BORSAITALIANA – IL VOLUME D’AFFARI DELLE MAFIE ITALIANE E’ STIMATO SUI 40 MILIARDI DI EURO (CIRCA 2 PUNTI DEL PIL)
Secondo un’indagine dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (Cgia), il volume d’affari delle mafie italiane è stimato attorno ai 40 miliardi di euro all’anno, una cifra che corrisponde a circa 2 punti del Pil. Il fatturato della mafia è al quarto posto tra le maggiori “aziende” del Paese (dopo Eni, Enel e il Gestore dei Servizi Energetici)
Il volume d’affari delle mafie italiane è stimato attorno ai 40 miliardi di euro all’anno, una cifra che corrisponde a circa due punti del Prodotto Interno Lordo (Pil) nazionale. Questo dato è stato fornito dall’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, conosciuta come Cgia, che ha condotto un’indagine approfondita sulla questione. Secondo l’analisi, il fatturato generato dalle attività mafiose colloca queste organizzazioni al quarto posto tra le aziende più grandi del Paese, subito dopo colossi come Eni, Enel e il Gestore dei Servizi Energetici.
La Cgia ha sottolineato che questo dato potrebbe essere addirittura sottostimato. Infatti, non è possibile calcolare con precisione i proventi derivanti dall’infiltrazione delle mafie nell’economia legale. Grazie alle informazioni raccolte dall’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, che riceve ogni anno numerose segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, è stato possibile mappare un numero significativo di imprese legate alla criminalità organizzata.
Si stima che almeno 150mila imprese in Italia siano potenzialmente collegate a contesti di criminalità organizzata. Le maggiori concentrazioni di queste attività si trovano nelle grandi città come Napoli, Roma e Milano. In particolare, a Napoli ci sono circa 18.500 imprese a rischio, a Roma più di 16.700 e a Milano quasi 15.650. Queste tre città rappresentano insieme circa il 34% del totale delle imprese potenzialmente coinvolte con la mafia.
Oltre alle segnalazioni ricevute dall’Unità di Informazione Finanziaria, sono stati incrociati anche i dati provenienti dalla Direzione Nazionale Antimafia e dall’Autorità giudiziaria per avere una visione più chiara della situazione. La Cgia ha evidenziato che le aree metropolitane sono particolarmente vulnerabili alle infiltrazioni mafiose, con settori principali che includono il narcotraffico, il traffico d’armi, lo smaltimento illegale dei rifiuti e le scommesse clandestine.
LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “CRONACA”:
VIOLENZA SULLE DONNE
AGI – DALL’INIZIO DELL’ANNO UCCISE 96 DONNE IN ITALIA
Dall’inizio dell’anno, in Italia si sono registrati 263 omicidi, di cui 96 donne sono state uccise. Di queste, 82 omicidi sono avvenuti in contesti familiari e affettivi, mentre 51 donne sono state uccise da partner o ex partner. Questi dati, presentati dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, evidenziano la gravità della situazione della violenza di genere nel Paese. Durante un intervento al Campus Luiss per la presentazione della campagna di sensibilizzazione #NessunaScusa, Piantedosi ha affermato che i numeri sulla violenza continuano a scuotere le coscienze. Il ministro ha sottolineato che, nonostante un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso — con una diminuzione del 10% degli omicidi complessivi, del 9% delle vittime di genere femminile e del 5% degli omicidi familiari — questi dati ricordano la tragica realtà di molte donne che subiscono violenza senza ricevere il supporto necessario. Piantedosi ha annunciato che oggi si terrà una riunione a Palazzo Chigi per discutere l’efficacia del braccialetto elettronico nel contrastare la violenza di genere. Al 15 novembre, erano attivi 10.458 dispositivi, di cui ben 4.677 erano stati disposti per casi di antistalking. Il ministro ha definito questi numeri “altissimi”, sottolineando che in Francia, a luglio, erano attivi solo 984 dispositivi. Il ricorso al braccialetto elettronico ha consentito nel mese di ottobre l’arresto di 46 persone, con l’ultimo arresto avvenuto la notte scorsa. Piantedosi ha evidenziato che la gestione di un numero così elevato di dispositivi impegna notevolmente le forze di polizia e ha messo in luce criticità nel sistema di monitoraggio. Per affrontare queste difficoltà, è stato istituito presso il Viminale un Gruppo di lavoro interforze, coinvolgendo anche rappresentanti del ministero della Giustizia e della società fornitrice del servizio. Il ministro ha ribadito che il cambiamento deve essere prima di tutto culturale. Ha affermato che non basta inasprire le pene o ampliare i poteri delle autorità se non si interviene alla radice del problema: la cultura del rispetto. L’obiettivo della campagna **#NessunaScusa** è quello di contrastare i pregiudizi e le giustificazioni infondate con cui spesso si tenta di giustificare la violenza sulle donne, come il “raptus di gelosia” o il presunto tradimento. Piantedosi ha concluso affermando che è fondamentale affermare chiaramente che la responsabilità della violenza ricade solo su chi la compie e che è necessario unirsi nel rifiutare ogni scusa, promuovendo una cultura di rispetto e parità per prevenire tali atti.
OMICIDI
AGI – NEL 2024 IN ITALIA SON STATI COMMESSI 114 OMICIDI (-20%)
Tra il 1 gennaio e il 30 giugno del 2024 in Italia sono stati commessi 141 omicidi, il 20% in meno rispetto ai 176 dello stesso periodo dell’anno precedente. Di questi, 49 le vittime donne, una ogni tre giorni e mezzo, il 21% in meno rispetto alle 62 del gennaio-giugno 2023. Nell’ultimo triennio, dopo un aumento delle vittime di genere femminile segnato nel 2022, il trend si è invertito. Nel 2023 il numero totale degli omicidi è cresciuto del 6%, ma le vittime donne sono calate del 10%, da 130 a 117. Delle 49 donne vittime nei primi sei mesi del 2024, 44 sono state uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 24 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner.
Anche i delitti commessi in ambito familiare/affettivo hanno fatto rilevare un decremento, passando da 81 a 67 (-17%). Si registra una diminuzione del numero delle vittime di genere femminile, che da 53 scendono a 44 (-17%). In flessione anche il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 36 diventano 29 (-19%), e quello delle relative vittime di genere femminile, che da 32 passano a 24 (-25%).
CRIMINALITA’
ILFATTOQUOTIDIANO – IN ITALIA IL NUMERO DI CRIMINI E’ TORNATO A SALIRE DOPO OLTRE 10 ANNI
Negli ultimi anni, il numero di crimini in Italia ha iniziato a salire dopo un lungo periodo di diminuzione, durato oltre dieci anni. Questo aumento è stato evidenziato dalla Classifica sui Tassi di Criminalità, pubblicata dal Sole 24 Ore, che si basa sui dati forniti dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno per l’anno 2023. Nel corso dell’anno scorso, sono state registrate in Italia 2,34 milioni di denunce di reato, il che corrisponde a una media di oltre 6.000 episodi ogni 100.000 abitanti. Le città più colpite da questo fenomeno sono Milano e Roma. In queste due metropoli si concentra circa il 15% dei reati denunciati nel Paese. Milano si conferma come la città con il numero più alto di denunce, superando le 230.000 segnalazioni nel 2023 e registrando un tasso di 7.093 denunce ogni 100.000 abitanti. Rispetto ai dati pre-pandemia, Milano ha visto un incremento del 4,9% nelle denunce, con un aumento particolare nei furti e nelle rapine. Inoltre, Milano si colloca al terzo posto per violenze sessuali e al quinto per reati legati alle sostanze stupefacenti. Roma occupa la seconda posizione con 6.071 segnalazioni ogni 100.000 abitanti. Anche nella capitale si osserva un notevole aumento dei furti, che sono cresciuti del 17% rispetto all’anno precedente, e delle rapine, che hanno registrato un incremento del 24%. Roma continua a mostrare un alto numero di reati legati agli stupefacenti e alle estorsioni. Firenze è al terzo posto nella classifica delle città con il maggior numero di denunce, con una media di 6.053 denunce ogni 100.000 abitanti. La città toscana ha visto un aumento significativo delle rapine, cresciute del 56% rispetto al 2022, ed è caratterizzata da un alto numero di furti, truffe e frodi informatiche. Altre città come Rimini, Torino, Bologna, Prato, Imperia e Livorno completano la lista delle dieci città più pericolose d’Italia. Napoli, che in passato era tra le prime dieci città per criminalità, è scivolata alla dodicesima posizione. Nonostante l’aumento generale delle denunce di reato nelle grandi città italiane, gli esperti avvertono che questi dati non devono generare allarmismo sociale. Analizzando i trend degli ultimi trent’anni e escludendo gli anni della pandemia, si nota che attualmente i livelli di criminalità si stanno avvicinando a quelli registrati tra il 2016 e il 2018, che erano già considerati più positivi rispetto a quelli di dieci o venti anni fa. Infine, tra le province più sicure d’Italia si trovano Oristano, Potenza e Treviso, che si posizionano in fondo alla classifica per quanto riguarda le denunce di reato.
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MAFIA
ANSA – LE MAFIE RICAVANO 3,3 MILIARDI DI EURO L’ANNO NEL SETTORE TURISTICO
Secondo uno studio di Demoskopika pubblicato in anteprima dall’ANSA, la criminalità organizzata italiana ricava circa 3,3 miliardi di euro l’anno infiltrandosi nell’economia legale del settore turistico. Di questa cifra, quasi 1,5 miliardi di euro si concentrano nelle regioni del Nord Italia. La ‘ndrangheta si colloca al primo posto con un giro d’affari di 1 miliardo e 650 milioni di euro, pari al 50% degli introiti totali derivanti da attività illecite legate al turismo. Seguono la camorra con 950 milioni di euro (28,8%) e Cosa Nostra con 400 milioni di euro (12,1%). Sono nove le regioni italiane considerate ad alto rischio di infiltrazioni mafiose nel settore turistico: Campania: prima in classifica con 122 punti. La regione presenta numerosi segnali d’allarme, tra cui 67 strutture confiscate (pari al 21,8% del totale nazionale), quasi 2.000 richieste di istruttorie antimafia legate al PNRR, 155 interdittive antimafia emesse nel 2023 e quasi 16.000 operazioni finanziarie sospette. Lombardia: seconda con 119,3 punti. Lazio: terza con 117,7 punti. Seguono Puglia (106,9), Sicilia (103,5), Liguria (101,7), Emilia-Romagna (101,3), Piemonte (100,9) e Calabria (100,5). Queste regioni si trovano nel gruppo con un livello “alto” di vulnerabilità economica alle infiltrazioni criminali. Sei regioni italiane mostrano invece un rischio “basso” di infiltrazione mafiosa: Valle d’Aosta (90,6 punti). Molise (91,1 punti). Friuli Venezia Giulia (92,4 punti). Basilicata (92,5 punti). Umbria (92,8 punti). Trentino Alto Adige (93,3 punti). L’impatto economico delle infiltrazioni. Secondo il rapporto, circa 7.000 imprese attive nel turismo, pari al 14,2% del totale nazionale, sono particolarmente vulnerabili. Si tratta di aziende in difficoltà economica, afflitte da crisi di liquidità e indebitamento, che diventano un facile bersaglio per le organizzazioni criminali, le quali dispongono di ingenti risorse finanziarie da “ripulire”. Le mafie sfruttano la fragilità del sistema imprenditoriale per infiltrarsi nei settori dell’ospitalità, dalla gestione di hotel e ristoranti all’intermediazione turistica. Debiti erariali e l’uso di prestanome legati ai clan sono strumenti comuni per esercitare il controllo. Eventi di grande rilevanza come le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 e il Giubileo del 2025 rappresentano ulteriori fattori di rischio. Secondo il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, “Il turismo italiano è sotto attacco. Oltre 7.000 aziende vulnerabili rischiano di diventare ghiotta preda dei sodalizi criminali. […] Eventi internazionali come le Olimpiadi e il Giubileo amplificano il rischio di infiltrazioni”. Lo studio si basa su dati ufficiali e fonti autorevoli, tra cui Unioncamere, Direzione Investigativa Antimafia, Istat, Agenzia nazionale per i beni confiscati, Cerved e Banca d’Italia, per tracciare un quadro completo della situazione.
Altre notizie:
APRI/CHIUDI
ANSA – IL TRIBUNALE DEL RIESAME DI MILANO HA UFFICIALMENTE RICONOSCIUTO L’ESISTENZA DI UN’ALLENZA TRA COSA NOSTRA, CAMORRA E ‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA
Il Tribunale del Riesame di Milano ha ufficialmente riconosciuto l’esistenza di un’alleanza mafiosa tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta, operativa in Lombardia, denominata “sistema mafioso lombardo”. La decisione è giunta a seguito del ricorso presentato dal pubblico ministero Alessandra Cerreti nell’ambito della maxi inchiesta “Hydra”, condotta dai carabinieri di Milano e Varese. Un anno fa, il giudice per le indagini preliminari (gip) Tommaso Perna aveva respinto la richiesta di custodia cautelare per 142 indagati su un totale di 153, rigettando l’ipotesi di un’associazione mafiosa denominata “consorzio” tra le tre organizzazioni criminali. Tuttavia, con la nuova decisione del Riesame, è stata ora confermata la presenza di un sodalizio che ha unito membri di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta, con l’obiettivo di aumentare i profitti e minimizzare i conflitti tra i vari gruppi. I giudici hanno precisato che non si tratta di una “supermafia”, ma di un’associazione criminale in cui membri provenienti dalle tre principali organizzazioni mafiose operano congiuntamente per il controllo di attività economiche e la commissione di crimini, utilizzando metodi intimidatori e violenti. Il presidente del Tribunale, Fabio Roia, ha scritto che questa associazione si è distinta per l’uso della forza intimidatoria, tipica delle mafie, per acquisire il controllo di attività economiche in Lombardia. Nel ricorso presentato, composto da 1.121 pagine, il pm Alessandra Cerreti ha specificato che non si tratta di una nuova organizzazione mafiosa, ma di un’alleanza funzionale tra diverse componenti delle tre mafie tradizionali, attiva soprattutto nell’area milanese. Secondo la Direzione distrettuale antimafia (Dda), il sodalizio coinvolge clan come quello dei Iamonte, la famiglia Romeo di San Luca, il “gruppo Senese”, e vanta collegamenti con i Rinzivillo e i trapanesi di Castelvetrano, oltre a emissari vicini a Matteo Messina Denaro. Il Tribunale del Riesame ha evidenziato come la presenza di questa alleanza sia dimostrata dall’uso concreto del metodo mafioso nella gestione delle attività criminali. Sebbene le indagini siano iniziate oltre un anno fa e abbiano portato a 11 arresti su un totale di 153 richieste di misure cautelari, questa nuova sentenza getta nuova luce su quello che è stato definito un fenomeno di collaborazione tra le mafie italiane per ottenere il controllo economico in Lombardia, una regione strategica per i loro affari illeciti.
L’INDIPENDENTE – SENTENZA SU ‘NDRANGHETA STRAGISTA: “STRETTISSIMO COLLEGAMENTO TRA MAFIE E SERVIZI SEGRETI DEVIATI”
Dopo un anno dal verdetto, sono state rivelate le motivazioni della sentenza con cui, nel marzo 2023, la Corte d’Assise d’Appello ha condannato all’ergastolo il capomafia palermitano Giuseppe Graviano e il boss calabrese Rocco Filippone, ritenuti mandanti di una serie di attentati ed omicidi avvenuti tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994. La sentenza, redatta in circa 1.400 pagine, rivela un collegamento stretto tra le mafie, la massoneria e i servizi segreti deviati, sottolineando implicazioni politiche di ampia portata. Secondo la Corte, che ha abbracciato le conclusioni dell’inchiesta guidata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, emerse una convergenza tra gli interessi di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, massoneria e i servizi segreti deviati. Queste entità avrebbero unito le forze per destabilizzare lo Stato italiano e influenzare un cambio di guardia nella classe dirigente. La strategia stragista degli anni ’90, che ha causato decine di morti e feriti, è stata orchestrata con l’obiettivo di “destabilizzare” l’Italia, per poi ritirarsi nell’ombra. La sentenza, stilata dal presidente della Corte Bruno Muscolo e dal giudice a latere Giuliana Campagna, ridefinisce un capitolo cruciale della storia italiana recente. I giudici hanno rilevato “un quadro ricostruttivo granitico e convergente” sull’implicazione dei vertici ‘ndranghetistici nei delitti, in connessione con Cosa Nostra, la massoneria e i servizi segreti, incluso il fenomeno di Falange Armata, utilizzato per depistare le indagini. La Corte ha confermato il “strettissimo collegamento” tra le mafie e i servizi segreti nella destabilizzazione dello Stato. Non solo la criminalità organizzata era coinvolta negli attentati e negli omicidi, ma anche elementi della massoneria e di apparati deviati dello Stato, che tramavano nell’ombra. I giudici hanno documentato intrecci tra organizzazioni criminali, ambienti massonici e politici, miranti a sostituire la classe dirigente esistente. La sentenza menziona esplicitamente Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, cofondatore di Forza Italia, sottolineando il coinvolgimento dell’ultimo con la mafia. La Corte ha evidenziato la presenza di Vittorio Mangano, boss mafioso, nella villa di Arcore di Berlusconi, come parte di un accordo tra Cosa Nostra e il politico. I giudici hanno anche analizzato dialoghi tra Graviano e Umberto Adinolfi in carcere, rivelando un risentimento verso Berlusconi e Dell’Utri per aver tradito gli accordi. La sentenza conferma anche il piano per un attentato allo Stadio Olimpico di Roma nel 1994, che fortunatamente non è stato portato a termine. I giudici citano le parole di Graviano, che si dichiarava soddisfatto di aver portato a buon fine i loro obiettivi, ma che in seguito agli sviluppi politici, inclusa la vittoria di Forza Italia alle elezioni, l’attentato non è stato più perpetrato.
ANSA – SI PENTE IL BOSS DEI CASALESI “SANDOKAN”
A 70 anni, 26 anni dopo la sua cattura in un bunker a Casal di Principe, il capo dei Casalesi, Francesco Schiavone, noto con il soprannome di Sandokan, ha iniziato a collaborare con la giustizia. Uomini delle forze dell’ordine avrebbero già proposto a parenti del capoclan di entrare nel programma di protezione. Francesco Schiavone, che si trova al carcere duro, fu arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo nel maxiprocesso Spartacus e per diversi delitti. Nel 2018 fu il figlio Nicola, il primo della famiglia, a pentirsi e a collaborare con la giustizia. Nel 2021, anche il secondo figlio Walter decise di collaborare. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine.
ANSA – CHIESTA CONDANNA A 20 ANNI PER LA SORELLA DI MESSINA DENARO
Chiesta una condanna a 20 anni di carcere per Rosalia Messina Denaro, sorella del boss morto al 41 bis. La donna, in carcere da un anno, è accusata di associazione mafiosa aggravata e ricettazione. Secondo gli inquirenti avrebbe aiutato per anni il fratello a sottrarsi alla cattura e avrebbe gestito per suo conto la “cassa” della “famiglia” mafiosa e la rete di trasmissione dei “pizzini”, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza.
TODAY – EX COLLABORATORE DI GIUDIZIA UCCISO A SAN GIOVANNI A TEDUCCIO (NAPOLI)
Salvatore Coppola, ingegnere e ex collaboratore di giustizia, è stato ucciso ieri sera, martedì 12 marzo, nei pressi di un parcheggio nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio. L’agguato è avvenuto vicino al discount Maxistore Decò. La vittima, di 66 anni, è stata colpita mortalmente al volto. La presenza di agenti della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato di San Giovanni sul posto testimonia l’importanza del caso. Attualmente, le indagini sono in corso, e si spera che i filmati delle telecamere di sorveglianza della zona possano fornire indizi utili per identificare il responsabile o i responsabili dell’omicidio. Al momento, non ci sono testimoni oculari. Coppola aveva iniziato a collaborare con la giustizia circa quindici anni fa, fornendo informazioni sulle organizzazioni camorristiche attive nell’area di Napoli Est, soprattutto nel settore immobiliare. Il suo coinvolgimento nelle indagini ha svelato dettagli su interessi economici legati agli investimenti e alla speculazione edilizia, incluso presunte corruzioni per ottenere autorizzazioni amministrative.
FOGGIATODAY – ARRESTATO MARCO RADUANO, ESPONENTE DELLA MAFIA PUGLIESE EVASO UN ANNO FA DAL CARCERE DI NUORO
E’ stato arrestato in Francia Marco Raduano, esponente di spicco della mafia garganica. Il boss era evaso dal carcere di Nuoro il 24 febbraio 2023 con un metodo rocambolesco: calandosi con lenzuola legate tra loro. Raduano, 39 anni, era stato condannato in via definitiva a 19 anni di carcere per traffico di stupefacenti aggravato dal metodo mafioso. La sua evasione aveva fatto molto scalpore, non solo per la modalità singolare, ma anche perché Raduano era considerato un elemento di vertice del clan Montanari, attivo nel territorio di Vieste, in Puglia. L’arresto è avvenuto a Bastia, in Corsica, grazie a un’operazione congiunta dei carabinieri italiani e dell’Interpol. Raduano non ha opposto resistenza ed è stato immediatamente trasferito in carcere in attesa di essere estradato in Italia.
ANSA – SCOPERTI DOPO 25 ANNI I MANDANTI DELL’OMICIDIO GERACI
Dopo 25 anni sono stati scoperti i mandanti dell’omicidio del sindacalista siciliano della UIL Mico Geraci, ucciso davanti al figlio e alla moglie l’8 ottobre del 1998 a Caccamo (PA), con una raffica di colpi sparati da un fucile a pompa. I mandanti sono stati identificati in Pietro e Salvatore Rinella, incaricati di far eliminare il sindacalista dal capomafia Bernardo Provenzano. Geraci, vicino agli ambienti antimafia, aveva apertamente preso posizione contro Cosa nostra, denunciando il tentativo di condizionamento del piano regolatore di Caccamo e la gestione dell’acqua, e rifiutandosi di svolgere pratiche dei contributi agricoli per conto delle organizzazioni locali.
LEGGO – PALERMO: ARRESTATO IL BOSS MAFIOSO GIUSEPPE AUTERI
Giuseppe Auteri, noto come “Vassoio”, è stato arrestato a Palermo dopo oltre due anni di latitanza. Il boss mafioso era ricercato dal 2022 nell’ambito dell’operazione “Vento” contro il clan di Porta Nuova, scattata dopo l’omicidio di Giuseppe Incontrera. Auteri, 51 anni, era stato ricercato a partire da luglio 2022, ma si era reso irreperibile già da metà settembre 2021. Le ricerche si erano estese anche all’estero, ma è stato localizzato e arrestato nella zona di Stazione Oreto a Palermo. Considerato un personaggio di rilievo dalla Dda di Palermo, Auteri è stato descritto come uno dei membri più influenti della cosca di Porta Nuova, secondo il pentito Alessio Puccio. Il pentito Puccio ha rivelato che Auteri era coinvolto in attività rilevanti per la cosca, ma non ha fornito ulteriori dettagli, affermando che “non si chiede eccessivamente”. Il Procuratore capo di Palermo ha elogiato il lavoro dei Carabinieri per l’arresto di Auteri, sottolineando la continuità degli sforzi contro la criminalità organizzata nella regione.
TGCOM24 – MAFIA A BARI: 130 INDAGATI ACCUSATI DI INGERENZA NELLE ELEZIONI COMUNALI DEL 2019
Un’importante operazione antiracket e antimafia ha visto oltre 130 persone coinvolte in ordinanze di custodia cautelare emesse dal Tribunale di Bari, in seguito alla richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Il blitz, condotto da più di mille agenti della Polizia di Stato, ha coinvolto Bari e la sua area metropolitana. Tra gli arrestati di spicco c’è Tommy Parisi, figlio del noto boss Savinuccio, già condannato in primo grado a otto anni per associazione mafiosa. Parisi, noto anche come cantante neomelodico, è stato ritenuto responsabile di diversi reati, incluso l’associazione mafiosa. Un’altra figura di rilievo coinvolta è Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale e avvocato, anch’egli finito in carcere in seguito al blitz. Anche la politica locale è stata toccata da quest’operazione: tra gli indagati figura Maria Carmen Lorusso, consigliera comunale, ai domiciliari insieme a suo padre Vito Lorusso. Questo duro colpo alla criminalità barese si estende anche al mondo imprenditoriale, con nomi come Francesco Frezza e Massimo Bellizzi tra gli arrestati. Le accuse rivolte agli indagati spaziano dalla ingerenza elettorale politico-mafiosa all’estorsione, dal porto e detenzione di armi all’illecita commercializzazione di sostanze stupefacenti. Sono anche accusati di turbare la libertà degli incanti e di frode in competizioni sportive, tutti reati aggravati dal metodo mafioso. La figura di Tommy Parisi è particolarmente significativa, poiché unisce il mondo della musica neomelodica alla criminalità organizzata. Il coinvolgimento di politici e consiglieri comunali evidenzia l’interferenza della mafia nelle istituzioni locali e l’abuso di potere a fini illeciti.
ILSOLE24ORE – APPALTI PUBBLICI: INTERDITTIVE PER MAFIA AUMENTATE DEL 34% IN UN ANNO
Nel 2023, le interdittive antimafia emesse dalle prefetture italiane sono aumentate del 34,2% rispetto al 2022, raggiungendo quota 2.007. La Campania è la regione con il maggior numero di interdittive, con 490 provvedimenti, seguita dalla Sicilia con 390. Una regione del Nord, l’Emilia-Romagna, si colloca al terzo posto con 144 interdittive, complice la sorveglianza legata agli appalti per la ricostruzione post-alluvione. Nello specifico, i dati evidenziano un aumento del 32,5% nelle comunicazioni interdittive antimafia e del 36,3% nelle informazioni interdittive. Queste ultime costituiscono una valutazione discrezionale, svolta dalla prefettura, del rischio di infiltrazione, coinvolgendo le imprese considerate in pericolo di condizionamento al di là dei loro rapporti con la Pubblica Amministrazione. Analizzando i dati provincia per provincia, Napoli è la prima con 351 provvedimenti, quadruplicati rispetto agli 87 dell’anno precedente. A seguire Reggio Emilia, che supera di due informazioni negative la provincia di Foggia, che ne conta 142. Numeri in grande crescita anche in Sicilia: ad Agrigento le interdittive sono più che decuplicate, passando da da 6 a 70, mentre a Trapani passano da 13 a 47. A primeggiare è Palermo, con 112 interdittive, mentre l’anno prima erano 66. Al Nord, invece, cala il numero delle interdittive in Lombardia, che passano dalle 84 del 2022 alle 70 dell’anno scorso, mentre si alza quello dei provvedimenti emessi in Veneto, che sono 53, più del doppio di quelli del 2022 (25). La lotta contro le infiltrazioni mafiose nell’ambito dei contratti pubblici è sempre stata problematica, anche perché mai supportata da politiche preventive davvero efficaci. L’approvazione del nuovo Codice degli Appalti, avvenuto lo scorso marzo, ha suscitato molte polemiche. Tra le misure più contestate vi è la liberalizzazione degli appalti sotto-soglia, che potrebbe facilitare l’infiltrazione delle mafie nel sistema degli appalti pubblici. «Semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza», aveva dichiarato il presidente dell’Anticorruzione Giuseppe Busia, stroncando la riforma nei suoi elementi fondamentali.
PALERMOTODAY – TRAPANI: MESSINA DENARO FERMATO DAI CARABINIERI 7 ANNI FA SENZA ESSERE RICONOSCIUTO
Il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, rivela che Matteo Messina Denaro è stato fermato da carabinieri sette anni fa in provincia di Trapani senza essere riconosciuto. Il capomafia, latitante per oltre trent’anni, confidava nella mancanza di foto aggiornate nelle mani delle forze dell’ordine e riceveva avvisi sui movimenti degli investigatori. L’arresto di Messina Denaro è avvenuto il 16 gennaio 2023, dopo un lungo periodo di latitanza. De Lucia sottolinea la necessità di indagare sulle possibili complicità che hanno favorito la fuga del capomafia e ribadisce l’impegno della procura di Palermo nel tracciare responsabilità. Il procuratore aggiunge che la malattia di Messina Denaro non ha cambiato le sue abitudini, e nonostante i colpi subiti da Cosa Nostra, l’organizzazione mafiosa cerca ancora di riorganizzarsi e arricchirsi, in particolare attraverso il traffico di stupefacenti. De Lucia invita a non abbassare la guardia contro il fenomeno mafioso.
SKYTG24 – MAXIPROCESSO AI CASAMONICA: CASSAZIONE CONFERMA L’ACCUSA DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA
La Corte di Cassazione ha confermato l’accusa di associazione mafiosa per il clan dei Casamonica, uno dei più potenti clan criminali di Roma. La sentenza, che è arrivata dopo un lungo processo, ha sancito che i Casamonica sono una vera e propria organizzazione mafiosa, dotata di un’elevata capacità di intimidazione e di controllo del territorio. La sentenza della Cassazione ha confermato le condanne già inflitte in primo e secondo grado a 30 esponenti del clan, tra cui Domenico, Massimiliano, Pasquale, Salvatore, Ottavio, Giuseppe, Guerrino, Liliana e Luciano Casamonica. Le pene più pesanti sono state inflitte a Domenico (30 anni), Massimiliano (28 anni e 10 mesi) e Pasquale (24 anni). La sentenza della Cassazione è un importante successo per la lotta alla criminalità organizzata in Italia. Essa conferma che i Casamonica sono una vera e propria organizzazione mafiosa, che deve essere combattuta con tutti i mezzi a disposizione dello Stato. Un ruolo fondamentale per la condanna del clan dei Casamonica è stato giocato dai collaboratori di giustizia. In particolare, le dichiarazioni di Deborah Cerreoni, ex moglie di Massimiliano Casamonica, e di Massimiliano Fazzari, ex affiliato alla ‘ndrangheta, hanno permesso agli inquirenti di ricostruire le attività criminali del clan. Le dichiarazioni di Cerreoni hanno permesso di far luce sulle attività di spaccio di droga, usura e racket che il clan svolgeva a Roma. Fazzari, invece, ha fornito informazioni sull’assetto gerarchico del clan e sui suoi rapporti con le altre organizzazioni criminali.
PROCESSI
REPUBBLICA – CHRISTIAN SODANO A PROCESSO: UCCISE MAMMA E SORELLA DELL’EX FIDANZATA
Christian Sodano è sarà sottoposto a processo immediato dopo aver ucciso a colpi di pistola Nicoletta Zomparelli e Renée Amato, rispettivamente madre e sorella della sua ex fidanzata Desyrée, il 13 febbraio 2024. Il giudice per le indagini preliminari di Latina ha firmato il decreto che dispone il processo, definendo l’omicidio come “plurimo aggravato dalla premeditazione e dai motivi futili e abietti”. Il processo inizierà il 26 novembre, come riportato dal Corriere della Sera. Sodano, un finanziere di 27 anni, è stato arrestato poche ore dopo il delitto nella casa di uno zio, dove si era rifugiato dopo la fuga. Desyrée, che era riuscita a scappare dal massacro, ha fornito dettagli sui movimenti del killer. Le indagini hanno rivelato che, secondo la perizia del medico legale, solo Nicoletta è morta sul colpo dopo i primi spari, mentre Renée è stata uccisa successivamente. Durante gli interrogatori, Sodano ha affermato di non voler far soffrire le vittime, ma la balistica ha dimostrato un accanimento nei loro confronti, con i proiettili che hanno colpito Renée al volto. La premeditazione è stata confermata da messaggi recuperati dal cellulare di un’amica di Desyrée, in cui Sodano annunciava di volerle “fare male” e di essere pronto a “fare una strage”. La relazione tra Sodano e Desyrée era già finita da tempo, ma lei aveva deciso di ospitarlo per non lasciarlo solo. La mattina del delitto, dopo essersi svegliato, Sodano ha preso la pistola e ha minacciato Desyrée. Quando la madre e la sorella sono intervenute, sono state uccise senza pietà. Desyrée ha dichiarato: “Christian aveva una mente diabolica, ha agito con lucidità, ha ucciso mia madre e mia sorella per farmi vivere con questo peso. Erano due persone innocenti, mia sorella era ancora una bambina”. In totale, sette colpi sono stati esplosi dalla pistola di Sodano. Al momento del fermo, ha dichiarato: “Volevo suicidarmi, ho chiesto a Desyrée di uccidermi, loro hanno visto che avevo la pistola in pugno e si sono messe a urlare. Non so perché ho sparato a Renée e Nicoletta, volevo bene a entrambe”.
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APRI/CHIUDI
LEGGO – ANGELIKA HUTTER PRESENTAVA “SEMINFERMITA’ MENTALE QUANDO INVESTI’ E UCCISE 3 PERSONE, MA POTRA’ SOSTENERE IL PROCESSO”
Il pool di consulenti nominati dal giudice Enrica Marson, nell’ambito dell’incidente probatorio richiesto dalla Procura per la perizia psichiatrica su Angelika Hutter, ha concluso che la donna presentava una “seminfermità mentale” al momento dell’evento tragico ma ha la capacità di affrontare il processo, con un “elevato grado di pericolosità sociale”. Il caso riguarda Angelika Hutter, una cittadina tedesca di 32 anni, responsabile dell’incidente avvenuto il 6 luglio scorso a Santo Stefano di Cadore (Belluno), in cui persero la vita il piccolo Mattia Antoniello, suo padre Marco e la nonna materna Maria Grazia Zuin. Secondo quanto riportato dalla società 3A Valore, che rappresenta la famiglia delle vittime tramite l’avvocato Alberto Berardi di Padova, la richiesta di processo è attesa dopo le festività pasquali. I consulenti incaricati dalla Procura, Renato Ariatti, Stefano Zago, Tommaso Caravelli ed Heinz Prast, hanno confrontato le loro valutazioni con i consulenti tecnici della parte offesa: Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia e Psicopatologia Forense all’Università di Padova, Matilde Forghieri, specialista in psicoterapia, e Pierfrancesco Monaco, medico legale. Angelika Hutter si è presentata in aula per l’udienza, indossando un maglioncino grigio e con i capelli biondo cenere, assistita dal suo avvocato Giuseppe Triolo. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Gazzettino, erano passati otto mesi dall’incidente che ha causato la morte di tre persone. Il legale delle vittime, Alberto Berardi, ha commentato favorevolmente la conclusione della perizia, sottolineando l’importanza del proseguimento del procedimento per l’accertamento delle responsabilità correlate. Anche i familiari delle vittime hanno accolto con favore la valutazione psichiatrica, ribadendo la necessità di una costante sorveglianza e cura per garantire la sicurezza della comunità. L’avvocato Riccardo Vizzi, di Studio3A, ha sottolineato il dolore delle famiglie delle vittime, spesso percepite come abbandonate dal sistema giudiziario e dalle istituzioni, e ha evidenziato la necessità di una maggiore attenzione e responsabilità nell’affrontare i casi di omicidio stradale.
CORRIERE – TIZIANA MORANDI NARCOTIZZAVA GLI UOMINI PER DERUBARLI: “LUCIDA, BUGIARDA E MANIPOLATRICE”
La storia di Tiziana Morandi, soprannominata la “mantide della Brianza”, ha scioccato l’opinione pubblica per la sua spregiudicata lucidità nel commettere una serie di delitti. La donna, condannata a 16 anni e 5 mesi di reclusione dal tribunale di Monza, ha narcotizzato e derubato almeno nove uomini conosciuti in chat. I giudici hanno descritto Morandi come una persona lucida, bugiarda e manipolatrice, che ha agito con una spiccata tendenza alla menzogna e alla manipolazione. La sua serialità delittuosa rappresenta una spia di una spiccata pericolosità sociale, a causa della freddezza d’animo con cui ha commesso i crimini. Le vittime, che includevano anziani, giovani e uomini di mezza età, sono state drogate con benzodiazepina, versata di nascosto nelle loro bevande. Durante lo stato di incoscienza, le vittime venivano derubate di piccole somme di denaro, oggetti personali o carte di credito, che Morandi utilizzava per fare acquisti per sé. In alcuni casi, le vittime si sono messe al volante e si sono risvegliate in ospedale senza ricordare come ci sono arrivate. Morandi ha offerto una serie di racconti in aula che sono risultati inverosimili, come la versione alternativa della sparizione delle banconote di un giovane altoatesino, che secondo lei sarebbero volate via a causa del forte vento e disperse nei campi attorno alla sua abitazione. I giudici hanno sottolineato la lucidità e l’abilità nella menzogna dimostrata da Morandi dopo ogni episodio, nonché la sua tendenza alla manipolazione, che non è correlata a qualsiasi patologia o disturbo di natura psichiatrica, ma che invece rivela la sua pervasiva capacità criminale. Oltre alla pena inflitta, il tribunale ha stabilito una misura di sicurezza consistente in un periodo di tre anni di libertà vigilata, proprio alla luce della sua capacità a delinquere, nella quale non ha mostrato alcun segno di redenzione o di pentimento nel corso del processo.
L’INDIPENDENTE – STRAGE DI BOLOGNA: “P2 MANDANTE, NEOFASCISTI ESECUTORI, SERVIZI SEGRETI AL DEPISTAGGIO”
La Corte d’Appello di Bologna ha depositato le motivazioni della sentenza che lo scorso settembre ha condannato all’ergastolo Gilberto Cavallini per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. I giudici hanno definito l’attentato come una strage politica frutto della convergenza di interessi tra i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), la loggia P2 di Licio Gelli e i servizi segreti deviati. Secondo la Corte, i NAR non agirono per puro spontaneismo armato, ma come braccio armato degli interessi della P2. L’obiettivo era quello di destabilizzare l’ordine democratico e instaurare uno Stato autoritario. La strage di Bologna si inserisce in un contesto più ampio di “strategia della tensione”, iniziata con la strage di Portella della Ginestra nel 1947. I giudici scrivono che Licio Gelli, tramite i servizi segreti a lui legati, finanziò e attuò la strage, servendosi dei NAR come esecutori materiali. Il depistaggio delle indagini fu opera di alcuni membri dei servizi segreti, tutti facenti parte o comunque collegati alla P2. La sentenza sottolinea la gravità della strage di Bologna, che ha “scosso fortemente lo Stato italiano e il suo ordine democratico”. Si è trattato di un “fatto di terrorismo più grave mai verificatosi nel Paese”, frutto di un disegno eversivo volto a “disintegrare in radice le basi dello Stato democratico”.
ILMESSAGGERO – AVVOCATURA DELLO STATO CHIEDE PROSCIOGLIMENTO DI UN UOMO CHE UCCISE 4 PERSONE DURANTE UNA RIUNIONE DI CONDOMINIO
Claudio Campiti, l’uomo che l’11 dicembre scorso ha aperto il fuoco durante una riunione del consorzio Valleverde a Fidene, uccidendo quattro donne e ferendo altre dieci, andrà a processo. Il gup Roberto Saulino ha accolto la richiesta del pm Giovanni Musarò, che contesta a Campiti l’omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, il tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e le lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti. A sorpresa, l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta il ministero dell’Interno e quello della Difesa come responsabili civili per omessa vigilanza sull’arma, ha chiesto il proscioglimento per l’imputato. La decisione ha suscitato l’ira delle parti civili, che hanno commentato: “Lo Stato, attraverso l’Avvocatura, nel momento in cui è chiamato a rispondere dei risarcimenti nei confronti delle vittime, chiede il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato”.
INCIDENTI STRADALI
AGI – SULLE STRADE ITALIANE 8 MORTI AL GIORNO
Secondo i dati diffusi dall’Istat, nel primo semestre del 2024, sulle strade italiane si sono registrati mediamente quasi 8 morti al giorno a causa di incidenti stradali. Le vittime complessive nei primi sei mesi dell’anno sono state 1.429, con un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo del 2023. Nel dettaglio, gli incidenti con lesioni a persone sono stati 80.057, con un lieve incremento dello 0,9% rispetto al periodo gennaio-giugno dell’anno precedente. I feriti sono stati 107.643, pari a un aumento dello 0,5%, mentre i decessi entro il trentesimo giorno dall’incidente hanno raggiunto i 1.429, registrando un aumento del 4%. Questi numeri si traducono in una media giornaliera di 7,8 vittime al giorno nei primi sei mesi del 2024. Guardando al 2023, il rapporto di Aci e Istat, pubblicato in occasione della Giornata mondiale delle vittime della strada, offre un quadro ancora più ampio della situazione. In totale, si sono verificati 166.525 incidenti stradali nell’intero anno, che hanno causato 3.039 morti e 224.634 feriti. Secondo l’analisi, le principali cause di questi incidenti includono: Mancato rispetto dei limiti di velocità; Comportamenti pericolosi alla guida, come distrazioni o guida sotto l’effetto di sostanze; Infrastrutture obsolete, spesso non adeguatamente manutenute; Condizioni precarie delle strade italiane, che contribuiscono al rischio di incidenti. In occasione della Giornata mondiale delle vittime della strada, il comandante della polizia locale di Bari, Michele Palumbo, ha rivolto un appello ai cittadini: “Guidate con prudenza e rispettate le regole del codice della strada, perché questi numeri sono inaccettabili.”
Altre notizie:
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TGCOM24 – INCIDENTI STRADALI: 3 MILA MORTI IN UN ANNO IN ITALIA
Nel 2023, gli incidenti stradali in Italia hanno registrato un aumento significativo, con 166.525 casi, in crescita dello 0,4% rispetto all’anno precedente. Le vittime sono state 3.039, con un calo del 3,8% rispetto al 2022. Tuttavia, il numero dei feriti è aumentato, raggiungendo 224.634, con un incremento dello 0,5%. Tra le categorie più colpite, si segnala un aumento delle vittime tra i conducenti di monopattini elettrici, che sono passati da 16 a 21, e tra i ciclisti, con 212 morti rispetto ai 205 dell’anno precedente. Il report Aci-Istat evidenzia che il tasso di mortalità stradale è sceso da 53,6 a 51,5 morti ogni milione di abitanti tra il 2022 e il 2023, ma il numero di morti per 100.000 abitanti è risultato superiore alla media nazionale (5,2) in 13 regioni. Nei grandi comuni, il tasso di mortalità è salito a 4,6 per 100.000 abitanti, rispetto al 4,2 del 2022. La mortalità è più alta sulle strade extraurbane, con 4,1 decessi ogni 100 incidenti, mentre sulle autostrade è scesa a 2,7 e sulle strade urbane è rimasta a 1,1. Gli errori di guida più comuni includono la distrazione, il mancato rispetto della precedenza e l’alta velocità, che insieme costituiscono il 36,5% degli incidenti. Le vittime sono concentrate nelle fasce d’età 20-29 anni e 45-59 anni per gli uomini, e oltre i 55 anni per le donne. L’indice di mortalità per i pedoni è particolarmente preoccupante, con un tasso di 2,6 ogni 100 incidenti, quattro volte superiore a quello degli occupanti di autovetture. Inoltre, il costo sociale delle lesioni alle persone ha raggiunto quasi 18 miliardi di euro nel 2023, corrispondente a circa l’1% del prodotto interno lordo nazionale.
CARCERI
RISTRETTI ORIZZONTI – SONO 86 I SUICIDI NELLE CARCERI ITALIANE NEL 2024
Nel 2024, si sono registrati 86 suicidi nelle carceri italiane, un numero record secondo Ristretti Orizzonti. Questo dato segna un aumento rispetto ai 69 suicidi del 2023 e agli 84 del 2022. La maggior parte delle vittime sono uomini, e molti erano detenuti da poco tempo. Il 4 dicembre, Amir Dhouiou, un giovane di 21 anni, si è tolto la vita nel carcere Marassi di Genova. Era considerato fragile e a rischio, avendo già compiuto atti di autolesionismo. La procura di Genova ha avviato un’inchiesta per verificare se fosse sotto adeguata sorveglianza. Le associazioni per i diritti dei detenuti segnalano che le condizioni nelle carceri sono sempre più difficili, con sovraffollamento e mancanza di personale. Secondo il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, al 30 novembre 2024, c’erano 62.427 detenuti a fronte di solo 51.165 posti disponibili. Le differenze nei conteggi sui suicidi tra Ristretti Orizzonti e il Garante sono dovute a criteri diversi: Ristretti considera anche i suicidi avvenuti in ospedale dopo atti autolesionistici in carcere. La situazione continua a destare preoccupazione tra le autorità e le associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti. Nel 2024, il numero di suicidi nelle carceri italiane ha raggiunto un livello allarmante, con 86 persone che si sono tolte la vita fino ad oggi. Questo dato rappresenta il numero più alto mai registrato da quando l’associazione Ristretti Orizzonti inizia a raccogliere informazioni sui suicidi in carcere. La maggior parte delle persone che si sono suicidate erano uomini e molte erano entrate in carcere da poco tempo. Il 4 dicembre, un giovane di 21 anni, Amir Dhouiou, ha perso la vita nel carcere Marassi di Genova. Era già stato segnalato come una persona a rischio, avendo compiuto atti di autolesionismo nelle settimane precedenti. La procura di Genova ha avviato un’inchiesta per verificare se Dhouiou fosse stato sorvegliato adeguatamente. I dati raccolti da Ristretti Orizzonti mostrano che nel 2023 ci sono stati 69 suicidi e nel 2022 84. Dieci anni fa, il numero era significativamente inferiore, con 43 suicidi. Le associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti denunciano che le condizioni nelle carceri continuano a deteriorarsi, con problemi di sovraffollamento e mancanza di personale e servizi adeguati. Sofia Antonelli, ricercatrice dell’associazione Antigone, ha sottolineato che non solo il numero elevato di suicidi è preoccupante, ma anche il fatto che il sistema carcerario non riesce a gestire adeguatamente le fragilità delle persone detenute. Molti detenuti entrano in carcere con problemi di salute mentale o situazioni di marginalità sociale e spesso non ricevono l’assistenza necessaria. Dall’inizio dell’anno, sette agenti della polizia penitenziaria si sono suicidati. Secondo i dati del Garante nazionale dei diritti dei detenuti, la maggior parte delle persone che si sono tolte la vita era di sesso maschile e aveva un’età media di circa 40 anni. Molti di loro erano in attesa di giudizio o avevano già ricevuto una condanna definitiva. La situazione è aggravata dal sovraffollamento: al 30 novembre, nelle carceri italiane erano presenti 62.427 detenuti a fronte di soli 51.165 posti disponibili. Questo sovraffollamento è correlato all’aumento dei suicidi e alle difficoltà nel gestire le persone fragili. Le differenze nei conteggi tra Ristretti Orizzonti e il Garante nazionale riguardano i criteri utilizzati per definire i suicidi avvenuti in carcere. Ristretti Orizzonti include anche i decessi avvenuti in ospedale dopo atti di autolesionismo compiuti in carcere. Il Garante nazionale ha avviato verifiche sui dati e il deputato Roberto Giachetti ha presentato un’interrogazione parlamentare per chiarire le discrepanze nei numeri. La situazione nelle carceri italiane richiede attenzione immediata per affrontare le cause profonde di questo tragico fenomeno.
STUPRO DI PALERMO
ANSA – I 6 IMPUTATI NEL PROCESSO PER LO STUPRO DI GRUPPO A PALERMO SONO STATI TUTTI CONDANNATI
Tutti i sei imputati nel processo per lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo nell’estate del 2023 sono stati condannati, con pene che vanno da sette a quattro anni e mezzo di carcere. Il tribunale di Palermo ha inflitto sette anni di reclusione a quattro dei ragazzi accusati di aver violentato una 19enne in un cantiere abbandonato nel mese di luglio. Un quinto imputato ha ricevuto una pena di 6 anni e 4 mesi, mentre il sesto è stato condannato a 4 anni e 8 mesi. Inoltre, l’unico membro del “branco” che al momento dei fatti era minorenne è stato condannato dal giudice per i minorenni a 8 anni e 8 mesi. I condannati sono Angelo Flores, Gabriele Di Trapani, Christian Maronia ed Elio Arnao, tutti a sette anni. Cristian Barone ha ricevuto una pena di 6 anni e 4 mesi, mentre Samuele La Grassa è stato condannato a 4 anni e 8 mesi. La Procura, rappresentata dall’aggiunta Laura Vaccaro, aveva richiesto pene comprese tra i 10 anni e 8 mesi e i 12 anni. La vicenda risale a luglio 2023, quando la vittima è stata abusata in un cantiere abbandonato al Foro Italico di Palermo. Dopo l’accaduto, la giovane ha denunciato il fatto ai carabinieri. Durante l’aggressione, il maggiore degli imputati, Angelo Flores, ha ripreso la violenza con il suo cellulare. La ragazza è stata fatta ubriacare prima di essere portata nel luogo dell’abuso. Nel video girato da Flores si sente la giovane chiedere più volte al gruppo di lasciarla andare. Dopo gli abusi, i ragazzi si sono allontanati lasciando la vittima sola. La Procura aveva chiesto pene di 12 anni per Flores, Di Trapani, Maronia, Barone e Arnao, e 10 anni e 8 mesi per La Grassa. Prima della camera di consiglio per la sentenza, le difese hanno sostenuto che non si fosse trattato di violenza ma di un rapporto consensuale. Christian Barone ha chiesto scusa per non aver aiutato la vittima quella notte e ha dichiarato: «Devo essere giudicato per quel che ho fatto, non per ciò che non ho fatto». Ha voluto fare dichiarazioni spontanee prima che il tribunale si ritirasse per deliberare sulla sentenza.
Altre notizie:
APRI/CHIUDI
ANSA – LA 19ENNE STUPRATA A PALERMO HA DENUNCIATO UN’ALTRA VIOLENZA
La giovane di 19 anni, vittima di un brutale stupro da parte di sette ragazzi lo scorso luglio al Foro Italico di Palermo, ha denunciato un altro atto di violenza. Questa volta, la denuncia riguarda un familiare di 50 anni, identificato come G.P. Attualmente, l’uomo è sotto processo, e il caso è seguito dal giudice Stefania Brambille. La ragazza è assistita dalla legale Carla Garofalo, che ha dichiarato di non essere stata informata di alcuna udienza riguardante questo nuovo caso, né di essere stata nominata come sua avvocata. Si sta attivando per ottenere ulteriori informazioni sulla situazione. Secondo quanto emerso, l’episodio di violenza si sarebbe verificato nel giugno del 2022. L’imputato ha negato tutte le accuse, ma la vittima sostiene di essere stata costretta a subire atti sessuali sotto l’influenza di cocaina e alcol. Questa non è la prima volta che la ragazza denuncia episodi di abuso. In passato, aveva già reso note altre violenze subite da parte di due individui sconosciuti.
PALERMOTODAY – CONDANNATO A 8 ANNI E 8 MESI L’UNICO MINORENNE CHE HA PRESO PARTE ALLO STUPRO DI GRUPPO A PALERMO
Il gup del tribunale per i minorenni di Palermo ha condannato a 8 anni e 8 mesi di carcere R. P., il ragazzo che era minorenne all’epoca dello stupro di gruppo avvenuto al Foro Italico di Palermo lo scorso luglio. Il processo si è svolto con rito abbreviato. Il pm aveva chiesto 8 anni di carcere. R. P. era l’unico del branco di sette ragazzi ad avere ancora 17 anni quando violentarono a turno una 19enne in un cantiere abbandonato. Il giovane era stato arrestato ad agosto insieme agli altri componenti del branco, ma poi era stato affidato a una comunità su decisione del gip. Successivamente, però, erano emerse dalle indagini dei carabinieri alcune chat in cui R. P. si vantava della violenza e sosteneva di essersi divertito. Il gip ha quindi disposto nuovamente la custodia cautelare in carcere per il ragazzo. La sua difesa ha sempre sostenuto che il rapporto con la vittima fosse consenziente, ma la 19enne ha raccontato di aver gridato “basta” e di essere stata picchiata e derisa dai suoi aggressori. La condanna è stata accolta con favore dalla legale della vittima, Carla Garofalo, che ha parlato di “sentenza giusta” e ha sottolineato che “si sta ristabilendo la verità dei fatti”.
NESSY GUERRA BLOCCATA IN EGITTO
FANPAGE – NESSY GUERRA BLOCCATA IN EGITTO CON LA FIGLIA
Nessy Guerra, una giovane madre di 25 anni originaria di Sanremo, è attualmente bloccata in Egitto con la sua bambina di quasi due anni a causa di un ordine del tribunale egiziano, emesso su richiesta del suo ex marito, Tamer Hamouda. L’uomo, 34 anni, è stato arrestato a Hurghada su richiesta della Procura generale di Genova, grazie a un’indagine condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Genova. L’arresto di Hamouda è avvenuto in relazione a una condanna in Italia per maltrattamenti e stalking nei confronti di un’ex compagna. Attualmente, Hamouda deve scontare una pena di 2 anni e 11 mesi e la giustizia italiana ha richiesto la sua estradizione. Inoltre, la Procura di Genova ha aperto un nuovo fascicolo a carico dell’uomo basato su tre esposti presentati dall’avvocato di Nessy Guerra, Agata Armanetti. Le accuse includono maltrattamenti in famiglia, tentata sottrazione della figlia e revenge porn. Nessy Guerra ha lanciato appelli disperati per chiedere aiuto alle autorità italiane attraverso il programma “Chi l’ha Visto?” e videomessaggi. Attualmente si trova in una residenza protetta in Egitto e lamenta l’impossibilità di rientrare in Italia a causa delle accuse infondate di adulterio mosse da Hamouda. Sebbene queste accuse siano cadute, l’ordinanza del tribunale egiziano continua a impedire il rientro di Nessy e della sua bambina. Nel febbraio scorso, Nessy era stata arrestata in Egitto per le accuse di adulterio ma le accuse sono state successivamente ritirate. Tuttavia, la situazione legale ha bloccato il suo ritorno in patria. La giovane madre ha dichiarato: “Abbiamo bisogno di rientrare in patria il prima possibile”, chiedendo l’intervento del ministro degli Affari Esteri e del ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Nessy vive attualmente in condizioni precarie e teme per la sua sicurezza e quella della figlia, con il terrore che il suo ex marito possa trovarle. La sua avvocato sta cercando di accelerare le procedure diplomatiche per risolvere la situazione e permettere a Nessy e alla sua bambina di tornare in Italia.
MORTE DI AURORA TILA
ILPOST – COSA SI SA DI AURORA TILA, LA 13ENNE MORTA CADENDO DA UN TERRAZZO
Lunedì sera, nei pressi di Piacenza, i carabinieri hanno arrestato un ragazzo di 15 anni accusato di aver ucciso Aurora Tila, una 13enne deceduta dopo essere caduta da un terrazzo all’ottavo piano di un edificio. Il giovane, il cui nome non è stato reso noto, era l’ex fidanzato di Aurora e si trovava con lei al momento della caduta. Attualmente è indagato per omicidio volontario dalla procura per i minorenni di Bologna e si trova in custodia cautelare presso l’Istituto penale per minorenni “Pietro Siciliani” di Bologna. Il caso ha suscitato grande attenzione pubblica perché le informazioni disponibili fanno pensare a un possibile femminicidio, ovvero un omicidio legato a violenze fisiche e psicologiche, spesso alimentate da dinamiche di potere e controllo. In Italia non esistono statistiche specifiche sui femminicidi, ma il ministero dell’Interno raccoglie dati sugli omicidi che possono essere analizzati in base al rapporto tra autore e vittima. Secondo questi dati, dall’inizio dell’anno sono state uccise 80 donne “in ambito familiare/affettivo”. Martedì verrà effettuata l’autopsia sul corpo di Aurora per chiarire le cause della sua morte. Nel frattempo, sono emerse testimonianze che indicano violenze psicologiche e fisiche subite dalla ragazza nei mesi precedenti da parte dell’ex fidanzato, il quale non accettava la fine della loro relazione. Aurora aveva lasciato il 15enne poche settimane fa, dopo essersi rivolta ai servizi sociali a causa dei suoi comportamenti aggressivi. I due ragazzi si erano messi insieme lo scorso gennaio, ma Aurora aveva deciso di interrompere la relazione a causa di comportamenti descritti dalla sua famiglia come ossessivi e minacciosi. Questi comportamenti sono stati in parte documentati in chat e tabulati telefonici analizzati dalla procura. Sul corpo di Aurora sono state trovate ferite e lividi che potrebbero essere il risultato dei suoi tentativi di difendersi. Durante le indagini è stato trovato un video in cui l’ex fidanzato strattona, picchia e insulta Aurora in una stazione degli autobus. Il video era stato registrato da alcune amiche della ragazza che erano intervenute per soccorrerla. La madre di Aurora ha dichiarato che il ragazzo l’aveva picchiata anche tre giorni prima della sua morte perché non accettava la rottura. Alcuni vicini hanno riferito che lui dormiva sul pianerottolo di casa di Aurora per controllarne i movimenti. La mattina della sua morte, Aurora era uscita di casa poco dopo le otto per andare a scuola al liceo Colombini. Tuttavia, non ci è mai arrivata perché ha incontrato l’ex fidanzato e i due sono saliti sulla terrazza del condominio dove viveva. I vicini li hanno visti lì anche altre volte. Poco dopo le 8:30, il 15enne ha suonato i citofoni dell’edificio e ha chiamato il 118; il corpo di Aurora è stato trovato sul terrazzo del quinto piano, dopo una caduta da circa dodici metri. Il giovane è stato fatto entrare in casa da una persona a cui aveva suonato, ed era apparso sotto shock. Le indagini proseguono per chiarire meglio cosa sia accaduto sul terrazzo; ci sono già diversi elementi che fanno supporre che Aurora non si sia buttata da sola, considerando che per farlo avrebbe dovuto scavalcare una ringhiera alta circa un metro e venti centimetri. Lorenza Dordoni, avvocata della famiglia di Aurora, ha dichiarato che se anche la ragazza avesse tentato di lanciarsi dal terrazzo, l’ex fidanzato avrebbe avuto il tempo e la forza fisica per fermarla. L’autopsia servirà anche a stabilire se quando Aurora è caduta fosse già morta o meno.
MORTE DI SARA CENTELLEGHE
LEGGO – COSA SI SA DELLA MORTE DI SARA CENTELLEGHE
Sara Centelleghe, una ragazza di 18 anni, studentessa all’Istituto Superiore Ivan Piana di Lovere, è stata uccisa a coltellate nella notte tra venerdì 25 e sabato 26 ottobre 2024 nel suo appartamento a Costa Volpino, in provincia di Bergamo. La giovane, che avrebbe compiuto 19 anni il prossimo 9 novembre, è stata trovata senza vita sul pianerottolo del terzo piano del condominio in cui viveva con la madre. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, intorno all’1:15 un’amica di Sara è scesa per andare a comprare bevande a un distributore automatico. Al suo ritorno, la giovane ha trovato Sara in una pozza di sangue, appena fuori dall’appartamento. L’amica ha immediatamente chiesto aiuto e alcuni vicini sono intervenuti, cercando di rianimare la ragazza. Tuttavia, all’arrivo dei sanitari, Sara era già morta. Non sono stati portati via oggetti dall’appartamento e si esclude l’ipotesi di una rapina o di un omicidio legato a motivi familiari. Un giovane di origine indiana, Jashandeep Badhan, 19 anni, è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario. Abitava in un appartamento vicino a quello della vittima. I Carabinieri hanno raccolto “concordanti indizi di colpevolezza” a suo carico. Badhan è stato portato in caserma per essere interrogato e ha fatto delle ammissioni riguardo al suo coinvolgimento nell’omicidio. Il pubblico ministero Giampiero Golluccio sta seguendo il caso. I carabinieri hanno prelevato dall’appartamento del sospettato alcuni oggetti e vestiti che potrebbero essere utili per le indagini. Le prime testimonianze raccolte includono quella dell’amica di Sara e dei vicini di casa, che hanno sentito le urla e sono accorsi per soccorrere la giovane. Andrea Gollinucci, un vicino di casa, ha raccontato: “Dalle urla pensavo si trattasse di un incidente domestico. Pensavo fosse uscita dal bagno, che fosse scivolata e che avesse picchiato la testa”. Solo dopo si è reso conto della gravità della situazione quando ha visto la ragazza insanguinata a terra.
MORTE DI LEONARDO CALCINA
OPEN – COSA SI SA DELLA MORTE DEL 15ENNE LEONARDO CALCINA
Leonardo Calcina, un ragazzo di 15 anni, si è tolto la vita a Senigallia, dopo aver subito atti di bullismo all’Istituto alberghiero Panzini. Secondo le accuse, tre ragazzi, due maggiorenni e un minorenne, lo prendevano di mira in modo ripetuto. Il padre di Leonardo, Francesco, e la madre Viktoria hanno raccontato la loro esperienza attraverso l’avvocata di famiglia, Pia Perricci. La procura di Ancona ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio. Leonardo veniva deriso per il suo cognome che finisce con la lettera “A” e subiva insulti e parolacce irripetibili. Inoltre, nel bagno della scuola, i bulli gli abbassavano i pantaloni e lo colpivano ai genitali. Una madre di un compagno ha confermato che i bulli lo prendevano in giro per il suo aspetto e lo imitavano con una voce effeminata. Il dirigente scolastico Alessandro Impoco ha dichiarato di non aver ricevuto segnalazioni riguardo a questi episodi. Un compagno di classe ha riferito che Leonardo era continuamente preso in giro in aula e in palestra durante le lezioni di ginnastica. Negli ultimi giorni, il ragazzo sembrava silenzioso e non parlava più. I carabinieri hanno già ascoltato uno dei presunti bulli, un ragazzo pluriripetente d’origine straniera. Leonardo aveva confidato ai genitori che metteva gli auricolari per non sentire le offese. Il giovane si era sfogato con la madre dicendo: «Mi hanno preso di mira, non mi danno pace», esprimendo il desiderio di lasciare la scuola. A volte, i bulli sputavano quando lo vedevano passare. I carabinieri hanno sequestrato il cellulare, il computer e i profili social del ragazzo per indagini più approfondite. Un altro studente che ha frequentato l’istituto ha raccontato della sua esperienza di bullismo, affermando che gli venivano rivolti epiteti offensivi fino a costringerlo ad abbandonare gli studi. Ha descritto come il bullismo fosse iniziato alle elementari e come le aggressioni fisiche fossero diventate comuni. In seguito al suicidio di Leonardo, gli ispettori del Ministero dell’Istruzione stanno indagando sulla situazione all’interno dell’istituto Panzini. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha dichiarato che se le testimonianze dei genitori dovessero essere confermate, si tratterebbe di una situazione gravissima e inaccettabile. Il preside Impoco ha negato l’esistenza di una banda di bulli nella scuola e ha lamentato il disagio degli studenti accusati ingiustamente. Tuttavia, molti ragazzi hanno confermato agli inquirenti episodi di bullismo all’interno dell’istituto. Leonardo si è tolto la vita utilizzando una pistola Beretta del padre, trovata nella cassaforte a cui aveva accesso. La Procura ha escluso che l’arma non fosse custodita correttamente. I funerali del ragazzo si terranno domani pomeriggio a Montignano.
