L’Istat ha pubblicato nuovi dati sul mercato del lavoro in Italia, evidenziando che il tasso di occupazione è rimasto stabile al 62,3% ad agosto e ha registrato un aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente
L’Istat ha pubblicato nuovi dati sul mercato del lavoro in Italia, evidenziando che il tasso di occupazione è rimasto stabile al 62,3% ad agosto e ha registrato un aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Inoltre, l’ente ha comunicato che il numero di persone che hanno trovato lavoro è aumentato dello 0,2% (circa 45.000 unità) rispetto a luglio 2024. Se confrontato con lo stesso mese del 2023, l’aumento è del 2,1%. Tra il trimestre di giugno e agosto 2024, si è registrato un incremento dello 0,5%, corrispondente a 114.000 nuovi assunti, rispetto al trimestre precedente (marzo-maggio).
Il tasso di disoccupazione è sceso dal 6,4% al 6,2% negli ultimi due mesi estivi, un risultato positivo che non si vedeva dal 2007. La disoccupazione giovanile si attesta al 18,3%, con una diminuzione di 1,7 punti percentuali. Tuttavia, c’è stato un incremento dello 0,4% delle persone che non sono né impegnate in un percorso scolastico né alla ricerca di lavoro.
Fratelli d’Italia ha espresso soddisfazione per i dati. Marco Osnato, responsabile economico del partito, ha dichiarato che si tratta dell’“ennesimo effetto Meloni”, reso possibile dalle politiche fiscali positive adottate finora. Ha inoltre preannunciato nuove misure nella prossima legge di Bilancio.
Anche Andrea Volpi, deputato di FdI e presidente della commissione Finanze della Camera, ha commentato positivamente i dati. In una nota ha sottolineato: “Ogni volta che leggiamo questi numeri siamo sempre più convinti che la strada indicata dal ministro Calderone sia quella giusta. Dobbiamo continuare a muoverci nella direzione intrapresa che si sta dimostrando vincente”.
Il Movimento Cinquestelle ha invece espresso forti critiche. Pietro Lorefice, senatore grillino, ha affermato: “Siamo davanti a una televendita in stile Wanna Marchi. La spesa reale, al netto dell’inflazione, è destinata a essere tagliata. Se questa è la cornice, figuriamoci cosa avverrà all’interno della prossima Finanziaria”.
Giovanna Ferrara di Unimpresa ha chiesto al governo di consolidare la buona strada intrapresa con il taglio del cuneo fiscale per consentire investimenti adeguati e offrire nuove opportunità lavorative a chi cerca lavoro. Ha sottolineato l’importanza di garantire salari più elevati grazie ai minori costi statali a carico delle aziende. Confcommercio ha evidenziato come redditi familiari più ampi possano incentivare i consumi e attivare un circuito virtuoso necessario per il reddito nazionale e il Prodotto Interno Lordo.
LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “ECONOMIA”:
DEBITO PUBBLICO
MONEY – IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO E’ AL 29% IN MANI STRANIERE
Il debito pubblico italiano continua a crescere e al primo semestre del 2024 ha raggiunto oltre 2.947 miliardi di euro, un aumento di circa 100 miliardi rispetto all’anno precedente. L’Italia ha attualmente il secondo debito pubblico più elevato in Europa, rapportato al PIL, con un rapporto del 134,6% nel 2023, secondo una recente revisione dei dati forniti dall’Istat. Uno dei temi più rilevanti in questo contesto riguarda il rischio di una procedura di infrazione per eccessivo debito pubblico, poiché l’Italia non è riuscita a ridurre significativamente il proprio debito. Questo è diventato un argomento centrale nei dibattiti politici ed economici, soprattutto in vista della presentazione del prossimo Piano strutturale di bilancio. In merito, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato che l’obiettivo del governo è «non contribuire ad alimentare il debito pubblico per le nuove generazioni». Ma chi detiene oggi questo debito? Secondo i dati Eurostat del 2018, recentemente resi noti, solo il 29,4% del debito pubblico italiano è posseduto da investitori esteri, tra cui fondi e banche straniere. Rispetto agli altri Paesi europei, questa percentuale è relativamente bassa. Ad esempio, in Lituania, Lettonia e Austria, più dei due terzi del debito pubblico è detenuto da investitori esteri. Nei Paesi più grandi, come Spagna, Francia, Germania e Polonia, la quota detenuta all’estero varia tra il 45% e il 50%. I dati mostrano che è più probabile che il debito pubblico sia in mani straniere quando riguarda Paesi più piccoli o con economie considerate più affidabili, cosa che non si può dire per l’Italia, il cui debito è in gran parte detenuto a livello nazionale. Una porzione significativa del debito pubblico italiano, il 65,1%, è detenuta da banche e fondi italiani. In confronto, in altri Paesi europei questa percentuale è generalmente inferiore al 50%, e in alcuni, come Irlanda, Lettonia e Lituania, è sotto il 30%. Solo in Danimarca e Svezia le percentuali superano quelle italiane. Per quanto riguarda i cittadini italiani, solo una piccola parte del debito pubblico è direttamente nelle loro mani: circa il 5,6%. In altri Paesi, come Irlanda, Portogallo, Svezia e Ungheria, questa percentuale è più alta. In Ungheria, ad esempio, i cittadini detengono il 21,7% del debito pubblico. Nonostante possa sembrare un dato positivo che solo il 29% del debito pubblico italiano sia in mani straniere, in realtà ciò rappresenta una cifra significativa, corrispondente a circa 700 miliardi di euro, più del debito complessivo di alcuni piccoli Paesi europei. Inoltre, la grande quantità di Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) detenuti dalle banche italiane le rende più vulnerabili in caso di una crisi sistemica. Un altro fattore di debolezza è che il 12,8% del debito pubblico italiano è composto da titoli con una scadenza inferiore a un anno. Questo significa che una parte considerevole del debito richiede rifinanziamenti frequenti, una situazione che potrebbe creare ulteriori difficoltà economiche se non gestita correttamente.
Altre notizie:
MONDO
SCENARIECONOMICI – L’INDIA STA PER SUPERARE IL GIAPPONE E RAGGIUNGERE IL QUARTO POSTO PER PRODOTTO INTERNO LORDO (DOPO USA, CINA E GERMANIA)
Secondo una recente stima del Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’India è in procinto di sorpassare il Giappone per quanto riguarda il Prodotto Interno Lordo (PIL), aprendo le porte a una nuova epoca economica in Asia. Questo spostamento di posizione collocherebbe l’India al quarto posto mondiale per PIL, dietro solo agli Stati Uniti, alla Cina e alla Germania. Tuttavia, anche Berlino dovrà fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento. Secondo le proiezioni del FMI, il PIL nominale dell’India dovrebbe raggiungere circa 4,3398 trilioni di dollari nel 2025, superando così il PIL giapponese stimato a 4,3103 trilioni di dollari nello stesso anno. Tale superamento avverrebbe con un anno di anticipo rispetto alle previsioni precedenti del FMI, che indicavano il 2026 come il momento del sorpasso. L’attuale deprezzamento dello yen giapponese sembra essere uno dei fattori che accelerano questo cambiamento, riducendo l’economia del Giappone in termini di dollari. Questo deprezzamento ha contribuito a eclissare il PIL giapponese rispetto a quello della Germania nel 2023, collocando il Giappone al quinto posto tra le economie mondiali. La rupia indiana, dal canto suo, è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al dollaro sin dall’inizio del 2023, mantenendo un tasso di cambio di circa 83 rupie per dollaro. Tuttavia, ci sono segnali che suggeriscono un intervento significativo della Reserve Bank of India nel mercato valutario, come osservato nel rapporto del FMI del dicembre 2023. La banca centrale indiana ha respinto le critiche del FMI riguardo a un possibile intervento eccessivo nel mercato valutario, sostenendo che le analisi si basavano su tendenze a breve termine e non riflettevano pienamente la situazione economica complessiva. L’ascesa economica dell’India è stata notevole negli ultimi anni, nonostante le sfide della pandemia COVID-19. Il Paese ha visto una crescita significativa, trainata in parte dall’espansione della sua popolazione. Le previsioni della Reserve Bank of India indicano una crescita reale del PIL del 7% nell’anno fiscale 2024. Nonostante questi successi, il PIL nominale pro capite dell’India si attesta ancora a circa 2.000 dollari, una frazione rispetto alla Cina e vicino al Bangladesh. Tuttavia, la classe media indiana è in espansione, e si prevede che l’India supererà la Germania per diventare la terza economia mondiale entro il 2027.
