Le microplastiche sono arrivate nelle nostre arterie

Un nuovo studio italiano ha collegato la presenza di microplastiche ad un rischio di infarto, ictus e morte prematura più elevato

Le microplastiche sono arrivate nelle nostre arterie
Le microplastiche sono arrivate nelle nostre arterie. Uno studio, condotto da un team di ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha trovato tracce di microplastiche nelle placche aterosclerotiche, ossia i depositi di grasso che si formano nelle arterie. La scoperta, pubblicata sul New England Journal of Medicine, apre scenari preoccupanti e suggerisce un possibile legame tra l’inquinamento da plastica e le malattie cardiovascolari.

L’onnipresenza della plastica nella nostra vita quotidiana ha portato a un crescente inquinamento ambientale, con micro e nanoplastiche che si ritrovano in aria, acqua, cibo e persino nel corpo umano. Studi precedenti avevano già rilevato la presenza di plastica in diversi organi e tessuti, tra cui placenta, latte materno, polmoni, fegato, sangue e feci.

Studio

Per la prima volta, i ricercatori hanno analizzato le placche aterosclerotiche di 257 pazienti sottoposti a endoarteriectomia, una procedura che rimuove i depositi di grasso dalle arterie carotidee. L’esame microscopico ha evidenziato la presenza di microplastiche di polietilene e cloruro di polivinile (PVC) in più della metà dei pazienti (58% e 12% rispettivamente).

I pazienti con placche contaminate da plastica presentavano un rischio di ictus, infarto o morte prematura raddoppiato rispetto a quelli con placche prive di plastica. Il tessuto della placca con microplastiche mostrava anche segni di maggiore infiammazione, un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

Lo studio, pur non dimostrando un nesso causale diretto tra plastica e malattie cardiache, evidenzia una preoccupante correlazione e apre nuovi interrogativi. “La scoperta di microplastiche nelle placche aterosclerotiche è rivoluzionaria“, ha commentato Philip J. Landrigan, epidemiologo del Boston College. “L’esposizione a queste particelle va considerata un fattore di rischio cardiovascolare? Quali altri organi sono a rischio? Come possiamo ridurre l’esposizione?“.

I risultati dello studio, pur essendo significativi, necessitano di ulteriori ricerche su popolazioni più ampie per confermare la correlazione e chiarire i meccanismi biologici coinvolti.

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