarmaci e rivolte. Le ONG di diritti umani sottolineano come la detenzione dovrebbe essere l’estrema ratio, non la soluzione ordinaria. La retorica dell’emergenza continua contribuisce a questa deroga, relegando le persone migranti a una categoria di “carico residuale” e minacce per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale.

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