ANSA – ITALIA AL TERZO POSTO TRA I PAESI OCSE PER PRESSIONE FISCALE (42,8%)

L’Italia si conferma al terzo posto tra i 38 Paesi membri dell’Ocse per livello di pressione fiscale, con un rapporto tra tasse e Pil pari al 42,8% nel 2023, stabile rispetto al 2022

ITALIA AL TERZO POSTO TRA I PAESI OCSE PER PRESSIONE FISCALE (42,8%)

L’Italia si conferma al terzo posto tra i 38 Paesi membri dell’Ocse per livello di pressione fiscale, con un rapporto tra tasse e Pil pari al 42,8% nel 2023, stabile rispetto al 2022. Questo dato è di gran lunga superiore alla media Ocse, che si attesta al 33,9%.

Al primo posto della classifica c’è la Francia, con una pressione fiscale al 43,8%, seguita dalla Danimarca, dove il rapporto tra entrate fiscali e Pil è del 43,4%. All’estremo opposto, il Messico registra il livello di pressione fiscale più basso tra i Paesi Ocse, pari al 17,7%.

Secondo il rapporto “Revenue Statistics 2024” pubblicato dall’Ocse, il livello medio di pressione fiscale tra i Paesi membri è rimasto sostanzialmente invariato nel 2023 rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, è leggermente più alto rispetto al periodo pre-pandemia, quando nel 2019 era al 33,4%.

Nel 2023, il rapporto tra entrate fiscali e Pil è aumentato in 18 Paesi dell’Ocse, è diminuito in 17, ed è rimasto invariato in uno: l’Italia. Tra gli incrementi più significativi: Lussemburgo, con un aumento di 2,7 punti percentuali, dal 38,3% al 40,9%. Colombia, dove la pressione fiscale è salita di 2,6 punti, dal 19,7% al 22,2%.

dall’altro lato, i cali più marcati si sono registrati in: Cile, dove la pressione fiscale è scesa di 3,2 punti, passando dal 23,8% al 20,6%. Israele e Corea, con riduzioni superiori ai 3 punti percentuali.

Nonostante i tentativi dei vari governi italiani di alleggerire il carico fiscale, le tasse continuano a rappresentare un peso importante per i cittadini. Il comandante generale della Guardia di Finanza, Andrea De Gennaro, durante un’audizione alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, ha evidenziato un problema rilevante legato all’evasione fiscale.

Secondo De Gennaro: “Dal 2018, l’imposta più evasa non è più l’Iva, ma l’Irpef. Nel 2021, l’evasione dell’Irpef ha raggiunto oltre 33 miliardi di euro, pari al 46% del tax gap tributario complessivo”.

Inoltre, l’economia sommersa continua a generare un valore significativo: nel 2021 si è stimato che abbia prodotto 173,8 miliardi di euro, pari al 9,5% del Pil italiano.

Il peso fiscale è anche al centro delle proteste sindacali. Le organizzazioni sindacali Uil e Cgil hanno indetto uno sciopero generale per il 29 novembre.

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato: “L’Irpef la pagano al 90% lavoratori dipendenti e pensionati. Invece di aumentare i servizi, questo governo con il concordato preventivo non fa che legalizzare l’evasione”.

LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “ECONOMIA”:

DEBITO PUBBLICO

MONEY – IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO E’ AL 29% IN MANI STRANIERE

Il debito pubblico italiano continua a crescere e al primo semestre del 2024 ha raggiunto oltre 2.947 miliardi di euro, un aumento di circa 100 miliardi rispetto all’anno precedente. L’Italia ha attualmente il secondo debito pubblico più elevato in Europa, rapportato al PIL, con un rapporto del 134,6% nel 2023, secondo una recente revisione dei dati forniti dall’Istat. Uno dei temi più rilevanti in questo contesto riguarda il rischio di una procedura di infrazione per eccessivo debito pubblico, poiché l’Italia non è riuscita a ridurre significativamente il proprio debito. Questo è diventato un argomento centrale nei dibattiti politici ed economici, soprattutto in vista della presentazione del prossimo Piano strutturale di bilancio. In merito, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha dichiarato che l’obiettivo del governo è «non contribuire ad alimentare il debito pubblico per le nuove generazioni». Ma chi detiene oggi questo debito? Secondo i dati Eurostat del 2018, recentemente resi noti, solo il 29,4% del debito pubblico italiano è posseduto da investitori esteri, tra cui fondi e banche straniere. Rispetto agli altri Paesi europei, questa percentuale è relativamente bassa. Ad esempio, in Lituania, Lettonia e Austria, più dei due terzi del debito pubblico è detenuto da investitori esteri. Nei Paesi più grandi, come Spagna, Francia, Germania e Polonia, la quota detenuta all’estero varia tra il 45% e il 50%. I dati mostrano che è più probabile che il debito pubblico sia in mani straniere quando riguarda Paesi più piccoli o con economie considerate più affidabili, cosa che non si può dire per l’Italia, il cui debito è in gran parte detenuto a livello nazionale. Una porzione significativa del debito pubblico italiano, il 65,1%, è detenuta da banche e fondi italiani. In confronto, in altri Paesi europei questa percentuale è generalmente inferiore al 50%, e in alcuni, come Irlanda, Lettonia e Lituania, è sotto il 30%. Solo in Danimarca e Svezia le percentuali superano quelle italiane. Per quanto riguarda i cittadini italiani, solo una piccola parte del debito pubblico è direttamente nelle loro mani: circa il 5,6%. In altri Paesi, come Irlanda, Portogallo, Svezia e Ungheria, questa percentuale è più alta. In Ungheria, ad esempio, i cittadini detengono il 21,7% del debito pubblico. Nonostante possa sembrare un dato positivo che solo il 29% del debito pubblico italiano sia in mani straniere, in realtà ciò rappresenta una cifra significativa, corrispondente a circa 700 miliardi di euro, più del debito complessivo di alcuni piccoli Paesi europei. Inoltre, la grande quantità di Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) detenuti dalle banche italiane le rende più vulnerabili in caso di una crisi sistemica. Un altro fattore di debolezza è che il 12,8% del debito pubblico italiano è composto da titoli con una scadenza inferiore a un anno. Questo significa che una parte considerevole del debito richiede rifinanziamenti frequenti, una situazione che potrebbe creare ulteriori difficoltà economiche se non gestita correttamente.

Altre notizie:

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WIRED – L’ITALIA E’ “CAMPIONE D’EUROPA” PER DEBITO PUBBLICO?

L’Italia si conferma “campione d’Europa” per il debito pubblico nel 2024, con una previsione di emissioni di prestiti a lungo termine pari a 390 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da S&P Global. Questo ammontare supera quello degli altri paesi europei avanzati, con il Regno Unito che chiederà 352 miliardi di dollari e la Francia ferma a 311 miliardi di dollari. Tale stima è basata sull’analisi delle previsioni di bilancio di 31 economie avanzate europee. La situazione economica evidenzia la necessità di raccogliere fondi per sostenere il fabbisogno pubblico, tuttavia, l’incremento del debito pubblico comporta costi significativi per i contribuenti a causa degli interessi che dovranno essere pagati in seguito. Nonostante i rendimenti dei bond europei siano diminuiti nell’ultimo anno, il costo totale del servizio del debito pubblico è aumentato, soprattutto a causa della riduzione degli acquisti di titoli di Stato sovrani da parte della Banca centrale europea. La spesa per gli interessi sui bond italiani nel 2024 è stimata intorno al 4,2% del prodotto interno lordo, con un totale di circa 80 miliardi di dollari, un livello simile a quello del 2015. Questo aumento dei costi potrebbe mettere ulteriormente sotto pressione le finanze pubbliche italiane. Nonostante ciò, la domanda di debito pubblico rimane robusta, con un numero crescente di investitori, inclusi risparmiatori privati e istituzioni finanziarie, che cercano rendimenti più interessanti. La recente chiusura della terza tranche del Btp Valore, che ha superato i 18 miliardi di euro, evidenzia l’interesse degli investitori privati nei titoli di Stato italiani. Inoltre, la Banca centrale europea continua a svolgere un ruolo chiave come investitore, reinvestendo i rimborsi dei titoli acquistati nel contesto del programma di acquisto di emergenza legato alla pandemia (Pepp) lanciato nel 2020. Tuttavia, è probabile che la Bce riduca gradualmente la sua partecipazione al programma, il che potrebbe portare a un aumento medio del costo del debito pubblico e a una maggiore pressione per un consolidamento fiscale ulteriore da parte degli Stati membri dell’eurozona.

L’INDIPENDENTE – IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO SCENDE E TORNA ALLE FAMIGLIE

Nuovi dati provenienti dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) hanno rivelato una notevole diminuzione del rapporto tra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo (PIL) in Italia. Nel corso del 2023, il rapporto è sceso al 137,3%, rispetto al 140,5% registrato nel 2022, segnando un calo del 3,2% e addirittura del 18% rispetto al picco del 155,3% nel 2020. Secondo un’analisi del Sole 24 Ore, questa diminuzione rappresenta la maggiore tra tutti i Paesi europei. Inoltre, c’è stato un aumento significativo della quota di debito pubblico detenuta dalle famiglie italiane, che ora ammonta al 73%. Questo aumento è stato favorito dall’acquisto di Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) da parte delle famiglie. Sebbene alcuni commentatori abbiano celebrato questa diminuzione come un successo del governo Meloni, è importante sottolineare che questa tendenza è in atto da diversi anni. Il primo calo significativo si è registrato tra il 2020 e il 2021, quando il rapporto debito-PIL è passato dal 154,9% al 147,1%. L’Italia si distingue anche per essere l’unica nazione del G7 a essere riuscita a ridurre il debito pubblico al netto della spesa per interessi negli ultimi 28 anni. Nonostante un aumento del deficit, il debito pubblico è in diminuzione, dimostrando che le teorie economiche basate sull’austerità non sono necessariamente efficaci. Inoltre, la diminuzione del debito pubblico negli ultimi quattro anni è avvenuta nonostante un aumento del deficit, contraddicendo le teorie economiche neoliberali. Durante gli anni del governo Monti, ad esempio, il debito pubblico è aumentato nonostante la politica di austerity.

BYOBLU – PERCHE’ IL DEBITO PUBBLICO STA SCENDENDO

Secondo l’Istat, il rapporto tra debito pubblico e PIL in Italia è in calo. Nel 2023, il rapporto si è attestato al 137,3%, rispetto al 140,5% del 2022, registrando una diminuzione significativa del 3%. Questo dato contraddice le convinzioni tradizionali sull’economia, sottolineando un’interessante correlazione: maggiore è il deficit dello Stato, minore è il rapporto debito pubblico/PIL. Negli ultimi anni, l’Italia ha mantenuto un deficit pubblico molto superiore al 3% imposto dal Trattato di Maastricht. Nel 2020 è stato del -9,4%, nel 2021 del -7,2%, nel 2022 del -8,6% e nel 2023 del -7,2%. Questi numeri dovrebbero sfidare le teorie dell’austerity, dimostrando che una spesa statale più elevata può effettivamente ridurre il debito pubblico. L’idea di un deficit elevato che riduce il debito pubblico si basa sull’effetto moltiplicatore della spesa pubblica sul PIL. Quando la spesa pubblica aumenta, si verifica un aumento del PIL, riducendo così il rapporto debito/PIL. Questi dati sembrano anche contraddire le affermazioni recenti di Giorgia Meloni riguardo a un presunto buco nel bilancio statale dovuto al “superbonus”. Tuttavia, la diminuzione del debito pubblico suggerisce che questo buco potrebbe non esistere e che, al contrario, l’iniezione di liquidità nell’economia tramite il superbonus potrebbe aver contribuito al calo del debito. Inoltre, c’è una tendenza positiva nel detenere il debito pubblico italiano: sempre più BOT e BTP sono nelle mani dei cittadini italiani. Nel novembre 2023, la quota detenuta da famiglie e imprese italiane ha superato i 320 miliardi, rappresentando il 13,4% del totale del debito, rispetto all’8,9% del 2022. Questo trend riduce i rischi di speculazione sul debito pubblico, trasformandolo da un peso a una fonte di ricchezza nazionale.

MONDO

SCENARIECONOMICI – L’INDIA STA PER SUPERARE IL GIAPPONE E RAGGIUNGERE IL QUARTO POSTO PER PRODOTTO INTERNO LORDO (DOPO USA, CINA E GERMANIA)

Secondo una recente stima del Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’India è in procinto di sorpassare il Giappone per quanto riguarda il Prodotto Interno Lordo (PIL), aprendo le porte a una nuova epoca economica in Asia. Questo spostamento di posizione collocherebbe l’India al quarto posto mondiale per PIL, dietro solo agli Stati Uniti, alla Cina e alla Germania. Tuttavia, anche Berlino dovrà fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento. Secondo le proiezioni del FMI, il PIL nominale dell’India dovrebbe raggiungere circa 4,3398 trilioni di dollari nel 2025, superando così il PIL giapponese stimato a 4,3103 trilioni di dollari nello stesso anno. Tale superamento avverrebbe con un anno di anticipo rispetto alle previsioni precedenti del FMI, che indicavano il 2026 come il momento del sorpasso. L’attuale deprezzamento dello yen giapponese sembra essere uno dei fattori che accelerano questo cambiamento, riducendo l’economia del Giappone in termini di dollari. Questo deprezzamento ha contribuito a eclissare il PIL giapponese rispetto a quello della Germania nel 2023, collocando il Giappone al quinto posto tra le economie mondiali. La rupia indiana, dal canto suo, è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al dollaro sin dall’inizio del 2023, mantenendo un tasso di cambio di circa 83 rupie per dollaro. Tuttavia, ci sono segnali che suggeriscono un intervento significativo della Reserve Bank of India nel mercato valutario, come osservato nel rapporto del FMI del dicembre 2023. La banca centrale indiana ha respinto le critiche del FMI riguardo a un possibile intervento eccessivo nel mercato valutario, sostenendo che le analisi si basavano su tendenze a breve termine e non riflettevano pienamente la situazione economica complessiva. L’ascesa economica dell’India è stata notevole negli ultimi anni, nonostante le sfide della pandemia COVID-19. Il Paese ha visto una crescita significativa, trainata in parte dall’espansione della sua popolazione. Le previsioni della Reserve Bank of India indicano una crescita reale del PIL del 7% nell’anno fiscale 2024. Nonostante questi successi, il PIL nominale pro capite dell’India si attesta ancora a circa 2.000 dollari, una frazione rispetto alla Cina e vicino al Bangladesh. Tuttavia, la classe media indiana è in espansione, e si prevede che l’India supererà la Germania per diventare la terza economia mondiale entro il 2027.

Altre notizie:

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WIRED/SCENARIECONOMICI – GLI ATTACCHI RUSSI ALLE INFRASTRUTTURE UCRAINE E QUELLI UCRAINI ALLE RAFFINERIE RUSSE STANNO CAUSANDO L’AUMENTO DEI PREZZI DI GAS E PETROLIO

Gli attacchi russi alle infrastrutture energetiche in Ucraina stanno avendo conseguenze significative sui mercati del gas in Europa. La Russia ha mirato ai depositi di stoccaggio di gas e alle centrali elettriche ucraine, provocando un aumento dei prezzi del gas nell’Unione europea. Questo è stato evidenziato dai recenti attacchi che hanno danneggiato gravemente la più grande centrale elettrica nella regione di Kyiv, insieme a due impianti di stoccaggio sotterraneo del gas ucraino. I bombardamenti russi hanno gravemente compromesso le infrastrutture energetiche ucraine, mettendo a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Europa. L’Ucraina continua ad essere un importante percorso di transito per il gas diretto in Europa, e ogni attacco russo contro gasdotti o depositi ha conseguenze dirette sui prezzi del gas. Secondo quanto riportato, gli attacchi russi hanno comportato danni significativi alle infrastrutture, con l’impiego di oltre 80 missili e droni. Questi attacchi hanno colpito non solo le infrastrutture, ma anche la popolazione, lasciando molte persone senza energia elettrica. Nonostante i danni, le strutture sono ancora operative, ma gli effetti a lungo termine degli attacchi rimangono da valutare. Le raffinerie russe sono state anch’esse oggetto di attacchi da parte dell’Ucraina, con il potenziale di scuotere i mercati globali del carburante. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha espresso preoccupazione riguardo alla possibilità che gli attacchi alle raffinerie russe possano influenzare negativamente i mercati del petrolio a livello globale. Si teme che fino a 600.000 barili al giorno di capacità di raffinazione della Russia potrebbero essere offline nel secondo trimestre a causa degli attacchi ucraini. Questi attacchi hanno già comportato una riduzione della produzione russa di benzina e hanno sollevato preoccupazioni per un potenziale aumento dei prezzi del petrolio a livello mondiale. Gli Stati Uniti hanno esortato l’Ucraina a fermare gli attacchi contro le raffinerie russe, temendo ritorsioni da parte della Russia e un ulteriore aumento dei prezzi del petrolio. L’Ucraina, d’altra parte, ha difeso le sue azioni come legittime risposte agli attacchi russi alle infrastrutture energetiche ucraine. Tuttavia, gli attacchi hanno causato danni significativi alle raffinerie russe e potrebbero avere ripercussioni sul mercato globale del petrolio e dei prodotti petroliferi.

ILGIORNALE – LA RUSSIA SEQUESTRA 440 MILIONI DI DOLLARI ALLA BANCA STATUNITENSE JP MORGAN CHASE

Un tribunale russo ha emesso un ordine di sequestro di 439,5 milioni di dollari di JP Morgan Chase, la più grande banca statunitense, su richiesta del VTB Bank, un istituto di credito statale russo. Questo sequestro dei fondi è avvenuto in risposta al congelamento dei conti russi di JPMorgan negli Stati Uniti in seguito alle sanzioni imposte dagli USA dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. L’ordine del tribunale russo include anche il sequestro di beni mobili e immobili, tra cui la partecipazione di JP Morgan in una filiale russa. Questa decisione è giunta dopo che VTB ha intentato una causa presso un tribunale arbitrale di San Pietroburgo, chiedendo il risarcimento dei fondi congelati e una compensazione per il fatto che JPMorgan ha annunciato la sua intenzione di uscire dalla Russia. Questo caso mette JP Morgan di fronte alla possibilità di perdere quasi mezzo miliardo di dollari per aver rispettato le sanzioni statunitensi. Tuttavia, la banca americana ha cercato di bloccare gli sforzi di VTB sostenendo che la clausola contrattuale stabiliva che le controversie dovessero essere risolte davanti ai tribunali statunitensi, mentre VTB ha cercato una sede più favorevole in Russia. Nonostante il potenziale rischio finanziario per JP Morgan, le azioni della banca sono rimaste stabili dopo la notizia. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che, in situazioni in cui le perdite sono causate da direttive nazionali in mercati esteri, è comune che le autorità o le compensazioni vengano fornite per ridurre l’impatto economico sugli operatori coinvolti. I sequestri di fondi, come in questo caso, possono essere la base per richiedere rimborsi o compensazioni.

MILANOFINANZA – LA RUSSIA CRESCERA’ PIU’ DI TUTTE LE ECONOMIE AVANZATE

Secondo gli aggiornamenti di aprile del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Russia prevede di registrare la crescita economica più significativa tra tutte le economie avanzate del mondo nel 2024. L’FMI stima che la Russia crescerà del 3,2%, superando Stati Uniti, Germania, Francia, Italia e Regno Unito. Queste previsioni rappresentano un notevole cambiamento rispetto alle aspettative precedenti. Le stime economiche dell’FMI smentiscono le previsioni pessimistiche del blocco atlantico. In passato, diversi leader e media occidentali avevano annunciato che le sanzioni euro-atlantiche avrebbero avuto un impatto devastante sull’economia russa, soprattutto in relazione al finanziamento della guerra in Ucraina. Tuttavia, l’FMI ha ribaltato queste previsioni, rilevando una crescita economica più robusta per la Russia. L’aumento del PIL russo si attribuisce a diversi fattori. Gli investimenti delle imprese statali e aziendali, insieme alla solidità dei consumi privati e alle robuste esportazioni di petrolio, hanno contribuito a sostenere la crescita economica del paese. Nonostante le sanzioni, il commercio di petrolio russo continua a fluire verso mercati come il Regno Unito, grazie alle raffinerie di paesi come India e Cina che riforniscono direttamente l’Occidente. Tuttavia, l’efficacia delle sanzioni euro-atlantiche è stata messa in discussione. Le sanzioni, concepite per isolare l’economia russa, sembrano essere state aggirate dalle stesse compagnie occidentali attraverso scappatoie legali. Questo ha contribuito a mantenere alto il flusso di petrolio russo verso l’Occidente, generando profitti che hanno finito per sostenere l’economia russa anziché indebolirla. Le previsioni economiche dell’FMI indicano che le economie avanzate del G7, tra cui Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti, prevedono una crescita economica inferiore rispetto alla Russia nel 2024 e nel 2025. Questi dati mettono in evidenza una svolta significativa nei rapporti economici globali e sollevano domande sulle strategie economiche e politiche del blocco euro-atlantico.

