ANSA – Italia all’ultimo posto in Ue per neodiplomati già occupati

In Italia, il tasso di occupazione dei giovani neodiplomati è molto basso. Secondo i dati forniti da Eurostat, solo il 65,2% dei neolaureati italiani trova lavoro, mentre la media europea si attesta all’82,4%. Questo colloca l’Italia all’ultimo posto tra i paesi dell’Unione Europea, preceduta solo da Grecia e Romania in termini di occupazione giovanile.

Nel 2022, il tasso di occupazione dei neolaureati in Italia è stato significativamente inferiore rispetto a quello di altri paesi europei. Ad esempio, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno registrato un tasso di occupazione del 93%, la Germania del 92% e Malta del 91%. In Italia, il tasso di occupazione è rimasto stagnante, e sebbene ci sia stata una crescita dal 2014 al 2022, con un incremento di 7 punti percentuali, la pandemia di Covid-19 ha interrotto questa tendenza positiva.

Inoltre, i dati mostrano una differenza di genere nel tasso di occupazione. Tradizionalmente, i neolaureati maschi hanno un tasso di occupazione più elevato rispetto alle neolaureate. Tuttavia, nel 2022, questo divario si è ridotto a soli 2 punti percentuali, il livello più basso degli ultimi otto anni. Le disparità nei tassi di occupazione sono attribuite anche alla scelta dei campi di studio, poiché uomini e donne tendono a specializzarsi in discipline diverse, con una maggiore presenza maschile nelle scienze e nella tecnologia.

Un ulteriore aspetto preoccupante è l’emigrazione dei laureati italiani. Tra il 2010 e il 2021, circa 83.000 laureati in più hanno lasciato il paese rispetto a quelli che sono tornati, e nel 2020, nonostante le difficoltà legate alla pandemia, oltre 18.000 giovani laureati tra i 25 e i 34 anni hanno scelto di trasferirsi all’estero. Questo fenomeno è visto come una perdita significativa per il potenziale di crescita del paese.

Infine, il Consiglio Nazionale dei Giovani ha sollevato preoccupazioni riguardo al futuro lavorativo dei giovani, evidenziando il rischio di dover ritirarsi dal lavoro a 74 anni con pensioni di poco più di 1.000 euro. Questo scenario è aggravato dalla crescente precarizzazione del lavoro, caratterizzata da retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali.