Il virus dell’aviaria ha fatto il salto di specie

Il virus H5N1 dell’influenza aviaria ha compiuto il salto di specie dagli uccelli ai mammiferi. La FAO ha evidenziato che, dopo un periodo di infezioni umane minime, sono stati segnalati nuovi casi in Cambogia, Cina e Vietnam

Il virus dell'aviaria ha fatto il salto di specie

Il virus dell’aviaria ha fatto il salto di specie. Il virus H5N1 dell’influenza aviaria ha compiuto il salto di specie dagli uccelli ai mammiferi, acquisendo la capacità di trasmettersi tra i bovini, probabilmente per via aerea. Al momento, non presenta caratteristiche che permettano il contagio tra esseri umani. Tuttavia, la FAO ha lanciato un allarme per l’aumento dei casi umani nella regione Asia-Pacifico, segnalando un rischio crescente di pandemia.

Una ricerca della Cornell University di New York, pubblicata su Nature, ha ricostruito il passaggio del virus dai bovini agli esseri umani, evidenziando la trasmissione del virus in diversi allevamenti di bovini negli Stati Uniti. Lo studio, coordinato dal genetista Leonardo Caserta, ha mostrato che bovini apparentemente sani hanno diffuso il virus dopo essere stati trasportati da un’azienda agricola a un’altra. Questo è dovuto a una “interfaccia non tradizionale del virus HPAI H5N1 clade 2.3.4.4b“, che ha permesso al virus di attraversare le barriere di specie. Il virologo Francesco Broccolo dell’Università del Salento ha confermato l’efficienza di questa trasmissione da mammifero a mammifero, sottolineando la bassa efficienza del virus nell’infettare gli esseri umani ma evidenziando il rischio di potenziali mutazioni.

Dal fine 2023, sono stati registrati 13 nuovi casi umani in Cambogia, oltre a contagi in Cina e Vietnam. La trasmissione del virus all’uomo è diventata più frequente e la comparsa di una nuova variante del virus H5N1, più facilmente trasmissibile, è particolarmente preoccupante. Kachen Wongsathapornchai, direttore regionale Asia-Pacifico del Centro di emergenza per le malattie transfrontaliere degli animali della FAO, ha fatto questo appello dopo una consultazione tra esperti dell’area Asia-Pacifico a Bangkok, sostenuta dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid) e dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi.

La FAO evidenzia che, dopo un periodo di infezioni umane minime, sono stati segnalati nuovi casi in Cambogia, Cina e Vietnam. La diffusione geografica del virus H5N1 è senza precedenti, raggiungendo il Sud America e l’Antartide, e iniziando a infettare nuovi animali selvatici e domestici, tra cui specie saprofaghe, mammiferi marini, animali domestici carnivori, mammiferi allevati per la pelliccia e recentemente bovini da latte. La subregione del Grande Mekong, l’Indonesia e le Filippine affrontano sfide particolari a causa della loro biodiversità e delle limitate misure di biosicurezza, mentre altre regioni, come India, Nepal e Bangladesh, stanno attualmente fronteggiando epidemie di aviaria, nonostante Thailandia e Myanmar non segnalino focolai da anni.

La ricerca traccia l’evoluzione del virus negli Stati Uniti dal gennaio 2022, quando ha causato la morte di milioni di uccelli domestici e migliaia di uccelli selvatici. Le mucche, probabilmente infettate da uccelli selvatici, mostravano sintomi come riduzione dell’appetito, difficoltà respiratorie e anomalie nella qualità del latte. Negli ultimi due anni, negli Stati Uniti sono stati identificati 11 casi di influenza aviaria nell’uomo, alcuni collegati ad allevamenti di bovini.

Il sequenziamento del genoma del virus non ha rilevato mutazioni che aumentino la trasmissibilità tra esseri umani, sebbene la trasmissione tra mammiferi sia preoccupante. Il virus è in grado di infettare cellule specifiche, come quelle della ghiandola mammaria, e viene ucciso dalla pastorizzazione. Inoltre, la trasmissione tra bovini è avvenuta anche quando mucche infette sono state spostate dal Texas all’Ohio. Il virus ha infettato anche gatti e procioni, probabilmente attraverso il consumo di latte crudo contaminato. Infine, gli uccelli selvatici trovati morti nelle fattorie suggeriscono una possibile contaminazione ambientale o da aerosol durante le operazioni di mungitura.

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