SCENARIECONOMICI – CLASS ACTION MILIARDARIA CONTRO BARCLAYS

Un giudice statunitense ha ordinato che Barclays affronti un’azione legale collettiva da parte degli azionisti, accusando la banca britannica di frode mobiliare in relazione alla vendita eccessiva di titoli di debito, superando i limiti imposti dalle autorità di regolamentazione. Questa decisione segue le rivelazioni del 2022, quando è emerso che Barclays aveva emesso e venduto una quantità significativa di “Structured notes”, titoli di debito collegati a mercati specifici, superando notevolmente i limiti federali di emissione. Il giudice distrettuale degli Stati Uniti, Katherine Polk Failla, ha stabilito che gli azionisti hanno dimostrato in modo soddisfacente che Barclays ha omesso di comunicare l’assenza di controlli interni che avrebbero potuto individuare le vendite eccessive di debito per un periodo di cinque anni. Failla ha anche permesso agli azionisti di provare che Barclays e alcuni funzionari, incluso l’ex CEO Jes Staley, sono stati negligenti nel garantire il rispetto delle leggi federali sui titoli durante la vendita eccessiva di debito. La causa legale è stata avviata dopo che Barclays ha rivelato di aver venduto 15,2 miliardi di dollari in più di titoli strutturati nei cinque anni precedenti rispetto ai limiti autorizzati dalle autorità di regolamentazione statunitensi. Successivamente, la banca ha aumentato l’importo in eccesso a 17,7 miliardi di dollari e ha offerto di riacquistare il debito in eccesso. Nella sua decisione, Failla ha sottolineato che Barclays potrebbe essere citata in giudizio per le sue dichiarazioni che implicavano un solido sistema di controllo interno e il rispetto degli standard normativi, poiché il sistema di monitoraggio delle vendite del debito non solo non funzionava, ma semplicemente non esisteva. Tuttavia, il giudice ha anche stabilito che gli azionisti non possono intentare una causa per frode in titoli per le dichiarazioni rilasciate da Barclays dopo la scoperta delle emissioni eccessive. L’azione legale riguarda gli azionisti che hanno subito perdite a causa delle vendite eccessive di titoli di Barclays in un determinato periodo, e i risparmiatori che si sono sentiti defraudati dei loro investimenti hanno ottenuto il diritto di intraprendere azioni legali contro la banca. Jes Staley si è dimesso dalla carica di CEO di Barclays nel novembre 2021. La banca dovrà ora affrontare le conseguenze legali di queste vendite eccessive di debito, con la prospettiva di compensare gli azionisti che hanno subito perdite a causa di tali pratiche discutibili.

SCENARIECONOMICI – ITALIA MEGLIO DELLA GERMANIA: PRODUZIONE INDUSTRIALE CRESCE SU BASE MENSILE

La produzione industriale italiana cresce a dicembre su base mensile, in controtendenza rispetto alle attese e alle performance di altri paesi europei come la Germania. I dati Istat mostrano un aumento dell’1,1% rispetto a novembre, ribaltando il calo dell’1,3% rivisto del mese precedente. Le stime degli analisti indicavano una crescita più contenuta, dello 0,9%. Il rimbalzo è stato trainato dai beni di consumo (+3% vs -1,6%), in particolare quelli durevoli (+4,3%). Segno positivo anche per i beni strumentali (+1,6% vs 0%) e i beni intermedi (+0,8% vs -1,8%). Il calo dei beni energetici è stato più contenuto rispetto a novembre (-2% vs -4,1%). Ancora più interessante è il confronto con la Germania: a dicembre, l’Italia ha registrato una crescita mensile della produzione industriale dell’1,1%, mentre la Germania ha subito un calo dell’1,6%. Tuttavia, su base annua la produzione industriale italiana è in calo del 2,1% a dicembre, segnando l’11° periodo consecutivo di lettura negativa. Si tratta comunque del calo più contenuto da settembre. Nel 2023 la produzione è scesa del 2,5% rispetto all’aumento dello 0,4% del 2022.

LASTAMPA – CROLLA LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN GERMANIA

La Germania affronta una grave crisi economica, con la produzione industriale in crollo e tensioni politiche all’interno del governo di Olaf Scholz. Il ministro delle finanze Lindner ha ammesso la perdita di competitività del Paese, mentre il ministro dell’Economia Habeck ha proposto una riforma fiscale per alleggerire il carico sulle imprese tedesche, ma è stata respinta da Scholz. Dopo una recessione nel 2023, la Germania continua a registrare segnali negativi, con un declino delle esportazioni e una contrazione del PIL nel quarto trimestre del 2023. La crisi economica, exacerbata dai costi energetici elevati, ha causato proteste e tensioni sociali, aumentando la pressione sul governo. Le esportazioni tedesche sono diminuite significativamente verso l’UE e i paesi extra-UE, mentre i settori industriali chiave hanno subito contrazioni, ad eccezione dell’industria automobilistica. La produzione manifatturiera è diminuita sia su base mensile che annuale, con un calo particolarmente significativo nei settori ad alta intensità energetica. Le sfavorevoli congiunture internazionali, l’inflazione e le sanzioni alla Russia hanno contribuito alla recessione tedesca, aumentando i costi energetici e deprimendo la domanda interna ed estera. La dipendenza energetica dalla Russia è stata sostituita con il gas naturale liquefatto (GNL) americano, aumentando i costi per l’industria tedesca. La crisi economica tedesca ha impatti negativi sull’intera economia dell’eurozona, con una crescita rivista al ribasso rispetto alle stime precedenti. Il morale delle aziende tedesche è crollato, mentre il settore dei servizi ha registrato una diminuzione dell’attività commerciale.

SCENARIECONOMICI – IL 2024 SARA’ RECESSIONE IN EUROPA

Le prospettive economiche dell’Europa nel 2024 preannunciano un anno difficile. Gli indicatori previsionali manifatturieri, conosciuti come PMI, sono ampiamente negativi per i paesi europei. Se inferiori a 50, indicano contrazione, con tutti i paesi elencati al di sotto di questa soglia, alcuni come la Francia e i Paesi Bassi in peggioramento. La situazione è preoccupante: l’attuale accordo sulle norme di bilancio europee impone vincoli stringenti alle politiche fiscali espansive, limitando i deficit al massimo all’1% del PIL per quasi tutti i paesi. Queste restrizioni rendono impossibile qualsiasi politica anticiclica, obbligando a tagli e aumenti delle tasse che potrebbero accentuare la crisi piuttosto che contrastarla. L’esperienza della crisi del 2011-2014 non sembra aver influenzato le decisioni attuali. La BCE, che aveva adottato una posizione attiva con il Quantitative Easing dal 2015, potrebbe avere un ruolo limitato. Con orientamenti restrittivi da parte di alcune istituzioni e una direzione della BCE priva di un economista alla guida, le prospettive di interventi tempestivi sono scarse. Questo scenario non implica necessariamente un impatto negativo sui mercati finanziari, che seguono logiche separate. Tuttavia, l’economia reale rischia di soffrire, con previsioni negative sull’occupazione e sul PIL per tutto il 2024. Le prospettive avverse potrebbero non essere sufficienti a modificare le politiche attualmente adottate.

MERCATO TUTELATO E LIBERO

LEGGO – CRC: CHI PASSA AL MERCATO LIBERO SI RITROVERA’ A PAGARE 1.776 EURO ANNUI IN PIU’

Secondo quanto riportato dal Centro di formazione e ricerca sui consumi (Crc), chi attiverà oggi un servizio di fornitura sul mercato libero dell’energia elettrica potrebbe vedersi infliggere un aumento fino a 1.776 euro all’anno rispetto alla bolletta media del Servizio a Tutele Graduali, che entrerà in vigore il 1 luglio. Il confronto delle offerte dei 7 gestori vincitori delle aste dell’Acquirente Unico per il Servizio a Tutele Graduali, rappresentanti il 70,49% del mercato, ha rivelato che le tariffe del mercato libero sono significativamente più elevate. I clienti che non scelgono un operatore del mercato libero passeranno automaticamente dal Maggiore Tutela al Servizio a Tutele Graduali, godendo di un risparmio stimato di circa 131 euro all’anno a utenza rispetto alle attuali tariffe del mercato tutelato. Tuttavia, per coloro che optano per il mercato libero, le differenze di prezzo sono evidenti. Chi sceglie un’offerta a prezzo variabile può aspettarsi un aumento annuo che va da un minimo di 162 euro a un massimo di 573 euro rispetto alle tutele graduali. Nel caso di un contratto a prezzo fisso, le tariffe sono ancora più alte, con un aumento annuo che varia da un minimo di 204 euro a un massimo di 1.776 euro rispetto alla bolletta media del Servizio a Tutele Graduali. Secondo il presidente del comitato scientifico del Crc e presidente onorario di Assoutenti, Furio Truzzi, questa situazione rappresenta un “doppio assurdo paradosso”, con i clienti del mercato libero che pagheranno tariffe più elevate rispetto alle tutele graduali, anche scegliendo lo stesso gestore. Inoltre, gli utenti vulnerabili che rimangono nel mercato tutelato subiranno un aumento medio di 131 euro all’anno rispetto al Servizio a Tutele Graduali. Truzzi ha anche sottolineato che coloro che sono passati al mercato libero e desiderano beneficiare delle tutele graduali a partire dal 1 luglio dovranno rientrare nella Maggior Tutela entro il 30 giugno, poiché non è previsto un passaggio diretto dal libero al Servizio a Tutele Graduali.

Altre notizie:

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SKYTG24 – FINE DEL MERCATO TUTELATO PER LE BOLLETTE DEL GAS

Il 31 dicembre 2023 è terminato ufficialmente il mercato tutelato del gas per gli utenti non vulnerabili, che rappresentano oltre 5 milioni di famiglie italiane. A partire da oggi, questi utenti sono quindi passati automaticamente al mercato libero, dove possono scegliere tra le offerte di diversi fornitori. Per chi ancora avesse dei dubbi se si trova nel mercato tutelato o nel mercato libero, va ricordato come spesso sia sufficiente vedere se la bolletta del gas riporta la dicitura “servizio di maggior tutela” oppure “mercato libero”. Restano nel mercato tutelato i clienti che hanno più di 75 anni, che vivono in condizioni economiche svantaggiate, che sono in gravi condizioni di salute, che hanno un’utenza in una struttura abitativa di emergenza a seguito di eventi calamitosi o che hanno un’utenza in un’isola minore non interconnessa. Chi deve cambiare fornitore ma resta nel tutelato passa automaticamente alla tariffa Placet, che è una tariffa a prezzo libero ma con condizioni equiparate a quelle del mercato tutelato. Lo stesso discorso varrà per le utenze luce a partire da luglio, dopo il quale si passerà servizio a tutele graduali (Stg), che avrà durata di tre anni. Se si ha la domiciliazione bancaria delle bollette, è importante verificare che il nuovo fornitore sia in grado di gestire il RID. In caso contrario, sarà necessario modificare l’intestatario del conto corrente. Il portale ufficiale di Arera, il gestore dei servizi energetici, mette a disposizione un comparatore di offerte per il mercato libero del gas. Secondo Consumerismo e Assium, sul mercato libero del gas sono più convenienti i contratti a prezzo variabile rispetto a quelli a prezzo fisso. Secondo i dati di Arera, ad oggi i clienti vulnerabili sono 4,5 milioni. Per le utenze luce, il 72% dei clienti domestici è già nel mercato libero, mentre per le utenze gas la percentuale è del 70%.

ADNKRONOS – BOLLETTA DELLA LUCE: SLITTA AL 1° LUGLIO 2024 LA FINE DEL MERCATO TUTETALO

L’Autorità per l’Energia (Arera) annuncia lo slittamento, al 1° luglio 2024 anziché il previsto 1° aprile, della fine del mercato tutelato dell’energia elettrica. Tale decisione influenzerà le bollette della luce. Questo ritardo deriva dal decreto energia 181/23, volto a garantire un’evoluzione coerente del processo di fine tutela per i clienti domestici non vulnerabili all’elettricità. L’introduzione del Servizio a Tutele Graduali (Stg), destinato ai clienti domestici non vulnerabili dell’elettricità che non avranno ancora aderito al mercato libero al termine del periodo di tutela, avverrà nell’estate successiva. Arera ha già posticipato al 10 gennaio l’esecuzione delle aste per la selezione degli operatori del servizio. Queste decisioni rispondono a diverse necessità legate al decreto, tra cui informare i clienti tramite campagne informative e predisporre le attività preparatorie per il Servizio a Tutele Graduali. Il Codacons ha chiesto anche il prolungamento della fine del mercato tutelato del gas, previsto per il 10 gennaio, citando la confusione e il rischio per i consumatori. Il presidente Rienzi ha sollecitato un’unica data di fine tutela e una campagna informativa intensiva per assistere i consumatori in questo passaggio cruciale.

SUPERBONUS

SKYTG24 – APPROVATO IN VIA DEFINITIVA IL DECRETO SUL SUPERBONUS: NIENTE SGRAVIO E RATE IN 10 ANNI

La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto legge sul Superbonus, trasformandolo in legge. Con 150 voti favorevoli e 109 contrari, il governo ha ottenuto la fiducia necessaria per procedere con le modifiche. Il Superbonus, come voluto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è stato modificato principalmente per quanto riguarda la dilazione delle rate, che ora saranno spalmate su dieci anni invece di quattro, per tutte le spese sostenute a partire da gennaio 2024. Questa modifica, con effetto retroattivo, è stata oggetto di accese discussioni. Inoltre, a partire da gennaio 2025, sarà vietata la compensazione per banche e assicurazioni dei crediti da bonus edilizi con i contributi Inps e Inail. Virginio Merola del Partito Democratico ha criticato duramente il decreto, definendolo dannoso per famiglie e imprese, e accusando il governo di incompetenza e di favorire l’evasione fiscale con scelte inadeguate. Luigi Marattin di Italia Viva ha espresso la sua contrarietà, evidenziando come la stretta sul Superbonus danneggi cittadini, imprese e banche per un beneficio finanziario minimo. Ha inoltre criticato la gestione del governo riguardo alle previsioni di spesa del Superbonus per il 2023, definendole erronee di 40 miliardi di euro. Tommaso Foti di Fratelli d’Italia ha dichiarato che con l’approvazione del decreto si chiude la stagione dei bonus edilizi, che secondo lui hanno danneggiato i conti dello Stato togliendo risorse a settori cruciali come scuola, sanità e pensioni. Foti ha sostenuto che la misura consentirà di dare respiro alla finanza pubblica, arginando frodi e speculazioni. Laura Cavandoli della Lega ha affermato che il decreto ha messo fine a una misura fuori controllo e che ha costato molto in termini di deficit. Ha sottolineato che il bonus ha riguardato solo il 4% del patrimonio edilizio e generato appena l’1% del Pil, criticando la sua promozione da parte del Movimento 5 Stelle. Cavandoli ha inoltre espresso la sua opposizione alla direttiva europea sulle case green, considerandola insostenibile sia economicamente che ambientalmente.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
PAGELLAPOLITICA – LE TRUFFE DEI BONUS EDILIZI HANNO RAGGIUNTO I 15 MILIARDI DI EURO

Durante un’audizione alla Commissione Finanze del Senato, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha riferito che i crediti d’imposta relativi ai bonus edilizi coinvolti in frodi ammontano complessivamente a circa 15 miliardi di euro. Di questi, 8,6 miliardi sono stati sottoposti a sequestro preventivo dall’autorità giudiziaria, mentre 6,3 miliardi sono stati esclusi dalla piattaforma della cessione dei crediti. Il Superbonus 110%, introdotto nel 2020 con il decreto “Rilancio” del governo Conte, permette ai beneficiari di ottenere un rimborso pari al 110% delle spese sostenute per interventi di efficientamento energetico o adeguamento antisismico degli immobili, sotto forma di credito d’imposta. Questi soldi vengono restituiti gradualmente con uno sconto sulle tasse versate annualmente all’erario. Il meccanismo della cessione del credito d’imposta è stato successivamente introdotto per agevolare ulteriormente i beneficiari, consentendo loro di trasferire il credito a terzi, come aziende edili o istituti finanziari. Tuttavia, nel tempo, tale meccanismo è stato sfruttato per frodare il fisco. Alcuni soggetti hanno ceduto crediti relativi a lavori edilizi mai effettuati, sia per complicità che per errore. Dei 15 miliardi di euro di frodi individuati dall’Agenzia delle Entrate, non tutti i crediti sono stati utilizzati per pagare meno tasse. Circa 8,6 miliardi di euro sono stati sequestrati prima di essere utilizzati, mentre una parte dei restanti 6,3 miliardi è stata già utilizzata. Secondo i dati più recenti, i crediti d’imposta relativi ai bonus edilizi oggetto di cessione o sconto in fattura tra ottobre 2020 e aprile 2024 ammontano a circa 219 miliardi di euro, di cui 160,3 miliardi riguardano il Superbonus e 58,7 miliardi gli altri bonus edilizi. Il valore delle frodi, pari a 15 miliardi di euro, rappresenta quasi il 7% del totale dei crediti. A febbraio 2022, l’Agenzia delle Entrate aveva segnalato che il Superbonus rappresentava solo il 3% delle frodi scoperte fino a quel momento. Con l’aumento dei crediti maturati, tuttavia, il numero di frodi è triplicato. Al momento, non sono disponibili dati disaggregati sulle frodi relative a specifici bonus come il Superbonus e il bonus “Facciate”.

ADNKRONOS – COM’E’ CAMBIATO IL SUPERBONUS DOPO IL DECRETO DEL GOVERNO

Dopo la scadenza del 4 aprile scorso, fissata dal Governo per l’interruzione dello sconto in fattura e della cessione del credito per i bonus edilizi, molti cittadini si chiedono cosa possano fare se hanno avviato lavori ma non hanno ancora presentato la documentazione necessaria. Il Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati, tramite il consigliere nazionale Paolo Biscaro, fornisce alcune risposte. Per coloro che hanno iniziato i lavori di ristrutturazione edilizia nel 2023 e hanno ricevuto almeno una fattura per i lavori, pagata entro il 4 aprile 2024, continua ad essere valida la normativa precedente. Questi cittadini possono ancora usufruire dell’agevolazione del 70%, nonostante non abbiano presentato la documentazione entro la scadenza del 4 aprile 2024. Tuttavia, se hanno ricevuto almeno una fattura ma il pagamento non risulta effettuato, sono soggetti alle restrizioni previste dal nuovo decreto n. 39/2024 approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 marzo 2024. Secondo questo nuovo decreto, non è possibile apportare correzioni o integrazioni alla documentazione. Il termine del 4 aprile 2024 era importante perché segnava la scadenza per inviare all’Agenzia delle Entrate la comunicazione relativa alla scelta tra la cessione del credito e lo sconto in fattura, alternativamente alla fruizione diretta del Superbonus o degli altri bonus edilizi. Questa comunicazione includeva tutta la documentazione tecnica e fiscale necessaria, da trasmettere attraverso la piattaforma tecnologica messa a disposizione dall’Enea. Per coloro che hanno ricevuto almeno una fattura per i lavori e che risulta pagata, è ancora possibile inviare la documentazione e usufruire dell’agevolazione del 70%. È importante ricordare che il Superbonus copre diversi interventi di efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico, con diverse percentuali di detrazione a seconda della data di esecuzione dei lavori. Tuttavia, non è più possibile modificare i dati fiscali trasmessi. Questa restrizione è stata introdotta per proteggere la finanza pubblica nel settore delle agevolazioni fiscali in materia edilizia e di efficienza energetica. Al momento, non è possibile stimare quanti cittadini abbiano avviato i lavori ma non hanno ancora presentato la documentazione entro il 4 aprile 2024. Questi dati potrebbero essere resi noti solo dallo Stato, quale unico soggetto tenutario delle informazioni pertinenti.

ILFATTOQUOTIDIANO – GOVERNO APPROVA NUOVE LIMITAZIONI PER IL SUPERBONUS

Il Consiglio dei Ministri ha annunciato l’approvazione di un nuovo decreto-legge riguardante il Superbonus, introducendo importanti limitazioni che influenzeranno i beneficiari di questa misura. Tale provvedimento ha eliminato la possibilità di utilizzare gli “sconti in fattura” e la “cessione del credito”, oltre a stabilire una scadenza per le correzioni ai piani dei lavori. Il nuovo decreto, presentato dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è stato deciso per affrontare i costi eccessivi legati al Superbonus, i quali risultano essere superiori alle stime del Ministero dell’Economia. In particolare, sono state cancellate le opzioni di “sconti in fattura” e “cessione del credito”, e la possibilità di apportare modifiche ai piani dei lavori è stata limitata fino al 15 ottobre 2024. In precedenza, era permesso apportare modifiche con il pagamento di sanzioni limitate. Il Superbonus, introdotto nel maggio 2020, prevedeva inizialmente un rimborso del 110% delle spese sostenute per i lavori, ridotto successivamente al 90% nel 2023 e al 70% nel 2024. L’opzione di detrazione fiscale era la modalità principale per ottenere il rimborso, mentre le altre opzioni di cessione del credito erano state eliminate in precedenza. Una delle novità introdotte riguarda la necessità di inviare una comunicazione preventiva all’inizio dei lavori per tutti coloro che intendono usufruire del Superbonus. Questa misura mira a controllare i costi dei lavori, che in precedenza diventavano noti solo dopo che le fatture venivano caricate sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate. Il Ministro Giorgetti ha sottolineato che l’obiettivo del governo è quello di ridurre l’eccessiva generosità del Superbonus, che ha causato problemi alle finanze pubbliche. Ha dichiarato che i costi sono già elevati e che avranno un impatto significativo sul bilancio dello Stato per molti anni a venire.

REPUBBLICA – SUPERBONUS: APPROVATA “SANATORIA” PER CHI NON HA COMPLETATO I LAVORI ENTRO IL 2023

Il Senato ha approvato definitivamente il decreto-legge sul Superbonus, introducendo alcune importanti modifiche rispetto alla versione originale. La nuova legge include una sanatoria per chi non ha completato i lavori entro il 2023 e un sostegno per le famiglie con redditi bassi. Il Superbonus è un’agevolazione fiscale che prevede il rimborso di una parte delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia che migliorano l’efficienza energetica di case e condomìni. La misura è stata introdotta nel 2020 e ha avuto un grande successo, con l’avvio di numerosi cantieri in tutto il paese. Tuttavia, la complessità del sistema di cessione del credito e le modifiche introdotte a febbraio 2023 hanno creato diverse difficoltà, bloccando molti cantieri e creando contenziosi tra privati e imprese edili. La nuova legge interviene su questi aspetti: Sanatoria: chi ha avviato i lavori con il Superbonus al 110% o al 90% e non li ha completati entro il 2023 non dovrà restituire gli incentivi già ricevuti, anche se non ha migliorato l’efficienza energetica dell’abitazione. Sostegno alle famiglie con redditi bassi: un fondo da 16 milioni di euro (ampliabile) coprirà le spese sostenute da famiglie con ISEE inferiore a 15mila euro che hanno già svolto almeno il 60% dei lavori. ANCE, l’Associazione nazionale costruttori edili, critica la sanatoria perché non impone di terminare i lavori entro un certo periodo, incentivando l’abbandono dei cantieri e non risolvendo i contenziosi tra privati e imprese. La copertura finanziaria del sostegno alle famiglie con redditi bassi è considerata insufficiente.

