La Corte di Cassazione dichiara validi 5 referendum abrogativi (tra cui quello sulla modifica della legge sulla cittadinanza italiana per gli stranieri e quello sulla riforma del Jobs Act)

La Corte di Cassazione ha dichiarato validi cinque referendum abrogativi. Tra questi, uno riguarda la modifica della legge sulla cittadinanza italiana per gli stranieri. Gli altri quattro si concentrano su alcune regole del mercato del lavoro, in particolare sulla riforma del Jobs Act, approvata durante il governo di Matteo Renzi. I referendum abrogativi mirano a cancellare in tutto o in parte leggi esistenti e i risultati sono validi solo se partecipa al voto almeno il 50% più uno dei cittadini aventi diritto

Giovedì 12 dicembre, la Corte di Cassazione ha dichiarato validi cinque referendum abrogativi, oltre a quello contro la legge sull’autonomia differenziata. Tra questi, uno riguarda la modifica della legge sulla cittadinanza italiana per gli stranieri, mentre gli altri quattro si concentrano su alcune regole del mercato del lavoro, in particolare sulla riforma del Jobs Act approvata durante il governo di Matteo Renzi.

I referendum abrogativi hanno lo scopo di cancellare in tutto o in parte una legge. Per essere validi, i risultati devono essere confermati da un’affluenza al voto di almeno il 50% più uno dei cittadini aventi diritto. Dopo il via libera della Cassazione, i cinque quesiti referendari dovranno essere esaminati dalla Corte Costituzionale, che deciderà se sono ammissibili. Se la risposta sarà positiva, gli elettori saranno chiamati a votare per i referendum in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025.

**Il referendum sulla cittadinanza** propone di modificare due punti dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, che stabilisce le modalità di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri maggiorenni. Attualmente, la lettera “b” del comma 1 dell’articolo 9 prevede che la cittadinanza possa essere concessa «allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione». La lettera “f” consente invece di diventare cittadini «allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica». Il referendum propone di eliminare le parole «adottato da cittadino italiano» e «successivamente alla adozione» dal comma “b” e di cancellare tutto il comma “f”. In questo modo, per tutti gli stranieri maggiorenni si porterebbe a cinque anni il periodo di residenza legale necessario per richiedere la cittadinanza italiana.

Lo scorso settembre, il quesito referendario sulla legge sulla cittadinanza ha superato in breve tempo la soglia delle 500 mila firme necessarie per essere richiesto. Questo è stato sostenuto da alcuni partiti all’opposizione, tra cui il Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Più Europa e Italia Viva. I leader del Movimento 5 Stelle e di Azione, Giuseppe Conte e Carlo Calenda, hanno manifestato dubbi sul referendum, che potrebbe non essere considerato ammissibile dalla Corte Costituzionale per vari motivi.

**I quesiti sul Jobs Act** riguardano alcune regole del mercato del lavoro e sono stati promossi dal sindacato CGIL, insieme a vari partiti e associazioni. Due di questi referendum mirano a cancellare norme introdotte dal Jobs Act. Il primo quesito chiede di eliminare interamente il decreto legislativo n. 23 del 2015, che ha introdotto il “contratto di lavoro a tutele crescenti”. Con questo contratto, l’azienda che licenzia illegittimamente un lavoratore non è più tenuta a reintegrarlo come previsto in precedenza dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma solo a garantire un indennizzo economico basato sull’anzianità in azienda. Eliminando l’intero decreto-legislativo, il referendum punta a tornare alla situazione precedente al Jobs Act.

L’altro quesito sul Jobs Act propone di cancellare alcuni commi dell’articolo 19 e dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 81 del 2015 riguardanti la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato. In particolare, il quesito vuole eliminare la possibilità per i datori di lavoro di stipulare contratti a termine della durata massima di un anno, riportando la durata massima a due anni. Inoltre, il referendum esclude la possibilità di stipulare un contratto a termine per esigenze tecniche o organizzative dell’azienda e obbliga il datore di lavoro a comunicare sempre per iscritto le motivazioni del contratto a termine.

**I referendum sull’indennità nei licenziamenti e sulla sicurezza sul lavoro** riguardano l’indennità che un datore di lavoro deve dare al lavoratore licenziato senza giusta causa e gli infortuni sul lavoro. Il primo quesito chiede di eliminare il limite massimo di indennizzo nel caso di licenziamento senza giustificazioni. Attualmente, la legge prevede che un lavoratore licenziato senza giuste motivazioni riceva un risarcimento fino a sei stipendi mensili. Questo importo può arrivare fino a dieci mensilità se il lavoratore ha lavorato per più di dieci anni nell’azienda e fino a quattordici mensilità se ha lavorato per più di venti anni (a condizione che l’azienda abbia più di quindici dipendenti). Il referendum della CGIL vuole eliminare questo tetto massimo per l’indennità.

L’altro quesito referendario mira ad eliminare una parte dell’articolo 26 del decreto legislativo n. 123 del 2008 riguardante la sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare, il comma 4 esclude le aziende committenti da responsabilità in caso di infortunio o malattia professionale di un lavoratore. La legge prevede quindi che la responsabilità per gli infortuni ricada solo sulle aziende appaltatrici e non sulle aziende committenti. Il quesito referendario chiede quindi che venga cancellata questa esclusione della responsabilità delle aziende committenti, estendendo anche a loro la responsabilità per gli infortuni sul lavoro.