Israele ha aperto ieri le celebrazioni del Giorno dei caduti mentre le operazioni militari continuano a Gaza. L’esercito israeliano (IDF) è entrato per la seconda volta nel campo profughi di Jabalia, nel Nord, e per la terza a Zeitoun, periferia Sud di Gaza city, nel centro. Altre operazioni si sono svolte anche a Beit Lahiya e Beit Hanoun, zone in cui si è già combattuto nei mesi passati.
Questa strategia di conquista di determinate aree, bonifica di uomini e armi di Hamas e successivo ritiro, porta risultati nel breve periodo ma non funziona nel lungo termine. Nel vuoto lasciato, i militanti tornano a guadagnare terreno. L’esercito è frustrato dall’assenza di un piano per il giorno dopo, come evidenziato da diversi commentatori israeliani.
Ben Caspit, su Maariv, scrive che il regime di Hamas non può essere eliminato senza preparare un’alternativa. Yossi Yehoshua, esperto militare su Yedioth Ahronoth, spiega che i vertici dell’esercito hanno chiesto a Netanyahu una decisione: se nessuno vuole Hamas, non resta che l’Autorità nazionale palestinese o l’individuazione di forze moderate a Gaza che possano godere del supporto dei Paesi arabi. Non ci sono soluzioni magiche, ma bisogna decidere perché la mancanza di decisioni ha portato alla situazione attuale.
A Rafah, la situazione umanitaria è sempre difficilissima. L’apertura del valico per il passaggio degli aiuti al Nord, annunciata dall’IDF, non aiuta perché non è possibile attraversare la Striscia. L’ONU ha messo in guardia dalla catastrofe umanitaria, e il segretario di Stato americano Blinken ha espresso la frustrazione degli USA: l’offensiva su Rafah “rischia di causare danni enormi alla popolazione civile senza risolvere il problema”.