ILFATTOQUOTIDIANO – LE NOVITA’ SUL SUPERBONUS

Il decreto del 28 dicembre, emanato dal Consiglio dei Ministri. Il contributo del Fondo povertà, che avrebbe dovuto sostenere coloro che avevano avviato interventi puntando sul Superbonus ma rischiano ora di ottenere solo una detrazione del 70%, sarà calcolato non in base all’Isee ma al quoziente familiare. La nuova regola considererà il reddito di riferimento, calcolato sommando i redditi dei richiedenti e dei loro familiari, diviso per un coefficiente che varia in base al numero di componenti del nucleo familiare. Questa formula potrebbe coinvolgere anche famiglie con entrate di 60.000 euro e cinque membri, aprendo la possibilità di accesso a persone con redditi in apparenza più elevati. Tuttavia, la disponibilità di risorse per questo fondo è critica. Attualmente, solo 16 milioni di euro sono stati stanziati, sufficienti solo per una parte minima (0,3%) dei lavori in corso. Il decreto stabilisce che il contributo sarà erogato “nei limiti delle risorse disponibili”, senza fornire chiari criteri o modalità di assegnazione. Si attende un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze entro sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto stesso. Il testo conferma la sanatoria per i lavori certificati entro dicembre 2023, consentendo loro di continuare a beneficiare del Superbonus anche se non completati entro la data e confermando che il credito fiscale non dovrà essere restituito. Tuttavia, si esclude il requisito di miglioramento energetico, inizialmente previsto come uno degli obiettivi principali. Altre importanti modifiche includono la riduzione del bonus al 70% a partire dal 2024 e limitazioni per il bonus del 75% per interventi di accessibilità: saranno considerati solo i lavori su scale, rampe, ascensori e simili, escludendo serramenti e automazioni di impianti. Inoltre, l’opzione di cessione del credito, precedentemente concessa, sarà cancellata dall’1 gennaio 2024, fatta eccezione per alcuni casi specifici come gli interventi su parti comuni dei condomini e situazioni con disabili nel nucleo familiare.

ILSOLE24ORE – IL SUPERBONUS SCENDE DA 110% A 70%

Dal 2024, il Superbonus subisce nuovi cambiamenti, avvicinandosi alla sua chiusura definitiva. L’agevolazione scende al 70% e nel 2025 ulteriormente al 65%, limitando i benefici alle sole abitazioni condominiali. La maxi-agevolazione, nata durante l’emergenza Covid, si ridimensiona progressivamente: il 110% sarà mantenuto solo nelle zone sismiche. Il 70% sarà applicato alle spese fino a 40.000 euro per l’isolamento termico delle parti comuni dei condomini. L’Ecobonus resterà attivo solo per i lavori il cui titolo edilizio è stato presentato entro il 16 febbraio 2023. La detrazione del 50% rimane valida per la sostituzione di serramenti, schermature solari e caldaie a biomassa fino a 60.000 euro di spesa. Il Sismabonus per la sicurezza antisismica è prorogato con una detrazione del 50% fino a 96.000 euro per unità immobiliare. Si conferma il bonus del 36% per la sistemazione di aree verdi, mentre il bonus per l’abbattimento delle barriere architettoniche resta attivo fino al 2025, offrendo un’agevolazione del 75%. Cambiamenti nel bonus per acquisti di mobili e grandi elettrodomestici, con il tetto massimo di spesa che scende da 8.000 a 5.000 euro nel 2024.

LAVORO

AGI – IN ITALIA CHIUSI 140 MILA NEGOZI IN 10 ANNI

In dieci anni, dal 2014 al 2024, in Italia sono scomparse oltre 140.000 imprese del commercio al dettaglio in sede fissa, tra cui quasi 46.500 attività di vicinato come negozi alimentari, edicole, bar e distributori di carburante. Il dato è stato diffuso dalla Confesercenti durante l’assemblea nazionale dell’associazione, tenutasi al Teatro Eliseo di Roma. La presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise, ha messo in evidenza come il fenomeno della desertificazione commerciale colpisca soprattutto i piccoli centri, le aree interne e rurali, ma anche molte zone urbane. “Il rilancio delle imprese del territorio è un altro dei fronti su cui concentrare l’azione di governo”, ha dichiarato. De Luise ha spiegato che la chiusura di così tanti esercizi commerciali non è solo un problema economico, ma ha anche un forte impatto sociale: “Questa perdita di punti di accesso ai servizi essenziali riduce la qualità della vita della popolazione e contribuisce a rafforzare la tendenza al declino demografico di vaste aree territoriali”. Secondo la presidente, per contrastare questo fenomeno sono necessari investimenti e politiche mirate: “Dobbiamo avviare iniziative per la resilienza della rete di imprese di vicinato. Per chi apre nelle aree desertificate, un regime agevolato accompagnato da semplificazioni burocratiche è da ritenersi prioritario”. Un altro punto critico riguarda le distorsioni alla concorrenza tra i piccoli negozi e i giganti del commercio online. Patrizia De Luise ha sottolineato come eventi come il Black Friday stiano penalizzando gravemente il commercio tradizionale: “Ci sono enormi distorsioni nella concorrenza tra giganti del web e imprese di vicinato”. Ha poi spiegato il meccanismo dietro questa giornata di sconti: “Il Black Friday è diventato sinonimo di vendite promozionali e sconti. Una tradizione nordamericana, importata dai giganti del commercio online per assaltare la diligenza del mercato natalizio. L’obiettivo delle piattaforme web è quello di anticipare gli acquisti dei regali di Natale, facendoli concentrare in un periodo utile per garantire le consegne, sottraendo, chiaramente, quote di mercato a negozi e retail offline”. Confesercenti, in collaborazione con IPSOS, ha condotto un sondaggio per misurare l’interesse degli italiani verso il Black Friday: L’86% degli intervistati ha dichiarato di voler valutare le offerte. Il 44% ha già deciso cosa acquistare. Secondo De Luise, il Black Friday si sta trasformando in uno degli eventi promozionali più rilevanti dell’anno, superando in molti casi le tradizionali vendite di fine stagione: “Si sta configurando come uno degli eventi promozionali commerciali più importanti dell’anno, dal valore paragonabile – se non superiore – a quello delle vendite di fine stagione. Quasi un terzo tempo di queste, dei veri e propri saldi autunnali, non limitati all’abbigliamento, che però rischiano di prosciugare il Natale dei negozi”. Le previsioni indicano che oltre il 70% degli acquirenti userà il Black Friday per comprare regali di Natale, con uno su quattro intenzionato a comprare oltre metà dei doni programmati. Complessivamente, si stima che più di un terzo dei regali natalizi sarà acquistato durante il Black Friday, con una netta prevalenza degli acquisti effettuati online: 6 acquisti su 10 avverranno tramite piattaforme web. Il resto sarà concentrato presso grandi catene e negozi monobrand. Alla luce di questi dati, Confesercenti chiede misure concrete per ridurre le disuguaglianze nella competizione tra il commercio tradizionale e le piattaforme online, sottolineando l’urgenza di supportare le imprese di vicinato attraverso agevolazioni e politiche mirate a sostenerne la sopravvivenza e la crescita.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
ANSA – INAIL: NEL 2023 CI SONO STATI 1.147 INCIDENTI MORTALI SUL LAVORO (-9,5%)

Nel 2023, l’INAIL ha registrato oltre 590.000 infortuni sul lavoro, con una diminuzione del 16,1% rispetto ai circa 704.000 del 2022. Di questi, 1.147 hanno avuto esito mortale, segnando una riduzione del 9,5% rispetto ai 1.268 decessi dell’anno precedente. Questi dati sono stati riportati nella relazione annuale dell’Istituto. Degli infortuni denunciati, 375.578 sono stati riconosciuti come incidenti sul lavoro, pari al 64% delle denunce totali. Di questi, il 18,1% è avvenuto “fuori dall’azienda”, ovvero durante il tragitto casa-lavoro o a causa di incidenti con mezzi di trasporto. Attualmente, sono stati accertati 550 decessi sul lavoro, il 48% delle denunce, di cui oltre la metà (52,2%) si è verificata “fuori dall’azienda”. Inoltre, le denunce di malattie professionali sono aumentate a oltre 72.000, con un incremento del 19,8% rispetto al 2022. Il calo degli infortuni nel 2023 è stato influenzato dalla pandemia, che nel 2022 aveva portato a un numero elevato di contagi professionali denunciati. La riduzione reale degli infortuni, al netto dell’effetto Covid, si attesta a -0,6%. Rispetto al 2019, anno pre-pandemia, la diminuzione è di circa il 9%. Per quanto riguarda i casi mortali, l’emergenza sanitaria non ha avuto un impatto significativo come nel biennio 2020-2021. Tra i settori con il maggior numero di decessi si trovano le Costruzioni (176 casi), il Trasporto e magazzinaggio (125 decessi) e il comparto manifatturiero (111 decessi). Oltre un terzo degli infortuni e un decesso su dodici riguardano lavoratrici donne. La fascia di età più colpita per le denunce di infortunio è quella tra i 40 e i 64 anni, mentre per i decessi la fascia predominante è quella tra i 50 e i 64 anni. Quasi otto infortuni su dieci riguardano lavoratori italiani (in calo del 18,9%), mentre il 17% degli infortuni coinvolge extracomunitari (-0,2%) e il 4% comunitari (-13,7%). Anche per quanto riguarda i decessi, circa l’80% riguarda lavoratori italiani (-9,1%), il 15% extracomunitari (-8,2%) e il 4% comunitari (-20,3%). La diminuzione del numero di morti sul lavoro nel 2023 rispetto al 2022 è stata del 9,5%, con cali registrati al Centro (-18,7%), Nord-Ovest (-13,6%), Nord-Est (-11,3%) e Isole (-9,3%). Al contrario, si è registrato un aumento al Sud (+6,3%). Nel corso del 2023, grazie ai controlli effettuati dagli ispettori INAIL, sono stati regolarizzati oltre 44.000 lavoratori. Di questi, 1.708 erano in nero. Sono stati accertati premi per oltre 91 milioni di euro. Gli ispettori hanno avviato controlli su oltre 8.700 aziende. Le aziende irregolari ispezionate sono state circa l’93% delle aziende controllate. Nonostante ciò, l’INAIL ha segnalato una significativa carenza di personale nella funzione di vigilanza: alla fine del 2023 la forza ispettiva era composta da sole 200 unità.

SKY – ISTAT: TASSO DI OCCUPAZIONE AD AGOSTO REGISTRA UN AUMENTO DELLO 0.8%
L’Istat ha pubblicato nuovi dati sul mercato del lavoro in Italia, evidenziando che il tasso di occupazione è rimasto stabile al 62,3% ad agosto e ha registrato un aumento dello 0,8% rispetto all’anno precedente. Inoltre, l’ente ha comunicato che il numero di persone che hanno trovato lavoro è aumentato dello 0,2% (circa 45.000 unità) rispetto a luglio 2024. Se confrontato con lo stesso mese del 2023, l’aumento è del 2,1%. Tra il trimestre di giugno e agosto 2024, si è registrato un incremento dello 0,5%, corrispondente a 114.000 nuovi assunti, rispetto al trimestre precedente (marzo-maggio). Il tasso di disoccupazione è sceso dal 6,4% al 6,2% negli ultimi due mesi estivi, un risultato positivo che non si vedeva dal 2007. La disoccupazione giovanile si attesta al 18,3%, con una diminuzione di 1,7 punti percentuali. Tuttavia, c’è stato un incremento dello 0,4% delle persone che non sono né impegnate in un percorso scolastico né alla ricerca di lavoro. Fratelli d’Italia ha espresso soddisfazione per i dati. Marco Osnato, responsabile economico del partito, ha dichiarato che si tratta dell’“ennesimo effetto Meloni”, reso possibile dalle politiche fiscali positive adottate finora. Ha inoltre preannunciato nuove misure nella prossima legge di Bilancio. Anche Andrea Volpi, deputato di FdI e presidente della commissione Finanze della Camera, ha commentato positivamente i dati. In una nota ha sottolineato: “Ogni volta che leggiamo questi numeri siamo sempre più convinti che la strada indicata dal ministro Calderone sia quella giusta. Dobbiamo continuare a muoverci nella direzione intrapresa che si sta dimostrando vincente”. Il Movimento Cinquestelle ha invece espresso forti critiche. Pietro Lorefice, senatore grillino, ha affermato: “Siamo davanti a una televendita in stile Wanna Marchi. La spesa reale, al netto dell’inflazione, è destinata a essere tagliata. Se questa è la cornice, figuriamoci cosa avverrà all’interno della prossima Finanziaria”. Giovanna Ferrara di Unimpresa ha chiesto al governo di consolidare la buona strada intrapresa con il taglio del cuneo fiscale per consentire investimenti adeguati e offrire nuove opportunità lavorative a chi cerca lavoro. Ha sottolineato l’importanza di garantire salari più elevati grazie ai minori costi statali a carico delle aziende. Confcommercio ha evidenziato come redditi familiari più ampi possano incentivare i consumi e attivare un circuito virtuoso necessario per il reddito nazionale e il Prodotto Interno Lordo.

ILFATTOQUOTIDIANO – LA PRODUZIONE DI STELLANTIS A MIRAFIORI E’ CALATA DELL’83%

La situazione di Stellantis continua a deteriorarsi, con dati sulla produzione che destano preoccupazione. Recentemente, l’azienda automobilistica franco-italiana ha preso misure drastiche nei confronti di alcuni dei suoi operai, proponendo loro la cassa integrazione o il trasferimento in Polonia. Questa iniziativa ha sollevato allarmi, e i dati sulla produzione confermano le preoccupazioni iniziali. Secondo il segretario torinese dei metalmeccanici della Cgil, fino a settembre nello stabilimento Stellantis di Mirafiori sono state prodotte solo 18.500 auto, un numero ben inferiore alle 52.000 dello stesso periodo del 2023, il che rappresenta un calo dell’83%. Il segretario ha dichiarato: “Siamo di fronte a una situazione produttiva devastata e, se il trend proseguirà così, il 2024 si chiuderà con 20.000 unità prodotte”. Nel frattempo, l’azienda ha comunicato che la linea della Maserati avrà una produzione limitata, lavorando solo il lunedì della prossima settimana e riprendendo il 16 settembre. La produzione della Fiat 500 elettrica, invece, continuerà fino a giovedì. La drastica riduzione della produzione avrà inevitabili conseguenze per i dipendenti di Stellantis. I sindacati sono convinti che ci sarà un nuovo ricorso alla cassa integrazione, un regime già utilizzato frequentemente dall’azienda. Solo nella scorsa primavera, circa 2.000 lavoratori erano stati coinvolti in questo processo. In aggiunta, Stellantis potrebbe considerare l’adozione di uscite incentivate, una pratica già attuata in passato con l’accordo raggiunto con circa 2.500 lavoratori. Tuttavia, il problema non riguarda solo i dipendenti in cassa integrazione o coloro che lasciano l’azienda. Le difficoltà di Stellantis hanno ripercussioni anche sulle aziende dell’indotto automobilistico. Valter Vergnano, segretario piemontese della Fiom, ha affermato che le difficoltà nel mercato dell’auto si fanno sentire anche in altre province piemontesi, oltre a Torino, che è la città con il maggior numero di cassaintegrati in Italia. La Fiom ha evidenziato che, nei primi sette mesi del 2024, le richieste di ore di cassa integrazione sono aumentate notevolmente: il 100% a Novara, il 72% a Torino, il 54% a Vercelli, il 30% ad Asti e il 140% a Biella. Questi dati inquietanti evidenziano il processo di desertificazione produttiva in atto a causa di Stellantis. Nel frattempo, i piani dell’azienda sembrano orientarsi verso investimenti all’estero, come dimostra un recente piano da 386 milioni di dollari per l’Argentina.

ANSA – IL REDDITO DA LAVORO NEL MONDO E’ DIMINUITO

Negli ultimi due decenni, la quota globale del reddito da lavoro ha subito una significativa diminuzione, contribuendo ad aumentare le disuguaglianze nel mondo. Secondo l’aggiornamento di settembre del rapporto “World Employment and Social Outlook” dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), questa quota si attesta ora al 52,3%. Questo calo, pari a 1,6 punti percentuali dal 2004 e 0,6 punti percentuali dal 2019, si traduce in un deficit di 2,4 trilioni di dollari per i lavoratori nel solo anno 2024. L’Ilo sottolinea che la pandemia ha avuto un ruolo cruciale in questo declino, con quasi il 40% della diminuzione della quota di reddito da lavoro verificatosi tra il 2020 e il 2022. Questo periodo di crisi ha aggravato le disuguaglianze esistenti, in particolare a causa della crescente concentrazione dei redditi da capitale tra i più ricchi. Nonostante i progressi tecnologici e l’automazione abbiano stimolato la produttività e la crescita economica, i lavoratori non hanno beneficiato in modo equo dei guadagni risultanti. Inoltre, i recenti sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale potrebbero ulteriormente aumentare le disuguaglianze, esercitando una pressione al ribasso sulla quota di reddito da lavoro. Il rapporto evidenzia che la situazione attuale non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che mirano a garantire un futuro migliore e più sostenibile per tutti entro il 2030. L’Ilo mette in guardia sul fatto che, se non si interviene, le disuguaglianze continueranno a crescere, compromettendo la possibilità di un’equa distribuzione delle risorse e delle opportunità nel mercato del lavoro.

L’INDIPENDENTE – ITALIA ULTIMO PAESE IN UE PER LIVELLI DI OCCUPAZIONE

L’Italia ha registrato un aumento del tasso di occupazione, passando dal 64,8% nel 2022 al 66,3% nel 2023, con una crescita di 1,5 punti percentuali. Questo incremento è superiore alla media europea, che si attesta allo 0,7%. Tuttavia, nonostante questo miglioramento, l’Italia rimane il Paese con il più basso tasso di occupazione nell’Unione Europea, classificandosi ventisettesima su ventisette, come evidenziato dalle ultime statistiche del Quadro di valutazione sociale pubblicate da Eurostat. Anche per quanto riguarda i redditi, la situazione non è completamente positiva. Sebbene gli stipendi siano in crescita, il reddito reale delle famiglie, ossia il reddito aggiustato all’inflazione, ha registrato un calo nel 2023 a causa dell’aumento dei prezzi. Mentre il PIL ha raggiunto i livelli precedenti al 2008, i redditi delle famiglie italiane sono ancora inferiori di oltre sei punti rispetto a quelli di quel periodo. I dati sul lavoro e i redditi in Italia, pur migliorando, mostrano una situazione complessa. Per quanto riguarda la disoccupazione, l’Italia si posiziona terza nell’Unione Europea, con un tasso del 7,7%, alla pari con la Svezia, ma dietro a Spagna (12,2%) e Grecia (11,1%). La media europea è del 6,1%. Tra il 2022 e il 2023, il tasso di disoccupazione in Italia è diminuito dello 0,4%, ma il Paese registra ancora un numero significativamente più alto di persone disoccupate a lungo termine rispetto alla media europea. In questo ambito, l’Italia è terza, con un tasso del 4,2%, dopo Grecia (6,2%) e Spagna (4,3%). Un altro dato preoccupante riguarda i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono occupati né impegnati nello studio. Con il 16,1%, l’Italia è il secondo Paese peggiore dell’Unione Europea, subito dopo la Romania, che registra il 19,3%. In particolare, i giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 24 anni tendono ad abbandonare gli studi prima rispetto ai coetanei europei. Anche i minorenni in Italia sono maggiormente a rischio di povertà rispetto alla media europea, sebbene il divario diminuisca quando si considera l’intera popolazione. Il divario di genere nell’occupazione resta un altro problema per l’Italia, che si classifica seconda in Europa per disparità tra uomini e donne nel mercato del lavoro. Tuttavia, il Paese mostra un buon risultato nel divario di occupazione delle persone con disabilità, posizionandosi ben al di sotto della media europea e al terzo posto tra i Paesi dell’Unione. Sul fronte dei redditi, la situazione è difficile. I dati disponibili per il 2023 indicano che l’Italia è il Paese con il reddito più basso tra i nove Paesi per cui sono stati forniti i dati. Il reddito reale nel 2023 è risultato inferiore a quello del 2022, anno in cui l’Italia si era classificata al penultimo posto in Europa. Oltre a essere bassi, i redditi sono anche distribuiti in modo diseguale. Secondo Eurostat, il rapporto tra il 20% della popolazione con il reddito più alto e il 20% con il reddito più basso in Italia è superiore alla media europea. Per quanto riguarda l’impatto degli aiuti sociali sulla riduzione della povertà, l’Italia si posiziona dietro agli altri Paesi europei. Tuttavia, gli italiani riportano un livello relativamente basso di insoddisfazione per i servizi sanitari e subiscono meno dei loro concittadini europei il peso dei costi abitativi.

ANSA – CONFESERCENTI-CER: SALARI CRESCIUTI DI 19 MILIARDI IN 2 ANNI

La tornata di rinnovi dei contratti nazionali nel biennio 2023-2024, tra cui quelli di terziario e turismo siglati rispettivamente a marzo e luglio di quest’anno, portano ad un aumento dei redditi da lavoro dipendente di “19,1 miliardi di euro” rispetto al 2022. Il Centro Europa Ricerche (Cer) per Confesercenti ha stimato che i salari tornano a crescere soprattutto grazie al recupero dell’inflazione. La tornata di rinnovi dei contratti nazionali nel biennio 2023-2024, tra cui quelli di terziario e turismo siglati rispettivamente a marzo e luglio di quest’anno, porterà ad un aumento dei redditi da lavoro dipendente di “19,1 miliardi di euro” rispetto al 2022. Con la crescita dei salari, secondo lo studio, ci sarà un incremento di 5,5 miliardi di euro di consumi nel 2024, ma “tasse e ritorno al risparmio riducono l’impatto sulla spesa delle famiglie”. Secondo la ricerca, una “riforma del fisco che detassi gli aumenti retributivi genererebbe 4 miliardi di consumi in più”.

