Israele ha confiscato oltre cinquemila ettari di terre palestinesi in Cisgiordania dal 7 ottobre

Dal 7 ottobre Israele ha confiscato oltre cinquemila ettari di terre palestinesi nella Cisgiordania occupata. Secondo i dati forniti dalla Wall and Settlement Resistance Commission, un’organizzazione palestinese, si tratta del più alto numero di confische mai registrato in così breve tempo, con oltre 5.200 ettari di territorio sottratti in un solo anno, in violazione delle leggi internazionali

Dal 7 ottobre, mentre l’attenzione globale è concentrata sugli eventi di Gaza, Israele ha confiscato oltre cinquemila ettari di terre palestinesi nella Cisgiordania occupata. Secondo i dati forniti dalla Wall and Settlement Resistance Commission, un’organizzazione palestinese, si tratta del più alto numero di confische mai registrato in così breve tempo, con oltre 5.200 ettari di territorio sottratti in un solo anno, in violazione delle leggi internazionali.

R., un abitante del villaggio di Beit Lid, nel nord della Cisgiordania, osserva sconsolato un nuovo avamposto militare israeliano costruito di recente nella sua zona: «L’annessione totale della Palestina sarà presto realtà se la comunità internazionale non fa nulla e gli occidentali continueranno a finanziare Israele», afferma. R. descrive una situazione complessa e drammatica: accanto alla confisca delle terre, i palestinesi subiscono distruzioni di case, blocchi stradali, attacchi ai civili e limitazioni crescenti.

A Beit Lid, un paesino di 5.600 abitanti situato tra Tulkarem e Nablus, sono stati confiscati 3 ettari di terra per ampliare la colonia di Einav con il nuovo avamposto di Abu Jamrah. Davanti agli occhi di chi vive lì, sorgono caravan, prefabbricati, antenne e mezzi. R. racconta che solo nella provincia di Tulkarem sono state costruite quattro nuove colonie: Qaffin, Shweikeh, Avni Hevets (Shouffeh) e Jbara. «Si stanno prendendo sempre più terre, nel silenzio di tutti», aggiunge.

Le famiglie della zona, come quella di R., non possono più accedere alle loro terre, nemmeno per pochi giorni. «Quest’anno ci hanno impedito la raccolta di circa 2.000 ulivi», afferma R., spiegando che si tratta di un danno grave per un’economia locale già fragile. Racconta anche episodi di furti, come quello di alcuni coloni che hanno tentato di rubare gli asini della comunità.

Secondo il rapporto della Wall and Settlement Resistance Commission, la confisca delle terre avviene tramite vari pretesti: circa 2.400 ettari sono stati dichiarati “terre statali” dal ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, 2.500 ettari sono stati sottratti con la giustificazione di modificare i confini delle “riserve naturali” e 123,3 ettari per “scopi militari”.

La pratica di dichiarare terre palestinesi come “statali” era stata temporaneamente sospesa nel 1992, ma ripresa nel 1998 dal primo governo Netanyahu. Da allora, le confische sono continuate in modo periodico, raggiungendo i 4.000 ettari fino al 7 ottobre 2023. Negli ultimi 14 mesi, però, si è registrata un’accelerazione: l’obiettivo dichiarato, secondo quanto riferiscono fonti israeliane, è creare collegamenti tra le colonie esistenti, costruirne di nuove e rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese.

«Il 2025 sarà l’anno della sovranità su Giudea e Samaria», ha scritto Bezalel Smotrich su X (ex Twitter), riferendosi alla Cisgiordania con il nome utilizzato da Israele per indicare questa area. Intanto, secondo l’organizzazione israeliana Peace Now, dal 7 ottobre sono stati costruiti almeno 43 nuovi avamposti e cinque colonie, mentre 70 avamposti illegali secondo la stessa legge israeliana sono stati legalizzati.

La costruzione di questi insediamenti è supportata da un ampio sistema infrastrutturale: decine di chilometri di nuove strade e un finanziamento di oltre 7 miliardi di shekel (circa 1,84 miliardi di euro) sono stati approvati per collegare le colonie e favorire l’arrivo di nuovi coloni. Oltre 450 milioni di shekel sono stati stanziati per “progetti” a sostegno delle colonie. Allo stesso tempo, ai palestinesi viene di fatto impedito di costruire nuove abitazioni.

Le conseguenze di queste azioni sono drammatiche per la popolazione locale. Almeno 277 famiglie palestinesi, pari a circa 1.630 individui, e tra 19 e 28 comunità beduine sono state costrette ad abbandonare le proprie terre. Atti di violenza da parte di coloni e militari, come incendi, furti di bestiame e distruzione di mezzi di sussistenza, sono all’ordine del giorno. Dal 7 ottobre, si contano 16.663 attacchi contro proprietà palestinesi e almeno 900 case demolite, oltre a quelle distrutte o danneggiate durante i raid militari.

Di fronte a questa escalation, il Ministero degli Affari Esteri palestinese ha espresso forte preoccupazione e ha invitato la comunità internazionale a far rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, inclusa la decisione dell’Assemblea Generale che sostiene il parere della Corte Internazionale di Giustizia. «Risolvere la questione palestinese e porre fine all’occupazione è l’unico modo per raggiungere la sicurezza, la stabilità e la prosperità per la regione e per il mondo», ha dichiarato.