OMICIDIO SARAH SCAZZI
LEGGO – MICHELE MISSERI CONTINUA A SOSTENERE DI ESSERE LUI L’ASSASSINO DI SARAH SCAZZI
Michele Misseri è tornato a parlare in televisione per la prima volta dopo la sua scarcerazione. L’uomo, che risiede nuovamente ad Avetrana, dove viveva con la moglie Cosima e la figlia Sabrina, entrambe condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi, ha ribadito la sua colpevolezza: «Sono io l’assassino di Sarah. Non mi credono perché mi hanno fatto cambiare le versioni, non le ho cambiate io, me le hanno fatte cambiare», ha dichiarato durante un’intervista a *Le Iene*. Questa non è la prima volta che Misseri si dichiara colpevole; sua figlia Valentina sostiene fermamente l’innocenza della madre e della sorella. Misseri ha raccontato di esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia: «Quando avevo sei anni mio padre mi portò in una masseria a fare il pastorello. Lì mi hanno violentato. Non l’ho mai detto a nessuno. E se l’avessi fatto sarebbe stato peggio». Ha spiegato che due uomini, un padre e un figlio, lo abusarono quando era solo un bambino. Ha anche accennato al fatto che suo padre aveva capito qualcosa, poiché lavava le sue mutandine, ma non intervenne mai. Riguardo all’omicidio di Sarah, Misseri ha affermato che il suo movente era di natura sessuale: «Per mia figlia Valentina sono un assassino e anche un pedofilo». Nella confessione iniziale ai magistrati, aveva sostenuto di aver abusato di Sarah prima di ucciderla, ma successivamente aveva ritrattato. In un colloquio con Sortino, ha ammesso l’omicidio, negando inizialmente gli abusi: «L’ho detto perché tanto dovevo comunque andare in carcere. Se la ragazza non era apposto…». Durante la notte dell’intervista, Misseri ha espresso timore per i sogni che lo tormentano, spesso legati alla nipote. Ha ricordato momenti trascorsi in caserma prima del ritrovamento del corpo di Sarah e ha raccontato: «Sai quando sono rimasto colpito? Quando mi hanno detto (gli inquirenti) che non l’avevano battezzata. Allora ho detto del pozzo, in contrada Mosca». Ha poi portato Sortino sul luogo dove ha occultato il corpo della ragazza. Mentre si avvicinavano al pozzo, Misseri ha indicato un albero di fico che sostiene essere stata la prima tomba di Sarah. Ha descritto dettagliatamente le sue azioni quel 26 agosto, dal parcheggio dell’auto all’occultamento del cadavere. Ha parlato dei vestiti di Sarah, inizialmente tolti e poi bruciati insieme al suo telefonino. Misseri ha ricostruito il momento dell’omicidio: «Ho allungato la mano e l’ho presa dalle spalle, mi ha dato un calcio da dietro e mi è salito un calore. Forse voleva scappare e io ho preso la corda…». Ha rivelato: «Volevo violentare Sarah ma non sono riuscito. Avevo allungato le mani qui nel garage, volevo continuare ma poi non l’ho più fatto». Ha anche aggiunto che da due anni non aveva rapporti sessuali con sua moglie. Concludendo il suo racconto, Misseri ha affermato: «Questa è la verità. Speriamo che Sarah vada in pace, per sempre.” Valentina Misseri, in un’intervista trasmessa venerdì sera nel programma *Far West* su Rai 3, ha affermato senza esitazioni che il responsabile dell’omicidio è stato suo padre, Michele Misseri. Questa dichiarazione scagiona di fatto la madre Cosima Serrano e la sorella Sabrina, entrambe in carcere e condannate all’ergastolo per la morte della quindicenne. Riguardo all’assenza della madre, Valentina ha dichiarato: «La penso comunque tutti i giorni, cioè appena mi sveglio e quando vado a dormire. E non posso chiamarla, non posso confidarmi con lei, mi manca proprio un pilastro, è come se fossi orfana, come se non avessi più nessuno». Valentina ha anche sollevato dubbi sulle indagini che hanno portato alla condanna della madre e della sorella: «Secondo me sì», ha affermato riguardo a possibili forzature nelle prove contro di loro. Ha aggiunto: «Un po’ sono proprio le carte che me lo dicono, perché comunque la prima versione ha un senso logico, cioè lineare. Si capisce cioè una storia, per quanto brutta, banale, anche una banalità che non è stata accettata. Tutto il resto per me è la sceneggiatura di un film». Ha espresso anche la sua amarezza per come l’opinione pubblica percepisca la sua famiglia: «Buona parte dell’opinione pubblica pensa che io faccia parte, comunque no, di una famiglia di assassini e comunque sono amareggiati che io stia fuori e non in carcere insieme a mia madre e mia sorella».
EMANUELA ORLANDI E MIRELLA GREGORI
LEGGO – EMANUELA ORLANDI NON SAREBBE STATA RAPITA
Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa nel 1983, non sarebbe stata rapita. Questa è l’affermazione emersa durante le audizioni della Commissione bicamerale, che si sono svolte il 10 ottobre 2024. Secondo il giornalista e scrittore Pino Nicotri, ci sarebbero nuovi elementi che suggeriscono un’altra spiegazione per la sua scomparsa. Nicotri ha dichiarato: «Io credo che sia stato un normale caso di violenza, una prepotenza finita male di un membro del cosiddetto giro amical-familiare, potrebbe essere stato un amico di famiglia, un cugino uno zio». Le audizioni sono state segrete e hanno avuto una durata di circa tre ore. Alcune parti sono state secretate su richiesta dello stesso Nicotri. Rispondendo ai commissari riguardo alla sua ipotesi, Nicotri ha presentato vari elementi raccolti nel corso degli anni e riportati in diversi libri, tra cui “Emanuela Orlandi, Il rapimento che non c’è”. Ha affermato: «C’è una cosa che taglia la testa al toro», aggiungendo che se si distribuiscono manifesti con il numero di casa in tutta Roma riguardo a un caso come questo, è naturale che si scateni la mitomania, ma non si tratta di un complotto. Ha sottolineato che «l’ipotesi più semplice è quella che viene eliminata» e ha ricordato che non è mai stata fornita una prova del rapimento. Nicotri ha anche discusso il ruolo dello zio di Emanuela, Mario Meneguzzi. La segretezza dell’audizione è iniziata quando Nicotri ha risposto a una domanda del presidente della Commissione, il senatore Andrea De Priamo. Nelle parti non secretate, ha esaminato gli alibi di Meneguzzi il giorno della scomparsa, il 22 giugno 1983. Ha detto: «Lui è stato interrogato da Sica – ha detto – sui suoi alibi due anni dopo, non lo deve avere convinto perchè lo ha fatto pedinare; poi la memoria dei familiari diventa, diciamo, accomodante». Nicotri ha anche menzionato che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, nel suo libro afferma che la zia Anna (moglie di Mario Meneguzzi) era a casa a fare la pizza, mentre in realtà si trovava a Torano. Ha commentato: «Non dico che le testimonianze dei familiari siano fasulle, diciamo smemorate». Rispondendo a una domanda del deputato Dario Iaia su quali elementi non quadrassero, Nicotri ha osservato: «Per quanto riguarda Torano, ho letto su Facebook una Meneguzzi che ha detto che da Torano a Roma ci sono 300 km invece sono una novantina che si possono fare comodamente in autostrada».Inoltre, ha evidenziato un’incongruenza nei tempi delle telefonate tra Meneguzzi ed Ercole Orlandi: «Meneguzzi dice che Ercole Orlandi gli ha telefonato alle 20:30 e poi lo ha ribeccato solo a mezzanotte; ma se la zia Anna era a Torano, Mario Meneguzzi era davvero a Torano? Insomma, dove stava quest’uomo? Nessuno ha chiesto in maniera seria ai parenti dove stava Mario Meneguzzi». Nicotri ha presentato alla Commissione anche otto file “segreti”, tra cui sei file di testo e due audio. Uno riguarda una conversazione con don Gaetano Civitillo e l’altro è parte di una telefonata con l’avvocato Gennaro Egidio. Quest’ultimo non si sarebbe mostrato sorpreso quando Nicotri gli ha riferito della «scarsità di indagini nei confronti del Meneguzzi». Un’altra figura menzionata da Nicotri è Marco Fassoni Accetti. Sebbene il suo ruolo sia considerato come mera «ipotesi di scuola», Nicotri ha spiegato che Accetti era il fotografo di scena a Palazzo Massimo e frequentava i luoghi dove Emanuela andava. Ha anche citato la testimonianza del figlio di un gioielliere della zona secondo cui Accetti gli avrebbe chiesto se voleva fare un provino. Infine, Nicotri ha definito come «una sciocchezza» la pista di Londra. Ha affermato che una grafologa ha dimostrato che la presunta firma dell’ex arcivescovo di Canterbury George Carey in una lettera del 1993 sarebbe in realtà «una firma falsa reperita su Google da documenti veri firmati». La grafologa in questione è Sara Cordella, docente di Metodologia e Grafologia Peritale e consulente in vari processi penali.
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LEGGO – EMANUELA ORLANDI E MIRELLA GREGORI “SACRIFICATE” PER RAGIONI DI STATO
Ilario Martella, primo giudice istruttore dal 1985 al 1990 dei casi di scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, ha affermato durante un’audizione in Commissione parlamentare che le due ragazze sono state “sacrificate” per ragioni di Stato. Secondo Martella, i rapimenti avevano lo scopo di distrarre l’opinione pubblica dall’attentato a Papa Giovanni Paolo II, di cui la Bulgaria era sospettata. Martella ritiene che le ragazze siano state uccise poco dopo i sequestri, come spesso accade nei casi di rapimento. Sostiene inoltre che il Vaticano, pur non avendo dato molto aiuto ai giudici italiani, non sia stato tanto coinvolto. Auspica che l’attuale Papa, rifacendosi alle parole del predecessore, chiarisca se anche lui è convinto dell’intrigo internazionale. Martella ha anche parlato di Marco Accetti, che si era autoaccusato di aver partecipato ai rapimenti, definendo la sua una “meschina messinscena”. Secondo il giudice, Accetti ha fatto perdere molto tempo alla procura di Roma. L’audizione di Martella e di sua figlia Anna Lisa, che ha chiesto di essere sentita in modalità secretata subito dopo il padre, rappresentano nuovi sviluppi nel caso, che rimane ancora irrisolto.
OMICIDIO MARIA CAMPAI
CORRIERE – OMICIDIO MARIA CAMPAI: ALTRE DONNE PRIMA DI LEI NEL GARAGE DOV’E’ AVVENUTO IL DELITTO
«Chi c’era parli», è l’appello lanciato in merito alla morte di Maria Campai, uccisa dal 17enne Giuseppe Lacarpia. Prima di Maria, altre escort erano state nel garage dove è avvenuto il delitto. Queste donne, a differenza di Campai, non sono state aggredite e, sebbene possano aver subito violenze, hanno scelto di non denunciare. A rivelarlo è il Corriere della Sera. Intanto, lunedì 8 ottobre, si sono svolti in Romania i funerali della vittima. Maria Campai, 42 anni, è stata strangolata con una mossa da wrestling e colpita ripetutamente. Il suo corpo è stato trovato nel giardino di una villa abbandonata vicino al garage. La brutalità dell’omicidio è stata scatenata da una lite riguardo al pagamento: 350 euro richiesti anziché i 200 pattuiti. Secondo quanto riferito dai professori della scuola del giovane, il 17enne non aveva mai mostrato atteggiamenti minacciosi. Il giovane ha dichiarato: «Non ho mai avuto la ragazza, al massimo alcuni amori non ricambiati. Non era la prima volta che pagavo. Lei (Campai, ndr.) l’ho scelta in base al profilo, non aveva la foto. Quando l’ho vista appariva diversa dalla descrizione. Eravamo d’accordo per 200 euro. (…) Avevo 350 euro, lei li voleva tutti». Dopo il rifiuto del giovane, sarebbe scattata l’aggressione. Questa versione è stata svelata nei giorni scorsi durante un’intervista a Mattino 4. Il ragazzo ha anche affermato di aver autorizzato i carabinieri a controllare il suo telefono e ha spiegato: «Avevo fatto delle ricerche per vedere se c’erano dei farmaci che potessero causare il soffocamento. (…) Non riesco a relazionarmi con le altre persone e stavo male. Non ho mai pensato di andare dallo psicologo». Il movente dell’omicidio sembra essere legato al prezzo della prestazione sessuale concordata tramite una chat di incontri a pagamento. Secondo la versione del 17enne rilasciata durante l’interrogatorio, lui aveva concordato una prestazione per duecento euro ma aveva in tasca 350 euro guadagnati con lavori estivi. Quando Campai ha visto i soldi, sostiene il giovane, ha chiesto di poterli avere tutti. Al suo rifiuto, la donna lo avrebbe aggredito mettendogli le mani al collo. La sua reazione sarebbe stata quella di volerla far perdere i sensi con l’avambraccio. Maria Campai è morta dopo aver subito violenze che hanno sorpreso gli investigatori. L’autopsia, durata quattro ore e condotta dal dottor Antonello Cirnelli all’ospedale Carlo Poma di Mantova, ha confermato che il ragazzo si sarebbe scagliato contro la donna dopo aver consumato un rapporto intimo nel garage di casa sua. Le sorelle della vittima, Roxana e Loredana Campai, hanno lanciato un appello da Turda, in Romania, durante il funerale di Maria: «Vogliamo andare fino in fondo. Chi l’ha uccisa deve passare la vita in carcere. Vogliamo giustizia, che il colpevole sia uno solo o che abbia avuto dei complici». Due mesi fa era morto un altro dei sei fratelli; ora sono rimasti in quattro: Roxana, Loredana e altri due maschi. Dopo il funerale, Maria è stata sepolta in Romania vicino alla tomba del fratello e dei genitori. I suoi figli Manuel di 23 anni e Giacomo di 21 anni sono partiti per la Transilvania giovedì scorso per dire addio alla madre. Le indagini continuano con attenzione sull’esito della perizia sul cellulare del 17enne che ha confessato l’omicidio di Campai. Gli inquirenti sperano che dal telefono possano emergere indizi utili a chiarire se ci siano altre persone coinvolte o informate dopo l’omicidio. Al momento non ci sono tracce dello smartphone della vittima; il giovane sostiene di averlo gettato nel cassonetto del vicino chiuso in un sacchetto verde.
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CORRIERE – MARIA CAMPAI PICCHIATA E SOFFOCATA: SONO I RISULTATI DELL’AUTOPSIA
Maria Campai, una donna di 42 anni di nazionalità romena, è stata trovata morta nel giardino di una villa abbandonata a Viadana, in provincia di Mantova. L’autopsia eseguita il 1° ottobre ha rivelato dettagli agghiaccianti sulla sua morte, evidenziando la violenza subita per mano di un ragazzo di 17 anni, attualmente in carcere con l’accusa di omicidio volontario e premeditato, oltre all’occultamento del cadavere. L’autopsia ha confermato che Maria Campai «È stata violentemente picchiata e poi soffocata». Il medico legale, dottor Antonello Cirnelli, ha trovato molteplici fratture alla testa, allo sterno e alle costole, segni inequivocabili di violenza che contraddicono la versione fornita dal giovane. Secondo il ragazzo, avrebbe affermato che Maria era caduta sul pavimento dopo che lui le aveva stretto il collo mentre lei era sdraiata sul divano. Tuttavia, l’esame ha dimostrato che le ferite non potevano essere causate da una caduta da un’altezza di soli 40 centimetri. Si è ipotizzato che il ragazzo potesse aver colpito la testa della donna contro il muro del garage, ma questa circostanza non è stata confermata dall’autopsia. Il movente dell’omicidio sembra essere legato a un litigio riguardante il pagamento per una prestazione sessuale concordata tramite una chat di incontri a pagamento. Quando Maria ha chiesto il pagamento concordato, il 17enne ha reagito con violenza, colpendola ripetutamente e soffocandola utilizzando una mossa di arti marziali. L’autopsia ha rivelato segni di difesa da parte della donna, inclusi graffi sul viso e sulle braccia del giovane. Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice per le indagini preliminari, il ragazzo ha respinto le accuse, sostenendo di essersi difeso. Tuttavia, il giudice non è stato convinto dalla sua versione e ha confermato la custodia cautelare nel carcere minorile Beccaria di Milano. L’aggravante della premeditazione è stata mantenuta in considerazione delle ricerche effettuate dal ragazzo su internet riguardo a tecniche per uccidere a mani nude e le sue affermazioni fatte agli investigatori: «volevo sapere che cosa si prova a uccidere una persona». Le indagini hanno rivelato che il giovane aveva cercato informazioni su come uccidere a mani nude e aveva espresso ammirazione per un noto omicida su Instagram. Nonostante la gravità delle accuse e gli elementi raccolti contro di lui, il ragazzo è apparso normale ai suoi familiari e compagni di scuola durante la settimana in cui Maria era scomparsa. Dopo aver commesso l’omicidio, aveva nascosto il corpo nel giardino della villa abbandonata e inviato un falso messaggio alla sorella della vittima per rassicurarla.
LEGGO – COSA SI SA DELL’OMICIDIO DI MARIA CAMPAI
Dopo sette giorni di ricerche, il corpo senza vita di Maria Campai, una donna di 42 anni di nazionalità romena, è stato trovato in un giardino di una villetta abbandonata a Viadana, nel Mantovano. Maria era scomparsa il 19 settembre, dopo essere giunta in città per un presunto colloquio di lavoro. Le indagini hanno portato al fermo di un ragazzo di 17 anni, considerato il responsabile del suo omicidio. Il giovane aveva conosciuto la vittima online e l’avrebbe convinta a incontrarlo a Viadana, dove l’incontro si è trasformato in una tragedia. Le indagini condotte dai carabinieri hanno ricostruito il contesto dell’incontro tra Maria e il giovane. La donna, residente a Parma e che viveva con la sorella dopo la separazione dal marito, viaggiava frequentemente tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Attraverso una piattaforma online, Maria aveva conosciuto il 17enne di Viadana e aveva deciso di incontrarlo. Non è ancora chiaro cosa sia accaduto durante questo incontro, ma le prime ipotesi suggeriscono che il ragazzo abbia colpito Maria con violenza, infliggendole gravi ferite alla testa. Dopo l’omicidio, il giovane avrebbe cercato di nascondere il corpo trasportandolo a braccia in una villetta abbandonata, non lontano dal luogo dell’incontro. L’intento apparente era quello di occultare il cadavere per evitarne il rinvenimento. Tuttavia, i sospetti degli inquirenti e l’assenza di notizie da parte della donna hanno portato a intensificare le ricerche, che si sono concluse tragicamente con il ritrovamento del corpo e il fermo del giovane. Le ricerche erano iniziate subito dopo la segnalazione della scomparsa da parte della sorella e di un amico che aveva accompagnato Maria a Viadana. Quest’ultimo l’aveva lasciata nel centro cittadino con l’accordo che sarebbe stata lei a richiamarlo per essere ripresa, ma da quel momento non si erano più avute sue notizie. Le forze dell’ordine, allertate dalla famiglia, hanno avviato una serie di ricerche anche con l’ausilio di cani molecolari. La trasmissione “Chi l’ha visto?” ha contribuito a dare risalto mediatico alla vicenda. Il ritrovamento del corpo è avvenuto grazie a un’intensa attività investigativa condotta dai carabinieri del comando provinciale di Mantova e dal nucleo investigativo, che ha portato rapidamente al fermo del 17enne. Non sono ancora completamente chiare le dinamiche che hanno portato all’omicidio di Maria. Il medico legale Antonello Cirnelli ha esaminato il corpo della donna per stabilire con certezza le cause del decesso. Le prime ricostruzioni indicano che la vittima potrebbe essere stata colpita alla testa con estrema violenza e forse soffocata. Resta da chiarire quale sia stato il motivo che ha spinto il giovane a compiere un atto così efferato, trasformando un incontro apparentemente normale in una tragedia. Maria Campai era madre di due figli e viveva una vita divisa tra famiglia e lavoro. Dopo la separazione dal marito, si era trasferita a Parma per vivere con la sorella. Nonostante le difficoltà e gli spostamenti frequenti, manteneva forti legami con i suoi figli e la sua ex famiglia. Il viaggio a Viadana, inizialmente considerato come un incontro professionale, si è rivelato fatale. La sua scomparsa e l’orrore del ritrovamento hanno sconvolto sia la sua comunità d’origine che quella di Viadana, dove molti non riescono ancora a capacitarsi di quanto accaduto. Questo caso ha riacceso i riflettori sui pericoli degli incontri nati online, specialmente quando coinvolgono persone vulnerabili. Le forze dell’ordine stanno cercando di capire se ci siano stati segnali premonitori che avrebbero potuto evitare questa tragedia e se Maria fosse stata ingannata o manipolata dal giovane. L’indagine continua per fare piena luce su una vicenda che ha lasciato dietro di sé un dramma umano e una famiglia devastata dalla perdita.
STRAGE DI ERBA
AGI – PERCHE’ IL PROCESSO A OLINDO E ROSA NON E’ STATO RIAPERTO
Le motivazioni dei giudici della Corte d’Appello di Brescia spiegano perché le istanze di revisione del processo riguardante la strage di Erba, presentate dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi e dall’allora procuratore generale (pg) di Milano Cuno Tarfusser, sono state respinte. Non sono state trovate nuove prove, né è emersa l’esistenza di un complotto contro gli imputati, come sostenuto dalla difesa. Il 10 luglio scorso, la Corte aveva rigettato la richiesta di riaprire il caso che si era concluso con la condanna all’ergastolo per i due imputati, accusati di aver ucciso, l’11 dicembre 2006, Raffaella Castagna, sua madre Paola Galli, suo figlio di due anni Youssef e la vicina di casa Valeria Cherubini. Nelle motivazioni, i giudici sottolineano: “L’istanza è manifestamente inammissibile, esaurendosi nella ripetizione, alla luce delle nuove acquisizioni (che, come si è visto, tali non sono) e nella prospettiva della falsità della prova, di doglianze già sviluppate nei precedenti gradi di giudizio e in sede d’incidente di esecuzione.” Non vi è alcuna evidenza di un “complotto” contro Olindo Romano e Rosa Bazzi. I legali della coppia avevano sostenuto che vi fosse una falsificazione delle prove e che la traccia ematica rinvenuta sull’auto di Romano fosse stata creata artificialmente. Inoltre, affermavano che Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, fosse stato manipolato durante le indagini. Secondo la difesa, gli inquirenti avrebbero occultato intercettazioni e forzato le confessioni dei due imputati. Tuttavia, i giudici ritengono che tali affermazioni non siano supportate da nuove prove, ma si basino su teorie già discusse in precedenza. Un altro punto chiave della sentenza riguarda la testimonianza di Mario Frigerio. La Corte ribadisce che il giudizio di colpevolezza non si basa su presunti suggerimenti del carabiniere Gallorini a Frigerio, ma sulla testimonianza resa da quest’ultimo durante il dibattimento. Nonostante Frigerio avesse subito un grave trauma, i giudici affermano che la sua testimonianza in tribunale rimane valida e che la sua capacità di ricordare non è stata compromessa da un’amnesia anterograda. “La prova che ha concorso a formare il giudicato di condanna non è costituita dalla deposizione o dall’annotazione di Gallorini, ma dalla testimonianza resa in dibattimento da Frigerio”, scrivono i giudici, respingendo l’argomentazione della difesa. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile l’istanza di revisione presentata dal procuratore generale Cuno Tarfusser. Secondo i giudici, Tarfusser non aveva la legittimazione necessaria per presentare tale richiesta. La revisione dei processi, infatti, è riservata ad altri ruoli nell’organizzazione della Procura, e la richiesta non è stata fatta propria dal Procuratore Generale, che ha anzi sottolineato l’irregolarità della procedura seguita da Tarfusser. “La richiesta di revisione è stata formulata da un sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Milano privo di delega relativamente alla materia delle revisioni, riservata, secondo il documento organizzativo dell’ufficio, all’avvocato generale”, precisano i giudici. Le motivazioni della Corte affrontano anche il tema delle interviste televisive proposte come “nuove prove” dalla difesa. I giudici escludono che tali interviste possano essere considerate prove valide. “Le interviste televisive non possono valere come ‘prova nuova’ in grado di riaprire un processo”, scrivono, sottolineando che chi partecipa a un’intervista non ha l’obbligo di dire la verità come in un’aula di tribunale e che tali dichiarazioni sono spesso influenzate dall’ambiente mediatico. Secondo la Corte, una “prova nuova” deve avere un elevato grado di affidabilità e deve essere in grado di ribaltare una sentenza definitiva. Le interviste non soddisfano questi criteri, poiché non sono soggette alle stesse garanzie di veridicità che si applicano in sede processuale. “Nessun presidio, al di là della deontologia dell’intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle sue risposte e della correttezza delle domande”, aggiungono i giudici, mettendo in dubbio l’affidabilità delle interviste proposte dalla difesa.
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AGI – STRAGE DI ERBA: RESTA L’ERGASTOLO PER OLINDO ROMANO E ROSA BAZZI
Olindo Romano e Rosa Bazzi avevano sperato fino all’ultimo in una revisione della loro condanna, ma dopo tre udienze e cinque ore di camera di consiglio, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza: ergastolo. La loro istanza di revisione della condanna per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006, che causò la morte di quattro persone, tra cui un bambino di due anni, è stata respinta. Anche l’istanza del sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, è stata dichiarata inammissibile, e Tarfusser è stato sanzionato dal CSM per aver agito senza l’approvazione del suo ufficio. Ha criticato la decisione, lamentando la mancanza di apertura della magistratura all’assunzione di nuove prove. Olindo ha ascoltato il verdetto impassibile, mentre Rosa ha mostrato delusione e poi è scoppiata in lacrime. Entrambi sono stati riportati nelle carceri milanesi di Opera e Bollate, dove Rosa Bazzi lavora per un’azienda di pulizie. L’avvocato difensore Fabio Schembri ha annunciato l’intenzione di ricorrere in Cassazione. Azouz Marzouk, che nella strage perse la moglie, il figlio di due anni e la suocera, continua a sostenere l’innocenza dei coniugi, dichiarando: “Io resto convinto che non siano stati loro.” Tuttavia, non ha chiesto scusa ai fratelli Castagna, sui quali aveva sollevato sospetti in passato. Non è servito alla difesa contestare la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto e testimone chiave, né suggerire che le confessioni di Olindo e Rosa fossero state influenzate dagli inquirenti a causa della loro presunta debolezza mentale. Anche le ipotesi alternative, come la teoria di un regolamento di conti legato al traffico di droga, non sono state considerate prove nuove dai giudici. Il procuratore generale di Brescia, Guido Rispoli, e l’avvocato generale Domenico Chiaro, hanno espresso soddisfazione per la decisione, affermando che conferma le prove “granitiche” delle sentenze precedenti. Chiaro ha sottolineato che la piattaforma indiziaria contro Olindo e Rosa era solida fin dall’inizio. Giuseppe e Pietro Castagna, fratelli di una delle vittime, hanno chiesto di poter tornare a una vita normale. Pietro ha pubblicato un video con le immagini delle vittime, chiedendo a chi ha dubitato della verità di chiedere scusa a tutti i familiari colpiti dalla tragedia.
ANSA – STRAGE DI ERBA: UDIENZA PER LA REVISIONE DELLA SENTENZA RINVIATA AL 10 LUGLIO
L’udienza davanti ai giudici della Corte d’Appello di Brescia per la revisione della sentenza di condanna all’ergastolo per Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba è stata rinviata al 10 luglio. Il presidente della Corte ha annunciato che successivamente si terrà una camera di consiglio per la decisione finale. Nell’aula della Corte d’appello di Brescia, i difensori dei coniugi hanno discusso le istanze di revisione della sentenza che li ha condannati all’ergastolo per la strage di Erba dell’11 dicembre 2006. La difesa ha sostenuto che le confessioni dei coniugi furono indotte e che non erano in condizioni mentali adeguate per essere interrogati, come stabilito da consulenti della difesa. Si è anche sollevata l’ipotesi che il massacro sia avvenuto nel contesto di un regolamento di conti nel traffico di droga, suggerita da un tunisino. Il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, ha presentato una richiesta di revisione, che è stata contestata dal procuratore generale di Brescia e dall’avvocato dello Stato. Entrambi sostengono che ci siano prove sufficienti contro la coppia e che le nuove richieste siano infondate. Durante l’udienza, è emerso che molte persone, compresi giovani, hanno atteso fuori dal Palazzo di Giustizia per assistere all’udienza, spinti anche dalla curiosità. Alcuni screzi sono sorti in aula quando uno dei legali ha richiesto ai rappresentanti dell’accusa di mostrare rispetto durante il suo intervento, dopo che in precedenza i difensori non avevano fatto commenti quando le richieste di revisione erano state presentate dall’accusa. La difesa ha messo in discussione la testimonianza di Mario Frigerio, sopravvissuto alla strage, suggerendo che i suoi ricordi potrebbero non essere affidabili a causa delle ferite subite e dell’intossicazione da fumo. Ha anche sollevato dubbi sulla dinamica della strage, sostenendo che le prove presentate non siano compatibili con la presenza dei coniugi Romano e Bazzi sul luogo del crimine. I fratelli Castagna, che hanno perso membri della famiglia nella strage, desiderano che venga fatta chiarezza sulla verità. Azouz Marzouk, che ha perso moglie e figlio nella strage, sostiene l’innocenza dei coniugi e ha dichiarato che molte cose non tornano nelle indagini.
ANSA – AZOUZ MARZOUK CONDANNATO A 2 ANNI DI CARCERE PER DIFFAMAZIONE
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna a due anni e mezzo di carcere per diffamazione nei confronti di Giuseppe e Pietro Castagna inflitta ad Azouz Marzouk, marito e padre di Raffaella Castagna e del piccolo Youssef, due delle vittime della strage di Erba del 2006. La condanna è stata confermata nonostante il tentativo di annullamento della difesa di Azouz sia stato dichiarato inammissibile a causa di un “probema tecnico”. La vicenda risale a un’intervista del febbraio 2019, in cui Marzouk aveva puntato il dito contro i fratelli di Raffaella, facendo affermazioni considerate diffamatorie dal giudice di Como. Azouz aveva suggerito che i fratelli di sua moglie potessero essere coinvolti nell’assassinio e aveva lanciato accuse che il giudice ha definito di granità “estrema”. La condanna implica anche il pagamento di una multa di 35mila euro a ciascuno dei fratelli Castagna. Azouz Marzouk è parte civile nel processo in corso a Brescia riguardante la richiesta di revisione della condanna all’ergastolo per i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, principali imputati per la strage di Erba. I difensori dei coniugi Romano parleranno il 16 aprile durante il procedimento.
CORRIERE – STRAGE DI ERBA: DOMANI L’UDIENZA SULLA RICHIESTA DI REVISIONE DEL PROCESSO
Domani, 1° marzo 2024, è fissata l’udienza cruciale per decidere sulla richiesta di revisione del processo per la strage di Erba, in cui sono coinvolti Olindo Romano, 62 anni, e Rosa Bazzi, 60 anni, condannati all’ergastolo in tre gradi di giudizio. La Corte d’Appello di Brescia discuterà se rendere ammissibile la richiesta di revisione del processo. Si prevede un’alta tensione durante l’udienza, tanto che è stato montato un maxischermo fuori dall’aula per consentire ai numerosi giornalisti provenienti da tutto il mondo di seguire gli sviluppi dell’udienza. Tuttavia, non saranno consentite riprese all’interno dell’aula. I coniugi Romano saranno presenti durante l’udienza, mentre la famiglia Castagna, convinta che la verità sia già stata dimostrata con le precedenti condanne, sarà assente. La situazione è delicata e l’esito dell’udienza avrà profonde implicazioni sul futuro dei condannati e sulle famiglie coinvolte. Intanto, a Erba, in piazza del mercato, non lontano dal luogo della strage, sono state erette due statue raffiguranti Rosa e Olindo, realizzate a grandezza naturale. Le sculture, poste davanti a una videocamera rivestita in oro, raffigurano i due soggetti nella celebre posa della performance con arco e freccia di Marina Abramovic e Ulay, conosciuta come “rest energy”. L’opera, realizzata dal lecchese Nicolò Tomaini, è stata rivendicata come un atto di protesta contro la “società dello spettacolo”, piuttosto che come una polemica giudiziaria.