AGI – EUROSTAT: L’ITALIA E’ SECONDA IN EUROPA PER CRESCITA DI NUOVI OCCUPATI

L’Italia si posiziona al secondo posto in Europa per la crescita di nuovi occupati, secondo i dati Eurostat relativi al 2023. Il tasso di occupazione delle persone tra i 20 e i 64 anni nell’Unione Europea è aumentato, raggiungendo il 75,3%, dopo un calo tra il 2019 e il 2020. L’Italia ha registrato una crescita annuale dell’occupazione di 1,5 punti percentuali, superata solo da Malta, che ha visto un incremento di 1,6 punti. Sempre secondo Eurostat, nel 2023 sette Paesi dell’UE hanno avuto un tasso di occupazione superiore all’80% per le persone in età lavorativa. I Paesi Bassi hanno il tasso più alto con l’83,5%, seguiti da Svezia (82,6%) ed Estonia (82,1%). L’Italia, invece, si trova a un tasso del 66,3%. Per quanto riguarda il rischio di povertà o esclusione sociale, nel 2023 in Europa si sono registrati 94,6 milioni di persone a rischio, pari al 21,4% della popolazione dell’Unione. In Italia, la percentuale è del 22,8%, in calo di due punti rispetto al 2022, ma ancora sopra la media europea. Anche la percentuale di minori a rischio di povertà ed esclusione sociale è diminuita, passando dal 28,5% del 2022 al 27,1% nel 2023, ma rimane sopra la media UE del 24,8%, che è rimasta sostanzialmente stabile dall’anno precedente.

ANSA – INAIL: GIA’ 469 INCIDENTI MORTALI SUL LAVORO NEL 2024(+4,2%)

Nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un aumento del 4,2% degli incidenti mortali sul lavoro rispetto allo stesso periodo nel 2023, secondo i dati pubblicati dall’Inail. Sono stati denunciati 469 incidenti mortali dall’inizio dell’anno, con un incremento dovuto soprattutto agli incidenti plurimi. Le denunce di infortunio sul lavoro presentate entro giugno 2024 sono state 299.303, lo 0,9% in più rispetto al giugno 2023, ma in diminuzione del 21,7% rispetto allo stesso periodo del 2022. Si registra un aumento più rilevante per gli incidenti avvenuti nel tragitto casa-lavoro e un incremento delle patologie di origine professionale denunciate, pari a 45.512 casi: 7.470 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+19,6%). L’aumento delle patologie denunciate interessa tutte le aree geografiche, con incrementi che vanno dal 9,9% nel Nord-Ovest al 39,0% nelle Isole. Le prime tre malattie professionali denunciate sono: patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio, seguite da tumori e malattie del sistema respiratorio.

WIRED – IN ITALIA 9 “NEET” SU 10 LAVORANO IN NERO

Una ricerca del Consiglio nazionale dei giovani (Cng) ha rivelato che nelle grandi città italiane quasi nove Neet su dieci, ovvero i giovani che non lavorano, non studiano e non si formano, hanno lavorato o lavorano in nero, con un dato specifico dell’88,9%. Estendendo l’analisi a tutto il territorio nazionale, si scopre che oltre sette Neet su dieci (74,8%) tra i 15 e i 29 anni non sono inseriti in percorsi scolastici o lavorativi regolari. Secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, in Italia ci sono circa 2,1 milioni di Neet, corrispondenti al 16,1% della popolazione giovanile. Questo dato è superiore alla media europea del 2023, che si attesta all’11,2%. Molti Neet che vivono nelle aree metropolitane affermano di essere economicamente dipendenti e utilizzano i propri guadagni per cercare di emanciparsi dalla famiglia. Questi giovani sono spesso coinvolti nell’economia informale, partecipando ad attività come la compravendita online e lavori non ufficiali. Un’altra categoria di Neet è quella di coloro che scelgono di prendersi una pausa, soprattutto nei piccoli centri, dove le opportunità di lavoro sono limitate e le reti di supporto sono scarse. L’analisi del Cng evidenzia che molti giovani italiani, in particolare quelli delle aree interne, sono disposti a sacrificare i propri diritti lavorativi pur di trovare un impiego. In merito alla formazione, la ricerca sottolinea una significativa disparità nell’accesso all’istruzione superiore tra diverse aree del paese. Solo il 9,6% dei Neet nelle zone rurali ha conseguito una laurea o un diploma accademico, rispetto al 65,3% nelle aree urbane. Inoltre, il 42,6% degli intervistati dichiara di aspettare un’opportunità legata al proprio percorso di studi, mentre il 37,8% desidera imparare un mestiere.

ANSA – IN 10 ANNI IL NUMERO DI ARTIGIANI E’ DIMINUITO DEL 17,94% (-318 MILA)

Secondo l’Osservatorio Inps sui lavoratori autonomi, il numero di artigiani in Italia è diminuito drasticamente negli ultimi anni. Nel 2023, gli artigiani iscritti erano 1.456.918, con un calo di 73.357 unità rispetto all’anno precedente (-4,8%) e una riduzione di oltre 318mila unità rispetto al 2014 (-17,94%). Anche il numero di commercianti iscritti alla gestione speciale dell’Inps è diminuito, seppur in misura minore rispetto agli artigiani. Nel 2023, i commercianti erano 2.051.022, con un calo dello 0,5% sul 2022. Nel 2014, i commercianti erano 2.228.678, quindi il calo nel decennio è stato di 177.656 unità (-7,97%).

ANSA – OCSE: ITALIA MAGLIA NERA NELLA CRESCITA DEI SALARI

Secondo i dati OCSE, l’Italia si conferma come il Paese con la peggiore performance in termini di crescita dei salari reali (al netto dell’inflazione) nell’area euro. Tra il quarto trimestre 2019 e il primo trimestre 2024, i salari reali italiani sono diminuiti del 6,9%, mentre in Germania sono calati del 2% e in Francia sono aumentati dello 0,1%. Questo trend negativo per i salari reali italiani si è verificato nonostante la crescita dell’occupazione e il calo della disoccupazione ai minimi storici. L’OCSE sottolinea che in molti Paesi c’è ancora spazio per far assorbire ulteriori aumenti salariali dai profitti aziendali, che sono stati più che buoni in questo periodo. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha difeso il taglio del cuneo fiscale, affermando che questo ha permesso di compensare l’aumento del costo della vita senza innescare una spirale salari-prezzi. Tuttavia, l’opposizione, come Francesco Boccia del PD, ha criticato questo approccio, accusando il governo di “ottimismo a prescindere” di fronte all’aumento delle disuguaglianze. L’OCSE aveva già evidenziato nella sua Economic Survey sull’Italia a gennaio che la buona performance dell’export italiano nel periodo post-Covid era stata ottenuta principalmente grazie alla bassa crescita dei costi unitari del lavoro. Tuttavia, l’organizzazione aveva sottolineato la necessità di far crescere maggiormente i salari e la produttività delle imprese, attraverso investimenti e innovazione, obiettivo ancora non raggiunto.

ANSA – SCONTO DEL 120% A CHI ASSUME A TEMPO INDETERMINATO

Il governo ha introdotto una maxi-deduzione del costo del lavoro per le aziende che assumono a tempo indeterminato. È stato pubblicato il decreto attuativo del Ministero dell’Economia e del Ministero del Lavoro, che prevede una maggiorazione del 120% del costo del lavoro ammesso in deduzione nel caso di incremento del numero di dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Inoltre, è prevista un’ulteriore maggiorazione al 130% se le assunzioni riguardano lavoratori meritevoli di maggiore tutela, come persone con disabilità, donne con almeno 2 figli e giovani ammessi agli incentivi all’occupazione. Questa misura fa parte della riforma dell’Irpef e mira a incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, in particolare di categorie più fragili.

CORRIERE – IN ITALIA CRESCE L’OCCUPAZIONE MA IL SALARIO REALE E’ PIU’ BASSO RISPETTO A 30 ANNI FA

L’Italia si trova di fronte a una realtà economica in cui l’occupazione può aumentare, ma i salari non seguono la stessa tendenza. Secondo i dati dell’Ocse, il nostro paese si distingue per la maggiore diminuzione dei salari reali rispetto ad altre grandi economie mondiali. Questa situazione rende sempre più difficile per le persone soddisfare le necessità primarie come casa, cibo e trasporti, nonostante abbiano un’occupazione. Il rapporto dell’Ocse evidenzia un declino costante nel salario reale in Italia. Nel periodo tra il 1990 e il 2020, i salari reali sono diminuiti del 2,9%. Tuttavia, la situazione è peggiorata significativamente dopo la pandemia, con un calo del 7,3% nel 2022 rispetto all’anno precedente. Questa tendenza negativa si è mantenuta nel corso degli anni, con un modesto aumento dell’1% dal 1991. Tale stagnazione ha posizionato l’Italia al 22º posto tra i Paesi Ocse per il livello dei salari medi annuali reali nel 2022, segnando un calo di 13 posizioni rispetto al 1992. Nell’Eurozona, l’Italia si distingue ulteriormente per il suo modesto aumento dei salari nominali. Nel 2022, il valore nominale dei salari è cresciuto solo dell’1,1%, mentre altri paesi hanno registrato incrementi più significativi. Ad esempio, in Germania è stato registrato un aumento del +2,7%, nella Repubblica Ceca del +4,4%, e in Francia approssimativamente del +5%. Questi paesi hanno adottato misure che hanno legato l’andamento dei salari all’inflazione, consentendo una rinegoziazione dei contratti collettivi e un conseguente aumento del loro valore nominale. Tuttavia, in Italia, questa pratica non è stata adottata. Più della metà dei contratti collettivi nel settore privato sono scaduti, e il tempo medio di attesa per il rinnovo è aumentato significativamente da 20,5 mesi nel gennaio 2023 a 32,2 mesi nel dicembre 2023. Il Segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha sottolineato l’urgenza di affrontare la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti e pensionati. Questo fenomeno non solo mette a rischio il benessere individuale, ma anche la stabilità dell’economia nazionale nel suo complesso.

SCENARIECONOMICI – CROLLO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN AREA EURO

A gennaio 2024, la produzione industriale nell’Area Euro ha subito un significativo calo, contrariamente alle previsioni di mercato e segnando un’inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti. Il dato più preoccupante riguarda la netta contrazione dell’attività industriale, con una diminuzione del 3,2% rispetto al mese precedente, rappresentando la flessione più marcata dall’inizio dell’anno precedente. La caduta è stata particolarmente rilevante nel settore dei beni strumentali, registrando un drastico calo del 14,5%, indicando una forte riluttanza delle aziende a investire. Anche la produzione di beni durevoli e di beni di consumo non durevoli ha subito una diminuzione, sebbene in misura minore rispetto al settore dei beni strumentali. Tuttavia, c’è stato un aumento significativo nella produzione di beni intermedi, che ha registrato una crescita del 2,6%, e nella produzione di energia, con un incremento dello 0,5%. Contrariamente alle aspettative, la responsabilità di questo calo non può essere attribuita alla Germania, che ha visto un aumento della produzione industriale rispetto al mese precedente, sebbene gli ordini siano diminuiti. Anche l’Italia e la Spagna hanno registrato un incremento della produzione industriale. Il principale calo si è verificato nei Paesi Bassi, con una diminuzione del 3,8% rispetto al mese precedente e del 4% su base annua. Questo segnale negativo indica una significativa difficoltà nell’industria olandese, quasi ai limiti della deindustrializzazione. In Francia, il calo dell’1,1% può essere attribuito anche agli scioperi che hanno interessato le raffinerie, il che potrebbe aver influito in modo congiunturale sulla produzione. Tuttavia, è preoccupante che tali problemi nell’industria siano spesso trascurati dalle autorità europee, concentratesi su altre priorità come le politiche ambientali, mentre sarebbe opportuno porre maggiore attenzione sulle esigenze e sulle sfide del settore produttivo per garantire la competitività economica e la stabilità dell’occupazione nell’Area Euro.

ANSA – PENSIONATI IN ITALIA OLTRE 16 MILIONI E I LAVORATORI OLTRE 23 MILIONI

I pensionati in Italia sono più di 16 milioni, a fronte di oltre 23 milioni di lavoratori che, attraverso i contributi versati, finanziano le loro pensioni. Bisogna considerare però che, anche se i pensionati sono circa 16 milioni, le prestazioni pensionistiche complessive sono quasi 23 milioni (si possono cumulare). Il più recente aggiornamento Istat sul tema indica che nel 2021 c’erano 714 pensionati ogni mille lavoratori. Nel 2011 il rapporto era di 744 ogni mille e nel 2000 di 757 ogni mille. Negli ultimi 20 anni, quindi, il numero dei beneficiari dei trattamenti pensionistici si è tenuto sostanzialmente stabile rispetto a quello dei lavoratori, o risulta perfino in calo. Oggi le pensioni valgono circa il 16% del Pil, a fronte di una media Ocse di circa l’8%. Nel 2020 il rapporto era salito al 17%. Secondo le proiezioni del Mef, a partire dal 2026 il rapporto dovrebbe ricominciare a crescere, nonostante l’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento. Il prossimo picco, ancora al 17% del Pil, è atteso per il 2040, prima di un nuovo calo negli anni successivi.

ANSA – EUROSTAT: ITALIA ULTIMA IN UE PER TASSO DI OCCUPAZIONE

Secondo i dati recentemente pubblicati da Eurostat, l’Italia si trova all’ultimo posto in Europa per il tasso di occupazione, con un divario significativo rispetto alla media dell’Unione Europea. Nonostante nel 2023 si sia registrato un livello record di occupazione nel paese, il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni si è fermato al 66,3%, distante quasi 10 punti percentuali dalla media dell’UE, che è del 75,4%. Il rapporto evidenzia che l’Italia ha registrato un aumento maggiore rispetto alla media dell’UE, con un incremento del 1,5% rispetto allo 0,9% dell’UE. Tuttavia, rimane indietro soprattutto per quanto riguarda l’occupazione femminile. Solo il 56,5% delle donne italiane tra i 20 e i 64 anni è occupato, rispetto al 70,2% della media dell’UE. Il divario di occupazione tra uomini e donne è del 19,5%, quasi il doppio della media dell’UE, che è del 10,3%. Sebbene il tasso di occupazione maschile sia al 76%, rispetto all’80,5% della media dell’UE, l’Italia continua a lottare con il divario di genere nell’occupazione. Negli ultimi dieci anni, l’Europa ha visto una crescita del 9,1% rispetto al 6,9% dell’Italia. Il divario nell’occupazione femminile è particolarmente evidente nel Sud Italia, dove solo il 39% delle donne tra i 20 ei 64 anni è occupato, rispetto al 67% della media del Nord e al 62,6% del Centro. Anche nella fascia d’età tra i 25 ei 34 anni, il divario tra il Nord e il Sud è significativo, con il 40,3% delle donne occupate al Sud rispetto al 72,2% al Nord. In generale, il tasso di occupazione al Sud è del 52,5%, rispetto al 74,6% del Nord, con una differenza di oltre 22 punti percentuali.

LASTAMPA – LAVORO SOMMERSO IN ITALIA: ALMENO 3 MILIONI LE PERSONE COINVOLTE

Secondo i dati Istat del 2021, si è registrato un aumento di 73 mila unità di lavoratori irregolari rispetto all’anno precedente, con un’incidenza sull’attività sommersa che corrisponde al 3,7% del PIL nazionale, pari a 69 miliardi di euro. Il lavoro irregolare è una realtà diffusa in tutti i settori, con il 42% dei casi concentrato nei servizi alle persone, seguito dall’agricoltura (17%), edilizia, commercio, turismo e ristorazione (13%). La maggioranza dei lavoratori sfruttati sono stranieri, spesso privi di contratto e documenti. La distribuzione territoriale evidenzia che il Nord del Paese conta il maggior numero assoluto di lavoratori in nero, seguito dal Mezzogiorno e dal Centro. Tuttavia, il Sud presenta il tasso più elevato di lavoro irregolare rispetto alla totalità dell’occupazione, con Calabria e Campania in testa alla classifica. Il Ministero del Lavoro ha elaborato un piano nazionale triennale per contrastare il lavoro sommerso, ma le azioni intraprese continuano a generare scetticismo tra i sindacati. La segretaria nazionale della Fai-Cisl, Raffaella Buonaguro, ha sottolineato la necessità di una revisione strutturale delle politiche attuali e dei controlli, evidenziando la persistenza di pratiche illegali diffuse, come il caporalato e l’utilizzo di manodopera non regolare. Nel settore della ristorazione, in particolare, è emerso un sistema diffuso di elusione dei controlli. Le ispezioni della Guardia di Finanza hanno rivelato che oltre il 70% dei locali, dalle pizzerie ai ristoranti, impiegano personale in nero o senza regolare permesso di soggiorno. I datori di lavoro utilizzano spesso lavoratori invisibili, soprattutto extracomunitari privi di documenti, e adottano strategie per eludere i controlli, come l’impiego di contratti part-time regolari per poi sfruttare i dipendenti con orari di lavoro ben superiori e pagamenti fuori busta.

QUIFINANZA – CGIL: 5,7 MILIONI DI DIPENDENTI GUADAGNANO IN MEDIA MENO DI 11 MILA EURO LORDI ANNUI

Un nuovo studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale rivela che più di 5,7 milioni di lavoratori italiani ricevono un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro. Inoltre, oltre 2 milioni di dipendenti guadagnano mediamente meno di 17.000 euro lordi all’anno. Questi dati evidenziano una diffusa problematica di bassi salari nel panorama lavorativo italiano. Il confronto con altre economie dell’Eurozona, secondo i dati dell’Ocse relativi al 2022, rivela che il salario medio in Italia si è attestato a 31.500 euro lordi annui. Tale cifra risulta notevolmente inferiore rispetto a Germania (45.500 euro) e Francia (41.700 euro), posizionando l’Italia tra le nazioni con i salari medi più bassi. Questo divario salariale è attribuibile a diversi fattori, tra cui una maggiore presenza di professioni non qualificate, un’elevata incidenza del lavoro a tempo parziale involontario e del lavoro temporaneo, accompagnati da una marcata discontinuità nell’occupazione. Nel 2022, più della metà dei contratti di lavoro conclusi aveva una durata fino a 90 giorni, contribuendo alla precarietà dei lavoratori. Nonostante un aumento salariale del +6,3% nel 2022, i lavoratori italiani continuano a ricevere salari non adeguati, principalmente a causa dei prolungati ritardi nel rinnovare i contratti nazionali di lavoro. Questa situazione riflette una tendenza persistente nel Paese, radicata in un modello economico basato su un sistema produttivo a basso valore aggiunto, che favorisce principalmente le micro e piccole imprese, e porta a una domanda di lavoro meno qualificato e più precario. È significativo il confronto con altri Paesi dell’Eurozona: nonostante le ore lavorative siano comparativamente più elevate in Italia, la quota del reddito nazionale destinata ai salari è notevolmente inferiore rispetto a Germania e Francia. Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, ha dichiarato: “I dati non potrebbero essere più eloquenti. Nel 2022, 5,7 milioni di lavoratrici e lavoratori hanno guadagnato l’equivalente mensile di 850 euro, altri 2 milioni di dipendenti arrivano ad appena 1200 euro al mese. E la situazione non è certo migliorata nel 2023, anno in cui l’inflazione ha raggiunto il 5,9%, cumulandosi con quella dei due anni precedenti, raggiungendo un totale del 17,3%”.

MONEY – PENSIONI: TORNA LA RIFORMA FORNERO

La riforma pensionistica Fornero farà il suo ritorno nel 2024, nonostante le smentite del governo. La relazione tecnica alla legge di Bilancio 2024 chiarisce che l’accesso alle misure di flessibilità saranno drasticamente ridotte rispetto all’anno precedente. Tre misure consentono l’anticipo pensionistico, ma i requisiti vengono rivisti: Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna vedono una restrizione che dimezza le stime di uscite anticipate, passando da 60 mila nel 2023 a 32 mila nel 2024. Per la maggior parte, i lavoratori dovranno seguire le regole stabilite nel 2011, con una lieve modifica alla pensione anticipata contributiva che potrebbe favorire o penalizzare, a seconda dei casi. La Quota 103, per esempio, subisce una penalizzazione: chi accede a 62 anni con 41 anni di contributi affronta un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno pensionistico, riducendo la platea dei beneficiari. Le finestre mobili per accedere a Quota 103 si allungano: nel 2024, coloro che raggiungono i requisiti potranno andare in pensione solamente nel 2025. Anche l’Ape Sociale, destinata a disoccupati, invalidi e caregiver, riduce la platea dei beneficiari con l’aumento di 5 mesi di età richiesti per l’accesso. Opzione Donna vede ulteriori restrizioni, permettendo l’accesso solo a donne di 61 anni con 35 anni di contributi e appartenenti a categorie specifiche. Tuttavia, alcune migliorie emergono per chi rientra nel regime contributivo. Per la pensione di vecchiaia a 67 anni, basta un importo pari all’assegno sociale, abbassando il limite rispetto al 2023. Per l’anticipo pensionistico a 64 anni, il valore della pensione deve essere almeno 3 volte l’assegno sociale, sebbene ci siano eccezioni per le lavoratrici con figli.

ILFATTOQUOTIDIANO – UE: I DIPENDENTI PUBBLICI CHE NON USUFRUISCONO DI TUTTE LE FERIE RETRIBUITE HANNO DIRITTO A UN’INDENNITA’

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i dipendenti pubblici che non hanno potuto usufruire di tutte le ferie annuali retribuite prima di dare le dimissioni hanno diritto a un’indennità finanziaria. La legge italiana vieta ai dipendenti pubblici di ricevere compensazioni per ferie non sfruttate. La Corte UE ha stabilito che questa norma viola i diritti dei lavoratori alle ferie retribuite, come stabilito dalla direttiva 2003/88/CE. La sentenza della Corte UE è stata emessa il 18 gennaio 2024. Il caso riguardava Antonio Giuseppe Verdesca, un ex istruttore direttivo del comune di Copertino che si era dimesso nel 2016 con 79 giorni di ferie non utilizzate. Il comune di Copertino aveva rispettato la legge italiana, ma Verdesca aveva avviato una causa legale per ottenere il pagamento. La Corte UE ha stabilito che la legge italiana viola la direttiva 2003/88/CE, che garantisce ai lavoratori un periodo minimo di quattro settimane di ferie annuali retribuite. La direttiva prevede inoltre che i lavoratori hanno diritto a usufruire di queste ferie entro un periodo di riferimento di 18 mesi. Se non è possibile usufruire di tutte le ferie entro questo periodo, il lavoratore ha diritto a un’indennità finanziaria. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2022 i dipendenti pubblici italiani avevano in media 20 giorni di ferie non utilizzate. Se la sentenza dovesse essere applicata a tutti i dipendenti pubblici con ferie non utilizzate, questo potrebbe comportare un costo significativo per le casse dello Stato.

