Il precariato fa ammalare i giornalisti

Indagine di Irpimedia: l’85% dei giornalisti ha dichiarato che i bassi compensi incidono sulla propria salute mentale, subito dopo viene la precarietà lavorativa, il rimanere sempre connessi e reperibili, i ritmi frenetici, dall’ipercompetitività e dall’ambiente giudicante

Il precariato fa ammalare i giornalisti
Il precariato fa ammalare i giornalisti. Un’indagine di Irpimedia, una testata di giornalismo investigativo, ha fotografato una situazione di disagio tra i giornalisti precari in Italia. Il 55% degli intervistati sono donne, 44% uomini e l’1% preferisce non specificarlo. Il 46% ha tra i 18 e i 35 anni, il 31% è nella fascia 35-45 anni, il 14% nella fascia 45-55, il 6% nella fascia 55-65 e solo il 2% ha più di 65 anni.

Il 75% dei rispondenti è iscritto all’Ordine dei giornalisti, solo il 23% ha la cassa di assistenza sanitaria della professione Casagit. Sul totale del campione, il 65% si definisce come giornalista freelance, il 14% è composto da giornalisti che lavorano nel campo della comunicazione, l’11% lavora come ufficio stampa, mentre il 10% è composto da giornalisti filmaker, il 7% da fotogiornalisti e un altro 7% da giornalisti che lavorano come social media manager.

L’indagine ha rilevato che i fattori principali che influiscono sulla salute mentale dei giornalisti precari sono i bassi compensi e la precarietà lavorativa. L’85% dei giornalisti interpellati ha dichiarato che i bassi compensi incidono “abbastanza” o “molto” sulla propria salute mentale. Subito dopo viene la precarietà lavorativa, con una percentuale dell’83% di giornalisti che hanno risposto “abbastanza” o “molto“, seguita dal rimanere sempre connessi e reperibili (76%), dai ritmi frenetici (70%), dall’ipercompetitività (65%) e dall’ambiente giudicante (57%).

I giornalisti più anziani affermano di essere colpiti mediamente in misura minore rispetto ai giovani, da tutti i disturbi presi in considerazione. Questo risultato potrebbe essere espressione di un maggiore benessere psicologico, ma anche di una minor propensione a dichiarare aspetti critici dal punto di vista emotivo. Le maggiori differenze si riscontrano sui dati che riguardano gli attacchi di panico: il 57% di chi ne soffre ha meno di 35 anni, mentre gli over 65 sono sotto l’1% e solo il 3% ha tra 55 e 65 anni. Poi c’è la depressione, la perdita di appetito o abuso di cibo e i disturbi da trauma continuo, che impattano per il 53% i giovani under 35, mentre gli over 55 sono rispettivamente il 4% nei primi due casi e il 5% nel terzo. Riguardo alla risposta all’opzione “Non mi è mai capitato di avere questi problemi“: il 22% ha più di 65 anni.

Ad intaccare la salute mentale sono soprattutto i fattori economici (bassi compensi e precarietà), considerati “molto” o “abbastanza” impattanti dall’84% dei rispondenti. I rischi connessi all’ambiente di lavoro (ipercompetitività, ambiente giudicante, solitudine, ritmi frenetici, rimanere sempre connessi) sono indicati dal 63%. I pericoli e le minacce (querele temerarie, mancanza di assistenza legale, attacchi online) dal 31%. Discriminazioni e molestie da un altro 31%.

Il 70% di chi soffre di attacchi di panico sono donne. Il 68% di chi dichiara disturbi da trauma continuo sono donne. Il 65% di chi perde appetito, abusa di cibo ed è insonne sono donne. Gli uomini sono la maggioranza (54%) solo tra chi dichiara di soffrire di disturbi da stress post traumatico e di avere difficoltà nelle relazioni di coppia. Gli uomini rappresentano anche l’83% di chi afferma di non aver mai sofferto alcun problema.

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