Il rogo di Primavalle è stato un attacco compiuto dal movimento della sinistra extraparlamentare Potere Operaio nel quartiere popolare di Primavalle
Il rogo di Primavalle è stato un attacco compiuto dal movimento della sinistra extraparlamentare Potere Operaio nel quartiere popolare di Primavalle. Nell’incendio persero la vita Virgilio e Stefano Mattei (22 e 8 anni), figli di Mario Mattei (segretario locale del Movimento Sociale Italiano).
Il 16 aprile 1973, aderenti al movimento della sinistra extraparlamentare Potere Operaio compirono un attacco con finalità di incendio doloso nel quartiere popolare di Primavalle a Roma. Nell’incendio morirono Virgilio e Stefano Mattei, figli di Mario Mattei, segretario locale del Movimento Sociale Italiano.
3 esponenti dell’organizzazione furono condannati a 18 anni di reclusione per incendio doloso e duplice omicidio colposo, uso di esplosivo e materiale incendiario. Achille Lollo, uno degli esponenti, ammise solo nel 2005 di avere realizzato, con altri, un attentato dimostrativo con una bomba artigianale non esplosa rivolto a Mario Mattei, ma sostenne sempre di non aver incendiato la casa con la benzina. Non sono mai state chiarite le effettive dinamiche dell’atto.
Il fatto
Nella notte del 16 aprile 1973, 3 membri di Potere Operaio si recano a casa di Mario Mattei, ex netturbino e segretario della sezione Giarabub del Movimento Sociale Italiano a Primavalle, con l’intenzione di intimidirlo. Versano 5 litri di benzina sotto la porta dell’appartamento, dove vive Mattei con la moglie Anna Maria e i loro sei figli, nel tentativo di appiccare il fuoco alla porta. L’azione va tragicamente oltre le intenzioni, quando l’accensione artigianale fa esplodere la benzina e l’incendio divampa rapidamente in tutto l’appartamento.
Mario Mattei riesce a fuggire gettandosi dal balcone. La moglie Anna Maria e i 2 figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3 anni, riescono a scappare dalla porta principale quando il fuoco comincia a diffondersi. Grazie all’aiuto del padre, Lucia di 15 anni scende dal balconcino del secondo piano e poi si getta, venendo presa al volo dal padre che si è buttato già a terra nonostante le ustioni sul suo corpo. Silvia, 19 anni, si getta dalla veranda della cucina, battendo la testa sulla ringhiera del secondo piano, la schiena sul tubo del gas e venendo trattenuta per qualche istante dai fili del bucato prima di cadere sul marciapiede del cortile, riportando la frattura di 2 costole e 3 vertebre.
Gli altri 2 figli, Virgilio di 22 anni, militante di estrema destra nel corpo paramilitare dei Volontari Nazionali, e il fratellino Stefano di 8 anni, morirono bruciati vivi non riuscendo a gettarsi dalla finestra per scampare alle fiamme. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era radunata nei pressi dell’abitazione e che assistette alla morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale a cercare aiuto, e di Stefano, scivolato all’indietro dopo che il fratello maggiore che lo teneva con sé perse le forze. I corpi carbonizzati vennero trovati dai vigili del fuoco vicino alla finestra stretti in un abbraccio.
Gli attentatori lasciarono sul selciato una rivendicazione della loro azione: “Brigata Tanas – lotta di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”.
Le indagini di Potere Operaio
Potere Operaio scoprì subito come l’azione fosse stata compiuta. Secondo quanto riportato da Valerio Morucci nel suo libro, il vertice del movimento ottenne informazioni precise sulla questione.
Inizialmente, i presunti colpevoli furono interrogati, ma le loro risposte non risultarono convincenti. Per questo motivo, Morucci venne incaricato di investigare sull’accaduto.
Nel suo libro “Ritratto di un terrorista da giovane” del 1999, Morucci racconta di un “interrogatorio” che tenne, armato di pistola, con lo scopo di “esortare” uno dei colpevoli a confessare. Alla fine, Marino Clavo ammise la sua responsabilità nell’azione.