TGCOM24 – STRAGE DI ERBA: ROSA BAZZI AL LAVORO PER UNA COOPERATIVA SOCIALE
Dopo 17 anni di detenzione, Rosa Bazzi, condannata all’ergastolo per la strage di Erba insieme al marito Olindo Romano, è stata ripresa dalle telecamere di “Quarto Grado” mentre svolge il suo nuovo lavoro presso una cooperativa sociale nell’hinterland milanese. Le immagini esclusive mostrano Bazzi, uscita dal carcere di Bollate (MI), raggiungere il luogo di lavoro ogni giorno dalle prime ore del mattino, dal lunedì al venerdì. L’inviata e l’operatore del programma seguono la donna a distanza di sicurezza, documentando il suo compito di depositare sacchi dell’immondizia sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Nonostante la condanna definitiva, Bazzi e Romano hanno ottenuto la revisione del processo, la cui prima udienza è programmata per il primo marzo a Brescia, in Corte d’appello. Tuttavia, Giuseppe Castagna, che ha perso madre, sorella e nipotino nella strage, ha dichiarato che ogni tentativo di cercare una diversa verità è vano: “Ogni volta che ci arrivavano notizie di iniziative della difesa o mediatiche provavamo dolore, ora è quasi noia: siamo stati anche attaccati personalmente”, ha aggiunto.
CORRIERE – STRAGE DI ERBA: AZUOZ MARZOUK DICE CHE ROSA E OLINDO SONO INNOCENTI
Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna, una delle vittime della strage di Erba del 2006, sosterrà l’istanza di revisione presentata dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo. Marzouk, dichiarando l’innocenza dei coniugi, sarà presente all’udienza di Brescia il 1° marzo. Già in passato, Marzouk aveva cercato di dimostrare l’estraneità di Olindo e Rosa, definendo la strage un “eccidio da commando”. La sua richiesta di revisione era stata dichiarata inammissibile, portandolo a un processo per calunnia, poi assolto. Marzouk, assistito dall’avvocata Solange Marchignoli, riprova ora a scagionare i coniugi Romano, rafforzando la convinzione che non fossero gli autori del tragico evento. La strage di Erba ha segnato una delle pagine più oscure della cronaca italiana, e questa nuova udienza potrebbe portare a una svolta nella valutazione delle responsabilità degli imputati.
ILMESSAGGERO – STRAGE DI ERBA: I TRE TESTIMONI CHE SCAGIONEREBBERO ROSA E OLINDO
Nuove testimonianze emergono nell’istanza di revisione del processo della strage di Erba, presentata dagli avvocati di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Le testimonianze forniscono una prospettiva alternativa, suggerendo la possibilità di una vendetta tra bande legate allo spaccio di droga, anziché implicare i due coniugi attualmente in carcere. I legali presentano le deposizioni di due testimoni precedentemente non ascoltati nei tre gradi di giudizio che hanno condotto alla condanna a vita dei coniugi Romano. Il primo, Fabrizio Manzeni, ha dichiarato di aver visto due persone extracomunitarie discutere animatamente vicino al suo cancello il giorno della strage. Il secondo testimone, Ben Chemcoum, ha riferito di aver incrociato un uomo robusto con un cappotto chiuso, il quale sembrava affrettarsi in risposta a una chiamata proveniente da un furgone bianco, poco prima della strage. Entrambe le testimonianze suggeriscono la presenza di individui sospetti e supportano l’ipotesi di una rivalità legata allo spaccio di droga. Un altro elemento che emerge è la menzione di una faida tra bande per questioni di cocaina, simile a quanto riportato da Abdi Kais in un’audizione precedente. L’ipotesi di una guerra tra bande sembra guadagnare credibilità, con la menzione di precedenti conflitti tra il gruppo di Azouz Marzouk e vicini di condominio marocchini, collegati al traffico di droga. Questi dettagli sottolineano la complessità del caso e suggeriscono una prospettiva diversa rispetto a quella che ha portato alla condanna dei coniugi Romano. L’inchiesta sulla strage di Erba potrebbe essere soggetta a una revisione più approfondita alla luce di queste nuove testimonianze.
TGCOM24 – STRAGE DI ERBA: ACCOLTO IL RICORSO DI OLINDO ROMANO E ROSA BAZZI
La Corte d’Appello di Brescia ha accolto il ricorso di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba del 2006. Il 1° marzo si terrà un’udienza cruciale per decidere sulla richiesta di revisione della sentenza presentata dai loro difensori e dal sostituto pg di Milano. La coppia è accusata dell’omicidio di quattro persone, incluso un bambino di poco più di 2 anni. Durante l’udienza, la Corte coinvolgerà le parti civili e il procuratore generale di Milano per valutare nuove prove presentate dagli avvocati dei coniugi. Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, è stato un testimone chiave nel processo identificando Olindo Romano come l’aggressore. Il sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, ha espresso soddisfazione per la decisione della Corte, mentre i difensori di Romano e Bazzi si sono detti soddisfatti per la riapertura del caso. Giuseppe Castagna, che ha perso tre familiari nella strage, ha dichiarato che non si troverà un’altra verità e che ogni nuova iniziativa causa solo dolore. Ha espresso frustrazione per il protrarsi delle vicende giudiziarie e mediatiche attorno al caso.
FABBRICA DEI BAMBINI
LEGGO – “FABBRICA DEI BAMBINI”, LA SETTA SATANICA BRASILIANA CHE TRUFFA I RICCHI ITALIANI
La fabbrica dei bambini è una setta satanica brasiliana che truffa i ricchi italiani. Questa organizzazione pseudoreligiosa è coinvolta in riti satanici, orge e truffe, ed ha sede in Brasile. I membri della setta prendono di mira uomini ricchi, sposati e stranieri, con una preferenza per gli italiani, considerati «i più facilmente ingannabili dalle donne brasiliane». Questi uomini, che si trovano in Brasile per lavoro o in vacanza, vengono avvicinati da giovani e belle donne locali. Dopo aver avuto rapporti sessuali con loro, ricevono la notizia: «Sono incinta, il figlio è tuo». A questo punto, gli uomini sono costretti a pagare per mantenere il silenzio e per sostenere la presunta progenie. Tuttavia, queste donne fanno parte della setta e sono state inseminate durante riti e orge all’interno dell’organizzazione. I soldi raccolti vengono utilizzati per autofinanziare le attività della setta. Tra gli italiani truffati c’è Nunzio Bevilacqua, che ha deciso di uscire allo scoperto per sottrarsi al raggiro criminale. Inizialmente, racconta il suo avvocato Edson Ribeiro, Bevilacqua «riteneva di essere vittima di una donna italo-brasiliana di nome Bárbara, che aveva conosciuto su una piattaforma online (Preply.com ndr) dove lei affermava di essere un’insegnante di portoghese tecnico commerciale per stranieri». Dopo molti mesi di indagini difensive condotte da Ribeiro e dalla sua squadra, si è giunti alla conclusione che Bevilacqua si trovava al centro di un vero e proprio schema fraudolento che chiameranno “schema matriarca”. «Le ragazze – spiega Ribeiro ad Adnkronos – vengono cooptate da una sorta di reclutatrici e farebbero parte di un’organizzazione, di natura pseudo-religiosa, volta a identificare, attraverso profili web, ricchi uomini stranieri, in maggioranza italiani, perché considerati dai documenti d’indagine i più (facilmente) ingannabili dalle donne brasiliane, con lo scopo di defraudarli». Il piano prevede l’inseminazione delle ragazze da parte di un membro dell’organizzazione chiamato Álvaro, descritto come un individuo dotato di poteri straordinari e soprannominato “Angelo” dai membri della setta. Dopo l’inseminazione artificiale, la ragazza deve far credere allo straniero che il nascituro sia suo. Questo sistema crea una vera e propria fabbrica di bambini per mantenere legati alla setta gli adepti e per guadagnare denaro. Il coinvolgimento nella setta non si limita ai reclutatori; ci sono anche professionisti come avvocati, medici e funzionari pubblici che collaborano con l’organizzazione.
OMICIDIO GIULIA CECCHETTIN
LEGGO – LA LETTERA DI FILIPPO TURETTA AI GENITORI: “NON MERITO PERDONO, RINNEGATEMI. INVECCHIERO’ IN CARCERE”
Filippo Turetta, dopo il suo arresto in Germania per il femminicidio della ex fidanzata avvenuto l’11 novembre 2023, ha scritto una lettera ai suoi genitori, Nicola Turetta ed Elisabetta Martini, nella quale esprime i suoi sentimenti e la sua condizione attuale. Nella missiva, non menziona mai il nome di Giulia Cecchettin, la vittima. Inizia raccontando di trovarsi nel carcere di Halle e di essersi costituito dopo aver tentato di suicidarsi. “Non sono cattivo, ma non merito perdono”, scrive, rivelando di aver avuto paura di tornare in Italia e di non aver immaginato che la sua storia avrebbe suscitato così tanto clamore. Il processo per Turetta è iniziato il 23 settembre con un rito immediato, scelto dal suo avvocato Giovanni Caruso per evitare la spettacolarizzazione mediatica. La prima udienza si è tenuta in Corte d’Assise a Venezia e si prevede che la sentenza venga emessa il 3 dicembre. Turetta ha descritto nel dettaglio le sue emozioni e le sue paure nella lettera, affermando di meritare tutto ciò che gli sta accadendo e di essere consapevole delle conseguenze delle sue azioni.
Il contenuto della lettera di Filippo Turetta ai genitori:
«Adesso sono nel carcere di Halle. Mi sono fatto arrestare l’altra sera a lato di un’autostrada in Germania. Non riuscivo più a suicidarmi, e dopo giorni ho deciso di costituirmi. Ho un po’ di paura a tornare in Italia (…). Non sapevo e non avrei mai immaginato che tutto questo sarebbe diventato così famoso in Italia e questo mi fa tanta paura. Ho generato tanto odio e rabbia. E me li merito, sì… ma tutto questo è terribile… ho peggiorato il mondo in qualche modo. Mi merito tutto questo dopo quello che ho fatto. Non sono neanche riuscito a uccidermi… vivrò la mia intera vita in carcere adesso. Trascorrerò la maggior parte della mia vita, e tutti i momenti e le fasi migliori della vita della maggior parte delle persone normali, all’interno di una piccola stanza da solo. La solitudine e la tristezza prevarranno sulle mie giornate. Vedrò perdere i capelli all’interno del carcere. Mi mancheranno i miei amici speciali. Non rivedrò mai più queste fantastiche e meravigliose persone e loro non vorranno più vedermi, dimenticandomi per sempre. Non potrò più finire di laurearmi, conoscere persone. Mi dispiace tanto. Io non volevo, non so perché l’ho fatto, non avrei mai pensato o voluto succedesse niente del genere. Io non sono cattivo lo giuro e so che, nonostante adesso sia difficile, voi possiate credermi e lo avete sempre visto con i vostri occhi. Ogni momento penso che vorrei tornare indietro, vorrei tutto tornasse indietro. Non esiste perdono o qualcosa del genere per questo e io non lo voglio, non lo merito. Ho rovinato la vita a tante persone, troppe, senza averci pensato prima. Spero che nessuno vi giudichi negativamente, vi guardi male, rovini la vostra situazione lavorativa o affettiva o le amicizie. Voi non c’entrate assolutamente niente. Capirei e accetterei se d’ora in poi voi vogliate dimenticarmi e rinnegarmi come figlio, vi ho già causato troppo dolore e sarebbe probabilmente la scelta migliore per il prosieguo della vostra vita. Desideravo solamente riuscire ad uccidermi in qualche modo. Sono un codardo e debole e purtroppo non ce l’ho fatta. Sono stato la maggior parte delle ore gli ultimi giorni seduto in macchina puntandomi il coltello alla gola o al torace aspettando di riuscire a sferrare i colpi».
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ANSA – OMICIDIO DI GIULIA CECCHETTIN: E’ INIZIATO IL PROCESSO A FILIPPO TURETTA
A Venezia è iniziato il processo a carico di Filippo Turetta, accusato dell’omicidio della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 a Fossò. Turetta, che ha già confessato il delitto, non era presente in aula, così come i suoi genitori. In aula era invece presente Gino Cecchettin, il padre di Giulia, che ha scelto di non rilasciare dichiarazioni ai giornalisti, affermando che “è prematuro” parlare. Il processo si svolge sotto la presidenza del giudice Stefano Manduzio. Per la difesa di Turetta è prevista la testimonianza dell’anatomopatologa Monica Cucci, che ha partecipato all’autopsia della vittima. Dall’altra parte, l’accusa, rappresentata dal procuratore Andrea Petroni, ha convocato circa trenta testimoni, tra cui familiari e amici di Giulia e membri delle forze dell’ordine coinvolti nelle indagini. L’avvocato difensore di Turetta, Giovanni Caruso, ha comunicato che l’imputato potrebbe non presentarsi mai in aula durante il processo. Rispondendo a una domanda dei giornalisti su questa possibilità, Caruso ha affermato: “è possibile”. Oggi si sono svolti gli adempimenti organizzativi e si prevede la costituzione delle parti civili. Il procuratore Bruno Cherchi ha chiarito che “il processo è sulle responsabilità personali” e non deve essere considerato un processo al femminicidio. Ha aggiunto che l’obiettivo è accertare le responsabilità individuali di Turetta. Il delitto di Giulia Cecchettin ha avuto un forte impatto sulla società e ha suscitato un ampio dibattito sulla violenza di genere. Il procuratore Cherchi ha sottolineato che il processo deve avvenire nel rispetto dell’imputato e non deve assumere toni sociologici. La difesa ha scelto di non richiedere una perizia psichiatrica per Turetta, evitando così discussioni sulla sua capacità di intendere e volere. Filippo Turetta è accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e stalking, oltre all’occultamento del cadavere. Se condannato, rischia l’ergastolo. Il processo si svolge in una nuova aula della Cittadella di Giustizia a Venezia e non nella storica aula di Rialto o nell’aula bunker di Mestre. La scelta del luogo riflette un approccio sobrio e mirato a garantire un ambiente adeguato per il dibattimento. La vicenda legata al delitto ha tenuto col fiato sospeso l’Italia intera, soprattutto a causa della fuga di otto giorni di Turetta, conclusasi in Germania. Questo caso ha suscitato un’ondata di partecipazione al dolore della famiglia Cecchettin e una crescente indignazione verso i femminicidi nel paese.
LEGGO – OMICIDIO GIULIA CECCHETTIN: L’INTERROGATORIO DI FILIPPO TURETTA
Filippo Turetta ha confessato di aver ucciso la sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, una studentessa di 22 anni di Vigonovo (Padova) che studiava Ingegneria biomedica. Nell’interrogatorio in carcere, Turetta ha raccontato i dettagli dell’omicidio: dopo una serata trascorsa insieme a fare shopping e cenare, durante il viaggio di ritorno l’auto si è fermata in un parcheggio vicino a casa di Giulia. A quel punto, Turetta ha preso un coltello e ha aggredito Giulia, colpendola ripetutamente al collo, alle spalle, alla testa, al viso e alle braccia mentre lei gridava aiuto e cercava di difendersi. Turetta ha affermato di averle inferto circa una decina di coltellate, dicendo di volerla colpire mortalmente perché non accettava la fine della loro relazione e non voleva che Giulia vivesse senza di lui. L’autopsia ha rivelato che Giulia è morta per shock emorragico a causa delle numerose ferite da taglio, in particolare un colpo alla testa. Il corpo di Giulia è stato rinvenuto vicino al lago di Barcis, in Friuli, dopo sette giorni di ricerche. Turetta è stato arrestato in Germania e ha confessato l’omicidio. La Procura di Venezia ha chiesto il processo per Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, stalking, crudeltà, efferatezza, sequestro di persona, porto d’armi continuato e occultamento di cadavere. La pena prevista per Turetta potrebbe essere l’ergastolo se condannato. Filippo Turetta ha dichiarato nell’interrogatorio che “voleva darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo”. Aveva con sé uno zaino contenente altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada e un libretto d’illustrazione per bambini. Tuttavia, Giulia Cecchettin si è rifiutata di prenderli. Tra i due è scoppiata una discussione: Giulia ha detto a Turetta di essere troppo dipendente e appiccicoso, e che voleva andare avanti, creando nuove relazioni e frequentando un altro ragazzo. Turetta ha urlato che non era giusto, che aveva bisogno di lei e che si sarebbe suicidato. Giulia gli ha risposto in modo deciso che non sarebbe tornata con lui. È scesa dall’auto, gridando “Sei matto, vaffanculo, lasciami in pace”. Turetta, molto arrabbiato, ha preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore, l’ha rincorsa, l’ha afferrata per un braccio tenendo il coltello nella mano destra. Giulia urlava “aiuto” ed è caduta. Turetta si è abbassato su di lei, le ha dato un colpo sul braccio e poi l’ha presa per le spalle mentre era a terra, mentre lei resisteva e ha sbattuto la testa. Infine, Turetta l’ha caricata sul sedile posteriore dell’auto. Filippo Turetta ha guidato l’auto per circa quattro chilometri: dal parcheggio in via Aldo Moro a Vigonovo verso un luogo più isolato, nella zona industriale di Fossò. Mentre erano in macchina, Giulia Cecchettin ha iniziato a dirgli “cosa stai facendo? sei pazzo? Lasciami andare”. Era sdraiata sul sedile, poi si è messa seduta e si toccava la testa. Turetta ha iniziato a strattonarla e tenerla ferma con un braccio. Si erano fermati in mezzo alla strada, e Turetta ha provato a metterle dello scotch sulla bocca, ma non ricorda se si sia tolto o sia caduto da solo. Giulia si dimenava e alla fine è scesa dall’auto ed è iniziata a correre. Anche Turetta è sceso. Turetta aveva due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Ne ha preso uno e ha rincorso Giulia. Non sa se l’ha spinta o se è inciampata, ma Giulia continuava a chiedere aiuto. Turetta le ha inferto “una decina, dodici, tredici colpi con il coltello”, colpendola al collo, alle spalle, alla testa, al viso e alle braccia. Giulia cercava di proteggersi con le braccia, ma Turetta le ha dato l’ultima coltellata sull’occhio. Infine, Turetta ha caricato il corpo di Giulia sui sedili posteriori dell’auto ed è partito, avendo i vestiti sporchi del suo sangue. Filippo Turetta è accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà e legame affettivo, nonché di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Le indagini hanno rivelato che Turetta aveva pianificato attentamente l’omicidio, acquistando un nastro adesivo per impedire a Giulia Cecchettin di urlare, prendendo appunti su come legarle mani e piedi, preparando vestiti, soldi e provviste per scappare, e studiando mappe per nascondere il corpo e agevolare la fuga. Turetta ha negato la premeditazione, sostenendo di aver comprato il nastro adesivo per un uso diverso e di aver preso i coltelli dalla cucina di casa sua. Ha anche affermato di aver avuto pensieri suicidi e di aver portato vestiti, coperte e provviste in macchina per eventuali bisogni. La Procura di Venezia ha chiesto il processo per Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà e legame affettivo, nonché di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. La pena prevista per Turetta potrebbe essere l’ergastolo se condannato.
ILMESSAGGERO – OMICIDIO GIULIA CECCHETTIN: CHIUSE LE INDAGINI SU FILIPPO TURETTA
La Procura di Venezia ha chiuso le indagini sull’omicidio di Giulia Cecchettin, la studentessa 22enne di Vigonovo, provincia di Padova, uccisa l’11 novembre del 2023 dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Il 22enne, arrestato dopo una fuga di una settimana in Germania e ora detenuto nel carcere di Verona, dovrebbe essere processato in autunno. Omicidio volontario pluriaggravato anche dalla premeditazione e dalla crudeltà, il possesso del coltello, il sequestro di persona e l’occultamento di cadavere, ma anche stalking. Sono queste le accuse contestate dalla procura di Venezia a Filippo Turetta, in carcere per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il Procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, ha convocato una conferenza stampa per comunicare l’esito delle indagini. Ha precisato che per l’omicidio di Giulia Cecchettin non sarà percorribile la via del rito abbreviato, a causa del cambio dell’imputazione da omicidio volontario a premeditato. Per la fissazione dell’udienza preliminare, Cherchi ha aggiunto che ci saranno i tempi tecnici necessari alla difesa per valutare il fascicolo processuale, che include tutte le consulenze effettuate con la partecipazione della difesa fin dall’inizio. Dopo questo passaggio, i tempi per il processo saranno brevi. Cherchi appare preoccupato per l’eco mediatico che ha avuto il caso Turetta e sulle conseguenze che potrebbe avere in vista del processo al 22enne. Il procuratore sottolinea che in Corte d’Assise la giuria è popolare e che bisogna considerare le possibili pressioni che l’opinione pubblica potrebbe esercitare, anche solo indirettamente. Pressioni che possono aver toccato Turetta, che ha tutto il diritto di difendersi dalle accuse che gli vengono contestate quando sarà al processo.
LEGGO – VERSO LA CHIUSURA DELLE INDAGINI SULL’OMICIDIO DI GIULIA CECCHETTIN
Filippo Turetta, attualmente detenuto, attende la conclusione delle indagini sull’omicidio di Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata, avvenuto nel novembre dell’anno scorso. La Procura di Venezia sta per completare le indagini su questo 23enne di Torreglia (Padova), e prevede di contestargli l’aggravante della premeditazione, che potrebbe portare a una condanna all’ergastolo, come riportato dal Gazzettino. Turetta, ancora in custodia cautelare, potrebbe essere giudicato dalla Corte d’Assise a settembre o all’inizio di ottobre. Si prevede che l’udienza preliminare e il rinvio a giudizio avvengano prima della pausa estiva, al fine di evitare che scadano i termini di custodia e che l’imputato possa essere rilasciato dal carcere. Gli investigatori stanno concentrando gli sforzi sugli accertamenti condotti sui dispositivi smartphone e pc di Turetta per dimostrare la premeditazione dell’omicidio. Se questa circostanza verrà contestata, il 23enne non potrà usufruire del rito abbreviato e ottenere uno sconto di pena. L’analisi dei dispositivi potrebbe rivelare se l’omicidio è stato pianificato in anticipo anziché essere il risultato di un impulso improvviso. Inoltre, la presenza di nastro adesivo e coltello nella macchina di Turetta sembrano sostenere questa versione dei fatti.
OMICIDIO GIULIA TRAMONTANO
AGI – GIULIA TRAMONTANO “MORTA PER EMORRAGIA”
Durante l’ultima udienza del processo relativo all’omicidio di Giulia Tramontano, la giovane donna di 29 anni uccisa dal compagno Alessandro Impagnatiello, sono emersi dettagli sull’autopsia eseguita sul corpo della vittima. Il dottore Nicola Galante, uno dei medici legali incaricati dell’esame, ha riferito che sul corpo di Giulia sono state identificate ben 37 coltellate, di cui una ha colpito la carotide esterna, causando una massiccia emorragia che ha portato alla sua morte per acuta anemia metaemorragica. Il dottore Galante ha specificato che le lesioni riscontrate non mostrano segni di difesa da parte della vittima, suggerendo un’aggressione molto rapida e violenta. Inoltre, è emerso che gli strumenti del delitto, due coltelli da cucina sequestrati nell’appartamento, sono stati considerati “genericamente compatibili” con le ferite inflitte alla vittima. Durante la deposizione del medico-legale Andrea Gentilomo, è stato sottolineato che l’aggressione potrebbe essere avvenuta alle spalle di Giulia, consentendo all’aggressore di colpire varie zone vitali del corpo. L’analisi delle numerose coltellate indica un attacco frenetico e caotico, senza la possibilità di confermare con certezza i dettagli dell’aggressione. La famiglia della vittima, profondamente colpita dalla tragica perdita di Giulia, ha espresso il loro dolore e la loro determinazione a ottenere giustizia per lei. Il fratello di Giulia, Mario Tramontano, ha dichiarato il suo amore e la mancanza che prova per la sorella, mentre il padre ha espresso la volontà di continuare a lottare per assicurare che coloro che hanno privato Giulia della vita scontino per il loro gesto. La quinta udienza del processo si è svolta inizialmente a porte chiuse, ma successivamente i giornalisti e il pubblico sono stati ammessi in aula per seguire le testimonianze dei medici legali. La Corte di assise di Milano, presieduta da Antonella Bertoja, ha gestito attentamente le richieste delle parti coinvolte nel processo, garantendo trasparenza e rispetto durante le udienze.
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CORRIERE – CHIARA TRAMONTANO, SORELLA DI GIULIA: “LA TRADIVA E POI DICEVA CHE ERA PAZZA”
Giulia Tramontano, 27 anni, ha vissuto un tragico destino che ha inizio da un momento significativo: un giorno di dicembre 2022, quando comunica alla sorella Chiara di essere incinta inviandole un test di gravidanza positivo. Un momento che avrebbe dovuto essere di gioia si trasforma in angoscia, con Giulia che mostra lacrime agli occhi, incerta su come reagirebbe l’uomo con cui aveva una relazione da sei mesi, Alessandro Impagnatiello, che Chiara continua a chiamare “l’imputato” durante il processo. Secondo quanto emerso dagli investigatori, è il giorno successivo alla telefonata che Impagnatiello decide, in modo “scientifico”, di eliminare Giulia e il nascituro. Non si limita a colpire il feto, ma intende uccidere entrambi, utilizzando mezzi quali “l’acqua che sapeva di candeggina” o “il veleno per topi”. Nel frattempo, lui continua a professare amore per un’altra donna, una 23enne italo-inglese, negando l’importanza di Giulia definendola “solo una pazza”. Durante l’udienza, Impagnatiello rimane impassibile, a volte sembra singhiozzare, mentre Chiara racconta dei momenti cruciali della relazione tra Giulia e lui: dai primi sospetti di tradimento nel 2020 alla scoperta delle bugie e dei tradimenti. Chiara rivela che Giulia aveva considerato l’aborto due volte: la prima volta Impagnatiello la convince a non farlo, mentre la seconda volta sono i termini di legge scaduti a fermarla. Un collega di Impagnatiello testimonia che era un “mentitore seriale” anche sul lavoro, inventando storie per giustificare le sue assenze. Un altro collega racconta di aver accompagnato l’altra donna a casa dopo un incontro con Giulia, temendo per la sua sicurezza. Quando arriva a casa della ragazza, vede Impagnatiello che aspetta alla fermata del tram sotto una pioggia torrenziale e lo esorta a chiudersi in casa. Questo gesto potrebbe aver salvato la vita della ragazza.
OMICIDIO GIULIA TRAMONTANO: INIZIA IL PROCESSO DI ALESSANDRO IMPAGNATIELLO
Giovedì 18 gennaio ha preso il via il processo per l’omicidio di Giulia Tramontano, la ventinovenne incinta di sette mesi assassinata con 37 coltellate a Senago lo scorso maggio. L’unico imputato, Alessandro Impagnatiello, compagno della vittima e reo confesso, è comparso in Corte d’Assise visibilmente provato, con barba lunga e occhi bassi. Nel corso della prima udienza, ha pianto costantemente. La famiglia della vittima, composta dai genitori e dalla sorella Chiara, è presente in aula e ha rivolto sguardi severi verso l’accusato. L’avvocato dei familiari ha esposto la richiesta di una pena esemplare, auspicando una condanna all’ergastolo per Impagnatiello. L’inizio dell’udienza è stato segnato dalla confusione, con l’aula sovraffollata e i carabinieri costretti a sgomberarla. I giornalisti e i curiosi sono stati fatti uscire. Durante l’udienza, Impagnatiello ha continuato a versare lacrime, mentre la famiglia della vittima ha preferito evitare di guardarlo in faccia.
LEGGO – IMPAGNATIELO: “HO UCCISO GIULIA, MA IL VELENO ERA PER FARLA ABORTIRE”
Secondo la ricostruzione di Alessandro Impagnatiello, l’uomo accusato dell’omicidio di Giulia Tramontano, la sua fidanzata incinta, il delitto sarebbe avvenuto in modo premeditato ma senza l’intenzione di ucciderla. Impagnatiello ha affermato di aver somministrato del veleno per topi a Giulia in due occasioni a maggio, con l’intento di provocare un aborto, e di averla poi uccisa a coltellate nel loro appartamento a Senago, senza sapere quanti colpi le abbia inferto. Impagnatiello ha spiegato di aver costruito un “castello di bugie” per nascondere la sua relazione parallela con una collega di lavoro, temendo che la scoperta di questo tradimento avrebbe potuto compromettere la sua immagine sul lavoro. Quando Giulia e la sua amante si sono incontrate e hanno realizzato di essere state entrambe ingannate, Impagnatiello ha cercato di rimandare l’incontro chiarificatore, finendo poi per uccidere Giulia. Dopo l’omicidio, Impagnatiello ha cercato di bruciare e nascondere il corpo di Giulia, raccontando bugie a chi la cercava e inviando falsi messaggi dal suo telefono. Nonostante le sue dichiarazioni, gli esiti degli accertamenti scientifici e delle indagini presentano numerose contraddizioni con la sua ricostruzione dei fatti.
ANSA – OMICIDIO GIULIA TRAMONTANO: IMPAGNATIELLO: “GIULIA SI è VOLTATA E L’HO COLPITA AL COLLO”
Alessandro Impagnatiello, nel corso dell’interrogatorio del processo che lo vede imputato per l’omicidio della sua fidanzata Giulia Tramontano, ha ricostruito il momento in cui ha ucciso la giovane. Giulia, al settimo mese di gravidanza, perse la vita esattamente un anno fa, il 27 maggio 2023, nella sua abitazione a Senago, nel Milanese. Impagnatiello ha descritto di aver colpito Giulia al collo mentre lei era abbassata per cercare dei farmaci, utilizzando un coltello che lei stava usando per tagliare delle verdure. Ha ammesso di aver tentato di bruciare il corpo di Giulia e di aver cercato di nascondere le prove del delitto. L’uomo ha dichiarato di aver somministrato veleno per topi a Giulia per provocare un aborto, ma ha negato che qualcuno lo abbia aiutato nell’omicidio o a nascondere il cadavere. Ha raccontato di aver cercato di sviare le indagini inviando messaggi di addio a Giulia e di aver tentato di bruciare il corpo per farlo sparire. Impagnatiello ha descritto un momento di confusione e follia che lo ha portato a compiere atti disperati per nascondere il delitto. Durante l’interrogatorio, sono emerse ricerche sul web fatte da Impagnatiello riguardanti veleni mortali e sostanze pericolose. L’investigatore Giulio Buttarelli ha illustrato le analisi sui dispositivi di Giulia e Impagnatiello, confermando che l’uomo aveva preparato l’omicidio fin da subito dopo aver scoperto della gravidanza. Sono stati evidenziati anche messaggi scambiati tra Giulia e la donna con cui Impagnatiello aveva una relazione parallela poco prima dell’omicidio. La famiglia di Giulia, presente in aula insieme a giornalisti e curiosi, ha partecipato a una commemorazione organizzata dal Comune di Senago in ricordo di Giulia e del suo bambino Thiago. La cerimonia si è svolta presso la “Panchina Rossa” al Parchetto di via Pacinotti/via Padova. Giulia Tramontano sarà ricordata con affetto e partecipazione da parte della comunità locale e delle autorità cittadine e religiose.