AGI – SALARI IN ITALIA: DAL 1991 CRESCIUTI SOLO DELL’1% (MEDIA OCSE 32%)

I salari in Italia non sono cresciuti quasi per niente negli ultimi 30 anni. Tra il 1991 e il 2022 la crescita è stata dell’1% a differenza dei Paesi dell’area Ocse, dove sono cresciuti in media del 32,5%. In particolare, nel solo 2020, terzo nell’anno della pandemia da Covid-19, si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%. Dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere ma questo percorso appare ‘accidentato’ dalle criticità strutturali che lo caratterizzano: bassi salari, scarsa produttività, poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre 4 milioni di lavoratori ‘non standard’. In più sta emergendo sul fronte dell’utilizzo della forza lavoro il fenomeno del labour shortage: la difficoltà delle imprese a coprire i posti vacanti, allargandosi sempre più così la forbice del matching tra domanda e offerta di lavoro. “Dopo la crisi pandemica – ha spiegato il presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche Sebastiano Fadda– le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere, ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi”. Dal rapporto Inapp risulta rilevante il numero di occupati che mostrano l’intenzione di lasciare il proprio lavoro. Si stima che il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) abbia pensato di dimettersi. Tale quota è composta da un 1,1% che lo farebbe anche se ci fosse una riduzione del tenore di vita e da un 13,5% che farebbe questa scelta solo se trovasse altre entrate economiche. Le quote più alte di chi ha intenzione di dimettersi, a prescindere dalla motivazione, si osservano in corrispondenza degli occupati con un diploma (18,9%), diminuiscono col crescere dell’anzianità anagrafica e delle dimensioni del comune di residenza. A volersi dimettere sono maggiormente gli occupati dipendenti, operanti nelle organizzazioni di media dimensione (15-49 addetti) e che svolgono la loro attività in imprese private. Nel pubblico l’1,5% dei lavoratori (contro l’1% del privato) lo farebbe anche se questo comportasse una riduzione del tenore di vita. Il desiderio di cambiare occupazione è maggiore per chi svolge lavori più faticosi e poco soddisfacenti.

TASSE

ILPOST – L’EVASIONE IN ITALIA CONTINUA A DIMINUIRE

Gli ultimi dati disponibili sul fenomeno dell’evasione fiscale in Italia, relativi al 2021, mostrano una tendenza positiva: l’evasione è in costante calo, e uno degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato raggiunto con anticipo, anche se permangono alcune criticità. Il rapporto ufficiale del ministero dell’Economia sull’economia non osservata, pubblicato a ottobre, offre un quadro completo della situazione e di quanto denaro lo Stato italiano continua a perdere ogni anno a causa dell’evasione fiscale. L’evasione fiscale si misura con il cosiddetto tax gap, ovvero la differenza tra l’importo stimato che i contribuenti dovrebbero versare al fisco e quanto effettivamente viene pagato. I dati relativi al 2021 indicano che il tax gap è sceso da 85 a 82 miliardi di euro rispetto al 2020. Nel 2019, l’importo evaso superava ancora i 100 miliardi di euro. La propensione all’evasione, cioè la percentuale di tasse evase rispetto al totale dovuto, è diminuita dal 17% al 15%. Quando fu approvato il PNRR, uno degli obiettivi ambiziosi riguardava proprio la riduzione dell’evasione fiscale: il target era di raggiungere il 15% di propensione all’evasione entro il 2024. Secondo i dati attuali, questo traguardo è stato già raggiunto con anni di anticipo, a meno di una sorprendente inversione di tendenza nei prossimi anni. Dei 82 miliardi di euro di tasse evase nel 2021, circa 72 miliardi sono relativi al mancato pagamento di imposte come IRPEF, IVA e IRES. I restanti 10 miliardi riguardano i contributi non versati, necessari a finanziare pensioni e prestazioni assistenziali come malattia e congedo parentale. Complessivamente, rispetto al 2020, l’evasione è diminuita del 3,8%, confermando una tendenza al ribasso che prosegue ormai da anni. Dal 2014, infatti, il gettito mancante è sceso di quasi 27 miliardi di euro, e nello stesso periodo la propensione all’evasione è calata di 7,6 punti percentuali. Il maggior contributo al calo tra il 2020 e il 2021 è stato registrato per l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) e per le imposte sugli affitti. Questo miglioramento è il risultato di diverse misure introdotte negli ultimi anni per combattere l’evasione fiscale, come la fatturazione elettronica obbligatoria e il meccanismo dello split payment, che fa pagare direttamente l’IVA allo Stato quando gli acquisti riguardano la pubblica amministrazione. Tuttavia, questi dati non tengono ancora conto dell’obbligo di accettare pagamenti elettronici, introdotto solo nel 2022, che potrebbe ulteriormente migliorare la situazione. Nonostante i progressi fatti, si prevede che la riduzione del tax gap diventerà sempre più graduale. Più si riduce l’evasione, più diventa difficile ridurla ulteriormente, poiché sarà necessario l’uso di strumenti sempre più sofisticati per individuare i casi di evasione residui, con risultati che probabilmente saranno meno significativi in termini assoluti. Anche nel 2021, l’imposta più evasa è stata l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) dei lavoratori autonomi, con oltre 29 miliardi di euro non versati. Il tax gap per gli autonomi è stato del 66,8%, il che significa che allo Stato manca circa due terzi delle imposte dovute da questa categoria. Al contrario, per i lavoratori dipendenti, l’evasione dell’IRPEF è stata molto più bassa, pari a circa 4 miliardi di euro (2,3% del gettito previsto), e riguarda principalmente i casi di lavoro irregolare. Per i dipendenti regolarmente assunti è praticamente impossibile evadere, poiché le imposte vengono trattenute direttamente dal datore di lavoro. Dopo l’IRPEF, la seconda imposta più evasa è l’IVA, con circa 17,8 miliardi di euro mancanti, pari al 13,8% del totale dovuto. Tuttavia, rispetto al 2020, l’evasione dell’IVA è diminuita significativamente, con una riduzione di oltre 4 miliardi di euro, corrispondente a un calo di quasi un quinto in un solo anno. Anche il tax gap dell’IVA è sceso di 5 punti percentuali. Nonostante i miglioramenti, l’Italia resta il primo Paese europeo per perdita di gettito IVA in valore assoluto, essendo responsabile di un quarto di tutta l’IVA evasa nell’Unione Europea. Tuttavia, in termini percentuali, l’Italia è quinta per il tax gap relativo all’IVA. L’alta evasione dell’IRPEF e dell’IVA è spesso attribuita alla cosiddetta evasione “con consenso”, ossia l’accordo tra fornitore e cliente per non pagare le imposte. In questi casi, l’azienda o il professionista non emette fattura o scontrino, evitando di versare l’IRPEF, mentre il cliente ottiene uno sconto corrispondente all’IVA che non avrebbe altrimenti pagato. Questo tipo di evasione è particolarmente difficile da tracciare per le autorità fiscali, specialmente quando si tratta di piccole attività o liberi professionisti. Al contrario, le grandi aziende, come le multinazionali e le catene di distribuzione, sono meno propense a evadere in questo modo, anche perché soggette a maggiori controlli. Tra le imposte con la più alta propensione all’evasione ci sono quelle sugli immobili, come l’IMU (Imposta Municipale Unica) e la TARI (tassa sui rifiuti). Entrambe sono imposte locali pagate ai comuni, che ogni anno non riescono a riscuotere circa il 21,4% di quanto dovuto, per un ammanco complessivo di oltre 5 miliardi di euro. È sorprendente considerare che, nonostante sia difficile nascondere il possesso di una casa rispetto a redditi percepiti in contanti, l’evasione delle imposte sugli immobili ha una propensione così alta. Proprio in questi giorni, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato la necessità di intensificare i controlli per la riscossione delle imposte, in particolare quelle relative alle cosiddette “case fantasma”, ossia immobili non registrati correttamente al catasto o con caratteristiche non aggiornate. Ha anche parlato della necessità di aggiornare i valori catastali.

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ILFATTOQUOTIDIANO – LE BOLLETTE ENERGETICHE ITALIANE SONO TRA LE PIÙ CARE D’EUROPA

In Italia, le bollette energetiche sono tra le più elevate d’Europa, con i prezzi dell’energia che, in questi giorni, stanno raggiungendo la preoccupante soglia di 140 euro per megawattora. Fino al 28 agosto, il costo medio all’ingrosso, noto come Pun, è stato di 98,96 euro per megawattora, un valore più del doppio rispetto a quello pagato in Spagna e Francia, e superiore del 30% rispetto alla Germania. Queste informazioni sono state riportate in un dossier economico de Il Fatto Quotidiano. Le ragioni di questo aumento dei costi sono molteplici. Una delle principali è rappresentata dalle tasse, che includono l’IVA al 10% applicata sulle bollette e le accise, le quali ammontano a 9,30 euro ogni mille chilowattora, cifra che può aumentare fino a 11,40 euro per mille chilowattora. Inoltre, ci sono gli oneri di sistema, che coprono i costi delle attività di interesse generale per il sistema elettrico, stabiliti dalla legge e sostenuti da tutti i consumatori finali. Questi oneri servono a finanziare vari obiettivi, come gli incentivi per le fonti rinnovabili. Secondo l’inchiesta economica, si prevede che i prezzi dell’energia rimarranno sopra i 100 euro per megawattora nei prossimi due anni, mantenendo l’Italia tra i paesi con i costi più alti d’Europa. L’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, conosciuta come ARERA, ha il compito di garantire la concorrenza e l’efficienza nei servizi di pubblica utilità e di tutelare gli interessi degli utenti e dei consumatori. Tuttavia, le decisioni riguardanti il trasferimento dei costi dagli operatori di mercato agli utenti finali hanno contribuito ad aumentare il costo finale dell’energia. Enel, dal canto suo, ha deciso di concentrare i propri investimenti sulla “resilienza della rete”, un’area che riceve una remunerazione garantita dalle bollette, trascurando la produzione di energia, che è invece soggetta alle fluttuazioni del mercato. Le scelte di investimento e profitto del sistema energetico ricadono quindi sui cittadini. Questo implica che i consumatori finali, oltre a subire i costi, possono e devono fare pressione sulle istituzioni per ottenere pagamenti più equi. Come ha affermato un rappresentante del settore, i cittadini non sono solo consumatori, ma anche cittadini che possono influenzare le politiche energetiche.

ANSA – LE SPESE OBBLIGATE INCIDONO PER IL 41,8% SUI CONSUMI TOTALI

In Italia, le spese obbligate rappresentano una parte significativa del bilancio delle famiglie, incidendo per il 41,8% sui consumi totali. Questo dato, sebbene in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente, è considerato ancora troppo elevato da Confcommercio. Secondo l’ufficio studi della confederazione, su una spesa annuale pro capite di circa 21.800 euro, oltre 9.000 euro sono destinati a spese obbligate, con un incremento di 348 euro rispetto al 2019. Le spese obbligate comprendono principalmente il costo dell’abitazione, che ammonta a 4.830 euro, e all’interno di questa voce, una parte rilevante è rappresentata dalle spese per energia, gas e carburanti, che ammontano a 1.721 euro. Confcommercio sottolinea che queste spese, in particolare quelle legate all’abitazione, gravano pesantemente sui bilanci familiari, riducendo così la capacità di spesa e, di conseguenza, i consumi, che sono fondamentali per la domanda interna. Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha affermato che per sostenere i consumi è necessario rivedere le aliquote Irpef e ridurre progressivamente il carico fiscale. Nonostante il tasso di spese obbligate sia diminuito dal 42,2% del 2023 al 41,8% nel 2024, il dato rimane comunque elevato. Rispetto al passato, nel 2019 il tasso era al 40,6% e nel 1995 al 36,6%. Anche le spese per beni commercializzabili, come alimenti, libri, auto ed elettrodomestici, hanno mostrato un calo, passando dal 38,7% al 38,3%. Al contrario, le spese per servizi commercializzabili, che includono trasporti, telefonia, istruzione e vacanze, sono aumentate dal 19,2% al 19,9%. Confcommercio ha evidenziato che l’aumento del peso delle spese obbligate è influenzato dalla dinamica dei prezzi, che ha mostrato un incremento notevole rispetto ad altri beni e servizi. Tra il 1995 e il 2024, l’indice di prezzo delle spese obbligate è aumentato del 122,7%, superando di gran lunga il 55,6% di crescita dei beni commercializzabili. Questa situazione è aggravata da una mancanza di concorrenza tra le imprese che forniscono beni e servizi obbligati. Anche l’Unione nazionale dei consumatori ha sollevato preoccupazioni, chiedendo una riforma completa della legge sulla concorrenza per ridurre le spese obbligate degli italiani e aumentare la concorrenza in questi settori. Per stimolare i consumi delle famiglie, che rappresentano il 60% del PIL, è fondamentale aumentare la capacità di spesa delle fasce più deboli della popolazione. L’Unione nazionale dei consumatori ha sottolineato che ridurre le tasse anche a chi ha già una buona capacità di spesa avrebbe effetti minimi sul PIL.

ILSOLE24ORE – RAGIONERIA DELLO STATO: AUMENTO DI 13 MILIARDI DELLE ENTRATE NEL PRIMO SEMESTRE 2024

La Ragioneria generale dello Stato ha comunicato che nel primo semestre del 2024 le entrate tributarie e contributive sono aumentate di 13,113 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2023. Questo incremento è dovuto a una crescita delle entrate tributarie di 10,973 miliardi, pari al 4,2%, e a un aumento delle entrate contributive di 2,14 miliardi, corrispondente all’1,7%. La Ragioneria ha specificato che il confronto con il 2023 non è omogeneo, poiché mancano nel dato attuale le entrate dell’autotassazione delle dichiarazioni dei redditi. Queste informazioni potrebbero influenzare le decisioni riguardanti la manovra economica, con un’ipotesi di intervento compresa tra 22 e 23 miliardi di euro.

ILSOLE24ORE – GLI INCASSI DELLE MULTE STRADALI SONO AUMENTATI DEL 6,9% NEL 2023

Nel 2023, gli incassi derivanti dalle multe stradali nei principali Comuni italiani sono aumentati del 7%, raggiungendo un totale di 584,7 milioni di euro nelle 20 città più grandi del Paese. Roma ha registrato il maggior incremento, con oltre 172 milioni di euro, un aumento del 29,7% rispetto al 2022. Al secondo posto c’è Milano, con 147 milioni di euro, anche se in calo del 3% rispetto all’anno precedente. Firenze e Bologna seguono rispettivamente con 45 e 43 milioni di euro. L’analisi delle multe elevate tramite autovelox mostra che Firenze ha incassato di più con 18,7 milioni di euro, seguita da Milano (8,5 milioni), Roma (7,5 milioni) e Genova (5 milioni). In termini di multe pro capite, Potenza e Firenze registrano i valori più alti, con oltre 123 euro per residente, mentre Napoli si trova in fondo alla classifica con soli 8,2 euro pro capite. Potenza ha visto la crescita più significativa nei proventi da sanzioni stradali, con un incremento del 110% in un anno, passando da 3,7 milioni di euro nel 2022 a 7,9 milioni di euro nel 2023. Altri aumenti significativi sono stati registrati a Catanzaro (+41,8%), Venezia (+39,5%) e Pescara (+32,8%). Tuttavia, nove delle venti città principali hanno registrato un calo nei proventi, con Trieste che ha visto una diminuzione del 33%, seguita da Napoli (-15,5%) e Palermo (-10%). Nonostante l’incremento delle multe, sorgono domande sulla destinazione di questi fondi e sull’efficacia delle misure per la sicurezza stradale. Il Codacons sottolinea che l’Osservatorio sulle multe stradali, introdotto dal decreto legge P.a. bis del 2023, non è ancora operativo. Questo Osservatorio dovrebbe monitorare gli incidenti stradali, l’utilizzo dei proventi delle multe e l’uso dei dispositivi elettronici di controllo della velocità. Il mancato funzionamento dell’Osservatorio solleva dubbi sull’uso trasparente ed efficace dei fondi raccolti tramite le multe stradali.

ANSA – META’ DEGLI ITALIANI NON SA LEGGERE LE BOLLETTE DI LUCE E GAS

Metà degli italiani non sa leggere le bollette del gas e della luce. Secondo un’indagine condotta da Consumerismo No profit e Assium (Associazione Italiana Utility Manager) per Arera, il 52% degli utenti legge solo la prima pagina o sfoglia velocemente il documento. Dopo l’importo da pagare, il 29% consulta il consumo di energia del periodo di fatturazione, mentre il 20,4% controlla i consumi per verificare eventuali anomalie. Un altro 18,2% si limita a verificare l’importo da pagare. Le difficoltà principali nella comprensione delle bollette sono legate al dettaglio tra costi fissi e variabili (58,3%), alla suddivisione delle voci di spesa (55,1%) e alle tariffe energetiche applicate nel periodo (52,3%). Assium e Consumerismo evidenziano che il 70% degli intervistati ritiene che un modello unificato di bolletta potrebbe migliorare trasparenza, chiarezza e uniformità dei contenuti. Per rispondere a queste esigenze, Assium e Consumerismo hanno lanciato una raccolta firme per introdurre in bolletta il prezzo unico per kWh (energia) e metro cubo (gas), simile a quanto avviene per i carburanti. In sole due settimane, questa iniziativa ha raccolto 30.000 firme, che presto verranno consegnate alle istituzioni parlamentari e governative, come ha dichiarato Federico Bevilacqua, presidente di Assium.

ANSA – IL COSTO MEDIO DELLA RC AUTO E’ SALITO DEL 10,5% IN 2 ANNI

Il costo medio dell’assicurazione RC auto in Italia ha subito un significativo aumento del +10,5% negli ultimi due anni, raggiungendo un valore medio di 389 euro a gennaio 2024. Questo incremento è stato analizzato dall’Ivass, evidenziando un aumento netto di 37 euro rispetto al costo medio registrato a gennaio 2022. I dati provenienti da Federcarrozzieri mettono in luce una tendenza al rialzo delle tariffe assicurative non solo in Italia, ma anche in Europa e nel resto del mondo. Secondo lo studio, gli automobilisti italiani pagano di più rispetto ad altri paesi europei come Germania e Spagna, ma meno di Francia e Regno Unito. Mentre in Russia e negli Stati Uniti le tariffe sono significativamente più basse. Il presidente di Federcarrozzieri, Davide Galli, ha attribuito questo aumento dei costi principalmente al rincaro dei pezzi di ricambio per le automobili, che ha comportato un incremento dei costi per le riparazioni pagate dalle compagnie di assicurazioni. La guerra in Ucraina e i problemi logistici nel settore dei trasporti internazionali hanno aggravato la situazione, portando a un aumento medio del 48% dei prezzi dei ricambi in Italia dal 2021. Questa situazione ha costretto le compagnie assicurative a rialzare le tariffe dell’RC auto, trasferendo i maggiori costi agli automobilisti. Inoltre, sempre più compagnie stanno adottando politiche di canalizzazione forzata delle riparazioni, che danneggiano gli assicurati aumentando i costi dei sinistri. Nel contesto italiano, ben tre province hanno superato la soglia dei 500 euro a polizza a gennaio 2024: Napoli (560 euro), Prato (553 euro) e Caserta (500 euro). Al contrario, Enna si è confermata come la provincia più conveniente, con una tariffa annua di soli 287 euro.

ILSOLE24ORE – ABI: A MARZO I TASSI DI INTERESSE SUI MUTUI AL 3,79%

Secondo i dati dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), a marzo si è confermata la tendenza alla diminuzione dei tassi di interesse, già iniziata a febbraio. Nel dettaglio, il tasso medio sulle nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni è sceso al 3,79%, rispetto al 3,89% registrato a febbraio e al 4,42% di dicembre 2023. Anche il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è diminuito, passando dal 5,34% di febbraio al 5,26% di marzo, e dal 5,45% di dicembre 2023. Il tasso medio complessivo sui prestiti è sceso al 4,79%, in calo rispetto al 4,80% del mese precedente. Inoltre, il rapporto ABI ha evidenziato un calo dei tassi di mercato nei primi 10 giorni di aprile. Ad esempio, il tasso medio sui Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) è stato del 3,78%, in diminuzione di 121 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Allo stesso modo, il tasso IRS a 10 anni, ampiamente utilizzato nei mutui, è sceso al 2,68%, con un calo di 84 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Il tasso medio sull’Euribor a 3 mesi è stato del 3,89%, in calo di 11 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Parallelamente alla diminuzione dei tassi di interesse, il rapporto ABI ha segnalato un aumento della raccolta, sia indiretta che diretta. La raccolta indiretta ha registrato un incremento di circa 218 miliardi tra febbraio 2023 e febbraio 2024, con una crescita significativa nella raccolta a medio e lungo termine tramite obbligazioni. Allo stesso tempo, i depositi sono diminuiti dello 0,3% su base annua a marzo 2024, sebbene in un rallentamento rispetto al mese precedente. Complessivamente, la raccolta diretta composta da depositi da clientela residente e obbligazioni è aumentata dell’1,7% su base annua a marzo 2024, proseguendo la tendenza crescente registrata nei mesi precedenti.