Altre notizie:
MERCATO TUTELATO E LIBERO
LEGGO – CRC: CHI PASSA AL MERCATO LIBERO SI RITROVERA’ A PAGARE 1.776 EURO ANNUI IN PIU’
Secondo quanto riportato dal Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc), chi attiverà oggi un servizio di fornitura sul mercato libero dell’energia elettrica potrebbe vedersi infliggere un aumento fino a 1.776 euro all’anno rispetto alla bolletta media del Servizio a Tutele Graduali, che entrerà in vigore il 1 luglio. Il confronto delle offerte dei 7 gestori vincitori delle aste dell’Acquirente Unico per il Servizio a Tutele Graduali, rappresentanti il 70,49% del mercato, ha rivelato che le tariffe del mercato libero sono significativamente più elevate. I clienti che non scelgono un operatore del mercato libero passeranno automaticamente dal Maggiore Tutela al Servizio a Tutele Graduali, godendo di un risparmio stimato di circa 131 euro all’anno a utenza rispetto alle attuali tariffe del mercato tutelato. Tuttavia, per coloro che optano per il mercato libero, le differenze di prezzo sono evidenti. Chi sceglie un’offerta a prezzo variabile può aspettarsi un aumento annuo che va da un minimo di 162 euro a un massimo di 573 euro rispetto alle tutele graduali. Nel caso di un contratto a prezzo fisso, le tariffe sono ancora più alte, con un aumento annuo che varia da un minimo di 204 euro a un massimo di 1.776 euro rispetto alla bolletta media del Servizio a Tutele Graduali. Secondo il presidente del comitato scientifico del Crc e presidente onorario di Assoutenti, Furio Truzzi, questa situazione rappresenta un “doppio assurdo paradosso”, con i clienti del mercato libero che pagheranno tariffe più elevate rispetto alle tutele graduali, anche scegliendo lo stesso gestore. Inoltre, gli utenti vulnerabili che rimangono nel mercato tutelato subiranno un aumento medio di 131 euro all’anno rispetto al Servizio a Tutele Graduali. Truzzi ha anche sottolineato che coloro che sono passati al mercato libero e desiderano beneficiare delle tutele graduali a partire dal 1 luglio dovranno rientrare nella Maggior Tutela entro il 30 giugno, poiché non è previsto un passaggio diretto dal libero al Servizio a Tutele Graduali.