LEGGO – GIULIA TRAMONTANO UCCISA NELLA SALA DI CASA
La morte di Giulia Tramontano è stata esaminata attraverso le prove raccolte dai carabinieri della Sezione investigazioni scientifiche. Durante l’udienza del processo a Alessandro Impagnatiello, l’ex barman che ha ammesso di aver accoltellato la compagna incinta, il Colonnello Cristian Marchetti ha testimoniato che il pavimento della sala dell’appartamento di Senago si è illuminato intensamente con il luminol, rivelando una copiosa presenza di sangue che non era stata eliminata nonostante una pulizia accurata. Questo evento indica che Giulia Tramontano è stata uccisa nella sala di casa, dove viveva con il compagno, la sera del 27 maggio. Il pavimento della sala si è illuminato intensamente, mentre il divano e il tappeto non hanno mostrato tracce di sangue. Il divano potrebbe essere stato coperto con un telo non ritrovato, mentre il tappeto potrebbe essere stato rimosso dal pavimento. Nell’auto di Impagnatiello è stata rilevata una forte luminescenza nel pianale del baule, che è durata più di due minuti, indicando la presenza di sangue. Il Colonnello ha anche trovato flaconi di ammoniaca e candeggina, sacchi di plastica e guanti nella casa, suggerendo che fossero stati utilizzati per ripulire la scena del delitto e disfarsi del corpo di Giulia. Le prove presentate durante l’udienza forniscono dettagli cruciali sulla dinamica del delitto e sul tentativo di nascondere le prove. La famiglia della vittima ha scelto di non essere presente in aula durante l’udienza, data la crudezza delle immagini e delle testimonianze presentate. La testimonianza degli esperti di analisi scientifiche e forensi ha contribuito a gettare luce sulla tragica morte di Giulia Tramontano e sul coinvolgimento di Alessandro Impagnatiello nel delitto.
CASO ANDREA PISCINA
CORRIERE – CHIESTO IL PROCESSO CON RITO IMMEDIATO PER L’EX CONDUTTORE RADIOFONICO ANDREA PISCINA
La Procura di Milano ha richiesto il processo con rito immediato per Andrea Piscina, un ex conduttore radiofonico di 25 anni, attualmente detenuto nel carcere di San Vittore. Piscina è stato arrestato il 13 giugno scorso con l’accusa di produzione di materiale pedopornografico e violenza sessuale. Le indagini, condotte dal nucleo specializzato in Crimini informatici della polizia locale e coordinate dal pubblico ministero Giovanni Tarzia, hanno rivelato che tra settembre 2021 e giugno 2023, Piscina avrebbe adescato almeno quattro bambini e ragazzi di età compresa tra i 9 e i 14 anni, inducendoli a compiere atti sessuali. La richiesta della Procura sarà esaminata dal giudice per le indagini preliminari Tiziana Landoni, che dovrà decidere se accogliere la richiesta e fissare la data del processo, evitando così la fase dell’udienza preliminare. Le indagini sono iniziate nell’estate del 2023, dopo che la madre di un ragazzo che frequentava la polisportiva dove Piscina lavorava come allenatore ha presentato una denuncia. Durante una prima perquisizione, gli investigatori hanno trovato oltre mille immagini riconducibili a bambini e ragazzi sui dispositivi di Piscina. Due delle vittime sono state identificate: un bambino è stato adescato online, mentre un altro ha conosciuto Piscina nella polisportiva. Quest’ultimo sarebbe stato contattato tramite social media da un profilo falso che si presentava con nomi come “Alessia”, “Anna” o “Sara”. Fingendosi una ragazzina di 16 anni, Piscina avrebbe indotto i ragazzi a compiere atti sessuali durante videochiamate su piattaforme come Instagram e Omegle. Queste interazioni si sarebbero ripetute nel tempo, portando alla produzione di più di mille immagini. Durante le indagini sono emerse altre due presunte vittime, ma gli investigatori ritengono che il numero potrebbe essere molto più alto.
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CORRIERE – ARRESTATO LO SPEAKER RADIOFONICO DI RTL 102.5 ANDREA PISCINA
Il 25enne Andrea Piscina, speaker radiofonico di Radio Rtl 102.5, è in carcere con l’accusa di violenza sessuale e produzione di materiale pedopornografico. Tra le presunte vittime ci sarebbe anche un ragazzino conosciuto in una polisportiva che frequentava al pari di un oratorio. Andrea Piscina, conduttore di Radio Rtl 102.5 nella trasmissione quotidiana “I Nottambuli”, social media manager per lavoro, e per hobby alle prese con i bambini sia nella squadra di calcio di una polisportiva sia nell’oratorio di una congregazione religiosa, aveva consegnato un cellulare sul quale risultavano cancellate tutte le attività multimediali di chat e videochiamate sulle piattaforme Instagram e Omegle. Tuttavia, i tecnici informatici della polizia locale hanno rintracciato prove dei reati di “produzione di materiale pedopornografico” e “violenza sessuale” per i quali la giudice ha disposto l’arresto in carcere del 25enne Piscina. Queste prove consistono in oltre 1.000 immagini corrispondenti alla registrazione di altrettante videochiamate di esplicito contenuto pedopornografico intrattenute con bambini fra i 9 e i 14 anni, adescati in Rete fingendosi “Alessia”, apparente ragazzina di 15 o 16 anni che, promettendo di sbloccare la propria telecamera e farsi quindi vedere nuda dai maschi online, li provocava a compiere atti di autoerotismo e a mostrarsi nudi. Gli inquirenti hanno ricostruito che l’avatar femminile di Piscina, tra metà 2021 e metà 2023, avrebbe utilizzato in partenza sempre il medesimo tipo di approccio, poi modulando e modellando il seguito delle richieste sul tipo di risposta dei bambinetti. A carico di Piscina, questa “seriale attività” integra due ipotesi di reato: la “produzione” di materiale pedopornografico attestata dai miniaturizzati fermo-immagine ritrovati nei metadati del cellulare, e la “violenza sessuale” che può esistere anche quando gli atti sessuali sono compiuti con il consenso della vittima, ma il consenso è viziato dal fatto che l’agente (in questo caso Piscina) abbia tratto in inganno la persona offesa sostituendosi ad altra persona (qui l’avatar “Alessia”). L’emittente Rtl 102.5 ha fatto sapere tramite una nota di aver “appreso con incredulità e sgomento la notizia dell’arresto di Andrea Piscina”, aggiungendo che la dirigenza della radio “non era a conoscenza dell’indagine in corso a Milano sullo speaker”. Rtl 102.5 ha deciso quindi, si legge ancora, “di sospendere in via cautelativa Andrea Piscina da ogni attività legata all’emittente in attesa del lavoro della Magistratura, in cui Rtl 102.5 ripone piena fiducia”.
NEONATI MORTI A VIGNALE DI TRAVERSETOLO
LEGGO – CHIARA PETROLINI E’ ACCUSATA DI “SOPPRESSIONE DI CADEVERE” PER IL PRIMO NEONATO E DI “OMICIDIO VOLONTARIO AGGRAVATO” PER IL SECONDO
Chiara Petrolini, coinvolta in un caso complesso che ruota attorno alla morte di due neonati, è accusata di “soppressione di cadavere” per il primo neonato e di “omicidio volontario aggravato” per il secondo. Entrambi i bambini sono stati partoriti nella sua casa a Vignale di Traversetolo, in provincia di Parma. La procura ha recentemente chiesto nuovamente l’arresto di Chiara dopo la scoperta del secondo neonato, avvenuta il 9 agosto. Il procuratore di Parma, Alfonso D’Avino, ha tenuto una conferenza stampa per fornire aggiornamenti sul caso. È emerso che quando Chiara ha sepolto il neonato, il bambino aveva aria nei polmoni, suggerendo che fosse ancora vivo al momento della sepoltura. La procura ha quindi richiesto una misura cautelare per duplice omicidio e occultamento di cadavere. Il giudice ha accettato le evidenze presentate, modificando l’accusa da soppressione a occultamento, ma ha deciso di mantenere Chiara agli arresti domiciliari. Nelle sue prime dichiarazioni, Chiara ha affermato di aver sepolto il corpo del neonato nel giardino perché desiderava tenerlo vicino a sé. Tuttavia, le indagini hanno rivelato che i suoi genitori inizialmente erano stati indagati per la loro possibile conoscenza della situazione. Un’intercettazione ambientale ha mostrato la madre di Chiara che chiedeva alla figlia se avesse avuto un’emorragia durante una precedente gravidanza. Chiara aveva negato questa possibilità. I genitori sono stati interrogati e si è stabilito che non erano a conoscenza delle gravidanze della figlia. Hanno dichiarato di non aver notato nulla di strano durante il soggiorno negli Stati Uniti, prima del ritrovamento del corpo del neonato nel loro giardino. Nonostante siano stati esclusi dai fatti, la loro posizione rimane quella di indagati. Dopo il parto, il fidanzato di Chiara è rimasto con lei e successivamente si sono incontrati in caserma. Quando ha appreso che il bambino trovato era suo, i rapporti tra i due si sono interrotti. Il procuratore D’Avino ha sottolineato che non si comprende come il giovane non si sia accorto della gravidanza. Chiara ha partorito in casa e successivamente è uscita con amici per un aperitivo. Solo dopo è partita con la famiglia per gli Stati Uniti. Il cadavere del neonato è stato scoperto da un cane dei vicini nel giardino. Le indagini hanno rivelato che Chiara aveva cercato informazioni su come partorire e sull’uso dell’ossitocina, un ormone che stimola le contrazioni uterine durante il travaglio. Gli inquirenti stanno cercando di determinare se qualcuno le abbia fornito questo farmaco o se abbia agito da sola. Attualmente, Chiara si trova in una struttura protetta e viene seguita da personale specializzato. La procura continua a indagare per capire se ci siano state altre persone coinvolte nella situazione e se qualcuno fosse a conoscenza delle gravidanze. La comunità è scossa dall’accaduto e ci sono dubbi su come una giovane madre possa aver gestito una situazione così grave senza ricevere aiuto o supporto da parte della sua famiglia o del suo fidanzato.
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LEGGO – A CHE PUNTO SONO LE INDAGINI SUL CASO DEI 2 NEONATI MORTI A VIGNALE DI TRAVERSETOLO
La procura di Parma ha confermato che, quando la 22enne Chiara Petrolini ha sepolto il neonato il 7 agosto, il bambino aveva aria nei polmoni, il che significa che era ancora vivo al momento della sepoltura. Chiara ha nascosto il corpo nel giardino della sua abitazione a Vignale di Traversetolo, in provincia di Parma. Dopo che il giudice delle indagini preliminari aveva negato la richiesta di arresto ad agosto, la procura ha avanzato nuovamente la richiesta, sospettando che ci siano state persone che l’hanno aiutata durante la gravidanza. Il 19 settembre, durante un’edizione del Tg1, una donna del paese, con il volto coperto, ha dichiarato che Sonia Canrossi, la madre del fidanzato di Chiara, fosse a conoscenza della situazione. Tuttavia, ci sono anche altri aspetti che destano sospetti. Chiara ha fatto una vacanza in Giappone dopo il primo parto e le fotografie raccolte dagli investigatori mostrano la sua magrezza durante la gravidanza. Inoltre, si sospetta che possa aver utilizzato ossitocina per indurre il parto. Le foto recuperate dai carabinieri risalgono alla settimana prima del secondo parto e mostrano Chiara senza segni evidenti di gravidanza. Le testimonianze indicano che anche un mese prima del parto appariva molto magra. I carabinieri stanno indagando per capire se Chiara abbia in qualche modo indotto il parto. Nel bagno dove ha partorito e nella sua camera sono state trovate tracce di sangue grazie all’uso del Luminol. Gli investigatori ipotizzano che, a causa della partenza programmata per New York due giorni dopo il parto, possa aver fatto ricorso a un farmaco come l’ossitocina. L’ossitocina è un ormone che stimola le contrazioni uterine durante il travaglio e favorisce l’allattamento. Tuttavia, se somministrata in modo errato, può causare danni sia alla madre che al bambino. Gli inquirenti vogliono scoprire se qualcuno le abbia fornito e iniettato questo farmaco. Inoltre, Chiara ha viaggiato in Giappone subito dopo il primo parto e ha programmato un viaggio a New York l’anno successivo. Gli investigatori vogliono capire se ci sia una connessione tra i parti e i viaggi. Il 7 agosto, Chiara ha partorito e successivamente ha sepolto il neonato nel giardino della sua casa. Dopo aver lasciato il corpo nel terreno per alcune ore, è uscita con amici per un aperitivo e poi è partita per gli Stati Uniti con la famiglia. Il giorno dopo, un cane dei vicini ha scoperto il cadavere nel giardino. La procura aveva già chiesto una misura cautelare per Chiara, ma questa era stata respinta dal giudice poiché non erano stati ravvisati motivi sufficienti per l’arresto. Tuttavia, ora si stanno valutando nuove evidenze emerse dall’inchiesta e dalla scoperta del secondo corpo. Le autopsie hanno confermato che i neonati erano vivi al momento della nascita e non presentavano segni di violenza sul corpo. La situazione rimane complessa e gli inquirenti continuano a lavorare per chiarire i dettagli di questa tragica vicenda.
OMICIDIO YARA GAMBIRASIO
LEGGO – L’AVVOCATO DI MASSIMO BOSSETTI: “MOUSSA SANGARE HA UCCISO SHARON VERZENI E YARA GAMBIRASIO”
Moussa Sangare è accusato di aver ucciso Sharon Verzeni e l’avvocato di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni, ha richiesto che venga confrontato il DNA di Sangare con quello trovato sul corpo di Yara Gambirasio. Questa richiesta si basa sull’ipotesi che possa esistere un serial killer che, in un arco di tredici anni, ha commesso diversi omicidi. La sequenza di delitti inizia con l’omicidio di Yara nel 2011 e culmina con la morte di Sharon, avvenuta quest’estate. L’avvocato Salvagni suggerisce che si stia tentando di riaprire un caso giudiziario, utilizzando il DNA come strumento per dimostrare che la situazione potrebbe rivelarsi complessa se non si seguono i giusti protocolli. Salvagni, in un’intervista esclusiva al settimanale “Giallo”, chiede alla procura di esaminare se Moussa Sangare, il presunto assassino di Sharon, possa essere coinvolto anche nell’omicidio di Yara. Questa teoria, sebbene possa apparire poco plausibile poiché Sangare aveva solo diciotto anni al momento dell’omicidio di Yara, si basa su questioni legate al DNA rinvenuto sul corpo della giovane di Brembate. L’avvocato ha dichiarato: «Comparate le tracce di DNA rimaste ignote sul corpo di Yara con il profilo genetico dell’assassino di Sharon Verzeni». Secondo lui, Sangare potrebbe aver commesso altri crimini. Inoltre, dopo aver ucciso Sharon, Sangare è fuggito verso un’area vicina a Chignolo d’Isola, dove fu ritrovato il corpo di Yara. Salvagni sottolinea che sul corpo di Yara sono stati trovati due profili di DNA ignoti e nove formazioni pilifere che non appartengono a Bossetti. Il legale afferma: «Chiediamo solo di cercare la verità». Moussa Sangare, attualmente di 31 anni, avrebbe compiuto l’omicidio di Yara quando era ancora un adolescente. Il fulcro del ragionamento dell’avvocato si concentra sul DNA, contestando una decisione della pubblica accusa, rappresentata da Letizia Ruggeri, che ha trasferito 54 campioni di DNA, causando la loro distruzione. Questi campioni, che erano stati conservati a temperature molto basse, sono stati danneggiati quando sono stati scongelati. La pubblica accusa è stata indagata per frode processuale e depistaggio, ma successivamente è stata richiesta l’archiviazione dell’inchiesta. Nel 2019, la difesa di Bossetti aveva ottenuto l’autorizzazione a esaminare i campioni, ma pochi giorni dopo, il 2 dicembre, i reperti, compreso il DNA di “ignoto 1”, sono stati trasferiti all’ufficio corpi di reato, dove sono stati distrutti, rendendoli inutilizzabili per ulteriori indagini. Salvagni contesta anche che il DNA di “ignoto 1”, trovato sugli indumenti di Yara, appartenga a Bossetti, poiché si tratta solo di DNA nucleare e non di DNA mitocondriale, un elemento importante del patrimonio genetico. In una serie TV su Netflix, il genetista forense Peter Gill ha affermato che «oltre al DNA nucleare di Massimo Bossetti e al DNA mitocondriale di Yara, c’era per forza il mitocondriale di una terza persona». Questo è il motivo per cui l’avvocato chiede di confrontare il DNA con quello di altri sospetti. Secondo la Cassazione, «il DNA mitocondriale c’è, ma non si vede». Salvagni si interroga su come mai si possano rilevare i DNA di Yara e di una terza persona, mentre il DNA mitocondriale di Bossetti sembra non emergere. Egli sostiene che se il DNA mitocondriale, che potrebbe essere considerato una prova decisiva, non corrisponde, allora l’identificazione basata sul DNA nucleare potrebbe essere errata. La difesa intende ora analizzare i reperti ancora disponibili, come gli indumenti di Yara, per cercare ulteriori tracce analizzabili. Si richiede quindi di confrontare i DNA trovati sui corpi di Yara e Sharon Verzeni, quest’ultima uccisa da Sangare, che ha confessato il delitto e la cui fuga è stata ripresa da telecamere di sorveglianza. Le ipotesi sollevate mettono in discussione la validità di quella che è sempre stata considerata la prova principale: il DNA. In risposta, la criminologa Roberta Bruzzone ha dichiarato: «L’assassino della piccola Yara è già in prigione. L’ipotesi dell’avvocato è semplicemente fantasiosa».
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TGCOM24 – OMICIDIO YARA GAMBIRASIO: CASSAZIONE GIUDICA INAMMISSIBILE LA RICHIESTA DI ANALIZZARE NUOVAMENTE I REPERTI DELL’INDAGINE
La Corte di Cassazione ha respinto l’istanza presentata dai legali di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, che chiedevano di poter analizzare nuovamente i reperti dell’indagine. I legali di Bossetti puntavano ad effettuare nuovi accertamenti su alcuni reperti chiave, tra cui i leggings e gli slip della vittima, sui quali era stato isolato il DNA di Bossetti. La Cassazione ha ritenuto inammissibile la richiesta, confermando le precedenti decisioni che limitavano l’accesso ai reperti alla sola visione. Claudio Salvagni, uno degli avvocati di Bossetti, ha espresso delusione e incredulità, affermando che “in quei reperti c’è la risposta che Massimo è innocente”. Bossetti è stato condannato in via definitiva all’ergastolo nel 2018 per l’omicidio di Yara Gambirasio, avvenuto nel 2010. La sua colpevolezza è stata sostenuta da una serie di prove, tra cui il DNA trovato sui reperti.
STRAGE DI PADERNO DUGNANO
LEGGO – IL 17ENNE ACCUSATO DELLA STRAGE DI PADERNO DUGNANO CHIEDE AIUTO: “DEVO ESSERE CURATO”
A Paderno Dugnano, il 17enne accusato di aver ucciso la sua famiglia ha chiesto aiuto, esprimendo il desiderio di seguire un percorso di recupero e di tornare a studiare. Le sue parole sono state riportate dall’avvocato Amedeo Rizza, che ha dichiarato che il giovane, attualmente rinchiuso nel carcere minorile Beccaria di Milano, spera di riprendere il suo percorso scolastico. La difesa sta preparando la nomina di un consulente per effettuare accertamenti psicologici e psichiatrici, un passo importante per valutare la capacità del ragazzo di intendere e di volere al momento dei fatti. L’omicidio è avvenuto nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre, quando il giovane ha ucciso il padre, la madre e il fratello di 12 anni. L’avvocato Rizza ha intenzione di depositare la nomina del consulente agli atti del procedimento. Nel frattempo, ha anche richiesto al giudice per i minorenni, Laura Pietrasanta, di permettere ai nonni del ragazzo di incontrarlo, incontro che potrebbe avvenire all’inizio della prossima settimana. Il ragazzo ha raccontato agli inquirenti di aver voluto “cancellare tutta la mia vita di prima”, specificando però di non avere un risentimento particolare nei confronti della sua famiglia. Ha spiegato che da quest’estate si sente male, e che già in passato si era sentito distaccato dagli altri. Ha anche accennato a un debito in matematica che potrebbe aver influito sul suo stato d’animo. Durante l’interrogatorio, ha riferito che i genitori si erano accorti del suo silenzio e gli avevano chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, ma lui aveva sempre risposto che andava tutto bene. Il ragazzo ha descritto come percepisse gli altri come “meno intelligenti” e di non sentirsi a suo agio in certe situazioni. Attualmente, il 17enne trascorre le sue giornate in carcere leggendo e non ha ancora incontrato gli altri detenuti, poiché si trova nel centro di prima accoglienza. L’obiettivo del suo legale è farlo entrare in una comunità. I primi risultati delle autopsie sui corpi delle vittime hanno confermato che sono state inflitte un totale di 68 coltellate, la maggior parte delle quali al fratello.
OMICIDIO DI SHARON VERZENI
CHI E’ MOUSSA SANGARE, L’UOMO CHE HA CONFESSATO L’ASSASSINIO DI SHARON VERZENI
Moussa Sangare è l’uomo che ha confessato di aver ucciso Sharon Verzeni, una barista di 33 anni di Terno d’Isola, in provincia di Bergamo. L’omicidio è avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 luglio, mentre la donna stava facendo una passeggiata vicino alla sua abitazione. Dopo un mese di indagini, la polizia è riuscita a identificare Sangare, 31enne nato in Italia ma con origini familiari dalla Costa d’Avorio, grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza che lo riprendevano in bicicletta nei pressi del luogo del delitto. Sangare è stato fermato dai carabinieri dopo che le indagini hanno raccolto “gravi indizi di colpevolezza”, che includevano prove del pericolo di reiterazione del reato e di fuga. Durante l’interrogatorio, ha confessato di essere l’assassino di Sharon, dichiarando di averla colpita “tanto per farlo”. Ha anche rivelato di aver minacciato con un coltello due ragazzini prima di aggredire la donna, affermando di aver avuto un “raptus improvviso”. Le forze dell’ordine hanno chiarito che non ci sono motivazioni legate a odio razziale, terrorismo o religione dietro l’omicidio. La procuratrice aggiunta di Bergamo, Maria Cristina Rota, ha sottolineato che Sharon avrebbe potuto essere chiunque, non solo la vittima scelta da Sangare. Moussa Sangare, descritto come disoccupato e con precedenti penali, ha agito senza un movente apparente. È stato confermato che non c’erano legami tra lui e la vittima, e che la scelta di Sharon come obiettivo è stata casuale. La confessione di Sangare ha rivelato un comportamento inquietante e imprevedibile, portando a interrogativi su eventuali problemi psichiatrici. Sangare ha confessato di aver agito senza un apparente motivo, affermando di aver avuto un “raptus improvviso”. Prima di colpire Sharon, aveva minacciato con un coltello due ragazzi. Moussa Sangare è un rapper noto per le sue collaborazioni con artisti italiani come Izi ed Ernia. Il suo nome d’arte è Moses Sangare e, secondo quanto riferito da alcuni conoscenti, ha partecipato alla canzone “Scusa” di Izi, un brano che ha raggiunto oltre 14 milioni di visualizzazioni su YouTube. Sangare sognava di partecipare a programmi come X Factor, ma la sua carriera musicale non ha preso il volo come sperava. Prima di essere arrestato per l’omicidio di Sharon, Moussa viveva a Suisio, un comune vicino a Terno d’Isola. I vicini di casa hanno raccontato di frequenti litigi tra lui e la madre, che avvenivano spesso anche nel cuore della notte. Un vicino ha ricordato che Sangare aveva dato fuoco alla sua casa qualche mese prima e che era noto per comportamenti problematici. Un’altra vicina ha riferito che i carabinieri erano intervenuti in passato a causa di una violenta lite tra Sangare e sua sorella.
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ANSA – OMICIDIO SHARON VERZENI: FERMATO UN 31ENNE “UCCISA SENZA MOTIVO”
Le indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni, una barista di 33 anni di Terno d’Isola, hanno fatto passo avanti. Sharon è stata uccisa a coltellate il 30 luglio scorso, e nella notte del 29 agosto, i carabinieri di Bergamo hanno fermato un uomo di 31 anni, disoccupato e di nazionalità italiana, ritenuto l’autore del delitto. Questo individuo è stato identificato come colui che, in bicicletta, è stato ripreso da una telecamera di sorveglianza mentre si allontanava rapidamente dal luogo dell’omicidio, situato in via Castegnate. Secondo un comunicato dei carabinieri, le indagini hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti del sospettato. Questi indizi includono elementi che indicano un pericolo di reiterazione del reato, la possibilità di occultamento delle prove e il rischio di fuga, fattori che hanno portato il Pubblico Ministero a emettere un decreto di fermo di indiziato di delitto. Il 31enne, già noto per precedenti di aggressione, non ha legami con questioni di criminalità organizzata o spaccio di sostanze. È stato rintracciato e fermato dai carabinieri in un’abitazione nella provincia di Bergamo. Gli investigatori hanno sottolineato che l’omicidio non sarebbe avvenuto per motivi legati a tentativi di aggressione sessuale, a presunti legami della vittima con Scientology, a una rapina o a questioni di droga. Le ricerche per identificare l’arma del delitto e chiarire il movente sono ancora in corso, con setacciamenti effettuati nei tombini e nei corsi d’acqua della zona, ma senza risultati significativi fino a questo momento.
CORRIERE – COSA SI SA FINORA DEL DELITTO DI SHARON VERZENI
L’indagine sull’omicidio di Sharon Verzeni, la barista di 33 anni uccisa a Terno d’Isola, è ancora in corso e le informazioni disponibili sono scarse. Nonostante le ipotesi giornalistiche, gli inquirenti hanno dichiarato che “tutte le piste sono aperte” e stanno lavorando per chiarire la dinamica dei fatti. Le telecamere presenti nella zona e le testimonianze raccolte finora sono al centro delle indagini, ma al momento non c’è ancora una pista prevalente. I carabinieri stanno esaminando attentamente le immagini delle telecamere di sicurezza, che mostrano Sharon uscire di casa la notte dell’omicidio. La donna ha camminato per circa cinquanta minuti, passando dal centro sportivo e arrivando in piazza VII Martiri. È stata ripresa per l’ultima volta in via Castegnate, pochi istanti prima di essere aggredita e riuscire a chiamare il 112 alle 00:50. Viene vista barcollare vicino a un condominio e accasciarsi poco dopo. Due passanti l’hanno soccorsa e hanno chiamato il 112, ma nonostante i soccorsi, Sharon è deceduta a causa delle ferite riportate. Le telecamere non coprono il tratto in cui è avvenuta l’aggressione, ma alcune testimonianze sono state raccolte. Due donne hanno riferito di aver sentito il rumore di una vettura che sgommava e grida d’aiuto. Tuttavia, non è chiaro se questi elementi siano collegati all’assassino, che potrebbe essere fuggito a piedi. I carabinieri stanno esaminando attentamente il vicolo Castello, un passaggio pedonale vicino alla scena del crimine, che è illuminato e sorvegliato da telecamere. Questo vicolo conduce a una zona non coperta da telecamere, accessibile anche attraverso un complesso residenziale. Sul fronte della sicurezza, il questore di Bergamo, Andrea Valentino, ha visitato il sindaco di Terno d’Isola, Gianluca Sala, per esprimere la sua solidarietà. Nonostante la percezione di insicurezza tra i cittadini, i dati indicano che i problemi di criminalità nel comune non sono maggiori rispetto ad altre aree con una stazione ferroviaria. Il sindaco ha confermato che non sono previsti rinforzi al momento, ma che l’attenzione delle autorità rimane alta per garantire la sicurezza del comune. Sergio Ruocco, il fidanzato di Sharon, è stato nuovamente interrogato dai carabinieri per cinque ore, come persona informata sui fatti. Questa è la seconda volta che Ruocco viene sentito dagli inquirenti. Subito dopo l’omicidio, i sospetti si erano inizialmente concentrati su di lui, come spesso avviene in questi casi. Tuttavia, il suo alibi, che lo collocava a casa a letto al momento del delitto, è stato confermato dalle telecamere di sorveglianza dei vicini, che hanno mostrato Sharon uscire di casa da sola intorno a mezzanotte. Al momento non è chiaro se questo nuovo interrogatorio rientri in una prassi già pianificata o se siano emersi nuovi elementi nel corso delle indagini. Dal giorno successivo all’omicidio, Sergio Ruocco si è trasferito a casa dei genitori di Sharon a Bottanuco, dove continua a vivere, poiché l’abitazione che condivideva con Sharon è sotto sequestro. I rapporti tra Ruocco e i genitori di Sharon sono sempre stati buoni. Ruocco ha raccontato di aver appreso della morte di Sharon solo il pomeriggio successivo all’omicidio, quando è uscito dalla caserma dei carabinieri. Sharon è deceduta all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo la mattina seguente all’aggressione, a causa delle gravi ferite riportate.
VANITYFAIR – OMICIDIO SHARON VERZENI: A CHE PUNTO SONO LE INDAGINI
Le indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni, avvenuto a Terno d’Isola, proseguono dopo il funerale della donna, celebrato il 3 agosto. Gli inquirenti stanno esaminando le abitudini di Sharon e gli oggetti che aveva con sé la notte in cui è stata uccisa. La 33enne, che lavorava come barista, era solita uscire di notte per camminare, seguendo un consiglio della dietista per perdere peso. La sera del delitto, aveva con sé chiavi, smartphone, abbigliamento sportivo e cuffie, ma non si sa se le stesse indossando. Sharon è stata accoltellata mentre tornava a casa, vicino alla piazza centrale del paese. L’assassino l’ha colpita con tre coltellate alla schiena e una superficiale al petto. Non ci sono segni di difesa, solo ecchimosi su un braccio. Un testimone ha sentito la sua richiesta d’aiuto, ma nessuno ha avvertito il pericolo prima dell’attacco. Il funerale ha visto la partecipazione della famiglia di Sharon e di centinaia di persone. Durante la cerimonia, il parroco Corrado Capitanio ha invitato a pregare per chi sta cercando la verità e per la conversione di chi ha commesso il male, affinché simili drammi non accadano più.
CASO ADILMA PEREIRA CARNEIRO
LEGGO – CHI E’ ADILMA, LA DONNA ACCUSATA DI AVER UCCISO IL COMPAGNO
Adilma Pereira Carneiro, conosciuta come Adilma, è al centro di un caso di omicidio avvenuto a Parabiago, dove è accusata di aver orchestrato la morte del suo compagno, Fabio Ravasio. Ravasio è stato ucciso in un incidente stradale provocato da un’auto guidata da Igor, il figlio di Adilma, mentre sul sedile del passeggero si trovava Marcello Trifone, il marito di Adilma. La giudice che si occupa del caso ha descritto l’omicidio come brutale e freddo, evidenziando che Adilma avrebbe pianificato il delitto per ottenere l’eredità di Ravasio, valutata intorno ai 3 milioni di euro. Adilma, 49 anni e originaria del Brasile, è descritta come un’adepta del Candomblé, una religione afrobrasiliana che si basa sul culto degli Orixa, divinità che rappresentano forze della natura. Massimo Ferretti, amante di Adilma e coinvolto nel piano omicida, ha confessato di essere stato soggiogato dai riti di magia nera praticati dalla donna. Durante il suo interrogatorio, ha rivelato di aver partecipato a riunioni per pianificare l’omicidio di Ravasio, affermando: «Mi vergogno a dirlo, ma ho partecipato alle riunioni per ucciderlo perché amo Adilma e anche perché mi tiene soggiogato con i suoi riti di magia nera». Non è la prima volta che Adilma è coinvolta in situazioni tragiche legate ai suoi compagni. In passato, ha avuto due mariti, il primo dei quali è stato assassinato in Brasile, mentre il secondo è morto d’infarto a 48 anni, lasciandole una casa in Puglia. Trifone, il terzo marito, viveva recluso con Adilma per non destare sospetti su Ravasio e sulla sua famiglia. Nell’ambito delle indagini, Adilma e gli altri coinvolti hanno scelto di non rispondere alle domande degli inquirenti. Tra gli accusati ci sono anche Igor, il figlio di Adilma, e Massimo Ferretti, che ha confessato di aver partecipato al piano. Al contrario, Mirko Piazza e Fabio Lavezzo, reclutati per fare da palo durante l’omicidio, hanno confermato le loro dichiarazioni precedenti, con Lavezzo che ha cercato di minimizzare la sua responsabilità, affermando di non essere a conoscenza delle intenzioni omicide. La dinamica dell’omicidio ha rivelato che la Opel Corsa coinvolta nell’incidente era intestata ad Adilma e che il veicolo era stato modificato per nascondere la targa. Durante un’intercettazione, Adilma chiedeva a Trifone se indossasse i guanti, ricevendo una risposta negativa perché a guidare c’era Igor, che indossava i guanti. Questo ha ulteriormente confermato il piano premeditato per eliminare Ravasio, evidenziando la capacità di Adilma di influenzare gli altri a seguire la sua volontà. Attualmente, Adilma possiede diversi beni, tra cui una cascina e una villa a Parabiago, oltre a proprietà in altre località, accumulate anche grazie ai suoi precedenti mariti.