Le indagini della magistratura
Nell’aprile del 1973, il sostituto procuratore Domenico Sica iniziò ad indagare sull’attentato di Milano e si concentrò subito sulle piste che portavano all’area della sinistra extraparlamentare, in particolare agli esponenti dell’ala più attiva di Potere Operaio. Vennero effettuate perquisizioni e interrogatori su alcuni militanti appartenenti alla Brigata Tanas, un gruppo semiclandestino di Potere Operaio.
Dopo aver raccolto indizi e riscontri, il 18 aprile 1973, vennero emessi tre mandati di arresto per i presunti responsabili, ovvero Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo. Lollo venne subito catturato, mentre Clavo e Grillo riuscirono a fuggire e si rifugiarono in Svizzera.
Solo 3 settimane dopo l’attentato, il 7 maggio 1973, l’inchiesta giudiziaria venne chiusa e il giudice istruttore Amato formalizzò le accuse di strage nei confronti di Achille Lollo (che era in carcere) e di Marino Clavo e Manlio Grillo, ancora latitanti.
Tentativi di depistaggio e gli scontri durante le udienze
Durante le udienze relative all’incendio di Primavalle, ci furono tentativi di depistaggio e scontri. Un opuscolo chiamato “Controinchiesta” attribuì la responsabilità ad una faida interna tra esponenti di destra. Nel libro intitolato “Primavalle: Incendio a porte chiuse” del “Collettivo Potere Operaio“, l’editore sostenne che l’incendio di Primavalle non sembrava essere il risultato di un meccanismo di provocazione premeditato a lungo e ad alto livello, come una “strage di stato“. Piuttosto, fu descritto come una trama costruita affannosamente dalla polizia e dalla magistratura in modo da sfruttare un’occasione per trasformare un “banale incidente” o un oscuro episodio, nato e sviluppatosi nel “vermicaio della sezione fascista del quartiere“, in un’occasione per rilanciare gli opposti estremismi in un momento in cui la strage del giovedì nero con l’uccisione dell’agente Marino (avvenuta a Milano 3 giorni prima) aveva vanificato la credibilità degli stessi.
Molti intellettuali e giornali si schierarono per difendere gli imputati del caso. Tra i giornali più autorevoli che adottarono queste posizioni ci fu Il Messaggero, il quotidiano più diffuso di Roma, di proprietà dei fratelli Ferdinando e Alessandro Perrone (e diretto da quest’ultimo), rispettivamente padre e zio di Diana Perrone. Diana Perrone era una militante di Potere Operaio che in seguito fu coinvolta nelle indagini e deceduta il 9 maggio 2013 a Roma, a causa di una lunga malattia. Inizialmente, Diana Perrone fornì un alibi per Lollo, Clavo e Grillo, ma poi, dopo una forte pressione del padre, ritrattò la sua testimonianza, sostenendo che lei era solo in compagnia di Gaeta e non degli indagati. Non è mai stato chiarito se Perrone fosse a conoscenza delle intenzioni di Lollo e degli altri partecipanti al rogo.
In una lettera datata 28 aprile 1973, Franca Rame, allora esponente dell’Organizzazione Soccorso Rosso Militante, scrisse a Lollo, dicendo che l’aveva inserito nella sua organizzazione e che avrebbe ricevuto denaro dai compagni e lettere per fargli sentire meno sola. Anche alcuni autorevoli personaggi della sinistra contribuirono alla campagna a favore degli imputati, tra cui il senatore comunista Umberto Terracini, già presidente dell’Assemblea Costituente e uno dei tre firmatari della Costituzione italiana, il deputato socialista Riccardo Lombardi, già membro dell’Assemblea Costituente e capo storico della corrente “autonomista” del suo partito, l’autore e attivista Dario Fo, compagno e poi marito di Franca Rame, e lo scrittore Alberto Moravia.
I processi
Il primo grado
Il processo di primo grado del Rogo di Primavalle è iniziato il 24 febbraio 1975, quasi due anni dopo l’incendio, e si è tenuto sotto la presidenza del magistrato Giovanni Salemi. All’inizio del processo solo uno dei 3 imputati, Achille Lollo, era stato arrestato mentre gli altri 2, Manlio Grillo e Marino Clavo, erano ancora latitanti.
Il processo si è svolto per più di 3 mesi, durante i quali ci sono state violente manifestazioni dei militanti della sinistra extraparlamentare che chiedevano il proscioglimento dei 3 militanti di Potere Operaio. In particolare, il 28 febbraio 1975, alla fine della quarta udienza, ci sono stati scontri tra giovani di destra e di sinistra fuori dal Tribunale, a Piazzale Clodio: durante questi scontri, uno studente greco del FUAN di nome Mikis Mantakas è stato ucciso a colpi di pistola da estremisti di sinistra nei pressi del Palazzo di Giustizia.
La Pubblica Accusa, che aveva rinviato a giudizio Lollo, Grillo e Clavo, ha chiesto la condanna all’ergastolo per strage. Tuttavia, il processo in Corte d’Assise si è concluso il 15 giugno 1975 con l’assoluzione degli imputati dalle accuse di incendio doloso e omicidio colposo per insufficienza di prove.
Il secondo grado
Il processo di secondo grado del Rogo di Primavalle ebbe luogo nel 1981 dopo la sentenza emessa nel primo grado. Questo processo si concluse con una sentenza di annullamento, in quanto la Corte d’Assise d’appello di Roma rilevò un problema riguardante uno dei giudici popolari che partecipavano al collegio di giudici. Si scoprì che questo giudice popolare era affetto da una condizione di salute chiamata “sindrome neuroastenica di tipo depressivo” che lo rendeva inadeguato a svolgere le sue funzioni in modo imparziale.
Nel 1984, la sentenza emessa nel secondo grado venne anch’essa annullata dalla Cassazione, che decise di trasmettere gli atti del processo a una diversa sezione della Corte d’Assise d’appello per un ulteriore svolgimento del processo.
Durante il processo d’appello bis, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo furono condannati a 18 anni di carcere per vari capi di accusa, tra cui incendio doloso, duplice omicidio colposo, uso di esplosivi e materiale incendiario.
Dopo essere stati rilasciati in attesa del processo d’appello, Achille Lollo, con l’aiuto economico e strategico di Dario Fo e Franca Rame, fuggì in un paese del Sud America che riteneva non avesse trattati di estradizione con l’Italia, il Brasile. Tuttavia, si scoprì in seguito che effettivamente esistevano trattati di estradizione tra i due paesi. Nonostante ciò, Achille Lollo poté rimanere in Brasile in quanto, secondo la legge brasiliana, il reato commesso era prescritto a causa del lungo periodo di tempo trascorso dalla sua commissione al momento della richiesta di estradizione.
Manlio Grillo, invece, si rifugiò in Nicaragua grazie alla complicità di Oreste Scalzone, che era anche coinvolto nella vicenda. Marino Clavo risulta tuttora non rintracciabile, la sua posizione è sconosciuta.
Condanna definitiva e prescrizione
La condanna definitiva in Cassazione indica che la sentenza di condanna emessa in secondo grado, nel caso specifico del Rogo di Primavalle, fu confermata anche dalla Corte di Cassazione il 13 ottobre 1987. Ciò significa che la sentenza ha acquisito efficacia definitiva e non può essere più oggetto di ulteriori ricorsi o impugnazioni. In altre parole, il verdetto di colpevolezza è diventato definitivo e vincolante.
Quanto alla prescrizione, la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha dichiarato estinta la pena su istanza dell’avvocato Francesco Romeo, difensore di Marino Clavo, uno dei responsabili del Rogo di Primavalle. La prescrizione è un istituto giuridico che implica l’estinzione della pena a seguito del decorso del tempo. Nella presente situazione, l’articolo 172 del Codice Penale stabilisce che la pena della reclusione si estingue con il trascorrere di un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.
Nel caso del Rogo di Primavalle, la condanna era stata di 18 anni di reclusione, considerando il concorso di vari reati. L’incendio doloso era punito con 8 anni di reclusione, mentre ciascuno dei due omicidi colposi e la detenzione di esplosivo erano puniti con 3 e 4 anni di reclusione rispettivamente. Pertanto, per l’estinzione della pena, si prende in considerazione la condanna relativa al reato più grave, ovvero gli 8 anni per l’incendio doloso.
In base a questa disposizione, il tempo necessario per l’estinzione della pena sarebbe stato di 16 anni, considerando il doppio della condanna per l’incendio doloso. Tale termine è scaduto il 12 ottobre 2003. Di conseguenza, la pena è stata dichiarata estinta per prescrizione, il che significa che i responsabili non possono più essere puniti per i reati commessi nel contesto del Rogo di Primavalle.
Tentativi di riapertura del caso
Sono stati effettuati tentativi di riaprire il caso dell’attentato di Primavalle.
Nel 2005, una serie di interviste ha portato alla riapertura dei fascicoli.
Il 10 febbraio, il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista ad Achille Lollo in cui lui stesso ha ammesso la sua colpevolezza e quella degli altri due condannati insieme a lui. Ha aggiunto che sei persone hanno partecipato all’attentato: i 3 condannati e altri tre di cui Lollo ha fornito i nomi: Paolo Gaeta, Diana Perrone (figlia dell’editore Ferdinando) ed Elisabetta Lecco. Lollo ha anche ammesso di aver ricevuto aiuti dall’organizzazione per fuggire. Achille Lollo, che per anni ha vissuto in Brasile dichiarandosi rifugiato politico (status non riconosciuto dalle autorità locali), è tornato in Italia nel gennaio 2011.
Il 12 febbraio, Oreste Scalzone, all’epoca dirigente di Potere Operaio, ha rilasciato un’intervista a RaiNews24 in cui ha dichiarato di aver aiutato due colpevoli a fuggire.
Il 13 febbraio, Franco Piperno, all’epoca Segretario Nazionale di Potere Operaio, ha confermato, in un’intervista su La Repubblica, che il vertice di Potere Operaio era stato informato di tutto, anche se solo dopo i fatti.
Il 17 febbraio, anche Manlio Grillo ha ammesso per la prima volta, in un’intervista pubblicata su La Repubblica, la sua responsabilità e il fatto che ha ricevuto aiuti dall’organizzazione per fuggire. In seguito, nell’ottobre 2006, ha affermato che la cellula terroristica a cui apparteneva era legata alle Brigate Rosse.
Lanfranco Pace, all’epoca dirigente di Potere Operaio a Roma, ha negato che ci siano stati mandanti nell’attentato e ha sostenuto che si trattò di un’iniziativa autonoma.
La vicenda è stata riaperta dalla procura di Roma in quanto sono emersi nuovi dettagli dalle dichiarazioni degli imputati. Ciò ha consentito di ipotizzare un reato di strage. Paolo Gaeta, Diana Perrone ed Elisabetta Lecco sono stati iscritti nel registro degli indagati per strage, un reato per il quale non si applica la prescrizione. Lollo, Clavo e Grillo, che sono già stati processati, condannati (sebbene non per strage) e prescritti, non possono più essere imputati per nessun reato in relazione all’attentato di Primavalle.
Nel 2005, la famiglia Mattei ha presentato una denuncia indicando Lanfranco Pace, Valerio Morucci e Franco Piperno come mandanti dell’attentato. Le dichiarazioni rilasciate da queste persone in quell’anno suggeriscono che potrebbero aver avuto conoscenza dei fatti e che il depistaggio potrebbe essere stato intenzionale.