ANSA – ARRIVA LA MORATORIA A SOSTEGNO DELLE IMPRESE COLPITE DAL PROLIFERARE DEL GRANCHIO BLU

Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha firmato due decreti a sostegno delle imprese di pesca colpite dal proliferare del granchio blu nei mari italiani. La moratoria dei mutui per 24 mesi è una delle principali misure adottate per affrontare la crisi. I decreti, rivolti alle regioni Veneto ed Emilia-Romagna, prevedono anche l’esonero parziale dai contributi previdenziali e assistenziali sia per i titolari delle imprese che per i dipendenti, oltre all’accesso facilitato a finanziamenti agevolati. Il ministro Lollobrigida ha annunciato le misure durante la presentazione di Cibus 2024, sottolineando l’importanza di fornire un sostegno concreto agli imprenditori del settore colpiti dalla diffusione del granchio blu. La decisione di equiparare i pescatori agli agricoltori, consentendo loro di beneficiare del Fondo di solidarietà nazionale, è stata definita storica e cruciale per affrontare l’emergenza. I decreti sottoscritti oggi dichiarano l’eccezionalità dell’evento legato alla diffusione del granchio blu nelle regioni Veneto ed Emilia-Romagna nel 2023, evidenziando l’impatto continuativo sulla pesca e sull’acquacoltura. Grazie alla modifica normativa promossa dal Governo Meloni, il Fondo di solidarietà nazionale, precedentemente riservato solo al settore agricolo, è stato esteso anche alla pesca e all’acquacoltura. Lollobrigida ha sottolineato che questa modifica normativa è il risultato di una visione che considera i pescatori come gli agricoltori del mare, eliminando una disparità di trattamento rispetto agli agricoltori terrestri. La dichiarazione di eccezionalità dell’evento legato al granchio blu rappresenta un importante passo avanti per il settore della pesca, ottenuto grazie alla collaborazione e all’impegno del Governo Meloni. Il ministro ha concluso affermando che le imprese del Veneto e dell’Emilia-Romagna potranno usufruire delle misure compensative previste dalla legge, tra cui la proroga dei mutui fino a 24 mesi, l’esonero parziale dai contributi previdenziali e assistenziali e l’accesso semplificato a finanziamenti agevolati. Questi interventi mirano a sostenere le imprese colpite dalla crisi causata dalla diffusione del granchio blu e a garantire la qualità e la sostenibilità del settore della pesca italiano.

ANSA – CGIA DI MESTRE: BOLLETTE LUCE E GAS +26,2% IN 3 ANNI

Secondo uno studio condotto dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre (Venezia), i prezzi di mercato del gas naturale e dell’energia elettrica nel mese di febbraio sono tornati agli stessi livelli del giugno 2021. Tuttavia, le bollette pagate dalle famiglie italiane nel 2023 hanno subito un aumento medio del 26,2% rispetto a tre anni fa, con un incremento medio di 328 euro. L’analisi evidenzia che, nonostante il calo dei prezzi di mercato registrato per gas ed elettricità, le bollette hanno continuato a crescere in modo significativo. Nel dettaglio, l’aumento medio annuo delle bollette di luce e gas tra il 2021 e il 2023 è stato del 33,6%. Il Nordest si è rivelato essere l’area del Paese maggiormente colpita dai rincari, seguito dal Nordovest, dal Mezzogiorno e infine dal Centro. Anche se tutti gli utenti hanno subito un aumento dei costi, quelli del mercato tutelato hanno registrato un incremento inferiore rispetto a quelli del mercato libero. In particolare, per quanto riguarda il gas, mentre i prezzi nel mercato tutelato sono diminuiti, nel mercato libero si è registrato ancora un aumento. Allo stesso tempo, il prezzo italiano dell’energia elettrica è risultato essere uno dei più alti nell’Area Euro nel primo semestre del 2023. Questo aumento delle bollette è avvenuto nonostante i prezzi delle materie prime siano in calo dalla fine del 2022 e nonostante i governi Draghi e Meloni abbiano erogato quasi 100 miliardi di euro per contrastare il caro energia a famiglie e imprese. Secondo l’Ufficio Studi della Cgia, l’aumento significativo della quota fissa in bolletta, insieme all’inflazione nel settore energetico, ha contribuito in modo rilevante all’aumento delle bollette, rappresentando una sfida per le famiglie italiane e un problema di bilancio per molte imprese.

WIRED – DAL PRIMO GENNAIO 2024 AL VIA LA TASSAZIONE MINIMA AL 15% PER LE MULTINAZIONALI

Dal primo gennaio di quest’anno è entrata in vigore, in tutta l’Unione Europea, una direttiva che impone una tassazione minima effettiva del 15% per le multinazionali attive sul suolo comunitario. Si tratta di una misura fortemente voluta dall’Unione Europea, che mira a ridurre la concorrenza fiscale tra i Paesi e a garantire un’equa distribuzione del gettito fiscale. La direttiva si applica a tutte le grandi società con entrate finanziarie superiori a 750 milioni di euro l’anno. Queste società dovranno pagare una tassa minima del 15% sui loro profitti, indipendentemente dal Paese in cui sono stabilite. La direttiva è stata approvata dall’unanimità dai 27 Paesi dell’UE nel dicembre 2022. A livello globale, invece, la riforma fiscale internazionale progettata dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, è stata approvata da 139 Paesi. L’introduzione di una tassazione minima del 15% per le multinazionali è una misura importante per la lotta all’evasione fiscale e alla concorrenza sleale. La direttiva UE potrebbe generare 220 miliardi di dollari in tutto il mondo, a patto che tutti i firmatari dell’accordo la mettano in pratica.

MONEY – ARRIVA LA RATEIZZAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI IN 120 RATE (10 ANNI)

Arriva la rateizzazione strutturale delle cartelle esattoriali in 120 rate (10 anni). Ad annunciarlo il Viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo in una recente intervista. La misura, che sarà contenuta in uno dei decreti legislativi che il Governo si appresta a varare per la riforma fiscale, è volta a venire incontro ai contribuenti che si trovano in difficoltà economica nel pagare i debiti con il Fisco. Attualmente, infatti, la rateizzazione delle cartelle esattoriali è possibile fino a un massimo di 72 rate, ma è prevista solo in casi di comprovata difficoltà economica. Con la nuova misura, invece, la rateizzazione sarà possibile per tutti i contribuenti, anche se non si trovano in difficoltà economica. La rateizzazione sarà concessa, però, a condizioni più favorevoli per i contribuenti onesti che si trovano in difficoltà a pagare con dilazioni più corte. In particolare, il tasso di interesse applicato sarà più basso e non saranno previsti ulteriori oneri accessori. Al contrario, la rateizzazione sarà concessa con condizioni più stringenti per i cosiddetti “furbetti”, ovvero per chi non paga le tasse o le dilaziona solo per avere maggiori finanze da investire (a spese del Fisco). In questi casi, il tasso di interesse applicato sarà più alto e saranno previsti ulteriori oneri accessori.

SKYTG24 – COSA C’E’ NELL’ACCORDO EUROPEO SUL PATTO DI STABILITA’

I ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo all’unanimità su una proposta per riformare il Patto di stabilità, ossia l’insieme di complesse regole fiscali a cui tutti i paesi membri sono sottoposti. L’accordo prevede una serie di cambiamenti rispetto alle regole attuali, che erano state sospese a causa della pandemia e della guerra in Ucraina. I paesi del Nord Europa, come Germania e Paesi Bassi, hanno ottenuto che i paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL debbano ridurre il debito in quattro anni, prorogabili fino a sette, con obiettivi spalmabili nel tempo. I paesi del Sud Europa, come Francia e Italia, hanno ottenuto la possibilità di spalmare la riduzione del debito su più anni e di scorporare il pagamento degli interessi del debito da tutti questi calcoli fino al 2027. Inoltre, le multe per i paesi che violeranno il piano di riduzione del debito saranno più contenute di prima: saranno dello 0,05 per cento del proprio PIL. L’accordo sarà valutato dal Parlamento Europeo, ma a meno di sorprese ci si aspetta che sarà approvato in via definitiva nei primi mesi del 2024.

L’INDIPENDENTE – NESSUNA BANCA PAGA LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI

La tassa sugli extraprofitti, introdotta dal governo Meloni, registra un fallimento: le principali banche nazionali non pagano alcun importo all’Erario. Un emendamento, introdotto dopo un mese dall’approvazione, consente alle banche di evitare il pagamento a condizione che destinino 2,5 volte il consolidamento del loro patrimonio. È quanto stanno facendo istituti come Unicredit, Intesa San Paolo, Bpm, Bper, Credem, Mediobanca e ora anche Mediolanum, controllata al 30% dalla famiglia Berlusconi. Partiti come Forza Italia hanno fortemente contrastato la misura. Nemmeno Monte dei Paschi di Siena (MPS) e Mediocredito-Banca del Mezzogiorno hanno aderito, nonostante i legami con il Ministero dell’Economia e Invitalia, controllata dal Tesoro.

SCENARIECONOMICI – L’ITALIA VERSO LA DEFLAZIONE

L’Italia registra un’inflazione negativa mese su mese, portando preoccupazioni di deflazione e contrastando le dichiarazioni recenti della BCE. Secondo l’ISTAT, a novembre si stima un calo dello 0,5% dei prezzi al consumo su base mensile e un aumento annuale dello 0,7%, in calo dal +1,7% del mese precedente. La diminuzione dell’inflazione è attribuita principalmente ai prezzi dell’energia, in calo sia per quelli non regolamentati sia per quelli regolamentati, seguiti da una moderata riduzione nei settori alimentari lavorati e nei servizi culturali. Ciò è solo in parte compensato da un aumento nei prezzi degli alimentari non lavorati. L’inflazione di base, escludendo energia e alimenti freschi, continua a rallentare, evidenziando un potenziale impatto negativo sui consumi e sull’industria. Gli alti tassi reali, come l’Euribor al 4%, potrebbero portare a una stretta finanziaria dannosa, sollevando la necessità di tagli immediati ai tassi per evitare danni economici significativi.

TGCOM24 – REPORT MEDIOBANCA: IN 4 ANNI BIG TECH HANNO ELUSO OLTRE 50 MILIARDI DI TASSE

Un report di Mediobanca rivela che le Big Tech hanno eluso oltre 50 miliardi di tasse tra il 2019 e il 2022, sfruttando regimi fiscali agevolati in vari Paesi. Colossi come Tencent, Microsoft e Alphabet hanno risparmiato rispettivamente 19,2 miliardi, 12,3 miliardi e 7,1 miliardi. Nel 2022, un terzo degli utili delle principali aziende web è stato tassato in Paesi a regime fiscale privilegiato, raggiungendo un risparmio fiscale di 13,6 miliardi di euro, accumulando un totale di 50,7 miliardi in 4 anni. L’aliquota media di tassazione nel 2022 è stata del 15,1%, inferiore del 7% rispetto alla media basata sui Paesi di sede delle aziende (21,9%). Nel contesto italiano, le grandi aziende pagano meno tasse delle microimprese, creando una disparità significativa. La Global minimum tax, prevista per il 2024 in Italia, potrebbe introdurre l’aliquota del 15% sugli utili delle multinazionali, garantendo maggiore equità fiscale.

SOLDI

BORSAITALIANA – NEL RESTO D’EUROPA GLI STIPENDI CRESCONO MOLTO DI PIU’ RISPETTO ALL’ITALIA

Negli ultimi dieci anni, le retribuzioni medie nei Paesi membri dell’Unione Europea sono cresciute del 30%, mentre in Italia l’aumento si è fermato al 15%. Secondo i dati di Eurostat, lo stipendio medio annuo dei lavoratori dipendenti nell’UE ha raggiunto i 37.900 euro nel 2023, in crescita del 6,5% rispetto ai 35.600 euro del 2022. Tuttavia, all’interno dell’Unione, le differenze salariali tra i Paesi sono molto marcate: Lussemburgo: stipendio medio più alto con 81.100 euro annui. Danimarca: seconda posizione con 67.600 euro. Irlanda: terza con 58.700 euro. All’estremo opposto si trovano: Bulgaria: stipendio medio di 13.500 euro. Ungheria: 16.900 euro. Grecia: 17.000 euro. Nel nostro Paese, il salario medio annuo è passato dai 31.847 euro del 2022 ai 32.749 euro del 2023, posizionandosi sotto la media europea. A confronto con altre nazioni: Francia: stipendio medio di 42.662 euro. Germania: 50.998 euro. Spagna: valori simili a quelli italiani, con 32.587 euro. Nonostante questa vicinanza con la Spagna, l’Italia resta distante dai livelli di molti altri Paesi economicamente comparabili. Secondo Eurostat, l’Italia detiene il record di disparità regionali nelle retribuzioni all’interno dell’UE. Nel 2023, il coefficiente di variazione tra le diverse regioni italiane ha raggiunto il 16,3%, evidenziando una distribuzione fortemente disomogenea. A seguire, troviamo: Belgio: disparità del 8,5%. Romania: 7,7%.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
ANSA – ISTAT: CRESCE L’ECONOMIA ILLEGALE E SOMMERSA

L’economia illegale e sommersa in Italia continua a crescere, secondo un report dell’Istat. Nel 2022, il valore dell’economia illegale ha raggiunto i 19,8 miliardi di euro, con un incremento di 1,2 miliardi rispetto all’anno precedente. Questo valore ha superato i livelli pre-pandemia. Allo stesso tempo, l’economia sommersa ha raggiunto i 181,8 miliardi di euro, con un aumento di 16,3 miliardi rispetto al 2021. Il report dell’Istat analizza l’andamento dell'”economia non osservata nei conti nazionali”, che comprende sia l’economia sommersa che le attività illegali. Nel complesso, nel 2022, l’economia non osservata è aumentata del 9,6%, arrivando a un valore totale di 201,6 miliardi di euro. Questo incremento è in linea con la crescita del PIL. La crescita dell’economia illegale è stata principalmente influenzata dal traffico di stupefacenti. Il valore aggiunto generato da questa attività ha raggiunto i 15,1 miliardi di euro nel 2022, con un aumento di un miliardo rispetto al 2021. Anche la spesa per consumi finali legati alle droghe è aumentata, passando a 17,2 miliardi di euro. Inoltre, si è registrato un incremento nei servizi di prostituzione, con un valore aggiunto salito a 4 miliardi e consumi finali aumentati a 4,7 miliardi. Il contrabbando di sigarette rimane una componente marginale dell’economia illegale, con un valore aggiunto di soli 700mila euro e consumi di circa 800mila euro. L’indotto delle attività illegali è principalmente legato ai settori dei trasporti e del magazzinaggio, dove il valore aggiunto è aumentato da 1,4 miliardi nel 2021 a 1,6 miliardi nel 2022. L’economia sommersa ha visto un aumento significativo tra i professionisti e una riduzione nelle costruzioni. È particolarmente diffusa nei settori degli ‘altri servizi alle persone’ (30,5% del valore aggiunto), del ‘commercio, trasporti, alloggio e ristorazione’ (18,5%) e delle costruzioni (17,5%). La sotto-dichiarazione ammonta a 100,9 miliardi mentre il lavoro irregolare corrisponde a 69,2 miliardi. Nel 2022 il numero delle unità di lavoro irregolari è rimasto stabile a circa 2 milioni e 986mila. L’incidenza del lavoro irregolare è più alta nel settore terziario (14,6%) e raggiunge picchi significativi negli ‘altri servizi alle persone’ (39,3%), in agricoltura (17,4%), nelle costruzioni (12,4%) e nel commercio e trasporti (14,5%).

L’INDIPENDENTE – I PRIMI 7 GRUPPI BANCARI HANNO RADDOPPIATO GLI UTILI IN 2 ANNI

Nel primo semestre del 2023, i sette principali gruppi bancari italiani – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, BPER, MPS, Credem e Popolare di Sondrio – hanno registrato un raddoppio dei profitti rispetto allo stesso periodo del 2022. Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Ufficio Studi e Ricerche della FISAC CGIL. L’aumento esponenziale dei guadagni è stato principalmente trainato dagli elevati tassi di interesse, che hanno contribuito a far crescere i ricavi del 74,6%. Anche i ricavi da commissioni sono aumentati, sebbene in misura minore (+2,1% rispetto al 2022), così come le attività assicurative (+10% rispetto all’anno precedente). Complessivamente, l’utile netto dei gruppi bancari è cresciuto del 30% nell’arco di due anni. A causa di questi risultati, continua il dibattito sulla possibile introduzione di una tassa sugli extra-profitti, anche se i tre partiti di maggioranza hanno espresso una ferma opposizione. «Abbiamo sempre detto no alle tasse imposte dall’alto», ha dichiarato Antonio Tajani, Ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, suggerendo invece che il governo chieda alle banche un aiuto volontario, pur riconoscendo che questa proposta appare improbabile. Il rapporto di FISAC CGIL, intitolato “Lascia o Raddoppia? Come i gruppi bancari hanno raddoppiato gli utili in meno di due anni”, analizza dettagliatamente i dati del primo semestre del 2023 e li confronta con quelli dello stesso periodo del 2022. Secondo lo studio, la principale voce di guadagno a registrare un forte incremento è stata quella legata ai ricavi sui tassi di interesse, che hanno segnato una crescita del 74,6%, corrispondente a oltre 8 miliardi di euro. Anche altri ricavi operativi hanno mostrato un aumento: +2,1% per le commissioni (oltre mezzo milione di euro), +10,4% per le attività assicurative (100 milioni in più), e +32,3% per altri ricavi operativi (+150 milioni). Tuttavia, il risultato della compravendita di attività finanziarie è stato dimezzato, con una riduzione di circa 1,2 miliardi di euro. Nonostante questo, «già a questo livello del conto economico i proventi netti sono in aumento di più del 30% rispetto al 2022». L’utile netto complessivo è cresciuto del 93,1% in due anni, portando oltre 6 miliardi di euro in più nelle casse degli istituti bancari. La segretaria generale della FISAC CGIL, Susy Esposito, ha sottolineato che questi «numeri da record» dovrebbero essere tradotti in «un forte investimento sul fronte dell’occupazione» e dell’innovazione tecnologica. Infatti, mentre l’Italia rimane tra i Paesi dell’Unione Europea con i più bassi livelli di occupazione, reddito reale e innovazione, le banche italiane, nonostante l’aumento dei ricavi, continuano a mantenere costi contenuti. Negli ultimi due anni, i costi del personale sono aumentati solo del 3,5% (circa 300 milioni di euro), mentre gli altri costi operativi, inclusi gli investimenti in innovazione e tecnologia, sono cresciuti dell’1,8% (circa 100 milioni di euro). PierPaolo Bombardieri, segretario generale della UIL, ha ribadito la necessità di introdurre una tassa sugli extra-profitti: «Da tempo chiediamo l’extra tassa sugli extraprofitti, perché negli ultimi anni ci sono stati settori produttivi che hanno avuto grandi profitti non in conseguenza della loro normale attività, ma per eventi eccezionali». Tuttavia, il governo continua a respingere l’idea di una vera e propria tassa sui guadagni straordinari delle banche. In un’intervista, il Ministro Tajani ha ribadito il suo no alla tassa, pur lasciando aperta la possibilità che le banche possano fornire «un aiuto, un contributo alle casse dello Stato», a condizione che tale contributo venga concordato con gli istituti di credito, lasciando intendere che la decisione spetterebbe alle banche stesse.

AGI – GLI ITALIANI PRELEVANO IN MEDIA DAI BANCOMAT UN MILIARDO AL GIORNO

Gli italiani prelevano mediamente un miliardo di euro al giorno dai bancomat. Nel 2022, il totale dei prelievi in contante è stato di 350 miliardi di euro, cifra che è salita a 360 miliardi nel 2023, con un incremento di 10 miliardi (+2%). Questo aumento è significativo rispetto ai 352 miliardi del 2021. Secondo un report del Centro studi di Unimpresa, il contante continua a essere molto utilizzato, ma anche i pagamenti digitali stanno crescendo. Nel 2022, le operazioni di pagamento digitale hanno raggiunto 11.000 miliardi di euro, principalmente attraverso bonifici, assegni e carte di credito o debito. Le transazioni con carte sono aumentate a 426 miliardi di euro nel 2023, rispetto ai 382 miliardi del 2022, segnando un incremento dell’11,5%. Le carte in circolazione sono oltre 120 milioni, con un aumento di 5 milioni rispetto all’anno precedente. Nonostante l’uso crescente delle carte, gli italiani continuano a preferire il contante, con una media di sole 200 operazioni pro capite all’anno. Questo numero è significativamente inferiore rispetto alla media di altri paesi europei, dove si registrano tassi molto più alti di utilizzo di pagamenti alternativi al contante. Le associazioni dei consumatori notano che, nonostante l’aumento dei pagamenti digitali, molti italiani rimangono affezionati alla moneta di carta, evidenziando una certa resistenza al cambiamento nelle abitudini di pagamento.

ANSA – INFLAZIONE ALL’1,3%: PER LE FAMIGLIE RINCARI DI 400 EURO IN PIU’ ALL’ANNO

L’inflazione in Italia è tornata a salire all’1,3% a luglio 2024, dopo essere rimasta ferma allo 0,8% da aprile. Nonostante sia uno dei tassi più bassi dell’Eurozona, con Germania e Francia al 2,3% e Spagna al 2,9%, le associazioni dei consumatori lanciano l’allarme sui rincari per le famiglie italiane, che toccheranno i 400 euro annui. Secondo l’Istat, la risalita dell’inflazione è dovuta principalmente all’accelerazione dei prezzi dei beni energetici regolamentati (+11,7%) e non regolamentati (-6%), oltre che di tabacchi (+4,1%) e servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+4,4%). Buone notizie invece per il carrello della spesa, con i prezzi dei beni alimentari non lavorati in calo (-0,4%) e quelli lavorati in rallentamento (+1,6%). L’inflazione di fondo resta stabile al 1,9%. I prezzi sono saliti in tutta Italia, con il Nord-Est che registra i valori più alti (+1,5%), seguiti da Centro e Sud (+1,3%), Isole (+1,2%) e Nord-Ovest (+1,1%). Rimini è la città più cara (+2,1%), seguita da Bolzano (+2%), Napoli, Parma e Padova (+1,9%). Le associazioni dei consumatori stimano che una famiglia con un figlio avrà un maggior esborso di 426 euro nel 2024, mentre per un nucleo con due figli l’incremento sarà di 534 euro. I rincari riguardano in particolare i servizi turistici, con pedaggi autostradali (+1,3%), parcheggi (+2,4%), treni (+8,1%), pullman (+3,1%) e pacchetti vacanza nazionali (+29,9%). Anche dormire in villaggio vacanza o campeggio costa l’8,2% in più, mentre alberghi e motel segnano un +3,8%. Secondo l’Unione nazionale consumatori, solo per dormire e mangiare al ristorante una coppia con due figli spenderà 106 euro in più. Assoutenti punta il dito contro “il flop del mercato libero” di luce e gas, che non ha portato i previsti ribassi delle tariffe.

L’INDIPENDENTE – CGIA DI MESTRE: COSTO DELLA VITA IN ITALIA AUMENTATO DEL 16,4% IN 4 ANNI

L’analisi dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha rivelato che, tra il 2019 e il 2023, il costo della vita in Italia è aumentato in media del 16,3%. Gli aumenti più significativi si sono registrati nel settore dell’energia, con le bollette dell’elettricità cresciute del 108% e quelle del gas del 72,1%. Anche il costo dell’acqua è aumentato del 13,2%, mentre i servizi postali hanno visto un incremento dell’8,6%. Aumenti si sono verificati anche per il trasporto urbano (+6,3%), il trasporto ferroviario (+4,5%), i taxi (+3,9%), la gestione dei rifiuti (+3,5%) e i pedaggi autostradali (+3,3%). In media, le famiglie italiane spendono poco più di 2.900 euro all’anno per queste tariffe, che rappresentano circa il 12% della spesa familiare annuale.

AGI – L’ITALIA HA GIA’ SPESO 51,4 MILIARDI DEI FONDI PNRR

Finora, l’Italia ha speso 51,4 miliardi dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), quasi 10 miliardi in più rispetto alla fine del 2023. Questo importo rappresenta circa la metà delle risorse totali, pari a 102,5 miliardi, finora erogate. Al 30 giugno 2024, gli interventi attivati ammontano a circa 165 miliardi di euro, corrispondenti all’85% della dotazione complessiva del Piano. I progetti non ancora avviati riguardano le misure introdotte con la revisione del Pnrr approvata l’8 dicembre 2023, per le quali è in fase di conclusione la selezione dei progetti. Durante la Cabina di regia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sottolineato che l’Italia è al primo posto in Europa per obiettivi raggiunti e avanzamento finanziario del Pnrr, affermando che l’Italia ha ricevuto finora 113,5 miliardi di euro, pari al 58,4% delle risorse totali previste dal Piano. La richiesta di pagamento della sesta rata, presentata il 28 giugno scorso, ha confermato il raggiungimento di traguardi a cui è legato il 63% delle risorse del piano. La quinta relazione semestrale sull’andamento del Pnrr è stata approvata e sarà inviata al Parlamento nei prossimi giorni. Con il pagamento della quinta rata, approvato dalla Commissione europea il 2 luglio 2024 e dal Comitato economico e finanziario il 18 luglio 2024, l’Italia ha ricevuto 102,5 miliardi di euro, cifra che salirà a 113,5 miliardi con il pagamento della quinta rata. Nei prossimi mesi, il governo si concentrerà sulla settima rata nella seconda metà del 2024, mentre nel 2025 l’attenzione sarà sull’ottava e la nona rata, per poi passare all’analisi della decima nei primi sei mesi del 2026. Tra gli investimenti più rilevanti della sesta rata c’è il potenziamento della linea Adriatica per il trasporto del gas e la costruzione di collegamenti ferroviari ad alta velocità sulle linee Orte-Falconara e Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia. Il ministro per gli Affari Ue, Raffaele Fitto, ha spiegato che la differenza tra la spesa rilevata nella quarta relazione (45,6 miliardi) e l’avanzamento attuale è dovuta alla rimodulazione di alcune misure, riducendo ufficialmente la spesa di 4 miliardi. Fitto ha invitato a considerare il quadro positivo dell’avanzamento della spesa. Quanto alla possibilità di una proroga della scadenza del piano, Fitto ha dichiarato che la questione sarà eventualmente discussa in Consiglio europeo e dalla Commissione. Ha escluso categoricamente che possano esserci problemi tra il governo italiano e le istituzioni europee riguardo l’attuazione del Pnrr, nonostante il mancato sostegno del partito della premier alla rielezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue.

ANSA – L’ENERGIA ELETTRICA IN ITALIA E’ TRA LE PIU’ CARE D’EUROPA

L’energia elettrica in Italia è tra le più costose d’Europa. Il Paese si colloca al sesto posto per il costo medio di un kilowattora, che negli ultimi due anni è aumentato del 42%, rispetto al 20% della media UE. Nel 2023, gli italiani hanno speso in media oltre 960 euro per la bolletta elettrica, il 23% in più rispetto alla media europea per gli stessi consumi. Questa cifra è stata calcolata da Facile.it considerando il consumo di una famiglia-tipo italiana (2.700 kWh) e le tariffe dell’energia elettrica rilevate da Eurostat nei vari Paesi dell’UE. Se in Italia si applicassero le tariffe medie europee, il costo delle bollette si ridurrebbe di oltre 180 euro all’anno. Nel 2023, l’Italia ha registrato una delle peggiori performance in Europa per il costo dell’energia elettrica. Analizzando il secondo semestre dello scorso anno, l’Italia è risultata il sesto paese più caro tra i 27 Stati UE, con una tariffa media di 0,3347 euro per kilowattora (tasse e oneri inclusi). Anche se c’è stato un calo dei prezzi del 12% rispetto al primo semestre, non è stato sufficiente per uscire dal gruppo dei paesi con le tariffe più elevate. Solo pochi Paesi hanno avuto costi superiori. In Germania, i consumatori hanno speso il 20% in più rispetto all’Italia, in Irlanda e Belgio il 13% in più, e in Danimarca il 6% in più. Molti altri Paesi hanno invece registrato tariffe più basse. In Francia, il prezzo medio è stato il 29% inferiore rispetto all’Italia, in Spagna il 43% inferiore, e in Svezia addirittura il 53% inferiore. Le tariffe italiane sono state più alte del 196% rispetto a quelle ungheresi.

MONEY – PIL: RISPETTO ALLA MEDIA DEGLI ALTRI PAESI DELL’EUROZONA L’ITALIA HA REGISTRATO UNA CRESCITA LEGGERMENTE SUPERIORE

Le stime preliminari dell’ISTAT indicano una crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) italiano nel primo trimestre dell’anno, con un aumento dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,6% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Questo dato positivo è stato supportato da una crescita in tutti i settori dell’economia, inclusi l’agricoltura, l’industria e i servizi. Sebbene i consumi nazionali siano stati negativi, sono stati compensati da un aumento delle esportazioni nette. Rispetto alla media degli altri paesi dell’Eurozona, l’Italia ha registrato una crescita leggermente superiore. Nel medesimo periodo, il PIL dell’Eurozona è cresciuto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, in linea con l’Italia, ma dello 0,4% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, con un gap di 0,2 punti percentuali rispetto all’Italia. In confronto con altri paesi chiave, l’Italia ha mostrato una crescita maggiore rispetto alla Germania, il cui PIL è diminuito dello 0,2%, ma inferiore rispetto a Francia e Spagna, che hanno registrato una crescita rispettivamente dell’1,1% e del 2,4%. I dati preliminari sul PIL del primo trimestre hanno dissipato le preoccupazioni di una recessione nell’Eurozona, con performance positive. Sono state sorprendenti le performance di Italia e Germania, che sono tra le principali economie trainanti. La Germania ha registrato una crescita modesta ma significativa del PIL dello 0,2%, contribuendo al rilancio della regione. È previsto che l’inizio dell’allentamento monetario da parte della Banca Centrale Europea a partire da giugno dia ulteriore impulso all’economia. L’Italia ha mostrato una performance altrettanto buona, con una crescita del PIL dell’0,3% nel periodo gennaio-marzo, superando le previsioni che indicavano una crescita dello 0,1%. Questo risultato è stato ottenuto nonostante la continua debolezza della domanda interna e della spesa al consumo, con un contributo positivo soprattutto dalle esportazioni nette. Nel complesso, l’uscita dalla recessione dell’Eurozona è stata trainata dalle quattro principali economie, con performance incoraggianti in Francia, Italia, Germania e Spagna. L’ottimismo è tornato nell’economia tedesca, con una crescita del PIL che rappresenta un passo verso una ripresa più forte dell’attività economica.

RAINEWS – UE: OK A PIANO DA 750 MILIONI DI EURO PER LE PMI ITALIANE COLPITE DALLA CRISI ENERGETICA DERIVANTE DALLA GUERRA IN UCRAINA

La Commissione Europea ha dato il via libera all’Italia per un piano di aiuti da 750 milioni di euro alle piccole e medie imprese (PMI) e alle società a media capitalizzazione colpite dalla crisi energetica derivante dalla guerra in Ucraina. Questo piano, approvato nell’ambito del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato, mira a sostenere la transizione verso un settore verde e a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Le risorse verranno erogate sotto forma di garanzie statali, consentendo ai beneficiari di accedere a una maggiore liquidità finanziaria. La decisione della Commissione riflette l’impegno dell’UE nel fornire sostegno concreto alle imprese colpite dagli effetti della guerra in Ucraina e nell’accelerare la transizione verso un’economia più sostenibile.

ANSA – RECORD DI EXPORT DELL’ORTOFRUTTA NEL 2023: 5,8 MILIARDI

Nel corso del 2023, l’Italia ha registrato un record nell’export di ortofrutta fresca, con un valore che ha toccato i 5,780 miliardi di euro, segnando così un aumento del 9,1% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, nonostante questo successo sul mercato internazionale, le cifre mostrano una diminuzione delle quantità esportate, scese dello 0,9%, mentre l’importazione è cresciuta del 13,6% in volume e del 15,7% in valore. L’incremento delle importazioni ha causato un deterioramento della bilancia commerciale, con un saldo che si attesta poco oltre i 543 milioni di euro, registrando un calo del 29,7% rispetto all’anno precedente. Un dato preoccupante è il significativo aumento del deficit delle quantità, con oltre 500.000 tonnellate in più importate rispetto a quelle esportate, segnando così uno storico record negativo. Esaminando i comparti specifici, si osserva un aumento delle esportazioni di tuberi, ortaggi e legumi (+8,7% in quantità e +18,4% in valore), così come degli agrumi (+9,9% in valore e +19,3% in volume). Tuttavia, la frutta fresca ha risentito di una crisi produttiva, con una diminuzione del 7% delle quantità esportate, sebbene il valore sia aumentato del 6,1%. Le esportazioni di frutta secca hanno registrato una diminuzione del 13,3% in valore, mentre la frutta tropicale ha visto una crescita significativa, con un aumento sia in volume che in valore superiore al 20%. Il Presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, ha sottolineato la resilienza del sistema Italia nei mercati internazionali nonostante le sfide del 2023, caratterizzato dall’aumento dei costi di produzione e dalla riduzione del potere di acquisto delle famiglie europee. Tuttavia, Salvi ha espresso preoccupazione per le crisi internazionali, in particolare il blocco del Mar Rosso. Ha anche evidenziato le preoccupazioni riguardo alle decisioni su imballaggi provenienti da Bruxelles, sottolineando la necessità di un maggiore coordinamento e chiarezza nelle politiche adottate.

ANSA – CONTI CORRENTI: 43 MILIARDI DI DEPOSITI IN MENO NEL 2023

A fine 2023, il totale dei depositi sui conti correnti degli italiani ammontava a 1.153 miliardi di euro. Questo rappresenta una diminuzione di 43 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, registrando un calo del 3,6%. L’analisi è stata condotta nell’ultimo rapporto della Fabi sui conti degli italiani. Nello specifico, la regione della Lombardia si distingue per la maggiore liquidità, con un totale di 235 miliardi di euro, corrispondenti al 20% del totale nazionale, mentre il Sud risulta penalizzato sia in termini di liquidità che di rendimenti. Secondo il rapporto della Fabi, la situazione varia notevolmente a livello regionale. Ad esempio, con un saldo di 5.000 euro sul conto corrente, si possono ottenere 18,2 euro di interessi annuali a Trento e Bolzano, 15 euro a Firenze, 13 euro a Roma, 11 euro a Milano e Perugia. Al contrario, la stessa somma frutta solo 6,5 euro a Napoli, 7 euro a Trieste, 8 euro a Catanzaro, Potenza, Genova e Aosta. Inoltre, i correntisti di Torino guadagnano circa 8,5 euro all’anno. Le differenze nei rendimenti offerti dalle banche sulle liquidità dei loro clienti sono evidenti su scala nazionale. Nonostante l’aumento del costo del denaro determinato dalla Banca centrale europea, che ha portato il tasso al 4,5% tra il 2022 e il 2023 con 10 aumenti in 14 mesi, gli interessi praticati variano significativamente da regione a regione. La classifica della liquidità regionale mostra la Lombardia al primo posto con il 10,5% e il 9,2% del totale, seguita da Lazio e Veneto. Le altre regioni si collocano in classifica con importi variabili, ad esempio l’Emilia Romagna con 97,7 miliardi (8,5%), il Piemonte con 90,1 miliardi (7,8%), la Campania con 87,7 miliardi (7,6%), la Toscana con 72,9 miliardi (6,3%), e così via, fino alle regioni con minori depositi come la Basilicata, il Molise e la Valle d’Aosta, tutte sotto l’1% del totale nazionale.

ANSA – BANKITALIA: PIL 2024 A +0,6%. INFLAZIONE IN CALO A 1,3%

La Banca d’Italia ha confermato le previsioni economiche del Paese per il 2024, mantenendo invariata la stima del PIL con una crescita dello 0,6%. Tali previsioni sono rimaste costanti rispetto a quanto dichiarato a gennaio. Si prevede che nel 2025 il PIL aumenterà dell’1% e dell’1,2% nel 2026. Secondo le proiezioni macroeconomiche della Banca d’Italia, l’attività economica potrebbe beneficiare della ripresa della domanda estera e del potere d’acquisto delle famiglie. Tuttavia, si prevede che condizioni di finanziamento ancora restrittive e la diminuzione degli incentivi all’edilizia residenziale possano avere un impatto negativo sugli investimenti. Le stime dell’inflazione sono state riviste al ribasso, con una previsione di un calo all’1,3% nel 2024 rispetto al 1,9% previsto in precedenza. Questo calo dell’inflazione è attribuito principalmente al contributo negativo dei prezzi dei beni intermedi e dell’energia, compensato solo in parte dall’accelerazione delle retribuzioni. La Banca d’Italia prevede che nel prossimo triennio l’occupazione continuerà a crescere, seppur a ritmi inferiori rispetto alla crescita del PIL. Si prevede che il tasso di disoccupazione scenderà lentamente, raggiungendo il 7,4% nel 2026, segnando una significativa diminuzione rispetto ai livelli toccati dopo la crisi del debito. Inoltre, la Banca d’Italia precisa che se si considera il PIL non corretto per le giornate lavorative, si osserverebbe un aumento dello 0,8% nel 2024, dello 0,9% nel 2025 e dell’1,3% nel 2026. Questi dati consentono un confronto con la crescita prevista nel Documento di Economia e Finanza 2024, il quale sarà presto pubblicato.

ANSA – ISMEA: CREDITO IMMEDIATO AL SETTORE ORTOFRUTTA

Ismea ha lanciato una nuova linea di credito per un totale di 19,3 milioni di euro, destinata alle piccole e medie imprese agricole attive nel settore ortofrutticolo, come stabilito dalla legge di Bilancio 2024. Questa iniziativa è volta a fornire sostegno finanziario immediato a un settore importante dell’economia agricola italiana. Il nuovo prestito, denominato “cambiale ortofrutta”, consentirà alle PMI del settore di ottenere liquidità con finanziamenti fino al 50% dei ricavi registrati nel 2022, con un limite massimo di 30.000 euro. Il prestito avrà una durata di cinque anni, con due anni di preammortamento e rate trimestrali posticipate. Il rimborso inizierà 27 mesi dopo l’erogazione del prestito. Inoltre, il tasso di interesse sarà agevolato, con la possibilità di azzerare gli interessi dovuti, nel rispetto dei limiti degli aiuti “de minimis” per ciascun beneficiario. Le domande per accedere al prestito potranno essere compilate e presentate tramite lo sportello telematico disponibile all’indirizzo https://strumenti.ismea.it. Il termine per la presentazione delle domande è fissato per le ore 12.00 del 22 aprile 2024. Le richieste saranno valutate in base all’ordine cronologico di arrivo fino a esaurimento dei fondi disponibili. Lo sportello telematico sarà aperto nei giorni feriali dalle 9.00 alle 18.00, ad eccezione del primo e dell’ultimo giorno di apertura. Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, ha accolto positivamente questa iniziativa, definendola un altro segnale importante per il sostegno alla filiera ortofrutticola. Ha sottolineato che questa linea di credito sarà un ulteriore intervento per rilanciare il settore, includendo anche le imprese che producono pere e kiwi, che hanno subito danni nel 2023. Le risorse messe a disposizione si aggiungono ai fondi già destinati dal Masaf per il sostegno di questi comparti in crisi.

ITALIAOGGI – ADDIO A RISERVATEZZA SU CASSETTE DI SICUREZZA: ARRIVA IL REGISTRO EUROPEO TRASPARENTE

Un nuovo registro europeo centralizzato conterrà i nomi dei titolari di cassette di sicurezza, conti correnti e criptovalute. La misura, approvata dal Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli stati membri dell’Unione Europea, mira a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Il registro sarà accessibile alle autorità competenti che potranno ottenere informazioni in tempi rapidi sui titolari di cassette di sicurezza e altri strumenti finanziari. La direttiva antiriciclaggio è stata concordata a fine gennaio e dovrà ora essere approvata formalmente dal Consiglio e dal Parlamento europeo prima di essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’UE. L’obiettivo è di contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Tuttavia, la misura ha sollevato preoccupazioni sulla privacy e sulla riservatezza. C’è il rischio che il registro possa essere utilizzato per scopi diversi da quelli previsti. Inoltre, la sua efficacia potrebbe essere limitata, in quanto i criminali potrebbero utilizzare sistemi alternativi per trasferire denaro illegalmente. La direttiva prevede anche l’istituzione di punti di accesso unici per le informazioni entro 2 anni dalla data di trasposizione. Gli stati membri dovranno inoltre mettere a disposizione le informazioni sulla titolarità effettiva degli immobili. L’efficacia di queste misure è incerta. Da un lato, potrebbero aiutare a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Dall’altro, potrebbero ledere la privacy e la riservatezza dei cittadini.

L’INDIPENDENTE – BANCHE ITALIANE REGISTRANO PROFITTI PER OLTRE 40 MILIARDI DI EURO NEL 2023

Le banche italiane hanno registrato profitti record nel 2023, con oltre 40 miliardi di euro guadagnati. I primi cinque istituti di credito hanno da soli incassato 21 miliardi di euro, con Unicredit e Intesa Sanpaolo che hanno raggiunto rispettivamente 8,6 e 7,7 miliardi di euro. Nonostante questi risultati eccezionali, lo Stato italiano non ha ricevuto alcun beneficio. La tassa sugli extraprofitti, introdotta dal governo la scorsa estate, è stata depotenziata e di fatto annullata. Le banche hanno potuto scegliere di utilizzare il denaro per rafforzare il proprio capitale anziché versarlo nelle casse dello Stato. La scelta delle banche era prevedibile. L’emendamento al decreto legge 104 del 2023 ha permesso loro di accantonare a riserva non distribuibile 2,5 volte l’importo teorico del prelievo fiscale, evitando di pagare l’imposta straordinaria. Se la norma non fosse stata modificata, lo Stato avrebbe potuto ottenere circa 4 miliardi di euro. Le cause dei profitti record sono molteplici. Oltre all’aumento dei tassi stabiliti dalla BCE, le banche hanno beneficiato di una crescita del margine di interesse del 56,7% rispetto al 2022. Tuttavia, il dato paradossale è che il totale dei prestiti in essere delle 5 “big” è diminuito di circa 50 miliardi rispetto all’anno precedente. Questo significa che i maggiori guadagni derivano dai maggiori costi a carico dei clienti. L’emendamento che ha svuotato la tassa sugli extraprofitti è stato sostenuto da Bankitalia, Tesoro e BCE. Quest’ultima aveva espresso perplessità sull’imposta, temendo che potesse danneggiare il patrimonio bancario e l’economia. Di conseguenza, nessuna delle principali banche ha aderito alla misura, nemmeno quelle controllate dallo Stato come MPS e Mediocredito-Banca del Mezzogiorno.

ANSA – UE: ACCORDO SULL’ANTIRICICLAGGIO FISSA IL TETTO AL CONTANTE A 10 MILA EURO

Consiglio e Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo su un regolamento del pacchetto antiriciclaggio che fissa un tetto massimo di 10mila euro per i pagamenti in contanti. L’accordo, che deve ancora essere formalmente approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, prevede inoltre che gli Stati membri possano fissare un limite inferiore, se lo desiderano. Il regolamento mira a contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Secondo la Commissione europea, il contante rappresenta un’importante via di fuga per i criminali che cercano di nascondere i loro proventi illeciti. Il tetto di 10mila euro si applica ai pagamenti occasionali, ovvero a quelli effettuati in contanti in un’unica transazione. Per i pagamenti ricorrenti, come ad esempio l’affitto o la bolletta della luce, non è previsto alcun limite. Il regolamento prevede inoltre che gli istituti finanziari, le banche, le agenzie immobiliari e i servizi di gestione patrimoniale debbano verificare l’identità di chi effettua una transazione occasionale in contanti tra i 3 e i 10mila euro.

