L’impresa di Fiume

Tra il primo dopoguerra e l’ascesa del fascismo, la città di Fiume venne reclamata dai nazionalisti italiani guidati da Gabriele d’Annunzio

L'impresa di Fiume
L’impresa di Fiume. L’impresa di Fiume è stato uno degli eventi più significativi della storia del Regno d’Italia. Tale episodio vide protagonista il poeta Gabriele d’Annunzio, il quale organizzò in prima persona l’occupazione della città indipendente di Fiume.

Cos’è l’impresa di Fiume

L’impresa di Fiume fu un episodio, a cavallo tra il primo dopoguerra e l’ascesa del fascismo, che consistette nell’occupazione della città di Fiume (contesa tra il Regno d’Italia ed il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni) da parte di reparti ribelli del Regio Esercito italiano.

L’intento era quello di proclamare l’annessione della città all’Italia forzando la mano ai delegati delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale (impegnati nella Conferenza di pace di Parigi).

La spedizione fu capeggiata dal poeta Gabriele D’Annunzio e organizzata da una coalizione politica guidata dall’Associazione Nazionalista Italiana (cui parteciparono esponenti del Mazzinianesimo, del Futurismo e del Sindacalismo rivoluzionario).

L’occupazione iniziò il 12 settembre del 1919 e fino al 28 dicembre del 1920, con alterne vicende (tra cui la proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro). Quando i ribelli si opposero al Trattato di Rapallo, il governo italiano sgombrò la città con la forza durante il Natale 1920.

La storia

Nel 1915, l’Italia aveva fatto il suo ingresso nella Prima Guerra Mondiale con la promessa che, in caso di vittoria, avrebbe esteso i propri confini al Trentino, all’Alto Adige, alla Venezia Giulia, a buona parte dell’Istria e della Dalmazia settentrionale.

Le clausole della Conferenza di pace di Parigi del 1919 negarono, però, agli italiani la Dalmazia, l’Istria e la città di Fiume (che non era prevista negli accordi iniziali, ma che l’Italia reclamò come indennizzo rispetto alle promesse mancate).

La principale ragione del diniego fu la creazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi divenuto Jugoslavia) che doveva riunire tutte le genti slave in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli proclamato dal presidente americano Woodrow Wilson. Quindi, la Dalmazia, abitata principalmente da slavi, non venne affidata all’Italia. Fiume, però, era popolata principalmente da cittadini d’origine italiana e ciò accese le ire dei nazionalisti.

Nel 1919, Gabriele d’Annunzio, voce nazionalista più autorevole e uomo più celebre del Regno (poeta, scrittore ed intellettuale), era diventato il Vate, la guida della nazione. Dopo la pubblicazione delle clausole dei vari trattati di pace, d’Annunzio tuonò contro le mancate promesse che sfregiavano l’onore italiano, trovando un vasto consenso tra la popolazione. Questo soprattutto perché l’Italia del dopoguerra stava attraversando un forte momento di crisi (tra povertà, scioperi e scontri di piazzi, in molti trovarono nelle parole del Vate un faro di speranza).

Quindi, appoggiato da alcune frange di reduci di guerra e di truppe regolari dell’esercito, d’Annunzio organizzò una vera e propria cospirazione per prendere possesso della città di Fiume e rivendicarla come conquista italiana. Così, il 12 settembre del 1919, d’Annunzio e i suoi circa 2.600 “legionari” entrarono a Fiume acclamati dalla popolazione italiana e istituirono un governo provvisorio e una “Carta Costituzionale” (la Carta del Camaro).

Fu grande l’entusiasmo di molti cittadini in patria (tra i quali Benito Mussolini, che sostenne anche economicamente i legionari con le raccolta fondi del suo giornale “Il Popolo d’Italia”) ma il Governo italiano presieduto da Francesco Saverio Nitti oppose le proprie rimostranze. La presa di Fiume era, infatti, una violazione dei trattati che lo stesso Regno Italiano aveva firmato e ciò avrebbe aperto una complicata disputa diplomatica.

Così, il Governo, dopo aver sospeso i rifornimenti alla città, cominciò a cercare una risoluzione pacifica con d’Annunzio e i suoi, impegnandosi a difendere la città da ogni tentativo d’annessione jugoslavo.

Nitti incaricò il generale Badoglio di intavolare delle trattative con d’Annunzio e i suoi rappresentanti, al fine di trovare una soluzione di compromesso. Così, il 23 novembre, il governo italiano consegnò a d’Annunzio una proposta (definita Modus vivendi). Con questo documento il governo italiano si impegnava a impedire che la città potesse essere annessa alla Jugoslavia.

D’Annunzio e i suoi, però, volevano l’annessione definitiva ai confini italiani, ma il 15 dicembre, il Consiglio nazionale della città di Fiume approvò le proposte del governo italiano (con 48 voti favorevoli e 6 contrari).

Gli elementi più accesi dei legionari contestarono le decisioni prese dal Consiglio arrivando anche a intimidire gli elementi più moderati. Così, si preferì indire un plebiscito per decidere il da farsi. Lo scrutinio iniziò la sera stessa mostrando un andamento favorevole all’accoglimento delle proposte italiane. I legionari, però, bloccarono lo scrutinio sequestrando le urne e D’Annunzio colse l’occasione per annullare quelle elezioni.

Badoglio interruppe ogni trattativa e lasciò l’incarico di commissario della Venezia Giulia. Al suo posto subentrò il generale Enrico Caviglia. D’Annunzio, invece, formò la Reggenza italiana del Carnaro (proclamando l’indipendenza civile e militare della città in attesa dell’annessione all’Italia).

Nel 1920, al governo italiano c’era il vecchio Giovanni Giolitti, il quale era deciso a “normalizzare” i rapporti con la Jugoslavia. Così, il 12 novembre del 1920 venne firmato il Trattato di Rapallo che disegnava i confini italiani e jugoslavi. L’Italia ottenne Trieste, Pola, Zara e Gorizia. riconoscendo Fiume come Stato libero e indipendente. D’Annunzio non riconobbe quanto stabilito a Rapallo e il governo fu costretto a incaricare il generale Caviglia di far sgomberare con la forza i ribelli.

L’attacco, con tanto di cannoni e mitragliatrici, iniziò il 24 dicembre del 1920 (d’Annunzio parlò di “Natale di Sangue”) e si concluse il 28 dicembre. Nel gennaio del 1921 terminò l’occupazione e d’Annunzio tornò in Italia insieme ai suoi seguaci.

Nel 1922, altri nazionalisti tornarono a Fiume e la occuparono fino al 1924 (quando il nuovo governo fascista di Mussolini annetté la città ai confini italiani).Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la fine del fascismo, Fiume tornò alla Jugoslavia. Oggi fa parte della nuova Croazia indipendente e si chiama Rijeka.

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