Altre notizie:
SUPERBONUS
SKYTG24 – APPROVATO IN VIA DEFINITIVA IL DECRETO SUL SUPERBONUS: NIENTE SGRAVIO E RATE IN 10 ANNI
La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto legge sul Superbonus, trasformandolo in legge. Con 150 voti favorevoli e 109 contrari, il governo ha ottenuto la fiducia necessaria per procedere con le modifiche. Il Superbonus, come voluto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è stato modificato principalmente per quanto riguarda la dilazione delle rate, che ora saranno spalmate su dieci anni invece di quattro, per tutte le spese sostenute a partire da gennaio 2024. Questa modifica, con effetto retroattivo, è stata oggetto di accese discussioni. Inoltre, a partire da gennaio 2025, sarà vietata la compensazione per banche e assicurazioni dei crediti da bonus edilizi con i contributi Inps e Inail. Virginio Merola del Partito Democratico ha criticato duramente il decreto, definendolo dannoso per famiglie e imprese, e accusando il governo di incompetenza e di favorire l’evasione fiscale con scelte inadeguate. Luigi Marattin di Italia Viva ha espresso la sua contrarietà, evidenziando come la stretta sul Superbonus danneggi cittadini, imprese e banche per un beneficio finanziario minimo. Ha inoltre criticato la gestione del governo riguardo alle previsioni di spesa del Superbonus per il 2023, definendole erronee di 40 miliardi di euro. Tommaso Foti di Fratelli d’Italia ha dichiarato che con l’approvazione del decreto si chiude la stagione dei bonus edilizi, che secondo lui hanno danneggiato i conti dello Stato togliendo risorse a settori cruciali come scuola, sanità e pensioni. Foti ha sostenuto che la misura consentirà di dare respiro alla finanza pubblica, arginando frodi e speculazioni. Laura Cavandoli della Lega ha affermato che il decreto ha messo fine a una misura fuori controllo e che ha costato molto in termini di deficit. Ha sottolineato che il bonus ha riguardato solo il 4% del patrimonio edilizio e generato appena l’1% del Pil, criticando la sua promozione da parte del Movimento 5 Stelle. Cavandoli ha inoltre espresso la sua opposizione alla direttiva europea sulle case green, considerandola insostenibile sia economicamente che ambientalmente.
Altre notizie:
LAVORO
ILFATTOQUOTIDIANO – LA PRODUZIONE DI STELLANTIS A MIRAFIORI E’ CALATA DELL’83%
La situazione di Stellantis continua a deteriorarsi, con dati sulla produzione che destano preoccupazione. Recentemente, l’azienda automobilistica franco-italiana ha preso misure drastiche nei confronti di alcuni dei suoi operai, proponendo loro la cassa integrazione o il trasferimento in Polonia. Questa iniziativa ha sollevato allarmi, e i dati sulla produzione confermano le preoccupazioni iniziali. Secondo il segretario torinese dei metalmeccanici della Cgil, fino a settembre nello stabilimento Stellantis di Mirafiori sono state prodotte solo 18.500 auto, un numero ben inferiore alle 52.000 dello stesso periodo del 2023, il che rappresenta un calo dell’83%. Il segretario ha dichiarato: “Siamo di fronte a una situazione produttiva devastata e, se il trend proseguirà così, il 2024 si chiuderà con 20.000 unità prodotte”. Nel frattempo, l’azienda ha comunicato che la linea della Maserati avrà una produzione limitata, lavorando solo il lunedì della prossima settimana e riprendendo il 16 settembre. La produzione della Fiat 500 elettrica, invece, continuerà fino a giovedì. La drastica riduzione della produzione avrà inevitabili conseguenze per i dipendenti di Stellantis. I sindacati sono convinti che ci sarà un nuovo ricorso alla cassa integrazione, un regime già utilizzato frequentemente dall’azienda. Solo nella scorsa primavera, circa 2.000 lavoratori erano stati coinvolti in questo processo. In aggiunta, Stellantis potrebbe considerare l’adozione di uscite incentivate, una pratica già attuata in passato con l’accordo raggiunto con circa 2.500 lavoratori. Tuttavia, il problema non riguarda solo i dipendenti in cassa integrazione o coloro che lasciano l’azienda. Le difficoltà di Stellantis hanno ripercussioni anche sulle aziende dell’indotto automobilistico. Valter Vergnano, segretario piemontese della Fiom, ha affermato che le difficoltà nel mercato dell’auto si fanno sentire anche in altre province piemontesi, oltre a Torino, che è la città con il maggior numero di cassaintegrati in Italia. La Fiom ha evidenziato che, nei primi sette mesi del 2024, le richieste di ore di cassa integrazione sono aumentate notevolmente: il 100% a Novara, il 72% a Torino, il 54% a Vercelli, il 30% ad Asti e il 140% a Biella. Questi dati inquietanti evidenziano il processo di desertificazione produttiva in atto a causa di Stellantis. Nel frattempo, i piani dell’azienda sembrano orientarsi verso investimenti all’estero, come dimostra un recente piano da 386 milioni di dollari per l’Argentina.
Altre notizie:
TASSE
ILFATTOQUOTIDIANO – LE BOLLETTE ENERGETICHE ITALIANE SONO TRA LE PIÙ CARE D’EUROPA
In Italia, le bollette energetiche sono tra le più elevate d’Europa, con i prezzi dell’energia che, in questi giorni, stanno raggiungendo la preoccupante soglia di 140 euro per megawattora. Fino al 28 agosto, il costo medio all’ingrosso, noto come Pun, è stato di 98,96 euro per megawattora, un valore più del doppio rispetto a quello pagato in Spagna e Francia, e superiore del 30% rispetto alla Germania. Queste informazioni sono state riportate in un dossier economico de Il Fatto Quotidiano. Le ragioni di questo aumento dei costi sono molteplici. Una delle principali è rappresentata dalle tasse, che includono l’IVA al 10% applicata sulle bollette e le accise, le quali ammontano a 9,30 euro ogni mille chilowattora, cifra che può aumentare fino a 11,40 euro per mille chilowattora. Inoltre, ci sono gli oneri di sistema, che coprono i costi delle attività di interesse generale per il sistema elettrico, stabiliti dalla legge e sostenuti da tutti i consumatori finali. Questi oneri servono a finanziare vari obiettivi, come gli incentivi per le fonti rinnovabili. Secondo l’inchiesta economica, si prevede che i prezzi dell’energia rimarranno sopra i 100 euro per megawattora nei prossimi due anni, mantenendo l’Italia tra i paesi con i costi più alti d’Europa. L’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, conosciuta come ARERA, ha il compito di garantire la concorrenza e l’efficienza nei servizi di pubblica utilità e di tutelare gli interessi degli utenti e dei consumatori. Tuttavia, le decisioni riguardanti il trasferimento dei costi dagli operatori di mercato agli utenti finali hanno contribuito ad aumentare il costo finale dell’energia. Enel, dal canto suo, ha deciso di concentrare i propri investimenti sulla “resilienza della rete”, un’area che riceve una remunerazione garantita dalle bollette, trascurando la produzione di energia, che è invece soggetta alle fluttuazioni del mercato. Le scelte di investimento e profitto del sistema energetico ricadono quindi sui cittadini. Questo implica che i consumatori finali, oltre a subire i costi, possono e devono fare pressione sulle istituzioni per ottenere pagamenti più equi. Come ha affermato un rappresentante del settore, i cittadini non sono solo consumatori, ma anche cittadini che possono influenzare le politiche energetiche.
Altre notizie:
SOLDI
L’INDIPENDENTE – I PRIMI 7 GRUPPI BANCARI HANNO RADDOPPIATO GLI UTILI IN 2 ANNI
Nel primo semestre del 2023, i sette principali gruppi bancari italiani – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, BPER, MPS, Credem e Popolare di Sondrio – hanno registrato un raddoppio dei profitti rispetto allo stesso periodo del 2022. Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi e Ricerche della FISAC CGIL. L’aumento esponenziale dei guadagni è stato principalmente trainato dagli elevati tassi di interesse, che hanno contribuito a far crescere i ricavi del 74,6%. Anche i ricavi da commissioni sono aumentati, sebbene in misura minore (+2,1% rispetto al 2022), così come le attività assicurative (+10% rispetto all’anno precedente). Complessivamente, l’utile netto dei gruppi bancari è cresciuto del 30% nell’arco di due anni. A causa di questi risultati, continua il dibattito sulla possibile introduzione di una tassa sugli extra-profitti, anche se i tre partiti di maggioranza hanno espresso una ferma opposizione. «Abbiamo sempre detto no alle tasse imposte dall’alto», ha dichiarato Antonio Tajani, Ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, suggerendo invece che il governo chieda alle banche un aiuto volontario, pur riconoscendo che questa proposta appare improbabile. Il rapporto di FISAC CGIL, intitolato “Lascia o Raddoppia? Come i gruppi bancari hanno raddoppiato gli utili in meno di due anni”, analizza dettagliatamente i dati del