LEGGO – ASSEGNO DI INCLUSIONE PIU’ “RICCO” DEL REDDITO DI CITTADINANZA

In arrivo un sostegno economico significativo per oltre 500.000 famiglie italiane attraverso l’Assegno di Inclusione (Adi), il nuovo programma che ha preso il posto del Reddito di Cittadinanza. Secondo le informazioni fornite dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps) e riportate dal quotidiano Il Messaggero, si prevede che circa mezzo milione di nuclei familiari riceveranno un sussidio medio di 635 euro. Il direttore generale dell’Inps, Vincenzo Caridi, ha annunciato che i primi pagamenti dell’Adi saranno effettuati a partire dal 26 gennaio. Tuttavia, Caridi ha sottolineato che la valutazione completa dell’impatto del programma avverrà alla fine del mese, poiché molte famiglie vulnerabili utilizzano patronati e Centri di Assistenza Fiscale (Caf) per presentare le richieste. Attualmente, il numero di beneficiari dell’Adi è simile a quello registrato all’inizio del Reddito di Cittadinanza nel marzo 2019, ma inferiore di circa 200.000 famiglie rispetto alla platea potenziale di 737.000 beneficiari stimata ufficialmente. L’importo dell’Adi sembra essere più sostanzioso di circa 100 euro rispetto al suo predecessore. Le richieste stanno aumentando, specialmente perché ora è possibile presentarle tramite i Caf, garantendo un servizio di prossimità e facilitando l’accesso e la compilazione delle domande per i cittadini. Oltre all’Adi, è stato introdotto anche il ‘Supporto per la formazione e il lavoro’ in sostituzione del Reddito di Cittadinanza. In soli quattro mesi, sono state registrate oltre 150.000 domande, di cui più di un terzo è stato accettato, beneficiando 56.000 richiedenti con un sostegno economico di 350 euro già erogato a 26.000 persone.

SCENARIECONOMICI – LA COMMISSIONE UE DICE CHE IL DENARO CONTANTE DEV’ESSERE SEMPRE DISPOSIBILE NEI TERRITORI DEGLI STATI MEMBRI

La Commissione europea ha approvato una proposta di regolamento che impone agli Stati membri dell’Unione europea di garantire un accesso sufficiente ed effettivo al contante in tutto il loro territorio. La proposta, che deve ancora essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea, stabilisce che gli Stati membri devono monitorare l’accesso al contante, valutarne annualmente la situazione e riferire la loro valutazione alla Commissione e alla Banca centrale europea. Se non è garantito un accesso sufficiente ed efficace al contante, gli Stati membri dovranno adottare misure correttive. Tali misure potrebbero includere requisiti di accesso geografico per i prestatori di servizi di pagamento che forniscono servizi di prelievo di contante, affinché mantengano servizi di cassa presso un numero sufficiente di filiali bancarie in cui operano. La proposta di revisione della direttiva sui servizi di pagamento può inoltre facilitare l’accesso al contante, in quanto consente ai dettaglianti di offrire un servizio di fornitura di contante anche in assenza di un acquisto da parte del cliente, senza dover ottenere una licenza o essere un agente di un istituto di pagamento. “Il contante è una forma di pagamento essenziale per molte persone, in particolare per i gruppi vulnerabili”, ha dichiarato Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione europea. “La nostra proposta garantirà che tutti abbiano accesso al contante, indipendentemente dal luogo in cui vivono”. La proposta della Commissione europea è una risposta alle preoccupazioni crescenti per l’accesso al contante in Europa. Negli ultimi anni, infatti, il numero di filiali bancarie e di sportelli ATM è diminuito, rendendo più difficile per le persone prelevare contanti.

POVERTA’

ANSA – QUASI 4,8 MILIONI DI PENSIONATI RICEVONO UNA PENSIONE SOTTO I 1.000 EURO AL MESE

Secondo l’Osservatorio Inps sulle prestazioni pensionistiche e i beneficiari nel 2023, quasi 4,8 milioni di pensionati in Italia ricevono una pensione inferiore a 1.000 euro al mese. Questo significa che circa tre pensionati su dieci si trovano a vivere con un reddito pensionistico al di sotto di questa soglia. Di questi, quasi 1,7 milioni percepiscono meno di 500 euro al mese, un importo significativamente inferiore alla soglia di povertà. Il rapporto dell’Inps si concentra sulle singole prestazioni pensionistiche e sul reddito complessivo derivante dalle pensioni, senza considerare eventuali altre fonti di reddito dei pensionati. Tuttavia, i dati illustrano quanto sia ampia la fascia di coloro che incontrano difficoltà a far fronte alle spese quotidiane, faticando ad arrivare a fine mese. Nonostante la presenza di molti pensionati con redditi bassi, il 38,4% dei pensionati percepisce oltre 2.000 euro al mese. Questa fascia, che rappresenta meno della metà dei pensionati, assorbe il 60% della spesa pensionistica complessiva. Complessivamente, la spesa per le pensioni nel 2023 ha superato i 347 miliardi di euro, con un incremento del 7,7% rispetto al 2022. Questo aumento è dovuto in gran parte all’adeguamento per recuperare l’inflazione. Le pensioni, dunque, continuano a rappresentare uno dei principali capitoli di spesa per lo Stato italiano. Il rapporto conferma un divario significativo tra uomini e donne nei redditi da pensione, riflettendo le disuguaglianze presenti nel mercato del lavoro. Gli uomini, grazie a carriere lavorative più lunghe e retribuzioni mediamente più alte, possono contare su pensioni più elevate. Nel 2023, l’assegno pensionistico medio annuo percepito dagli uomini è del 35% superiore rispetto a quello delle donne: gli uomini ricevono in media 24.671 euro annui, mentre le donne 18.291 euro. Si prevede che con l’aumento dell’occupazione femminile, questo divario tenderà a ridursi, così come il numero di donne che si trovano a fare affidamento solo su pensioni assistenziali o di reversibilità. Nel 2023, oltre tre milioni di donne pensionate percepiscono meno di 1.000 euro al mese, ovvero più di una su tre. Di queste, quasi un milione (959.986 pensionate) riceve meno di 500 euro al mese, che rappresenta l’11,5% del totale delle pensionate. Il governo ha previsto un intervento sulle pensioni minime, che riguarda però solo i trattamenti previdenziali, cioè quelli legati al versamento dei contributi, e non le pensioni assistenziali, come l’assegno sociale o le pensioni di invalidità non legate all’attività lavorativa. L’aumento previsto porterebbe gli assegni minimi da 614,77 euro al mese a 617,92 euro, coinvolgendo circa 1,8 milioni di pensionati. Tuttavia, questo intervento è stato definito una “beffa” dal leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, e considerato da parte dell’opposizione come una “elemosina” insufficiente a compensare la perdita del potere d’acquisto causata dall’inflazione. Per quanto riguarda i pensionati che percepiscono assegni superiori a 5.000 euro lordi al mese, circa 400.000 persone ne beneficiano. Questi assegni, che sono generalmente basati su un elevato numero di anni di contributi e retribuzioni elevate, comportano una spesa maggiore rispetto ai pensionati con i redditi più bassi. In particolare, per le pensioni più alte si spende complessivamente circa 34,4 miliardi di euro, rispetto ai 33,5 miliardi destinati ai 4,8 milioni di pensionati con redditi più bassi. In totale, le prestazioni pensionistiche erogate in Italia nel 2023 ammontano a 22.919.888. Di queste, la maggior parte (17.752.596) sono prestazioni IVS (Invalidità, Vecchiaia e Superstiti), mentre 627.143 sono prestazioni indennitarie e 4.540.149 sono pensioni assistenziali.

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APRI/CHIUDI
AGI – CARITAS: IN POVERTA’ ASSOLUTA 1 ITALIANO SU 10

La Caritas italiana ha pubblicato la 28esima edizione del Rapporto su povertà ed esclusione sociale, diffuso in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, che si terrà domenica prossima. Dal rapporto emerge che in Italia quasi 5,7 milioni di persone vivono in povertà assoluta, pari a quasi un decimo della popolazione. L’analisi dei dati Caritas evidenzia la diffusione del “lavoro povero e intermittente”, caratterizzato da salari bassi e contratti atipici che non consentono una vita dignitosa. Le fasce più colpite sono i giovani e le famiglie con figli. Il rapporto segnala inoltre che il disagio abitativo è un’emergenza crescente, con molte famiglie senza una casa adeguata o in condizioni abitative precarie. L’accesso all’istruzione e alle nuove tecnologie, per molte persone, è sempre più difficile, alimentando le disuguaglianze. Il Rapporto 2024, intitolato “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di Speranza”, suggerisce un barlume di speranza attraverso le risposte concrete fornite dalla società civile, anche se la povertà assoluta resta a livelli molto elevati e il disagio sociale si manifesta in diverse forme. Molti di questi problemi sono di lunga data, come la questione abitativa, un diritto che per molti è negato o limitato a livelli diversi di gravità. In altri casi, Caritas evidenzia come le risposte istituzionali siano spesso incomplete o inadeguate, come nel caso delle misure alternative al carcere o delle barriere che impediscono l’accesso ai sistemi di reddito minimo introdotti negli ultimi anni. Nel 2023, i servizi Caritas hanno assistito 269.689 persone, un dato che rappresenta un aumento del 41,6% rispetto al 2015. Aumentano anche i casi di povertà cronica e intermittente, passati dal 54,7% al 59%. Inoltre, tra le persone che si rivolgono a Caritas, sono in crescita i problemi di disagio psicologico e psichiatrico: dal 2022 al 2023, le persone affette da depressione o malattie mentali sono aumentate del 15,2%. Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, sottolinea: “Non vogliamo offrire solo una fotografia della povertà in Italia, ma intendiamo rilanciare l’invito a guardare oltre le cifre per riconoscere l’umanità ferita che vibra dietro ogni numero”. Pagniello prosegue affermando che “di fronte a questa emergenza, Caritas Italiana sceglie di farsi portavoce di una risposta coraggiosa e profetica”. La rete Caritas, costituita da centri di ascolto, mense, dormitori e case di accoglienza, si estende su tutto il territorio nazionale, rappresentando “una Chiesa che si fa ‘casa di carità’, aperta a tutti, senza distinzioni”. Tuttavia, aggiunge don Pagniello, “non può essere questa l’unica risposta possibile”. Caritas interpreta il Vangelo come un invito ad “osare nuovi cammini e percorrere, accanto alle persone più fragili, strade inesplorate”, riconoscendo nei più poveri il volto di Dio e affrontando insieme le sfide per costruire una società più giusta. Il titolo del rapporto, “Fili d’erba nelle crepe, risposte di speranza”, richiama l’importanza della speranza come “un dono che ci permette di sognare non solo per noi stessi, ma per un mondo intero che attende di essere rigenerato dall’amore”. Pagniello ricorda le parole di don Tonino Bello, secondo cui i cristiani non devono solo sperare, ma “organizzare la speranza”, impegnandosi concretamente per costruire nuove opportunità per tutti.

ANSA – ISTAT: 5,7 MILIONI DI PERSONE IN POVERTA’ ASSOLUTA

Nel 2023, l’Istat ha pubblicato dati allarmanti riguardanti la povertà in Italia, rivelando che 5,7 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. Questo rappresenta un significativo aumento rispetto agli anni precedenti, con un’incidenza che colpisce oltre una persona su dieci, pari al 10,6% della popolazione. Tra i più colpiti ci sono i minori: 1,29 milioni di bambini e ragazzi si trovano in condizioni di indigenza, un dato che segna un triste primato. La situazione è particolarmente grave per le famiglie operaie, la cui percentuale di povertà assoluta ha raggiunto un livello record del 16,5% nel 2023, in aumento rispetto al 14,7% del 2022. Anche le famiglie operaie in povertà relativa sono aumentate, passando dal 16,8% nel 2022 al 18,6% nel 2023. Questi dati non sorprendono considerando il contesto economico: la produzione industriale italiana ha registrato ad agosto il suo diciannovesimo mese consecutivo di calo e continuano a giungere notizie di tagli e chiusure. Inoltre, il rapporto evidenzia un incremento della povertà anche tra categorie sociali precedentemente considerate privilegiate. Le famiglie di “dirigenti, quadri e impiegati dipendenti” in povertà assoluta sono passate dal 2,6% nel 2022 al 2,8% nel 2023. Anche le famiglie di “imprenditori e liberi professionisti” hanno visto un aumento della povertà assoluta dall’1% all’1,7%. Al contrario, il tenore di vita delle famiglie di lavoratori autonomi è migliorato: la percentuale di quelle in povertà assoluta è scesa dall’8,5% del 2022 al 6,8% del 2023. Un aspetto preoccupante è l’aumento della povertà nelle regioni del Nord Italia. Sebbene il Mezzogiorno continui a registrare l’incidenza più alta di famiglie in povertà assoluta—con oltre 859mila famiglie, più del doppio rispetto alle 413mila famiglie nel Nord-Est—anche al Nord e al Centro si osserva una crescita: dal 42,9% al 45,0% nel Nord e dal 15,6% al 16,2% nel Centro. Nel Mezzogiorno, invece, la percentuale è diminuita dal 41,4% al 38,7%. L’Istat ha anche segnalato un “aumento dell’intensità” della povertà in tutto il Nord (19,4% nel Nord-est e 19,9% nel Nord-ovest) e al Centro (20,2%), mentre nel Mezzogiorno si registra una riduzione dell’intensità che porta i valori a 20,9%. Per quanto riguarda le soglie di povertà relativa, viene considerata in tale condizione una famiglia di due persone con spese per consumi pari o inferiori a 1.210,89 euro al mese; per una famiglia di quattro persone la soglia sale a 1.973,75 euro. Infine, viene definita in “povertà assoluta” una persona single tra i 30 e i 59 anni che vive nell’area metropolitana della Lombardia con spese mensili pari a 1.217,10 euro, mentre se risiede in Sicilia la soglia scende a 756,16 euro.

ILSOLE24ORE – NEL 2023 IL RISCHIO POVERTA’ IN ITALIA E’ SCESO AL 18,9%

Nel 2023, il rischio di povertà in Italia è sceso al 18,9%, il valore più basso dal 2010, anche se il paese rimane al di sopra della media dell’Unione Europea, che è del 16,2%. Questo calo rappresenta una diminuzione di 1,2 punti percentuali rispetto al 2022, con 11,12 milioni di persone a rischio povertà, ovvero 676.000 in meno rispetto all’anno precedente. Tuttavia, quando si considera la povertà e l’esclusione sociale, la situazione è più complessa. La percentuale di popolazione in questa condizione è del 22,8%, in calo di due punti rispetto al 2022, ma ancora superiore alla media Ue del 21,4%. In totale, ci sono circa 13,39 milioni di persone che vivono in condizioni di disagio economico, con una riduzione di circa 900.000 rispetto all’anno scorso. Il rischio di povertà è particolarmente elevato per i minori. Nel 2023, il 27,1% dei minori si trovava in una situazione di disagio economico, un dato in flessione rispetto al 28,5% del 2022, ma comunque superiore alla media Ue del 24,8%. Ci sono quindi 2.471.000 under 18 in difficoltà economica. Tra i fattori di deprivazione materiale, si segnala che l’8,4% degli italiani non può permettersi un pasto adeguato con carne o pesce ogni due giorni, un valore che sale al 19,2% per chi ha un reddito inferiore al 60% di quello mediano.

ILMANIFESTO – ISTAT: 5,7, MILIONI DI POVERI IN ITALIA. NEL 2014 ERANO 4 MILIONI

Secondo l’Istat, la situazione della povertà in Italia è peggiorata notevolmente negli ultimi anni. Nel 2024, 5,7 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta, un aumento rispetto ai 4 milioni del 2014. Questo aumento riflette gravi difficoltà economiche, sociali e personali, con 1,3 milioni di minorenni in condizioni di grave deprivazione. La restrizione dell’accesso all’assegno di inclusione e al supporto lavoro e formazione, che hanno sostituito il reddito di cittadinanza, potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione nel prossimo anno. Nonostante un aumento dell’occupazione dell’1,8% tra il 2022 e il 2023, è aumentato il numero di lavoratori poveri, specialmente nei settori della ristorazione, del turismo e dei servizi. La povertà assoluta tra gli occupati è cresciuta dal 4,9% del 2014 al 7,6% del 2023. I lavoratori, in particolare gli operai, hanno visto aumentare la loro percentuale di povertà dal 9% del 2014 al 14% del 2023. Questa crescita della povertà tra i lavoratori dimostra che i salari non sono sufficienti a proteggere le persone e le loro famiglie da gravi disagi economici e sociali. Inoltre, il lavoro part-time involontario è particolarmente diffuso tra le donne, specialmente al Sud, dove nel 2022 ha raggiunto il 57,9%, rispetto al 50,8% in Spagna, al 25,9% in Francia e al 6,1% in Germania. Le misure adottate dal governo Meloni contro l’inflazione, come il “carrello tricolore anti-inflazione”, non sono state sufficienti a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie. Nel biennio 2021-2023, le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate del 4,7%, mentre l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è aumentato del 17,3%. Questa discrepanza ha portato le famiglie più povere a intaccare i loro risparmi e a spendere di più per beni essenziali come casa, acqua, elettricità, gas e cibo. La produttività del lavoro in Italia è cresciuta solo dell’1,3% tra il 2007 e il 2023, molto meno rispetto ad altri Paesi europei. Questo ha contribuito alla stagnazione del PIL e all’allargamento del divario di crescita con altre economie dell’UE. Negli ultimi trent’anni, i salari reali in Italia sono rimasti fermi, con una crescita simbolica dell’1% rispetto al 32,5% registrato in media nell’area OCSE. Questo contesto economico-politico, caratterizzato da austerità e possibili sanzioni per deficit eccessivo, potrebbe influenzare le future politiche del governo.

ANSA – ISTAT: NEL 2023 IL RISPARMIO DEGLI ITALIANI AL MINIMO STORICO

Secondo i dati dell’Istat, nel corso del 2023 il reddito disponibile delle famiglie italiane ha conosciuto un aumento del 4,7%. Tuttavia, considerando l’inflazione, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,5%. Questo ha portato ad un aumento della spesa per consumi finali del 6,5%, mentre la propensione al risparmio delle famiglie è scesa al 6,3%, segnando il livello più basso dal 1995. In termini di investimenti, il tasso di investimento delle famiglie si è attestato al 9,0%, in leggero calo rispetto al 9,2% registrato nel 2022. Nel frattempo, il tasso di profitto delle imprese è sceso al 44,8%, nonostante una crescita del valore aggiunto del 6,2%. Le imposte correnti pagate dalle famiglie italiane nel 2023 hanno subito un aumento significativo, pari a 24,6 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2022). Questo aumento è stato principalmente attribuito alla crescita dell’Irpef (+10,2%) e delle ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito (+23,0%). Secondo l’Istat, nel corso del 2023 le imprese italiane hanno continuato a beneficiare di importanti misure di sostegno all’attività produttiva, ricevendo 23,8 miliardi di euro di contributi alla produzione (-12,1% rispetto al 2022) e 31,4 miliardi di euro di contributi agli investimenti, di cui una parte significativa è stata destinata al Piano Transizione 4.0. Il totale degli aiuti, erogati sia dall’Italia che dalle istituzioni europee, ha raggiunto i 55,2 miliardi di euro.

ANSA – ISTAT: 5,7 MILIONI DI ITALIANI IN POVERTA’ ASSOLUTA

L’Instituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato dati preoccupanti riguardo alla povertà in Italia nel 2023. Secondo quanto riportato, ben 5,7 milioni di persone si trovano in povertà assoluta, tra cui 1,3 milioni di minori. Questo numero rappresenta un aumento rispetto agli anni precedenti, con le famiglie in povertà assoluta che costituiscono l’8,5% del totale delle famiglie residenti, rispetto all’8,3% nel 2022. La povertà assoluta è definita come la condizione in cui le famiglie hanno una spesa mensile inferiore a una soglia minima necessaria per garantire uno standard di vita accettabile. Le famiglie con figli minori sono particolarmente colpite da questa situazione, con un’incidenza di povertà assoluta che raggiunge il 12,0%. Nel Nord del Paese, sebbene l’incidenza della povertà assoluta sia rimasta stabile a livello familiare (8,0%), si è registrata una crescita dell’incidenza individuale (9,0%). Nel Mezzogiorno, invece, i valori sono più alti rispetto ad altre zone, con un’incidenza familiare del 10,3% e individuale del 12,1%.

LEGGO – RAPPORTO BANKITALIA E ISTAT: FAMIGLIE SEMPRE PIU’ POVERE, LA RICCHEZZA A -12,5%

Secondo il recente rapporto di Bankitalia e Istat, la ricchezza netta delle famiglie italiane è diminuita del 12,5% nel 2022, segnando una battuta d’arresto dopo tre anni di crescita. Questo calo è attribuito principalmente alla forte pressione inflazionistica che ha colpito il paese. L’indagine rivela che il 5% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza nazionale, mentre i meno abbienti dipendono principalmente dalla proprietà di abitazioni. La situazione è considerata “drammatica” dall’Unione Nazionale Consumatori, che evidenzia come gli italiani si stiano impoverendo sempre di più, con la proprietà della casa che non garantisce più la stabilità economica. Il governo promette interventi per affrontare la situazione, con il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che assicura un’esame delle aliquote fiscali per favorire le classi medie, considerate penalizzate dal sistema attuale.

ANSA – BANKITALIA: 5% DELLE FAMIGLIE DETIENE IL 46% DELLA RICCHEZZA

Bankitalia ha pubblicato un’analisi all’interno del contesto dell’area dell’Euro, evidenziando che il 5% delle famiglie più ricche in Italia possiede ben il 46% della ricchezza netta complessiva del paese. Questo dato, stabile tra il 2017 e il 2022, indica una concentrazione significativa di ricchezza tra poche famiglie. Le principali disparità economiche, secondo lo studio, sono rimaste sostanzialmente invariate in questo periodo, dopo un incremento tra il 2010 e il 2016. Si sottolinea che le famiglie meno abbienti basano la loro ricchezza principalmente sulla proprietà abitativa, mentre quelle più ricche vantano un portafoglio diversificato, includendo azioni, depositi e polizze. L’Italia, secondo l’analisi, si posiziona al di sotto della media dell’Unione Europea per la concentrazione della ricchezza, ma è simile a paesi come la Francia. Inoltre, la Germania emerge come il paese con il più alto livello di disuguaglianza nella ricchezza netta. La differenza italiana è attribuita alla maggiore quota di ricchezza netta posseduta dalle famiglie al di sotto della mediana, principalmente attraverso la proprietà immobiliare.

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