Finora, tutti gli organizzatori, gli esecutori e i complici dell’attentato sono liberi e alcuni di loro svolgono ruoli di rilievo nell’informazione pubblica e nella pubblicistica (Pace, Morucci, Piperno, Scalzone, Grillo); altri sono ancora latitanti all’estero, mentre altri non sono rintracciabili (Clavo).
Lollo, confermando le conclusioni delle perizie, ha confessato che si trattava di un attentato dimostrativo che è andato male per un errore. Ha lasciato intendere che qualcuno avrebbe versato la benzina nell’appartamento dopo che i militanti di PotOp erano fuggiti dalla scena del crimine, lasciando la tanica inesplosa davanti alla porta:
“Non volevamo causare un incendio né uccidere. Doveva essere un’azione dimostrativa, simile ad altre che avevamo fatto contro i fascisti a Primavalle. Ma quando stavo montando l’innesco, il preservativo si è rotto… La bomba artigianale, chiamata “Lilli” all’epoca, era composta da una tanica, circa due o tre litri di benzina e i due preservativi che contenevano acido solforico, diserbante e zucchero. L’innesco avrebbe dovuto far esplodere i gas della benzina. Se tutto fosse andato come previsto, avremmo provocato una grande esplosione e la porta dell’appartamento sarebbe stata annerita. Invece ho commesso un errore, l’acido mi è colato tra le mani e siamo fuggiti, lasciando la tanica intatta. Da quel giorno ho dei dubbi su ciò che è realmente successo dopo. Non abbiamo mai avuto l’intenzione di versare la benzina sotto la porta per incendiare l’appartamento. Mai. Del resto, tutte le perizie ci hanno dato ragione.”
Ha inoltre confermato che non aveva intenzione di uccidere nessuno, ma solo di spaventare Mattei danneggiando l’ingresso dell’appartamento. “Non abbiamo appiccato fuoco alla casa dei Mattei. Quella notte sono accadute troppe cose strane. Nessuno ha versato benzina sotto la porta. L’accenditore non si è acceso. E poi, loro non sono stati colti di sorpresa, ci stavano aspettando… Non so cosa pensare. Ma non sto dicendo che sono innocente (…) Se mi avessero dato otto anni invece di sedici, li avrei scontati senza fuggire. Avevo fiducia che le indagini avrebbero ricostruito i fatti. Invece, sono stato io a farlo dopo 32 anni.”
Nel 2005 è stato ufficialmente riaperto il caso, con un processo contro Gaeta, Perrone e Lecco (Primavalle-bis), e un’inchiesta contro Pace, Morucci e Piperno (Primavalle-ter). Il processo è stato interrotto quando Diana Perrone è stata dichiarata legalmente incapace di stare in giudizio dal tribunale di Roma a causa della sua malattia neurologica, che alla fine l’ha portata alla morte. Questo ha anche interrotto il procedimento di risarcimento civile.
Archiviazione Primavalle-bis
L’indagine nota come Primavalle-bis è stata archiviata nel 2011 dalla procura, nonostante un tentativo di riapertura. Il procedimento coinvolgeva Gaeta, Lecco e Perrone ed era già stato chiuso nel 2010 a causa dell’impossibilità di procedere, a causa della mancanza di trattati per le rogatorie internazionali con il Nicaragua e il Brasile. Lollo, un altro imputato, è rientrato solo nel 2011, dopo la prescrizione e l’archiviazione del caso.
Primavalle-ter
Dopo la scomparsa della Perrone nel 2013, il processo avrebbe potuto riprendere per gli altri imputati, ma anche il procedimento Primavalle-ter, che riguarda Pace, Morucci e Piperno come mandanti per il reato di strage, è stato sospeso. Questo è dovuto alla precedente condanna per omicidio colposo e incendio, che rappresenta un’anomalia giuridica. I reati sono infatti prescritti con la specifica accusa, quindi è molto improbabile una riapertura con un’accusa diversa e più grave, anche se per altri presunti complici. Al momento non è ancora stato fissato un rinvio a giudizio.
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