primo semestre del 2023 e li confronta con quelli dello stesso periodo del 2022. Secondo lo studio, la principale voce di guadagno a registrare un forte incremento è stata quella legata ai ricavi sui tassi di interesse, che hanno segnato una crescita del 74,6%, corrispondente a oltre 8 miliardi di euro. Anche altri ricavi operativi hanno mostrato un aumento: +2,1% per le commissioni (oltre mezzo milione di euro), +10,4% per le attività assicurative (100 milioni in più), e +32,3% per altri ricavi operativi (+150 milioni). Tuttavia, il risultato della compravendita di attività finanziarie è stato dimezzato, con una riduzione di circa 1,2 miliardi di euro. Nonostante questo, «già a questo livello del conto economico i proventi netti sono in aumento di più del 30% rispetto al 2022». L’utile netto complessivo è cresciuto del 93,1% in due anni, portando oltre 6 miliardi di euro in più nelle casse degli istituti bancari. La segretaria generale della FISAC CGIL, Susy Esposito, ha sottolineato che questi «numeri da record» dovrebbero essere tradotti in «un forte investimento sul fronte dell’occupazione» e dell’innovazione tecnologica. Infatti, mentre l’Italia rimane tra i Paesi dell’Unione Europea con i più bassi livelli di occupazione, reddito reale e innovazione, le banche italiane, nonostante l’aumento dei ricavi, continuano a mantenere costi contenuti. Negli ultimi due anni, i costi del personale sono aumentati solo del 3,5% (circa 300 milioni di euro), mentre gli altri costi operativi, inclusi gli investimenti in innovazione e tecnologia, sono cresciuti dell’1,8% (circa 100 milioni di euro). PierPaolo Bombardieri, segretario generale della UIL, ha ribadito la necessità di introdurre una tassa sugli extra-profitti: «Da tempo chiediamo l’extra tassa sugli extraprofitti, perché negli ultimi anni ci sono stati settori produttivi che hanno avuto grandi profitti non in conseguenza della loro normale attività, ma per eventi eccezionali». Tuttavia, il governo continua a respingere l’idea di una vera e propria tassa sui guadagni straordinari delle banche. In un’intervista, il Ministro Tajani ha ribadito il suo no alla tassa, pur lasciando aperta la possibilità che le banche possano fornire «un aiuto, un contributo alle casse dello Stato», a condizione che tale contributo venga concordato con gli istituti di credito, lasciando intendere che la decisione spetterebbe alle banche stesse.
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POVERTA’
ILSOLE24ORE – NEL 2023 IL RISCHIO POVERTA’ IN ITALIA E’ SCESO AL 18,9%
Nel 2023, il rischio di povertà in Italia è sceso al 18,9%, il valore più basso dal 2010, anche se il paese rimane al di sopra della media dell’Unione Europea, che è del 16,2%. Questo calo rappresenta una diminuzione di 1,2 punti percentuali rispetto al 2022, con 11,12 milioni di persone a rischio povertà, ovvero 676.000 in meno rispetto all’anno precedente. Tuttavia, quando si considera la povertà e l’esclusione sociale, la situazione è più complessa. La percentuale di popolazione in questa condizione è del 22,8%, in calo di due punti rispetto al 2022, ma ancora superiore alla media Ue del 21,4%. In totale, ci sono circa 13,39 milioni di persone che vivono in condizioni di disagio economico, con una riduzione di circa 900.000 rispetto all’anno scorso. Il rischio di povertà è particolarmente elevato per i minori. Nel 2023, il 27,1% dei minori si trovava in una situazione di disagio economico, un dato in flessione rispetto al 28,5% del 2022, ma comunque superiore alla media Ue del 24,8%. Ci sono quindi 2.471.000 under 18 in difficoltà economica. Tra i fattori di deprivazione materiale, si segnala che l’8,4% degli italiani non può permettersi un pasto adeguato con carne o pesce ogni due giorni, un valore che sale al 19,2% per chi ha un reddito inferiore al 60% di quello mediano.
Altre notizie:
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