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ILGIORNO – LA DONNA ACCUSATA DI AVER UCCISO IL COMPAGNO AIUTATA DA 5 PERSONE
Adilma Pereira Carneiro, una donna di 49 anni originaria del Brasile, è al centro di un caso di omicidio a Parabiago (Milano). È accusata di aver orchestrato un piano per uccidere il suo compagno, Fabio Ravasio, al fine di ereditare il suo patrimonio. Quando il giudice le ha chiesto di fornire dettagli su questo piano, Adilma ha scelto di rimanere in silenzio, non rispondendo alle domande. Fabio Ravasio, 52 anni, è stato travolto da un’auto pirata mentre si trovava in bicicletta. L’incidente, avvenuto a Parabiago, è stato inizialmente considerato un semplice incidente stradale, ma le indagini hanno rivelato un quadro molto più complesso. Adilma è stata arrestata poco dopo la morte di Ravasio, e gli inquirenti hanno scoperto che era insieme a diversi complici al momento dell’incidente. Secondo le ricostruzioni, alla guida della Opel Corsa che ha investito Ravasio c’era Igor, il figlio di Adilma. Sul sedile del passeggero si trovava Marcello Trifone, l’attuale marito di Adilma, con il quale ha un matrimonio in corso dal 2015. Trifone e Adilma avevano una relazione amorosa, mentre la donna era ancora legata a Ravasio. Ma Trifone non era l’unico amante di Adilma. Un altro uomo coinvolto nella vicenda è Massimo Ferretti, ritenuto il “regista” delle comunicazioni nel piano omicida. Ferretti, un quarantasettenne di Legnano, è descritto come molto influenzato dalla donna, tanto da seguirla in questo piano. La morte di Ravasio non è stata casuale, ma parte di un piano ben congegnato. Gli interrogatori di garanzia hanno coinvolto sei persone accusate di aver pianificato l’omicidio per almeno tre mesi. Ravasio è stato investito il 9 agosto mentre pedalava, e le indagini hanno dimostrato che il suo omicidio era stato programmato. Adilma e i suoi complici avrebbero agito per ottenere l’eredità di Ravasio, che ammontava a circa 3 milioni di euro, comprendente beni immobili e attività. Oltre a Adilma, anche Igor, Marcello Trifone e Massimo Ferretti hanno scelto di non rispondere alle domande del giudice. Ferretti, tuttavia, ha confessato di essere l’amante di Adilma e di aver partecipato attivamente al piano. Al contrario, Mirko Piazza, un complice reclutato per fare da palo durante l’omicidio, e Fabio Lavezzo, fidanzato della figlia di Adilma, hanno confermato le loro dichiarazioni, ammettendo di aver avuto un ruolo nell’accaduto. Lavezzo ha cercato di minimizzare la sua responsabilità, affermando di non essere a conoscenza dell’intenzione di uccidere Ravasio. Le indagini hanno rivelato che Adilma aveva preparato il piano con attenzione. Un’intercettazione telefonica tra Adilma e Trifone ha mostrato che la donna chiedeva al marito se indossasse i guanti, ricevendo una risposta negativa perché Igor, il figlio, stava guidando e indossava i guanti. Questo dettaglio ha ulteriormente incriminato i coinvolti, dimostrando la premeditazione dell’atto. Adilma Pereira Carneiro risulta intestataria di diversi beni, tra cui una cascina e una villa a Parabiago, oltre a metà dell’abitazione dove viveva con Ravasio. Possiede anche una casa a Mentone, utilizzata per le vacanze, e un appartamento a Vieste, in Puglia, ereditato dal suo primo marito, deceduto a 48 anni per infarto. La sua situazione economica e i motivi che l’hanno spinta a compiere un simile gesto sono ora al centro delle indagini, che cercano di fare luce su un caso complesso e inquietante.
CASO ALESSIA PIFFERI
ADNKRONOS – SENTENZA DELL’ARGASTOLO DI ALESSIA PIFFERI: “DIANA LASCIATA MORIRE DI STENTI PER UN WEEKEND DI LIBERTA’. ELEVATISSIMA GRAVITA’ UMANA”
Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo per aver abbandonato la figlia Diana, di un anno e mezzo, lasciandola sola a casa per sei giorni, dal 14 al 20 luglio 2022. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise di Milano, che ha descritto la condotta di Pifferi come caratterizzata da un “futile ed egoistico movente”, volto a concedersi un fine settimana di libertà con il compagno, a discapito del diritto e dovere di accudire la figlia. Diana è stata trovata priva di vita in un lettino da campeggio, con accanto solo un biberon e una bottiglietta d’acqua vuoti. La Corte ha sottolineato l'”elevatissima gravità umana” del reato, evidenziando che Pifferi ha mantenuto un atteggiamento di “deresponsabilizzazione” durante il processo, accusando il compagno di essere l’artefice morale dell’accaduto. I giudici hanno escluso l’aggravante della premeditazione, ma hanno riconosciuto la gravità della situazione. Durante il processo, Pifferi ha sostenuto di non aver mai somministrato sostanze dannose alla figlia, eccetto il paracetamolo. Tuttavia, il pubblico ministero ha sostenuto che l’abbandono della bambina fosse una condotta volontaria e consapevole. Dopo la lettura della sentenza, il pubblico ministero Francesco De Tommasi ha affermato che l’ergastolo è una pena giusta e ha ribadito che l’unica vittima in questa vicenda è Diana. Pifferi, che ha mostrato poca emozione durante il processo, ha pianto quando sono stati ripercorsi i dettagli della sua infanzia difficile. La sentenza prevede anche un risarcimento di 20.000 euro per la sorella e 50.000 euro per la madre di Pifferi, oltre a un regime di libertà vigilata di tre anni dopo aver scontato la pena. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.
Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi, abbandonata a casa da sola per 6 giorni nel luglio del 2022. Lo ha deciso oggi la Corte di Assise di Milano. Il legale ha chiesto risarcimenti da 200mila euro per la madre e da 150mila euro per la sorella, o una provvisionale da 100mila euro ciascuna. “Se dovessi togliermi il cencio nero dalle spalle, vi direi che Alessia Pifferi è un mostro. Ha fatto una cosa terribile, tremenda. Ma non stiamo dando giudizi morali, qui si tratta di applicare la legge. Chiedo la assoluzione: è evidente che non voleva uccidere la bambina e lo ha detto fin dall’inizio”. L’avvocato Alessia Pontenani, difensore di Alessia Pifferi, all’inizio della sua arringa nel processo a carico della 37enne. “Alessia Pifferi non è una psicotica. È una ragazza che è cresciuta in assoluto isolamento morale, culturale. Però non ha mai dato problemi”, ha detto l’avvocato Pontenani in uno passaggi della sua arringa. “Pifferi non piange perché si vergogna. Quando ha fatto le dichiarazioni spontanee, non ha pianto. Era diventata tutta rossa. Adesso sta piangendo, me ne accorgo ora. Lei è molto dispiaciuta, terribilmente affranta per quello che è accaduto. Se tornasse indietro non lo farebbe più, ma non perché conosceva allora le conseguenze, altrimenti non avrebbe nemmeno chiamato i soccorsi. Se fosse stata consapevole delle proprie azioni non saremmo qui, probabilmente saremmo su ’Chi l’ha visto’ a cercare una bambina scomparsa da due anni”. Maria, la mamma di Alessia Pifferi, commentando la sentenza con la quale la figlia è stata condannata all’ergastolo per l’omicidio della piccola Diana di soli 18 mesi: “È un dolore atroce. Si è dimenticata di essere una madre. Ora non riuscirei a dire nulla. Deve pagare per quel che ha fatto. Se si fosse pentita e avesse chiesto scusa… Ma non l’ha fatto”.
FANPAGE – CASO ALESSIA PIFFERI: INDAGATE ALTRE DUE PSICOLOGHE
Le vicende legate al tragico caso di Alessia Pifferi, la madre accusata di aver lasciato morire la figlia Diana per stenti nel suo appartamento a Ponte Lambro, Milano, continuano a suscitare interesse mentre il processo contro di lei giunge alla sua fase finale. Tuttavia, una nuova svolta nelle indagini vede coinvolte altre due psicologhe, accusate di falsificazione di documenti e favoreggiamento. Le due psicologhe, entrambe impiegate nel carcere di San Vittore, hanno ricevuto avvisi di garanzia il 25 marzo, mentre l’interrogatorio del procuratore milanese Francesco De Tommasi è programmato per il 4 aprile. Una delle professioniste divide il suo lavoro tra l’Asst Santi Paolo e Carlo e le attività presso la casa circondariale, mentre l’altra, pur operando esternamente al carcere, è impiegata dalla stessa azienda sanitaria che impiega la collega. Le accuse rivolte alle psicologhe riguardano la manipolazione di test psicodiagnostici, in particolare del test di Wais, al fine di creare condizioni favorevoli per ottenere una perizia psichiatrica a sostegno dell’imputata. Si sostiene che abbiano predisposto protocolli con punteggi prefissati per il test di Wais, utilizzati per segnalare un presunto grave deficit cognitivo da parte di Alessia Pifferi. Questo test, secondo l’accusa, è stato alterato e privo di validità scientifica, ma è stato utilizzato per supportare l’idea di una incapacità mentale della Pifferi al momento del tragico evento. Inoltre, le psicologhe avrebbero redatto una relazione firmata da una terza persona, modificando anche grafici e contenuti al fine di sostenere l’ipotesi di un grave deficit intellettivo della Pifferi. Queste false attestazioni sono state utilizzate come base documentale per richiedere una perizia psichiatrica in tribunale. Le indagini hanno rivelato che i presunti gravi deficit cognitivi attribuiti alla Pifferi non corrispondono alla sua reale condizione psichica, evidenziata anche durante colloqui in carcere. Si ritiene che le psicologhe coinvolte abbiano agito in modo fraudolento, fornendo una consulenza difensiva non conforme alla loro competenza professionale, al fine di favorire l’imputata nel processo in corso.
ILMESSEGGERO – ALESSIA PIFFERI “CAPACE DI INTENDERE E VOLERE. HA PREFERITO I SUOI DESIDERI ALLA FIGLIA DIANA”
La Corte d’Assise di Milano ha ricevuto oggi una perizia psichiatrica firmata dallo psichiatra forense Elvezio Pirfo, che ha rilevato che Alessia Pifferi, la madre accusata di lasciare morire di stenti la figlia Diana, era pienamente capace di intendere e volere al momento dei fatti. Secondo la perizia, il quadro psichiatrico della 38enne non la rendeva significativamente incapace di partecipare consapevolmente al processo, aprendo la strada a possibili implicazioni sulla sua condanna, che potrebbe arrivare fino all’ergastolo. La prossima udienza, fissata per il 4 marzo, si concentrerà sulle discussioni riguardanti la perizia e il suo impatto sul caso. Secondo il perito, Alessia Pifferi ha preferito soddisfare i suoi desideri personali piuttosto che prendersi cura della figlia Diana, dimostrando una “intelligenza di condotta” nelle sue azioni. Questa valutazione è stata supportata dalle conclusioni del pubblico ministero Francesco De Tommasi e del suo consulente. La donna è accusata di aver lasciato Diana sola in casa per sei giorni, causandone la morte a causa di stenti. La difesa aveva precedentemente sostenuto che Pifferi soffrisse di un deficit intellettivo moderato, ipotesi che avrebbe potuto influenzare la sua capacità di prevedere le conseguenze delle sue azioni. Tuttavia, questa narrativa è stata messa in discussione dalla Procura, che ha sottolineato la sua capacità di comunicare efficacemente e comprendere la gravità delle sue azioni. Inoltre, l’inchiesta sulla condotta di due psicologhe di San Vittore, che hanno fornito valutazioni psicologiche in difesa di Pifferi, ha sollevato controversie all’interno della Procura di Milano. Il procuratore De Tommasi ha aperto un’indagine per falso e favoreggiamento nei confronti delle psicologhe e dell’avvocatessa della donna, sospettando che abbiano falsificato documenti per sostenere la narrazione di un presunto deficit cognitivo di Pifferi.
LEGGO – PM: “ALESSIA PIFFERI MANIPOLATA DALLE PSICOLOGHE DEL CARCERE”
Alessia Pifferi, attualmente sotto processo a Milano per omicidio pluriaggravato, accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di 18 mesi, potrebbe essere stata “manipolata” dalle psicologhe del carcere di San Vittore. Le due psicologhe sono ora indagate, insieme all’avvocato della donna, Alessia Pontenani, per presunto falso ideologico. Secondo quanto dichiarato dal pm Francesco De Tommasi, le psicologhe avrebbero fornito a Pifferi una “tesi alternativa difensiva”, suggerendo un possibile “vizio di mente” e manipolandola nel processo. Inoltre, è contestato il presunto falso ideologico legato a un test intellettivo, utilizzato per attestare un quoziente intellettivo di 40 e un “deficit grave”, ma che il pm ritiene non essere “fruibile né utilizzabile a fini diagnostici e valutativi”. L’avvocata Pontenani è accusata di aver attestato falsamente il risultato del test nel “diario clinico”, che sarebbe stato redatto in modo non conforme alle metodiche di somministrazione e documentazione previste. Il pm afferma che le due psicologhe avrebbero svolto un’attività di consulenza difensiva al di là delle loro competenze, cercando di giustificare la somministrazione del test. La presunta manipolazione coinvolge anche i colloqui tra Pifferi e le psicologhe, annotati falsamente nel diario clinico. Il pm sostiene che la donna non presentava alcun “rischio di atti anticonservativi” e si mostrava “lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata”. Il test psicodiagnostico è stato utilizzato per attestare una presunta “scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni” da parte di Pifferi. La manipolazione, secondo l’accusa, aveva l’obiettivo di fornire a Pifferi una base documentale per richiedere una perizia psichiatrica sulla sua imputabilità. La Procura di Milano contesta alle psicologhe più episodi in relazione alle accuse di favoreggiamento e falso ideologico. La perizia psichiatrica ordinata dalla Corte d’Assise verrà depositata entro fine febbraio per valutare la capacità di intendere e volere di Alessia Pifferi. La difesa ha sottolineato gli esiti della relazione delle psicologhe, parlando di un “gravissimo ritardo mentale” e chiedendo una perizia psichiatrica.
TRAGEDIA DI RIGOPIANO
AGI – IL PROCESSO PER LA TRAGEDIA DI RIGOPIANO ARRIVA IN CASSAZIONE
Il prossimo 27 novembre si terrà il terzo grado di giudizio per la tragedia dell’hotel Rigopiano, avvenuta nel 2017. L’udienza valuterà la legittimità delle 8 condanne emesse al termine del processo d’Appello e l’ipotesi di depistaggio, contestata ai vertici della prefettura ma rimasta esclusa dalla condanna in secondo grado dell’ex prefetto Francesco Provolo. La procura generale, attraverso un ricorso di oltre 100 pagine a firma del procuratore Alessandro Mancini, contesta le 22 assoluzioni che hanno ristretto il perimetro delle responsabilità penali ai soli livelli istituzionali di Comune di Farindola, Provincia e prefettura di Pescara. Secondo il ricorso, la responsabilità dell’ex prefetto e dei funzionari non può essere esclusa alla luce della semplice assenza di richieste esplicite degli inquirenti sulla serie di telefonate con la richiesta di aiuto del cameriere d’Angelo. Inoltre, il semplice tacere è sufficiente per integrare l’ipotesi di reato. Il ricorso sottolinea anche la richiesta della Squadra mobile di Pescara di fornire “documentazione relativa all’attività svolta dal Ccs e dalla suindicata sala operativa nella giornata del 18 gennaio 2017 con particolare riferimento a eventuali brogliacci di attestazione delle segnalazioni e delle richieste d’intervento ricevute”. Il procuratore generale contesta anche la sentenza d’appello che ha escluso la responsabilità di alcuni massimi dirigenti regionali del servizio di Protezione civile, come Pierluigi Caputi, Carlo Visca, Emidio Primavera, Vincenzo Antenucci, Carlo Giovani e Sabatino Belmaggio. Vengono rimesse in discussione sia la mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo valanghe, sia la prevedibilità dell’evento. Secondo il ricorso, “è certo che il puntuale adempimento di quanto richiesto avrebbe senz’altro impedito il grave disastro. L’inerzia accertata è certamente un comportamento gravemente censurabile nel funzionario”. Infine, la sentenza d’Appello viene criticata anche per la mancata considerazione delle evidenze probatorie emerse dal lavoro di consulenti tecnici e periti, che avevano individuato la prevedibilità dell’evento e affermato che “una cartografia completa (sia Clpv e Clv) della zona – se fosse stata disponibile all’epoca del fatto, avrebbe certamente individuato un’area di espandimento comprendente l’Hotel Rigopiano”.
CASO GIACOMO BOZZOLI
LEGGO – GIACOMO BOZZOLI: “HO UN TESTIMONE AUSTRIACO CHE PUO’ SCAGIONARMI. GLI HO MANDATO UNA LETTERA”
Giacomo Bozzoli, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario, ha affermato di avere un testimone austriaco che potrebbe scagionarlo dall’accusa. Bozzoli ha riferito questa informazione al procuratore Francesco Prete, annunciando di avergli inviato una lettera che però nessuno ha ancora ricevuto. Bozzoli è stato trasferito dal carcere bresciano di Canton Mombello a quello milanese di Bollate, in quanto ritenuto incompatibile con il suo attuale stato di prostrazione. Al suo ingresso nel carcere bresciano, era sotto choc e per questo è stato sottoposto a sorveglianza a vista per il pericolo di atti autolesionistici. Gli inquirenti sono riusciti a rintracciare Bozzoli nella sua villa di Soiano del Garda, dove era nascosto in un cassone del letto matrimoniale. Nell’ambito della perquisizione, sono stati trovati 50.000 euro in un borsello, ma non è chiaro se si trattasse del denaro rimasto dalla sua fuga in Francia e Spagna o di un nuovo carico per un secondo viaggio. Bozzoli ha anche chiesto informazioni sulle procedure per incontrare il figlio di 9 anni, che aveva salutato a Marbella il 1° luglio insieme alla compagna. Secondo gli inquirenti, in questi giorni non ci sono stati contatti tra Bozzoli e la donna. Nella prossima settimana, Bozzoli sarà interrogato nel carcere di Bollate nell’ambito dell’inchiesta aperta contro ignoti per procurata inosservanza della pena. Non è escluso che possa essere sentito come testimone, senza la presenza dei suoi legali, per chiarire gli aspetti ancora poco chiari della sua latitanza.
Altre notizie:
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ANSA – GIACOMO BOZZOLI ARRESTATO: ERA NASCOSTO IN UN CASSONETTO NELLA SUA VILLA
Giacomo Bozzoli, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio dello zio, è stato arrestato dai carabinieri nella sua villa di Soiano del Garda, nel Bresciano. I militari lo hanno trovato nascosto in un cassettone del letto matrimoniale. Bozzoli era latitante da 10 giorni, dopo che la Corte di Cassazione aveva confermato la sua condanna all’ergastolo. Secondo il procuratore di Brescia Francesco Prete, Bozzoli non aveva intenzione di costituirsi, come dimostrato dal fatto che fosse nascosto nel cassettone. Nel borsello dell’uomo sono stati trovati 50.000 euro. Bozzoli era stato visto in Spagna con la compagna e il figlio di 9 anni, prima di far rientro in Italia con mezzi di fortuna. La procura di Brescia ha aperto un’inchiesta contro ignoti per “procurata inosservanza della pena”, al fine di individuare eventuali complici che possono aver aiutato Bozzoli a progettare e realizzare la fuga. Il procuratore generale Guido Rispoli aveva già avvertito che Bozzoli “non avrà vita facile” e che, se gli interessa il bene del figlio, dovrebbe costituirsi. Invece, l’uomo è stato rintracciato nella sua villa, che era costantemente monitorata dai carabinieri.
MORTE DI ERICA BOLDI:
LEGGO – ERICA BOLDI TROVATA MORTA NEL FIUME TARTARO
La procura di Verona ha aperto un’indagine per l’omicidio di Erica Boldi, una 26enne di Mantova, il cui corpo senza vestiti è stato ritrovato nelle griglie del canale Tartaro a Vigasio (Verona). L’esame autoptico ha escluso che la ragazza sia morta per annegamento, rafforzando l’ipotesi che sia stata gettata nel canale già priva di vita nella serata di sabato, poco prima di mezzanotte. Alcuni residenti della zona hanno riferito di aver udito un’auto avvicinarsi e ripartire dopo un minuto a gran velocità. Gli investigatori non escludono alcuna ipotesi sulla causa della morte, poiché sul corpo erano assenti ferite o segni di violenza fisica. La 26enne aveva problemi di tossicodipendenza, quindi potrebbe essere stata colta da malore dopo essersi tuffata in acqua, oppure il suo corpo potrebbe essere stato gettato nel canale da un’altra persona. Il cadavere della ragazza è stato identificato dai carabinieri grazie ai numerosi tatuaggi, una vicenda che ricorda il caso di Carol Maltesi, la cui identità fu accertata diversi mesi dopo il suo omicidio, sempre attraverso i tatuaggi. I familiari di Erica Boldi non avevano presentato denuncia di scomparsa, in quanto la ragazza si era da tempo allontanata sia dalla famiglia che dal paese di San Martino dall’Argine dove risiedeva. Gli inquirenti stanno indagando sul suo giro di frequentazioni per capire se qualcuno fosse con lei quando è caduta in acqua, e soprattutto per chiarire perché fosse nuda, ipotizzando che la corrente possa averle strappato via i vestiti, senza escludere altre possibilità. I carabinieri continuano a setacciare le sponde del canale alla ricerca di eventuali indizi, come abiti, scarpe o borsette, per fare luce su questa tragica vicenda.
MORTE DI ALEX MARAGON:
ANSA – ALEX MARAONG MORTO PER COLPI ALLA TESTA E POI FINITO NEL PIAVE
L’allarme era scattato all’abbazia di Vidor, dove Marangon era andato per seguire una sorta di rito sciamanico. Secondo l’autopsia eseguita dai medici legali, sono state individuate numerose ferite alla testa, verosimilmente provocate da un oggetto contundente. Cade quindi definitivamente l’ipotesi di suicidio. Alcuni testimoni hanno riferito di aver visto Marangon allontanarsi dall’abbazia verso il Piave seguito da due persone che erano al raduno, ma queste hanno dichiarato di essere tornate indietro. L’autopsia non è ancora conclusa, in quanto devono essere valutati gli aspetti tossicologici. Il rito a cui Marangon si era sottoposto prevedeva l’assunzione di una tisana con effetti psichedelici a base di ayahuasca e diverse piante amazzoniche. Al momento non risultano iscritti indagati nell’inchiesta aperta dalla Procura di Treviso per morte in seguito ad altro reato.
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OPEN – MORTE DI ALEX MARANGON: SI SOSPETTA CHE ABBIA ASSUNTO L’ALLUCINOGENO AYAHUASCA
Alex Marangon, un barman di 26 anni, è stato trovato morto il 2 luglio nel fiume Piave a Vidor. Marangon era scomparso da due giorni dopo aver partecipato a un rito sciamanico, e si sospetta che abbia assunto l’allucinogeno ayahuasca. Domani, 5 luglio, è prevista l’autopsia sul suo corpo, con esami tossicologici per chiarire le cause della morte. Il cadavere di Marangon è stato ritrovato incagliato in un isolotto nel greto del Piave a Ciano del Montello. Sul corpo c’era il segno di una ferita, probabilmente causata dal morso di un animale selvatico. Secondo le ricostruzioni, Marangon avrebbe lasciato l’Abbazia di Santa Bona, dove si stava svolgendo un incontro privato organizzato da una ventina di persone, intorno alle 3 di notte in preda a una crisi, cominciando a vagare per i boschi. Poi sarebbe caduto in acqua. L’ayahuasca, soprannominata “liana dei morti”, è un decotto che provoca reazioni di tipo psichedelico e allucinogeno. Il suo consumo, solitamente in un ambiente buio e accompagnato da canti tribali, è praticato dagli sciamani della foresta amazzonica in Sudamerica come medicina e nei loro riti. In Italia, l’ayahuasca è stata inserita nella lista delle sostanze stupefacenti vietate nel 2022. Secondo gli esperti, l’uso dell’ayahuasca deve essere guidato con cura dallo sciamano, intervistando ogni partecipante per assicurarsi del suo stato di salute fisico ed emotivo, altrimenti si rischia che la persona venga sopraffatta dallo stato d’animo e abbia uno scompenso emotivo. Proprio questo potrebbe essere accaduto ad Alex Marangon.
LEGGO – COSA SI SA DELLA MORTE DI ALEX MARAGON
Il corpo senza vita di Alex Marangon, un barista 26enne di Marcon (Venezia), è stato ritrovato ieri pomeriggio, 2 luglio, su un isolotto del fiume Piave. Il giovane presentava ferite al volto e all’addome. Marangon era scomparso da Vidor (Treviso) nella notte tra sabato e domenica, dopo essersi allontanato da un ritiro spirituale che si teneva nell’Abbazia di Santa Bona. Il suo corpo, privo di scarpe ma ancora vestito con pantaloni e canottiera, era arenato su un isolotto nell’alveo del fiume Piave, nella zona di Ciano del Montello, a circa 4-5 chilometri a valle di Vidor. Le indagini sulla sua morte sono in corso. Secondo una prima ispezione, le ferite sembrano compatibili con il trascinamento della corrente del fiume, ma nessuna ipotesi è esclusa. L’autopsia sulla salma potrebbe essere disposta nelle prossime ore. Gli amici di Alex Marangon sono sconvolti dalla sua scomparsa e morte. Matteo, suo amico d’infanzia e vicino di casa, ha dichiarato al Gazzettino: “Non so con chi fosse andato a quella festa e, sinceramente, che nessuno si sia ancora fatto vivo dopo tutti questi giorni mi sembra un po’ strano. Spero solo che nessuno gli abbia fatto del male: se vedi una persona allontanarsi in mezzo ai boschi a quell’ora di notte come minimo gli vai dietro, a maggior ragione se è un tuo amico. Mi sono arrovellato in questi giorni, ma non mi viene in mente niente che possa spiegare a che tipo di evento abbia partecipato Alex o con chi fosse. Io e lui ci conosciamo dai tempi delle scuole, siamo entrambi appassionati di meditazione e mindfulness e lui per me era una sorta di guida, mi ha aiutato a capire tante cose”. Quando Alex Marangon ha lasciato il ritiro spirituale organizzato dall’Abbazia Santa Bona di Vidor intorno alle 2.30 della notte tra sabato e domenica, non aveva con sé i suoi effetti personali. Il suo telefono è stato trovato nella stanza che aveva prenotato e nella quale avrebbe dovuto trascorrere la notte. Le ultime telefonate e i messaggi inviati nelle ore precedenti alla sua scomparsa potrebbero aiutare le forze dell’ordine a provare a dare una spiegazione al mistero. Anche l’auto di Marangon è stata ritrovata poco distante dall’Abbazia, vicino al greto del fiume Piave. Le chiavi erano all’interno, lo sportello aperto. Inoltre, il diario in cui Marangon annotava pensieri e sensazioni negli ultimi tempi non è stato trovato nella stanza all’interno dell’Abbazia. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Gazzettino, il taccuino potrebbe trovarsi nell’appartamento di Marcon dove il 26enne viveva con i genitori. Il diario era un regalo di Matteo, un amico di Marangon, che ha dichiarato: “Spero sempre che abbia voluto isolarsi per qualche giorno senza far sapere nulla a nessuno, ma qualche pagina potrebbe fornire qualche spunto a chi lo sta cercando”.
CARCERI:
ANSA – 555 GIOVANI RECLUSI NEGLI ISTITUTI MINORILI (IL 47% SONO STRANIERI NON ACCOMPAGNATI)
Secondo i dati forniti, attualmente ci sono 555 giovani reclusi negli istituti penali per minorenni in Italia, di cui il 47% sono minori stranieri non accompagnati. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha affermato che il sistema carcerario italiano era stato costruito per una minoranza di detenuti minori, ma si è improvvisamente trovato di fronte a “quasi un’invasione di minorenni che vengono soprattutto da altri Paesi”. Nordio ha spiegato che molto spesso le organizzazioni criminali inseriscono molti minori sulle imbarcazioni, alcuni dei quali vengono accolti, mentre altri vengono lasciati a sé stessi e talvolta quasi costretti a delinquere. Questo, secondo il ministro, ha creato una situazione del tutto nuova ed emergenziale. Inoltre, in queste settimane sono state ripristinate le 44 celle messe fuori uso a causa dei danneggiamenti, soprattutto incendi, provocati dagli stessi ospiti delle strutture in diversi istituti, tra cui il Beccaria di Milano. Quindi, il numero record di minori reclusi, con una forte presenza di minori stranieri non accompagnati, sta mettendo a dura prova il sistema carcerario minorile italiano, che non era preparato a far fronte a questa situazione.
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ANSA – DALL’INIZIO DELL’ANNO SONO MORTI PIU’ DI 100 DETENUTI NELLE CARCERI ITALIANE
Dall’inizio dell’anno, più di cento detenuti sono morti nelle carceri italiane, di cui 45 per suicidio, una media di un suicidio ogni quattro giorni. L’ultimo decesso, il centounesimo, riguarda un giovane di 29 anni del carcere di Genova, che ha inalato il gas di un fornello. Le indagini stanno cercando di stabilire se il giovane stesse tentando di ottenere effetti allucinogeni, dato che episodi simili sono in aumento, spesso legati al sovraffollamento delle carceri e alle difficoltà psichiche dei detenuti. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha dichiarato che presenterà un decreto per ridurre il numero di detenuti entro il mese di luglio. Il decreto, che avrebbe dovuto essere presentato la settimana scorsa, è stato posticipato per perfezionare i dettagli e sarà presentato a breve. Il provvedimento non introdurrà sconti di pena, ma disciplinerà il procedimento per riconoscere i benefici previsti dalla legge per i detenuti che aderiscono ai programmi di trattamento e dimostrano buona condotta. L’obiettivo è ridurre il carico di lavoro dei tribunali di sorveglianza, che devono gestire circa 200.000 richieste all’anno, e garantire ai detenuti i diritti previsti dalla normativa vigente. Attualmente, le carceri italiane ospitano oltre 61.000 detenuti, a fronte di una capienza di 51.178 posti, con un eccesso di 13.500 detenuti. Il numero elevato di suicidi, finora 45 dall’inizio dell’anno, è particolarmente preoccupante, considerando che il 2022 ha registrato un record di 85 suicidi in 365 giorni. Il ministero della Giustizia sta lavorando per creare un albo delle comunità del terzo settore con strutture di accoglienza, che consentirebbero ai detenuti con requisiti idonei ma senza una casa di scontare la pena in regime di detenzione domiciliare o di affidamento in prova, purché svolgano un’attività lavorativa. Questo programma potrebbe riguardare detenuti con pene inferiori a due anni o inseriti in specifici percorsi di trattamento. Un’altra proposta è quella di accelerare il lavoro dei tribunali di sorveglianza, che devono gestire 200.000 fascicoli per il riconoscimento della buona condotta, una procedura che potrebbe essere semplificata. È esclusa l’ipotesi di aumentare il “bonus” di 45 giorni di riduzione della pena ogni sei mesi di buona condotta a 60 giorni. Si prevede inoltre di aumentare le telefonate standard per i detenuti da quattro a sei al mese. Infine, si sta considerando l’ipotesi di delegare l’ordinanza di custodia cautelare a tre giudici per ridurre il numero di carcerati, stimando una riduzione di circa 3.500 detenuti. Questa proposta si basa sui dati del 2022, quando il 10% delle ordinanze cautelari impugnate sono state annullate e il 20% sono state modificate. Il ministero della Giustizia sta anche esplorando accordi con Stati africani per trasferire detenuti stranieri dalle carceri italiane ai loro Paesi d’origine, nell’ambito del cosiddetto piano Mattei. Questo progetto è ancora in fase iniziale e richiederà accordi specifici con ogni Paese.
ILFOGLIO – LE CARCERI ITALIANE SONO PIU’ “INCIVILI” DI QUELLE UNGHERESI
Un recente studio ha sollevato un dibattito riguardo alle condizioni delle carceri italiane, mettendole a confronto con quelle ungheresi e suggerendo che potrebbe essere più vantaggioso per alcune persone affrontare il sistema penitenziario dell’Ungheria piuttosto che quello italiano. I dati provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) indicano che l’Italia è uno dei paesi europei con il maggior numero di condanne relative alle condizioni carcerarie e alla violazione dei diritti umani. Dal 1959 al 2021, l’Italia ha ricevuto un totale di 2.466 condanne, posizionandosi al terzo posto dopo Turchia e Russia. Al contrario, l’Ungheria ha ricevuto solo 614 condanne nello stesso periodo. In particolare, l’Italia è stata condannata 9 volte per tortura, 297 volte per violazione del diritto al giusto processo, 33 volte per trattamento inumano e degradante e addirittura 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi. Quest’ultimo dato rappresenta un primato per l’Italia. Queste condanne evidenziano un trattamento contrario alla dignità umana, e questo rende difficile per l’Italia dare lezioni ad altri paesi in merito ai diritti umani. Guardando alle statistiche del Consiglio d’Europa, emerge che le carceri italiane sono tra le più sovraffollate d’Europa. Ad esempio, nel 2022, le carceri italiane ospitavano 60.924 detenuti, nonostante avessero solo 51.187 posti disponibili, risultando in un sovraffollamento del 119%. Questi numeri sono simili a quelli del 2013, quando l’Italia fu condannata dalla Cedu per trattamento inumano e degradante dei detenuti a causa del sovraffollamento carcerario. Anche il tasso di suicidi in carcere in Italia è preoccupante. Nel 2022 si è registrato un record storico di 84 suicidi, mentre nel 2023 sono stati 69. Nel 2024, solo nei primi mesi dell’anno, si sono già verificati 27 suicidi. In confronto, le carceri ungheresi mostrano una situazione meno grave. Nel 2022, l’Ungheria aveva una densità penitenziaria del 99,5%, e il tasso di suicidi in carcere era significativamente più basso rispetto all’Italia. Infine, va notato che in Italia, durante i processi per reati gravi, è comune l’uso di gabbiotti con sbarre di metallo, il che potrebbe violare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
REPUBBLICA – LE CARCERI ITALIANE SONO TERRENO FERTILE PER LA RADICALIZZAZIONE ISLAMICA
Dall’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023, l’Italia ha espulso 50 cittadini stranieri per motivi di terrorismo. Un numero significativo che evidenzia la costante minaccia jihadista e la necessità di misure di sicurezza adeguate. I profili dei 50 espulsi sono estremamente vari. Provengono da diverse nazionalità, principalmente Tunisia, Marocco ed Egitto. Le loro manifestazioni di radicalizzazione jihadista sono eterogenee: alcuni si radicalizzano in carcere, altri online, altri ancora attraverso la partecipazione a campi di addestramento dell’Isis. Le carceri, purtroppo, si confermano un terreno fertile per la radicalizzazione jihadista. Diciotto dei 50 espulsi erano già in carcere, dove non solo hanno continuato ad alimentare le loro ideologie estremiste, ma hanno anche cercato di radicalizzare altri detenuti. Oltre alle carceri, la rete rappresenta un canale di reclutamento primario per i gruppi terroristici. Attraverso social media e gruppi online, profili strutturati diffondono materiale jihadista, individuando soggetti fragili e facilmente condizionabili da radicalizzare in tempi rapidissimi. La radicalizzazione online genera i cosiddetti “lupi solitari”, individui facilmente manovrabili a distanza dalle menti dei gruppi terroristici. Tra gli espulsi, un 24enne egiziano gestiva gruppi Whatsapp per la condivisione di materiale jihadista, mentre un 38enne tunisino era in contatto con un account Facebook di un attivista dell’Isis. In un contesto di allerta massima, il Viminale e l’antiterrorismo stanno pianificando la strategia per le prossime settimane, basandosi sul “sistema Italia” che si è dimostrato efficace durante l’offensiva terroristica del 2015-2017. La prevenzione è il cardine di questo sistema, e le espulsioni ne sono uno strumento fondamentale. Franco Gabrielli, ex capo della Polizia e ex autorità delegata alla sicurezza del governo Draghi, si è espresso sull’efficacia delle espulsioni preventive nel contrastare il terrorismo, evidenziando la complessità della situazione attuale. Gabrielli ha sottolineato che l’espulsione preventiva rimane uno degli strumenti più efficaci nella lotta contro il terrorismo, e l’Italia lo utilizza con prudenza. Tuttavia, ha notato una nuova sfida rappresentata dalla spaccatura del cartello internazionale dell’ISIS, avvenuta nel 2017, che potrebbe essere sfruttata dall’organizzazione per rafforzare le proprie attività. Le espulsioni sono state al centro dell’attenzione dopo che 50 cittadini stranieri sono stati allontanati dal paese dal 7 ottobre 2023 ad oggi. Gabrielli ha spiegato che in passato, tali azioni hanno permesso di prevenire eventi drammatici, incluso il coinvolgimento in attività terroristiche anche sul suolo italiano. Le espulsioni, infatti, possono avvenire prima che vengano commessi reati e non richiedono necessariamente prove legali. Molti dei soggetti espulsi erano già detenuti, evidenziando il ruolo critico del sistema carcerario nel processo di radicalizzazione. Gabrielli ha chiarito che il carcere e i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) possono favorire la radicalizzazione dei detenuti, rendendoli un terreno fertile per l’adesione a ideologie estremiste. Ha sottolineato l’importanza delle informazioni provenienti da questi contesti nel quadro della strategia nazionale di contrasto al terrorismo. Riguardo all’attentato di Mosca e alla sua somiglianza con gli attacchi al Bataclan, Gabrielli ha riconosciuto che tali eventi mettono in evidenza la necessità di una costante vigilanza contro le minacce terroristiche. Ha citato gli allarmi lanciati negli ultimi anni dalla fondazione Med-Or come segnali dell’importanza di una preparazione continua. Rispondendo alla domanda se l’entusiasmo per la sconfitta dell’ISIS fosse stato prematuro, Gabrielli ha avvertito che il terrorismo islamico, in particolare l’ISIS, rimane una minaccia presente e crescente. Ha evidenziato la sofisticazione crescente delle attività terroristiche, indicando la recente apertura di un fronte contro la Russia come esempio di tale evoluzione. Sulla preparazione dell’Italia nel fronteggiare queste sfide, Gabrielli ha espresso fiducia nelle strutture esistenti nel paese ma ha avvertito contro la complacenza, sottolineando che la sicurezza assoluta non è mai garantita. Infine, ha riconosciuto Internet, incluso il dark e il deep web, come uno degli ecosistemi principali utilizzati dal salafismo per reclutare adepti, mettendo in luce la necessità di una sorveglianza costante su tali piattaforme digitali.
REPUBBLICA – UN SUICIDIO OGNI DUE GIORNI NELLE CARCERI ITALIANE
Il 2024 è già iniziato con un bilancio drammatico per le carceri italiane. Nei primi 30 giorni dell’anno, si sono registrati 13 suicidi, il numero più alto negli ultimi 10 anni. Secondo le associazioni per i diritti dei detenuti, uno dei principali fattori di disagio che contribuiscono a questi numeri è l’alto tasso di sovraffollamento degli istituti, che a gennaio ha raggiunto il 127,54%. A questo si aggiungono le scarse condizioni in cui versano i carcerati, spesso privati di spazi sociali, adeguata formazione e addirittura di prime necessità come l’acqua calda. Dei 13 suicidi registrati a gennaio, 12 si sono verificati per impiccagione e 1 è avvenuto a causa di uno sciopero della fame. A questi, poi, vanno aggiunti altri 19 decessi per “altre cause”, come quelle naturali, che sommati ai suicidi restituiscono un totale di 32 morti, più di uno al giorno. L’ultima ricerca del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale mostra come degli 85 suicidi registrati nel 2022, “34 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali” quali individui “senza fissa dimora” o “con disagi psichici”. Di questi 80 erano uomini e 5 erano donne. Molti dei suicidi si sono verificati anche in tempi molto brevi dalla detenzione: 50 persone su 85, il 65% del totale, si sono tolte la vita nei primi 6 mesi di carcere, di cui 21 nei primi tre mesi, 15 nei primi 10 giorni e addirittura 9 nelle prime 24 ore. Il Governo Meloni ha annunciato l’intenzione di aumentare il numero di agenti di polizia penitenziaria, ma non ha ancora presentato alcun piano concreto per migliorare le condizioni dei carcerati.
OMICIDIO DI SERENA MOLLICONE
LEGGO – IL PROCESSO PER L’OMICIDIO DI SERENA MOLLICONE
La procura generale ha presentato le proprie conclusioni nel processo per l’omicidio di Serena Mollicone, avvenuto nel 2001 ad Arce. I sostituti Francesco Piantoni e Deborah Landolfi hanno richiesto condanne per i membri della famiglia Mottola: 24 anni per l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, e 22 anni sia per sua moglie Annamaria che per il figlio Marco. Francesco Suprano è stato invece prosciolto per intervenuta prescrizione, mentre Vincenzo Quatrale ha ricevuto la richiesta di assoluzione. Secondo l’accusa, Marco Mottola avrebbe spinto la testa di Serena contro una porta durante una lite, causandone la morte. Dopo l’incidente, Serena avrebbe perso i sensi e, nonostante la gravità della situazione, nessuno dei Mottola ha prestato soccorso alla giovane. Al contrario, l’hanno imbavagliata, causandone la morte per asfissia meccanica, e successivamente hanno occultato il suo corpo a Fonte Cupa. I sostituti della procura generale hanno evidenziato che Marco Mottola, essendo stato il responsabile dell’accaduto, avrebbe dovuto chiedere aiuto ai genitori, presenti nell’alloggio superiore, ma questo non è avvenuto. Invece di soccorrere Serena, tutti i membri della famiglia hanno nascosto l’accaduto fino al mattino successivo, quando il corpo della ragazza è stato scoperto. Secondo l’accusa, sia i genitori che Marco avevano l’obbligo di garantire il soccorso a Serena, cosa che hanno deliberatamente omesso al fine di nascondere l’incidente e le sue conseguenze legali per il figlio. Questa condotta è stata interpretata come un deliberato tentativo di far sparire ogni traccia compromettente per Marco e per il comandante della stazione dei carabinieri di Arce. Il processo è attualmente in fase di dibattimento presso la Corte d’Assise d’Appello di Roma, dove sono state avanzate richieste di ulteriori indagini e valutazioni da parte della procura di Roma basate sulle deposizioni di alcuni testimoni presentate in aula.
STRAGE DI MESTRE
SKYTG24 – STRAGE DI MESTRE “PROVOCATA DALLA ROTTURA DELLO STERZO”
L’incidente del bus a Mestre (Venezia), avvenuto il 3 ottobre scorso e che ha causato la morte di 22 persone, è stato provocato dalla rottura dello sterzo. Un perno destro ammalorato e il conseguente cedimento del giunto che collega allo sterzo hanno fatto sbandare il veicolo, portandolo a precipitare dal cavalcavia. Questa conclusione è stata annunciata dal Procuratore di Venezia, Bruno Cherchi, il 21 giugno, in seguito alla chiusura della fase peritale. Gli atti sono stati trasmessi alle parti coinvolte e ai loro consulenti per ulteriori deduzioni tecniche. Le indagini hanno rivelato che le barriere stradali del cavalcavia erano in uno stato di vetustà e mancata manutenzione, risultando inadeguate a sopportare l’urto. Cherchi ha sottolineato l’importanza di stabilire il nesso di causalità tra la rottura dello sterzo e lo stato delle barriere. Le conclusioni sono frutto di varie perizie, tra cui l’autopsia sul corpo dell’autista, unica vittima italiana, che ha escluso un malore, e le analisi sul sedime stradale e sulla tenuta del guardrail, oltre alla verifica delle telecamere e della scatola nera del bus, situata in un cloud a Francoforte. Per la tragedia, sono indagati tre funzionari del Comune di Venezia e l’amministratore delegato de La Linea, la compagnia del bus. Il guardrail del tratto di cavalcavia dove è avvenuto l’incidente è stato dissequestrato e rimosso in sezioni, mantenendo intatti bullonature e portanti. Questi pezzi, insieme alla carcassa del bus, sono stati portati alla caserma Matter, sede del comando del Reggimento Lagunari Serenissima, come possibili oggetti di prova. Le vecchie barriere saranno sostituite con nuove, a cura del Comune.
CASO INFLUENCER SIU
CORRIERE – I TRE RAGAZZI TRAVOLTI DALLA PIENA DEL FIUME NATISONE
Tre giovani, di età compresa tra i 21 e i 25 anni, sono stati travolti dalla piena del fiume Natisone mentre si trovavano sull’isolotto del Natisone per scattare foto. L’acqua li ha sorpresi e non sono stati in grado di prendere le funi lanciate dai soccorritori. Il gruppo era composto da Patrizia Cormos, una ragazza di 20 anni residente a Basaldella di Campoformido (Udine), Bianca Doros, una ragazza di 23 anni in Italia da pochi giorni per fare visita alla famiglia, e il fidanzato di quest’ultima, Cristian Casian Molnar, un giovane di 25 anni residente in Romania. Sono state immediatamente attivate le ricerche per ritrovare i dispersi. Dopo il ritrovamento dei corpi senza vita di Patrizia Cormos e Bianca Doros, le ricerche proseguono per ritrovare il terzo giovane travolto dalla piena del fiume Natisone a Premariacco, Cristian Casian Molnar. L’isolotto del Natisone è un’area di ghiaia situata nel centro del fiume, circondata dalla vegetazione e sotto un ponte. L’acqua del fiume è solitamente verde e cristallina, creando un scenario paradisiaco. In passato, l’isolotto è stato utilizzato come location per una scena del film di Diabolik. I tre giovani erano arrivati da Udine, distante circa 16 chilometri, e avevano parcheggiato la loro Bmw station wagon prima di camminare fino all’isolotto. Non erano vestiti da bagno, poiché le temperature erano ancora basse, e non intendevano fare il bagno, anche se ci sarebbe stato il divieto di balneazione. Sono le 13.30 quando una delle ragazze chiama i vigili del fuoco per chiedere aiuto, poiché l’acqua del fiume si sta ingrossando rapidamente. I vigili del fuoco accorrono in forze e provano a raggiungere i ragazzi, lanciando delle funi per aiutarli a salire sulla riva. Tuttavia, i tre ragazzi non sono in grado di afferrare le funi e vengono trascinati via dall’acqua. Un video registrato da qualcuno dall’alto mostra i tre ragazzi che si stringono l’uno all’altro, disperati, mentre l’acqua del fiume sale sempre più alta. I vigili del fuoco continuano a provare a raggiungere i ragazzi, ma non sono in grado di salvarli. I tre ragazzi si trovavano su un’insenatura ghiaiosa lungo un’ansa del fiume, che avevano raggiunto con il cielo sereno. Secondo le ricostruzioni, nel momento in cui la piena ha sfondato l’alveo, bloccando il passaggio che i ragazzi avrebbero dovuto usare per raggiungere la strada, i tre hanno immediatamente chiamato i soccorsi. I Vigili del Fuoco sono intervenuti per salvare i ragazzi, ma non è servito a sottrarli dalla furia dell’acqua. La portata del Natisone è aumentata rapidamente, passando da 20 metri cubi al secondo alle 11:30 a 135 metri cubi al secondo alle 13:35, e poi addirittura a 250 metri cubi al secondo alle 15. Questo aumento della portata è stato causato dalle piogge avvenute nelle ore precedenti e dalla morfologia del letto del fiume, che ha creato un rischio concreto di piene improvvise.
CASO INFLUENCER SIU
QN.NET – COS’E’ SUCCESSO ALL’INFLUENCER SIU
Soukaina El Basri, meglio conosciuta come “Siu” sui social, è uscita dal coma ed è attualmente ricoverata nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Novara. La 30enne influencer italo-marocchina, con oltre 80mila follower su Instagram, è stata trasportata d’urgenza lo scorso giovedì con un foro al petto e in stato di incoscienza. Secondo la ricostruzione dei fatti, giovedì pomeriggio la donna si è recata in pronto soccorso accompagnata dal marito, Jonathan Maldonato, lamentando un forte dolore al petto. Ai medici avrebbe detto di essere caduta in casa, ma poi è collassata per una emorragia interna ed è stata trasferita al Maggiore di Novara. La procura ha fatto sapere che si tratta di “una ferita lacero contusa nel torace con lacerazione della arteria mammaria”. Maldonato, 34 anni, è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio dopo un interrogatorio di 4 ore negli uffici della Questura di Biella. La sua versione, secondo cui la ferita sarebbe stata causata dalla caduta su uno spigolo di un mobile, non ha convinto gli inquirenti. Inoltre, a maggio 2023 la donna aveva denunciato il marito per maltrattamenti, con una querela poi ritirata. Dalle indagini emerge un quadro familiare problematico, con rapporti tesi tra la coppia e le rispettive famiglie. Secondo un’amica di Siu, la donna avrebbe voluto lasciare il marito a causa della sua gelosia ossessiva, ma aveva difficoltà per via dei figli. Le due bambine, di 5 e 6 anni, sono attualmente affidate ai nonni paterni. L’avvocato Alessandra Guarini assisterà El Basri e la sua famiglia, mentre il difensore di Maldonato, l’avvocato Giovanna Barbotto, ha dichiarato che il suo assistito si dichiara non colpevole. Gli inquirenti hanno effettuato diversi sopralluoghi nell’abitazione della coppia, sequestrando l’immobile, e stanno svolgendo ulteriori approfondimenti investigativi.
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CORRIERE – IL GIP NON CREDE AL TENTATO OMICIDIO DELL’INFLUECER SIU
La giudice delle indagini preliminari di Biella non ritiene che ci siano gravi indizi di colpevolezza a carico di Maldonato Jonathan per il tentato omicidio dell’influencer “Siu”, Soukaina El Basri. Nonostante il fermo del marito di “Siu” per il tentato omicidio, il giudice ha applicato misure cautelari per il reato di maltrattamenti in famiglia, non per il tentato omicidio. La tesi del tentato omicidio si basa sulla scarsa credibilità della versione fornita dall’indagato, che ha prima raccontato una caduta accidentale della moglie e poi ha affermato che lei si era ferita cercando di uccidersi. La giudice ha evidenziato che “Siu” è rimasta cosciente fino alle 13:10 e ha sempre confermato la tesi della ferita accidentale, anche quando era da sola con gli operatori del 118 e i medici del pronto soccorso. Questo comportamento sembra più coerente con il timore del ricovero in psichiatria che con la dinamica del tentato omicidio. Inoltre, ci sono testimonianze dei familiari di Jonathan che confermano la versione del tentato suicidio di “Siu” e del fatto che lei gli avesse chiesto di mentire sulla caduta accidentale. Jonathan non aveva mai aggredito fisicamente “Siu”, come dichiarato da lei stessa in una querela precedente. La giudice si è anche interrogata sul fatto che l’oggetto con cui “Siu” si è ferita non sia stato trovato. La mancanza di indizi gravi sul tentato omicidio ha portato il gip a non applicare le misure cautelari per quel reato, ma solo per i maltrattamenti in famiglia. Gli avvocati di Jonathan stanno preparando un nuovo ricorso davanti alla Cassazione.
OMICIDIO DESIREE MARIOTTINI
ROMATODAY – OMICIDIO DESIREE MARIOTTINI: CONDANNE RIDOTTE AGLI IMPUTATI
La Corte d’Assise d’Appello di Roma ha ridotto le condanne per gli imputati coinvolti nell’omicidio di Desirée Mariottini, una 16enne di Cisterna di Latina trovata senza vita in un immobile abbandonato a Roma. Mamadou Gara è stato condannato a 22 anni di reclusione, mentre Brian Minthe e Alinno Chima rispettivamente a 18 e 26 anni. Yousef Salia è già stato condannato all’ergastolo. La procura generale aveva chiesto la conferma dell’ergastolo per Gara e delle condanne a 24 e 27 anni per Minthe e Chima. Il processo di appello bis è arrivato dopo che la Cassazione aveva fatto cadere alcune delle accuse contro gli imputati. La storia processuale inizia con la scoperta del corpo di Desirée Mariottini all’interno di un immobile abbandonato di via dei Lucani a San Lorenzo, Roma. I poliziotti hanno arrestato due cittadini senegalesi, Mamadou Gara e Brian Minthe, accusati di violenza sessuale di gruppo, cessione di stupefacenti e omicidio volontario. Successivamente, sono stati arrestati Alinno Chima e Yusif Salia. Le indagini hanno rivelato che Desirée Mariottini aveva ricevuto e assunto un mix di droghe che le aveva fatto perdere i sensi, e mentre era incosciente era stata stuprata. Il processo si è svolto in tre gradi, con il primo grado che ha condannato gli imputati all’ergastolo, violazione dei sigilli e violenza sessuale.
PROCESSO “CUCCHI-TER”
RAINEWS – MORTE STEFANO CUCCHI: TRE CARABINIERI A PROCESSO PER FALSO E DEPISTAGGIO
Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma ha rinviato a giudizio tre carabinieri accusati di falso e depistaggio nell’ambito del processo Cucchi-ter. Gli imputati sono il maresciallo Maurizio Bertolino, il capitano Prospero Fortunato e il maresciallo Giuseppe Perri. Secondo l’accusa, con le loro dichiarazioni false, i tre militari avrebbero ostacolato la ricostruzione dei fatti durante il processo Cucchi-ter, relativo ai depistaggi sulla morte di Stefano Cucchi. In particolare, il pm Giovanni Musarò sostiene che gli imputati abbiano “ostacolato” e “sviato” le indagini con diverse dichiarazioni false, anche durante il procedimento. Maurizio Bertolino, all’epoca dei fatti maresciallo presso la stazione di Tor Sapienza, avrebbe mentito ai suoi superiori nel 2021, affermando di non sapere nulla dell’esistenza di un raccoglitore con atti relativi al caso Cucchi nella stazione dei carabinieri, fatto invece confermato da un collega. Successivamente, in aula, avrebbe falsamente dichiarato di aver comunicato tutto ai suoi superiori. Il capitano Prospero Fortunato, in servizio al nucleo radiomobile di Roma, avrebbe scritto il falso nel ‘Memoriale di servizio’ del 2 novembre 2018, indicando che due suoi sottoposti erano impegnati in altri servizi esterni, mentre in realtà uno era stato sentito negli uffici della questura e l’altro lo aveva accompagnato. Nel processo principale sui depistaggi, il pm Musarò aveva dichiarato che “un intero Paese è stato preso in giro per sei anni”. In quel filone sono già stati condannati otto carabinieri, tra cui degli alti ufficiali. Nel procedimento, il ministero della Difesa è responsabile civile, mentre sono parti civili Riccardo Casamassima, uno dei testimoni chiave che contribuì a svelare il pestaggio in caserma ai danni di Stefano Cucchi, la moglie, tre agenti della penitenziaria e l’associazione Cittadinanzattiva. La prima udienza del processo è stata fissata per il 25 settembre presso l’ottava sezione del Tribunale monocratico.
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RAINEWS – PROCESSO “CUCCHI-TER” SI AVVIA VERSO LA PRESCRIZIONE
Il processo “Cucchi-Ter”, che aveva portato ad otto condanne in primo grado per depistaggio da parte di membri dei Carabinieri sulla morte di Stefano Cucchi nel 2009, si avvia verso la prescrizione. Nonostante la sentenza di tribunale, trascorsi venti mesi, il processo di appello non è stato ancora fissato. Gli otto imputati sono accusati di falsificazione e favoreggiamento. L’avvocato Stefano Maccioni ha richiesto una data per il processo di appello, senza ottenere risposta. La sentenza in primo grado ha evidenziato la manipolazione delle prove, ma con il tempo trascorso e la tipologia dei reati, la prescrizione sembra imminente, a meno che gli imputati non rinuncino all’appello, rischiando ulteriori condanne.
OMICIDIO SAMAN ABBAS
SKYTG24 – ARRESTATA LA MADRE DI SAMAN ABBAS
La madre di Saman Abbas, Nazia Shaheen, 51 anni, è stata arrestata in Pakistan. La donna era latitante dal primo maggio 2021, dopo essere tornata in patria da Novellara, insieme al marito, dopo l’omicidio della figlia, per il quale è stata condannata all’ergastolo dalla Corte di assise di Reggio Emilia nel dicembre dello stesso anno. Su di lei c’era un mandato di cattura internazionale. L’arresto è avvenuto questa mattina, alle 7.30 ora pakistana, grazie a un’incursione della polizia del Punjab. Nazia Shaeem comparirà davanti ai giudici di Islamabad per iniziare l’iter estradizionale. È stato convalidato il fermo della donna e prima della sua consegna al carcere di Adyala sarà sottoposta a una visita medica. La prossima udienza è stata fissata per il 12 giugno. Durante un’operazione tra i distretti di Jhelum e Gujrat, la donna è stata rintracciata e arrestata in esecuzione della Red Notice emessa dalle autorità italiane. L’avvocato alessandrino Claudio Falleti, rappresentante della parte civile e fidanzato italiano di Saman, Saqib Ayub, ha commentato l’arresto esprimendo soddisfazione e speranza che la madre di Saman sconti l’intera condanna inflitta dal Tribunale di Reggio Emilia.
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CORRIEREADRIATICO – SHABBAR ABBAS CHIEDE DI PARLARE E ACCUSA LO ZIO: NON DICE LA VERITA’
Shabbar Abbas, il padre di Saman Abbas, la ragazza pachistana scomparsa a Novellara nel 2021, ha chiesto di parlare dal carcere con gli inquirenti di Reggio Emilia il 19 aprile scorso per fare nuove dichiarazioni spontanee. L’uomo continua a negare di aver anche solo pensato di uccidere insieme alla moglie la figlia Saman, e dice di voler giustizia per lei. Nelle sue nuove accuse, Shabbar Abbas ha invitato suo fratello Danish Hasnain, lo zio di Saman, a “dire la verità” e ha accusato anche i cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, a suo dire presenti la sera del delitto a Novellara. Abbas ha chiesto di parlare prima del deposito delle motivazioni della sentenza della Corte di assise di Reggio Emilia che ha condannato lui e la moglie Nazia Shaheen all’ergastolo, lo zio Danish a 14 anni e assolto i cugini. Shabbar ha detto di sospettare dei tre parenti: “Quando ho sentito in Pakistan che loro erano scappati tutti e tre, allora io capito che sono stati tutti e tre, non ci sono dubbi”. Ha però affermato di non sapere chi ha fatto cosa: “Perché non dice la verità Danish? Lui sa tutto”, ha detto Shabbar. Nelle sue dichiarazioni spontanee, Shabbar ha spiegato di essersi sentito al telefono con il fratello Danish Hasnain, con l’idea che arrivasse il fidanzato di Saman, Saqib, a prendere la ragazza. Il piano era quello di dare una lezione al giovane: a Danish “ho detto di non picchiarlo così forte da far venire un’ambulanza, ma di picchiarlo per spaventarlo”. E Danish gli avrebbe confermato che se ne sarebbe occupato insieme ai cugini. Shabbar ha detto di aver saputo della morte della figlia solo quando era già in Pakistan, partito il primo maggio. Ai suoi legali ha risposto di aver avuto minacce da parte di un parente del cugino Ikram e di temere per l’altro figlio, rimasto in Italia.
OMICIDIO MARIO CERCIELLO REGA
SKYTG24 – ASSOLTO IL CARABINIERE CHE BENDO’ GABRIEL NATALE HJORTH (ARRESTATO PER L’OMICIDIO DI MARIO CERCIELLO REGA)
La Corte d’Appello di Roma ha assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato” Fabio Manganaro, il carabiniere che nel luglio del 2019 bendò Gabriel Natale Hjorth, uno dei due giovani statunitensi arrestati per l’omicidio del vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. A febbraio del 2023, Manganaro era stato condannato in primo grado a due mesi di carcere, poiché il giudice aveva ritenuto che bendare una persona sospettata fosse una “assoluta anomalia”. Il carabiniere aveva spiegato di aver agito in quel modo per evitare che il giovane riconoscesse alcuni suoi colleghi. Inoltre, lo scorso novembre, anche Silvio Pellegrini, il carabiniere che aveva scattato la foto di Hjorth bendato in caserma e l’aveva fatta circolare, era stato condannato in primo grado a un anno e due mesi di carcere. Il processo per la realizzazione e la diffusione della foto di Hjorth è separato dal processo principale sull’omicidio di Cerciello Rega. Al termine di quest’ultimo, nel 2021, i due statunitensi erano stati condannati in primo grado all’ergastolo, condanne poi modificate in appello e annullate dalla Cassazione, che nel marzo del 2023 aveva ordinato un nuovo processo.
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ANSA – OMICIDIO MARIO CERCIELLO REGA: INIZIATO IL PROCESSO D’APPELLO
Venerdì a Roma ha preso avvio il processo d’appello bis per Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, i due cittadini statunitensi accusati dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega nel luglio del 2019 a Roma. La Corte di Cassazione, nel marzo del 2023, annullò le precedenti condanne in appello e ordinò un nuovo processo d’appello. I due ragazzi erano stati condannati in primo grado all’ergastolo, ma la sentenza fu oggetto di contestazione e dibattito. Il tragico evento avvenne nella notte tra il 25 e il 26 luglio, quando Elder e Hjorth, turisti californiani di 18 e 19 anni, cercarono di acquistare droga a Trastevere attraverso un intermediario. Tuttavia, il loro tentativo li portò a una situazione tragica: furono ingannati e, in seguito, rubarono lo zaino dell’intermediario. Durante il tentativo di recupero dello zaino, si scontrarono con il carabiniere Cerciello Rega e il collega, entrambi disarmati e in borghese, che stavano indagando sulla denuncia del furto. L’incontro si trasformò in una lotta fatale durante la quale Cerciello Rega fu colpito undici volte da Elder e morì a causa delle ferite riportate. La difesa dei due giovani sostenne che essi agirono in stato di paura, credendo di essere attaccati da criminali e non essendo consapevoli della reale identità dei due uomini. La decisione della Cassazione di annullare la sentenza d’appello precedente si basò sull’ambiguità riguardo alla consapevolezza dei due accusati riguardo alla qualità di carabinieri delle vittime. Questo processo d’appello bis dovrebbe valutare attentamente tale questione, oltre alla possibile presenza di circostanze attenuanti o aggravanti, incluso il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
OMICIDIO WILLY
ANSA – OMICIDIO WILLY: NUOVO PROCESSO DI APPELLO PER MARCO E GABRIELE BIANCHI
La Corte di Cassazione ha ordinato un nuovo processo di appello per Marco e Gabriele Bianchi, condannati in primo e secondo grado per l’omicidio del ventunenne Willy Monteiro Duarte nel 2020. Inizialmente condannati all’ergastolo, la pena era stata ridotta a 24 anni di carcere in appello, ma la procura aveva presentato ricorso contro il riconoscimento delle attenuanti. La Cassazione ha accolto il ricorso, motivando che la sentenza di appello non ha spiegato in modo sufficiente come le attenuanti generiche abbiano bilanciato le aggravanti a carico dei Bianchi. Inoltre, la Corte ha criticato il fatto che la sentenza di appello non abbia considerato adeguatamente il dolo eventuale riconosciuto ai fratelli Bianchi, che avrebbe dovuto essere trattato come una circostanza più grave rispetto al dolo diretto. La Cassazione ha anche citato le condanne recenti dei due fratelli per altri reati, come tentata estorsione e spaccio, che non sono state considerate nel processo originale. L’omicidio di Willy Monteiro Duarte avvenne durante una rissa a Colleferro nel settembre 2020, quando i Bianchi, richiamati dopo aver lasciato un locale, intervennero nella situazione. Secondo le testimonianze raccolte in tribunale, Gabriele Bianchi diede un calcio al torace al giovane, mentre Marco Bianchi lo colpì con calci e pugni, contribuendo ai danni irreversibili subiti dall’organo interno del ragazzo, che morì poco dopo essere stato trasportato in ospedale. Le condanne a Francesco Belleggia e Mario Pincarelli, anch’essi coinvolti nell’omicidio, sono state confermate rispettivamente a 23 e 21 anni di carcere.
Altre notizie:
AGENZIA NOVA – OMICIDIO WILLY: MARIO PINCARELLI SI SPOSA CON UNA RAGAZZA INCONTRATA UNA SOLA VOLTA
Mario Pincarelli, condannato in secondo grado a 21 anni per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, si prepara a sposare una ragazza di 28 anni di un Comune a nord di Roma. La notizia è stata riportata dall’Agenzia Nova. La coppia si è innamorata attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali che hanno seguito la vicenda giudiziaria. Nonostante si siano visti solo una volta, durante un’udienza del processo, hanno deciso di convolare a nozze. Il matrimonio è previsto per il 16 aprile prossimo, e si terrà nel carcere di Civitavecchia, dove Pincarelli è attualmente detenuto. Oggi la Corte di Cassazione deciderà le sorti giudiziarie di Pincarelli e dei suoi coimputati, Marco e Gabriele Bianchi e Francesco Belleggia. Indipendentemente dall’esito del processo, il matrimonio di Pincarelli avrà luogo martedì prossimo. La sua difesa cercherà di ottenere una derubricazione del reato da omicidio volontario a preterintenzionale. Attualmente, Pincarelli ha la condanna più leggera tra i quattro imputati, ma rimangono comunque 21 anni di carcere.
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STRAGE DI ALTAVILLA
ILPOST – LE INDAGINI SUL TRIPLICE OMICIDIO DI ALTAVILLA MILICIA
Le indagini sul triplice omicidio ad Altavilla Milicia, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 febbraio, continuano mentre i carabinieri raccolgono nuovi indizi e testimonianze nel tentativo di chiarire i dettagli di questa tragica vicenda. Secondo l’accusa, Giovanni Barreca, un muratore di 54 anni, avrebbe ucciso la moglie Antonella Salamone e i due figli, Kevin ed Emanuel, con la complicità della figlia 17enne e di una coppia di fanatici religiosi. Gli investigatori sono risaliti alla coppia, Sabrina Fina e Massimo Carandente, grazie alle dichiarazioni di Barreca stesso, il quale ha affermato che la coppia lo avrebbe convinto a compiere gli omicidi. La figlia di Barreca è stata arrestata il 16 febbraio, accusata di aver partecipato all’omicidio della madre e dei fratelli. La situazione è complicata dal coinvolgimento di una comunità di fanatici religiosi, che ha reso difficile stabilire le precise responsabilità negli omicidi. Inoltre, le persone coinvolte si sono contraddette nelle loro testimonianze, complicando ulteriormente il lavoro degli inquirenti. Il giorno successivo alla scoperta dei corpi dei due figli più piccoli, Kevin ed Emanuel, i carabinieri hanno trovato la moglie di Barreca, Antonella Salamone, nel giardino della casa: il corpo era stato bruciato e sotterrato. La figlia maggiore di Barreca è stata trovata in uno stato confusionale e successivamente arrestata con l’accusa di complicità. Barreca ha dichiarato di aver commesso gli omicidi per “liberare la sua famiglia dal demonio”, seguendo un culto insieme alla coppia Fina e Carandente, ossessionati dalle presunte presenze demoniache. Tuttavia, Fina e Carandente negano di essere coinvolti negli omicidi, sostenendo di essere andati alla villa di Barreca solo per pregare. Le indagini si concentrano sulle chiamate e le chat degli smartphone delle persone coinvolte, al fine di stabilire se ci fossero altri complici nel rito e nelle violenze. Barreca ha rivelato che la coppia si sarebbe allontanata più volte durante il rito per parlare al telefono. Nei prossimi giorni, la procura dei minorenni interrogherà nuovamente la figlia di Barreca, mentre la procura di Termini Imerese ascolterà Barreca, Fina e Carandente. L’interrogatorio di Barreca sarà particolarmente significativo, considerando che al momento della sua prima testimonianza non era assistito da un avvocato, una violazione del diritto di difesa che sarà oggetto di ulteriori indagini.
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STRAGE DI ALTAVILLA MILICIA: INDAGATA LA FIGLIA 17ENNE MIRIAM
La Procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta sulla strage di Altavilla Milicia, dove sono stati uccisi la madre, Antonella Salamone, e i due figli più piccoli, Kevin ed Emanuel. La figlia maggiore, Miriam, è stata indagata per concorso in omicidio e si trova in carcere su disposizione del gip. Secondo gli inquirenti, Miriam avrebbe partecipato alle torture inflitte ai familiari durante i “riti di purificazione” che si svolgevano nella casa di famiglia. Il padre, Giovanni Barreca, e una coppia di Palermo, Sabrina Fina e Massimo Carandente, sono già in carcere per l’omicidio. La ragazza, 17enne, è descritta come intelligente e sensibile. Il procuratore Ambrogio Cartosio ha detto che “non è una ragazza qualunque” e che ha dato il suo contributo per far luce sulla verità. I riti di esorcismo e le torture duravano da circa un mese. La madre, Antonella Salamone, sarebbe stata l’unica a non parteciparvi. I due coniugi palermitani, Sabrina Fina e Massimo Carandente, erano presenti nella casa di Altavilla al momento dell’omicidio. Le autopsie chiariranno le cause della morte di Antonella Salamone e dei figli Kevin e Emanuel.
TODAY – STRAGE DI ALTAVILLA: L’INTERROGATORIO DI GIOVANNI BARRECA E DEI COMPLICI
Nuovi dettagli emergono sulla strage di Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, dove Giovanni Barreca, un muratore di 45 anni, ha ucciso la moglie Antonella Salamone, 42 anni, e i figli Kevin ed Emanuel, di 15 e 5 anni. Insieme a lui, due complici conosciuti durante incontri di preghiera: Sabrina Fina e Massimo Carandente. L’interrogatorio fiume di domenica scorsa non ha portato a pentimenti: i tre hanno rivendicato il folle gesto, affermando di aver “fatto solo del bene”. L’obiettivo, secondo le loro confuse dichiarazioni, era di liberare la casa e la famiglia dai demoni. Le indagini dei carabinieri stanno ricostruendo la dinamica dei delitti. La donna sarebbe stata uccisa per prima, forse una settimana prima dei figli. Kevin ed Emanuel sono stati seviziati e poi soffocati con una sciarpa, dopo essere stati legati mani e piedi con catene e con uno strofinaccio in bocca. Per le sevizie sarebbero stati usati anche cavi elettrici. Un ruolo attivo nella strage è stato svolto dai due complici di Barreca. Fina e Carandente, entrambi con profili social pieni di post a sfondo religioso, avrebbero partecipato materialmente agli omicidi. La loro setta fanatica li aveva convinti che i familiari di Barreca fossero posseduti e che l’unico modo per “salvarli” fosse ucciderli. L’unica sopravvissuta è la figlia maggiore di 17 anni, trovata illesa ma sotto choc nella casa dell’orrore. Il movente per cui Barreca abbia risparmiato la ragazza non è ancora chiaro.
RAINEWS – ALTAVILLA MILICIA (PALERMO): UCCIDE MOGLIE E FIGLI DI 5 E 16 ANNI E POI SI CONSEGNA AI CARABINIERI
Un uomo di 54 anni ha ucciso la moglie e due figli, di 5 e 16 anni, nella loro casa di Altavilla Milicia, alle porte di Palermo. La primogenita, di 17 anni, è riuscita a salvarsi. L’omicidio è avvenuto attorno alle 3 di notte. L’uomo, dopo i delitti, ha chiamato i carabinieri e si è fatto trovare a Casteldaccia, dove è stato arrestato. Le notizie sono ancora frammentarie e i militari del reparto operativo stanno ricostruendo quanto accaduto. Sul posto ci sono anche i Ris. Non è ancora chiaro il movente del gesto. L’uomo, che sarebbe in stato confusionale, è stato sottoposto ad interrogatorio.
OMICIDIO LILIANA RESINOVICH
LEGGO – OMICIDIO LILIANA RESINOVICH: IL MARITO NEGA L’ESISTENZA DI UNA RELAZIONE CON STERPIN
Nella puntata di Porta a porta del 27 marzo, Sebastiano Visintin ha negato categoricamente l’esistenza di una relazione amorosa tra sua moglie Liliana Resinovich, scomparsa il 14 dicembre 2021 e trovata morta il 5 gennaio successivo, e Claudio Sterpin. Visintin ha respinto le voci riguardanti un presunto legame sentimentale, sottolineando la mancanza di prove concrete. Visintin ha spiegato che la sua ipotesi riguardo alla possibile paternità di Sterpin, emersa in conversazioni registrate, era solo una supposizione personale e non basata su prove tangibili. Ha anche fornito dettagli sul rapporto tra Liliana e Sterpin, sostenendo che le loro interazioni fossero limitate alla sfera sportiva e che non avesse mai avuto conferme riguardo a una presunta gravidanza di Liliana avuta da Sterpin. Tuttavia, Sterpin ha contraddetto le dichiarazioni di Visintin, affermando di aver avuto una relazione di lunga data con Liliana, che sarebbe potuta culminare nel matrimonio e nella convivenza. Ha anche suggerito che Liliana avesse intenzione di rivelare qualcosa a Visintin, indicando un possibile motivo di tensione nella loro relazione.
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LEGGO – CLAUDIO STERPIN NEGA CHE IL FIGLIO CHE ASPETTAVA LILIANA FOSSE SUO
La morte di Liliana Resinovich, la donna trovata senza vita il 5 gennaio 2022 nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, continua ad essere avvolta nel mistero, con nuovi dettagli che emergono sul suo passato personale. Si è appreso che Liliana sarebbe rimasta incinta di Claudio Sterpin, suo amico, e che il marito, Sebastiano Visintin, l’avrebbe accompagnata ad abortire. Tuttavia, Sterpin ha categoricamente negato queste voci durante un’intervista a Mattino 4, smentendo di essere mai stato a conoscenza di una presunta gravidanza di Liliana e negando di essere il padre di un figlio che la donna avrebbe aspettato e poi perso oltre trent’anni fa. Le dichiarazioni di Sterpin contrastano con quanto trapelato da un’intercettazione ambientale datata 5 marzo 2022, nella quale Visintin avrebbe attribuito la paternità della presunta gravidanza proprio a Sterpin, rivelando di aver accompagnato Liliana in ospedale per l’aborto. La situazione si complica ulteriormente considerando che Sterpin ha descritto il suo legame con Liliana come un’«amicizia particolare», iniziata nel 1981 e diradata negli anni ma mai del tutto interrotta, fino al momento della sua morte. Tuttavia, Visintin ha sempre negato l’esistenza di una relazione extraconiugale tra sua moglie e Sterpin, nonostante le voci e le supposizioni. Le prove mediche contenute negli atti sembrano confermare la versione di una gravidanza e di un aborto, ma resta ancora da chiarire la dinamica esatta dei rapporti tra Liliana, Sterpin e Visintin. La morte di Liliana e le vicende del suo passato continuano a essere oggetto di indagini e speculazioni, mentre il mistero su quanto accaduto si infittisce.
TGCOM24 – LILIANA RESINOVICH RIMASE INCINTA DEL SUO AMICO CLAUDIO STERPIN E IL MARITO SEBASTIANO VISINTIN LA ACCOMPAGNÒ AD ABORTIRE
Il caso di Liliana Resinovich, la donna trovata morta nel boschetto dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste, prende una svolta inaspettata con la rivelazione di dettagli cruciali sulla sua vita trent’anni fa. Emergono informazioni secondo cui Resinovich rimase incinta del suo amico Claudio Sterpin, con il marito Sebastiano Visintin che la accompagnò ad abortire. La rivelazione è giunta da un’intercettazione ambientale in cui Visintin stesso discute dell’episodio, avvenuto nel 1990 o 1991, quando lui e Resinovich erano già una coppia consolidata. Questo nuovo elemento solleva interrogativi sulla conoscenza da parte di Visintin della relazione tra la moglie e Sterpin, considerando anche il fatto che il marito era consapevole delle visite di Liliana da Claudio per stirare le camicie. La consulente della famiglia Resinovich, Gabriella Marano, sostiene che la frequenza di Liliana da Sterpin e la qualità dei loro contatti avrebbero dovuto destare sospetti in Visintin. Queste informazioni pongono un dubbio sulla versione del marito riguardo alla sua ignoranza sulla relazione tra Liliana e Claudio. Sebastiano Visintin, per contro, ha ribadito di non essere a conoscenza della relazione della moglie con Sterpin, contraddicendo le dichiarazioni precedenti fatte in televisione e sostenendo che nessuno sapeva di loro. Dopo la riesumazione del corpo di Liliana, ha avanzato l’ipotesi del suicidio. Ulteriori dettagli emergono dall’intercettazione ambientale, in cui Visintin esprime preoccupazione per alcune foto che ritraggono Liliana e Claudio insieme. Marano interpreta questa preoccupazione come un elemento di valore probatorio, soprattutto considerando che Visintin sembrava preoccupato che la difesa di Liliana avesse visto il materiale sequestrato. La famiglia Resinovich continua a non credere all’ipotesi del suicidio e auspica che l’inchiesta possa portare alla luce la verità su quanto accaduto a Liliana. La perizia disposta dal gip di Roma sarà fondamentale per stabilire le cause della morte della donna e rispondere agli interrogativi che circondano questo tragico caso.
TGCOM24 – DISPOSTA LA RIESUMAZIONE DELLA SALMA DI LILIANA RESINOVICH
La Procura di Trieste ha disposto la riesumazione della salma di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa da casa il 14 dicembre 2021 e ritrovata morta il 5 gennaio 2022 nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni. La decisione è stata presa dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, titolare del fascicolo, su richiesta dell’antropologa forense Cristina Cattaneo, che aveva redatto una perizia medico-legale per la Procura. La Cattaneo ha ritenuto “opportuna” la riesumazione per poter effettuare ulteriori accertamenti, soprattutto sulla causa della morte. La riesumazione sarà eseguita da un collegio di consulenti, che sarà convocato dal pm entro la fine del mese. Il caso di Liliana Resinovich è ancora avvolto nel mistero. La donna era scomparsa da casa senza lasciare tracce e il suo corpo è stato ritrovato in circostanze che non hanno permesso di chiarire le cause della morte. L’ipotesi iniziale della Procura era quella del suicidio, ma l’autopsia non ha fornito elementi sufficienti per confermarla. A giugno, il gip del Tribunale di Trieste ha disposto nuove indagini sulla morte della donna, dopo che la Procura ne aveva chiesto l’archiviazione.
MORTE DI ANDREA PURGATORI
CORRIERE – ANDREA PURGATORI: LA PERIZIA SU ANDREA PURGATORI: MEDICI “NEGLIGENTI, SOTTOPOSTO A TERAPIE INUTILI”
Nuovi dettagli emergono sulla tragica morte di Andrea Purgatori, giornalista e conduttore televisivo, avvenuta a Roma lo scorso 19 luglio. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, i periti incaricati hanno accusato i medici di negligenza, sostenendo che un semplice trattamento antibiotico avrebbe potuto salvargli la vita. I periti hanno evidenziato che nessuno dei medici che ha assistito Purgatori presso la clinica Villa Margherita di Roma ha compreso appieno la gravità della sua condizione. Purgatori soffriva di un’endocardite, in combinazione con un tumore ai polmoni, ma secondo i periti, i segni di infezione erano evidenti e avrebbero richiesto una terapia antibiotica tempestiva. I medici coinvolti, compreso il medico curante e un cardiologo, sono stati accusati di non aver prescritto gli esami necessari per diagnosticare correttamente l’endocardite. Inoltre, Purgatori è stato sottoposto a terapie inutili, tra cui la radioterapia per presunte metastasi cerebrali, anziché ricevere la terapia antibiotica appropriata. La consulenza richiesta dal pubblico ministero, in seguito a un esposto della famiglia, ha indagato per omicidio colposo quattro dei medici coinvolti. I periti hanno evidenziato che le omissioni nella diagnosi e nel trattamento sono da attribuire all’imperizia e non al rispetto delle buone pratiche cliniche. Gli esperti hanno sottolineato che sarebbe stato necessario eseguire esami di laboratorio e strumentali per diagnosticare correttamente l’endocardite e identificare il patogeno responsabile dell’infezione. Inoltre, avrebbero dovuto consultare un infettivologo e valutare il trasferimento del paziente in un’altra struttura sanitaria. Anche se Purgatori è stato successivamente sottoposto a esami al Policlinico Umberto I, i medici hanno ipotizzato tempestivamente un’endocardite batterica e hanno eseguito gli accertamenti necessari per confermare la diagnosi. Tuttavia, è stato troppo tardi per salvare Purgatori, che è deceduto la mattina del 19 luglio.
ADNKRONOS – DISPOSTA LA PERIZIA SULLA CAUSA DELLA MORTE DEL GIORNALISTA ANDREA PURGATORI
Il gip di Roma ha disposto una perizia per determinare le cause della morte del giornalista Andrea Purgatori, avvenuta nel luglio dello scorso anno. Nel procedimento, quattro medici sono indagati con l’accusa di omicidio colposo. Il giudice ha incaricato quattro specialisti di rispondere a una serie di domande relative alla causa del decesso di Purgatori, alla presenza di eventuali metastasi e per stabilire il momento in cui si è verificata l’infezione cardiaca. Questi esperti avranno 90 giorni di tempo per completare la perizia. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, i consulenti tecnici della Procura hanno individuato gravi criticità nella refertazione della risonanza magnetica sull’encefalo eseguita l’8 maggio 2023. Tale referto ha erroneamente diagnosticato la presenza di metastasi cerebrali del tumore primario, escludendo invece tale condizione dagli accertamenti autoptici e istologici successivi. La richiesta di incidente probatorio avanzata dal pm Giorgio Orano ha sottolineato l’importanza di un accertamento peritale nel contraddittorio delle parti, considerando fondamentale l’apporto di competenze specialistiche di natura neurologica, cardiologica e infettivologica per stabilire le responsabilità e il nesso causale nel decorso clinico e nella morte di Purgatori. Si evidenzia inoltre che i consulenti tecnici del Pubblico Ministero hanno delegato la valutazione finale delle responsabilità dei firmatari del referto a uno specialista neuro radiologo. La perizia sarà essenziale per chiarire le circostanze legate alla morte di Andrea Purgatori e determinare eventuali responsabilità mediche nel trattamento del paziente.
OMICIDIO DI GIULIO REGENI
LAPRESSE – RICOMINCIA IL PROCESSO PER L’OMICIDIO DI GIULIO REGENI
La Corte d’Assise di Roma ospiterà oggi la prima udienza del processo per l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 in Egitto. Le indagini sono state ostacolate per anni dalle autorità egiziane. Quattro agenti dei servizi segreti egiziani sono stati rinviati a giudizio per concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato. Il processo è stato permesso dalla Corte Costituzionale italiana, che ha deciso che può procedere anche senza la notifica diretta degli atti processuali agli imputati. Giulio Regeni fu trovato morto con evidenti segni di tortura a Il Cairo, dove stava facendo ricerche sui sindacati. Le autorità egiziane hanno negato qualsiasi coinvolgimento e cercato di depistare le indagini, ma le accuse persistono.
DELITTO DI SAN BIAGIO
ANSA – DELITTO DI SAN BIAGIO: OMICIDIO DEL PADRE COMMESSO DAI FIGLI “CON DISINVOLTURA E SENZA SENSI DI COLPA”
Il delitto di San Biagio, che ha visto la morte di Pasquale Scalamandré, è stato commesso dai suoi figli Alessio e Simone con una naturalezza e disinvoltura che hanno impressionato i giudici della Corte d’Appello di Milano. I due giovani sono stati condannati a 21 e 14 anni di reclusione rispettivamente per l’omicidio del padre. Secondo i giudici, Alessio non ha mai dimostrato un senso di colpa o dispiacere per l’omicidio, nonostante avesse ucciso il padre con un mattarello e un cacciavite nella loro abitazione. La lite che aveva preceduto l’omicidio era stata denunciata dai figli contro il padre per maltrattamenti e minacce alla moglie, che era stata costretta a rifugiarsi in una casa protetta. La Corte d’Appello di Genova aveva inizialmente condannato Alessio a 21 anni e assolto Simone, ma la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza e rinviato il processo a Milano. I giudici milanesi hanno confermato le condanne di primo grado, sottolineando che l’omicidio era stato commesso con una furia cieca e un rabbioso accanirsi. Simone è stato considerato corresponsabile del delitto, seppur con un contributo causale di minima importanza. Gli avvocati dei due giovani stanno preparando un nuovo ricorso alla Cassazione contro la sentenza. La Corte d’Assise milanese ha respinto il concordato tra le parti, che aveva chiesto 11 anni per Alessio e 8 anni e 6 mesi per Simone. I giudici hanno sottolineato che il delitto non merita indulgenza, poiché denota un comportamento che ha costituito uno sfogo di istinti ritorsivi, totalmente svincolato da ogni freno inibitorio.
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ANSA – UCCISERO IL PADRE PER DIFENDERE LA MADRE: ALESSIO E SIMONE SCALAMANDRE’ CONDANNATI A 21 E 14 ANNI
I fratelli Scalamandrè condannati dalla Corte d’Assise d’appello di Milano per l’omicidio del padre Pasquale. Confermata la sentenza di primo grado emessa dall’Assise di Genova nel febbraio del 2022. I due sono accusati di aver ucciso a colpi di mattarello il padre, che era indagato per maltrattamenti nei confronti della madre. Lo avrebbero colpito diverse volte al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova il 10 agosto del 2020.
La sentenza
La Corte di Cassazione, nel novembre scorso, aveva annullato con rinvio la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’Assise d’appello genovese, con la quale Alessio era stato condannato a 21 anni, tenendo conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sulla aggravante di un delitto commesso in ambito famigliare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.
Era stato accolto infine anche il ricorso della Pg sull’assoluzione di Simone, con l’invito ai giudici milanesi a motivare adeguatamente una eventuale nuova sentenza di assoluzione.
13ENNE VIOLENTATA A CATANIA
REPUBBLICA – STUPRO DI PALERMO: ASIA MINACCIATA PER FARLE RITIRARE LA DENUNCIA
Asia Vitale, la ragazza 20enne che aveva subito uno stupro da parte di 7 ragazzi lo scorso luglio presso il Foro Italico di Palermo, ha vissuto una notte di terrore, conclusasi in una caserma dei carabinieri. Mentre si trovava con il fidanzato nel centro storico, sono stati intercettati da un’auto, dentro uno dei presunti aggressori di Asia e un altro individuo coinvolto nelle indagini sulla violenza sessuale contro la giovane. La situazione è precipitata quando il ragazzo, insieme alla madre, ha bloccato Asia e il fidanzato. La ragazza è stata quindi portata con la forza nella loro abitazione, mentre il fidanzato è stato trattenuto con un coltello puntato alla gola. La notte di terrore è proseguita con minacce di morte e aggressioni verbali e fisiche verso Asia. Il fidanzato di Asia ha raccontato di essere stato immobilizzato e costretto a vedere la propria compagna portata via con la forza. Asia e il fidanzato erano in piazza a Ballarò insieme ad altre persone quando è avvenuta l’aggressione. Nonostante il tentativo di liberarsi e cercare aiuto, il timore che peggiorasse la situazione li ha trattenuti. Solo dopo essere riuscito a liberarsi, il fidanzato è corso alla caserma dei carabinieri più vicina. La testimonianza del fidanzato è stata fondamentale per l’avvio delle indagini. Asia, una volta portata in caserma, ha confermato gli eventi, identificando i suoi rapitori. Madre e figlio sono stati trattenuti per ore e ora sono oggetto di indagine per reati gravi, tra cui minaccia aggravata e sequestro di persona.
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LEGGO – STUPRO DI CATANIA: SECONDO IL FIDANZATO DELLA 13ENNE “ERANO IN 13”
Per lo stupro di Catania ci sono sette indagati, tutti giovani egiziani. Per tre di essi (due minorenni e un 18enne) è stato disposto il carcere, ma del branco avrebbero fatto parte anche altre persone. A raccontare la violenza avvenuta lo scorso 30 gennaio nei bagni dei giardini di Villa Bellini, la vittima 13enne che con determinazione sta ricostruendo il suo incubo: «Tremavo come una bambina, ero terrorizzata». Ora spunta anche un video, che sarebbe stato usato come ricatto.
Per il momento, le ricostruzioni si basano sui racconti della ragazzina e del fidanzato 17enne, che è stato costretto ad assistere alla scena. Nei suoi ricordi, mentre a turni di due abusavano della fidanzatina, ci sarebbero state «dodici, tredici» persone. Secondo quanto riporta Il Messaggero, il fidanzato della 13enne avrebbe parlato di un video che uno dei due violentatori avrebbe mostrato ai ragazzi subito dopo averli accerchiati. Immagini girate pochi istanti prima, che riprendevano un momento di intimità tra i due fidanzati. «Lei ha detto che il video se lo potevano tenere, ma dovevano lasciarci andare, io invece gli ho chiesto di cancellarlo, mi ha risposto che ero pazzo e poteva ammazzarmi». La vittima è stata lucida e collaborativa fin dalle prime battute dell’indagine. Nessun tentennamento a dispetto della sua giovanissima età. Determinata ad avere giustizia, ma molto matura nel non cedere alla tentazione di una vendetta sommaria. Lo ha dimostrato indicando solo tre dei sette fermati. Sono gli unici di cui ricorda il volto. «Ero terrorizzata, impanicata», ha raccontato ai carabinieri dopo la violenza. La ragazzina è poi riuscita a liberarsi e chiedere aiuto e ha sporto denuncia descrivendo anche i violentatori. «Dicevo “smettila! Basta! Smettila», ha detto. «Poi alzando la testa mi sono accorta che dal soffitto del bagno, comunicante con gli altri due, vi erano due ragazzi del branco (uno a seguire l’altro) che ci guardavano». La ragazza ha riconosciuto i suoi violentatori. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, erano circa le 19 quando il branco, composto da giovani tra i 15 e i 19 anni, è entrato in azione sorprendendo i due fidanzati di 13 e 17 anni all’esterno dei bagni pubblici del parco dove si erano appartati poco prima. Subito sono scattati palpeggiamenti e pesanti apprezzamenti ai danni della minore che la ragazzina, insieme al ragazzo, ha cercato di evitare offrendo denaro e supporti elettronici, ma senza riuscirci. Il gruppo ha circondato i due ragazzi, avvertendoli che erano stati filmati e spingendoli di nuovo nei bagni. Qui infine il 17enne è stato tenuto con la forza, minacciato e colpito, e la ragazzina abusata sessualmente a turno da due minorenni. In quei minuti, mentre la ragazzina ha implorato diverse volte che non le facessero del male, il resto del branco ha impedito al 17enne di intervenire mentre altri si sono arrampicati sul bagno vicino a quello dove si trovava la vittima, «per godersi il turpe spettacolo» come ha sottolineato il giudice nelle ordinanze di arresto.
13ENNE VIOLENTATA A CATANIA: OGGI L’INTERROGATORIO DEGLI EGIZIANI ARRESTATI
Catania è scossa dallo stupro di gruppo di una ragazza di 13 anni, avvenuto nella villa comunale della città. Cinque sospettati sono stati arrestati, uno dei quali è ai domiciliari per aver collaborato. Oggi si terranno gli interrogatori di garanzia per i quattro maggiorenni accusati di questo atroce crimine, davanti al gip Carlo Umberto Cannella. Anche i tre minorenni, uno dei quali ha appena compiuto 18 anni, saranno sentiti. Nella sua visita a Catania per partecipare alla Festa della Santa Patrona e visitare la 3Sun Gigafactory Enel, il premier Giorgia Meloni ha espresso il suo sdegno per l’orrore subito dalla giovane vittima, paragonando il suo martirio a quello di Sant’Agata, celebrato quel giorno. Meloni ha sottolineato la gravità della violenza subita dalla ragazza, sequestrata e violentata mentre passeggiava con il fidanzato. Le indagini sono affidate a un pool speciale della Procura di Catania, composto da otto magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita. Questo gruppo ha un’elevata efficienza, trattando oltre 250 casi di codice rosso nell’ultimo semestre. Grazie al loro metodo collaudato, che unisce indagini tradizionali e tecnico-scientifiche, il caso è stato risolto in meno di 24 ore, dimostrando un deterrente per la violenza nella provincia, già segnata da femminicidi gravi in passato.
AGI – CATANIA: 13ENNE VIOLENTATA DA 7 RAGAZZI EGIZIANI (DI CUI 3 MINORENNI) DAVANTI AL FIDANZATO 17ENNE
Stupro del branco a Catania. Vittima una tredicenne bloccata da un gruppo di sette giovani, sarebbero tutti egiziani, tre dei quali minorenni. L’episodio risale al 30 gennaio ed è accaduto nei bagni della villa comunale. In sei sono stati arrestati nella mattinata, mentre il settimo è riuscito a sfuggire ai carabinieri che lo hanno rintracciato nel pomeriggio. E l’ultimo arrestato, minorenne, sarebbe uno dei due componenti del branco che avrebbe materialmente compiuto la violenza. Quando è stato rintracciato dia carabinieri, il giovane stava recuperando le sue cose dalla comunità in cui alloggiava, per fuggire e far perdere le sue tracce. Secondo quanto ricostruito la vittima era nella villa Bellini insieme al suo fidanzato di 17 anni che è stato immobilizzato, mentre due ragazzi nei bagni dell’area verde l’hanno violentata sotto lo sguardo degli altri cinque. La tredicenne insieme al fidanzato hanno denunciato i fatti, consentendo di risalire all’identità dei componenti del branco.
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