Gli “anni di piombo” sono un periodo storico in Italia (da fine anni ’60 a inizio anni ’80) in cui si osservò un’intensificazione del confronto politico che portò a violenze nelle piazze, attività armate e atti di terrorismo
Cosa sono gli “anni di piombo”? Gli “anni di piombo” sono un periodo storico in Italia che va dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni ’80. Durante questo periodo, si osservò un’intensificazione del confronto politico che portò a violenze nelle piazze, attività armate e atti di terrorismo.
L’espressione deriva dal film omonimo del 1981 diretto da Margarethe von Trotta, che trattava un’esperienza storica simile vissuta anche dalla Germania Ovest. In un contesto più ampio, l’espressione può includere varie attività terroristiche, come la “strategia della tensione“, e il supporto a regimi dittatoriali, come l’operazione Condor, che si verificarono in diverse nazioni durante la guerra fredda, il conflitto indiretto tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
I fatti
Dal sessantotto alla strage di piazza Fontana
Il periodo storico comunemente noto come “anni di piombo” non ha un confine temporale preciso, ma solitamente si estende dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni ’80. Tuttavia, le date possono variare in base alle convinzioni politiche degli storici. In genere, si fa iniziare con la strage di piazza Fontana.
Il primo episodio di violenti scontri tra il movimento del ’68 e le forze dell’ordine avvenne a Roma il 1° marzo 1968, durante la battaglia di Valle Giulia. Questo fu il primo confronto in cui gli studenti non si ritirarono di fronte alla polizia, ma la affrontarono. Spesso si considera il primo morto degli “anni di piombo” l’agente di polizia Antonio Annarumma, ucciso il 19 novembre 1969 a Milano. Tuttavia, il primo atto della cosiddetta “strategia della tensione” che caratterizzò quel periodo fu la strage di piazza Fontana, di matrice fascista, che ebbe luogo a Milano il 12 dicembre 1969. Non si considerano, in questo contesto, gli attentati del 25 aprile dello stesso anno a Milano, che fortunatamente non causarono vittime.
Questo periodo fu contrassegnato da episodi di violenza in piazza da parte di alcune organizzazioni extraparlamentari di sinistra, come Lotta Continua, il Movimento Studentesco e altre attive negli anni ’70. Si formarono anche organizzazioni terroristiche di estrema sinistra, come Prima Linea e le Brigate Rosse, e altre attive al di fuori dell’Italia, come la Rote Armee Fraktion (RAF) in Germania Ovest. In quegli anni, operarono anche alcuni gruppi di destra, come i NAR, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Terza Posizione, che si contrapposero a quelli di estrema sinistra nella lotta politica.
Alcuni opinionisti e commentatori politici ritengono che riguardo agli “anni di piombo” ci sia solo “una verità giudiziaria parziale, confusa e spesso contraddittoria“. I commentatori francesi Marc Lazar e Marie-Anne Matard-Bonucci hanno criticato la definizione di “guerra civile a bassa intensità” emersa successivamente a quegli anni.
Le stragi neofasciste
Durante quel periodo, l’Italia fu segnata da una serie di stragi, tutte perpetrare da gruppi o individui legati all’estrema destra. Spesso, questi attacchi ricevettero supporto o furono agevolati da settori deviati all’interno dello Stato italiano (su alcuni di questi eventi, non si è ancora fatta chiarezza completa).
Tra il 1968 e il 1974, si registrarono in Italia ben 140 attentati. Alcuni di questi includono:
- 12 dicembre 1969: la strage di piazza Fontana a Milano, che causò la perdita di 17 vite e ferì 88 persone. Fu il più violento degli anni in questione e il secondo più grave nella storia d’Italia dopo la strage di Bologna del 1980.
- 22 luglio 1970: la strage di Gioia Tauro, che provocò 6 morti e 66 feriti.
- 31 maggio 1972: la strage di Peteano a Gorizia, che causò 3 morti e 2 feriti.
- 17 maggio 1973: la strage della Questura di Milano, con 4 morti e 52 feriti.
- 28 maggio 1974: la strage di piazza della Loggia a Brescia, che causò 8 morti e 102 feriti.
- 4 agosto 1974: la strage dell’Italicus, un attacco sull’expresso Roma-Brennero, con 12 morti e 105 feriti.
- 2 agosto 1980: la strage della stazione di Bologna, che provocò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200.
Accadimenti storici, politici ed economici
In quegli anni, diversi eventi storici, politici ed economici hanno segnato l’Italia. Nel 1969, durante l’autunno caldo, si verificarono agitazioni sindacali che portarono all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, una legge importante emanata nel maggio del 1970. Nel dicembre dello stesso anno, la legge Fortuna-Baslini introdusse il divorzio in Italia, segnando un cambiamento significativo. Nel 1974, si tenne un referendum per abrogare questa legge, ma l’iniziativa non ebbe successo.
Un altro avvenimento rilevante avvenne il 15 agosto 1971, quando il presidente americano Richard Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, mettendo fine al sistema stabilito dagli accordi di Bretton Woods.
Nel settembre del 1972, durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera, un gruppo di terroristi palestinesi appartenenti a Settembre Nero attaccò la squadra olimpica israeliana, causando la morte di due atleti e il rapimento di nove. L’operazione si concluse con la morte di cinque terroristi, di un pilota di elicottero e di un poliziotto tedesco, oltre alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani.
Nell’autunno del 1973, l’OPEC aumentò i prezzi del petrolio, scatenando la crisi energetica del 1973, seguita poi dalla crisi energetica del 1979. Questo evento costrinse l’Italia a implementare politiche di risparmio energetico, che influenzarono le abitudini quotidiane della popolazione.
Nel 1975, fu attuata una riforma del diritto di famiglia che sancì la parità tra coniugi. Nello stesso anno, venne abbassata l’età minima per il voto da 21 a 18 anni, estendendo così il diritto di voto anche ai diciottenni.
Nelle elezioni amministrative del 1975 e nelle politiche del 1976, i partiti di sinistra ottennero un notevole successo. La Democrazia Cristiana rimase il primo partito, ma il Partito Comunista Italiano raggiunse il 33% dei consensi.
Alla fine del 1975, fu firmato il trattato di Osimo, che stabilì la cessione della Zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia, riconoscendo la situazione consolidata dopo la seconda guerra mondiale.
Negli anni settanta, l’Italia fu teatro di numerosi sequestri di persona a scopo di estorsione, principalmente perpetrati da bande criminali come la ‘Ndrangheta e l’Anonima Sarda. Nel 1974 furono registrati 40 rapimenti, nel 1975 ben 62, nel 1976 47 e nel 1977 addirittura 75.
Verso la fine degli anni settanta, la crescita della popolazione italiana si stabilizzò poco al di sotto dei 60 milioni di abitanti, segnando un importante cambiamento demografico.
Cronologia degli accadimenti più importanti
L’Italia alla fine degli anni sessanta
Nel corso degli anni sessanta, l’Italia ha vissuto un periodo di forte crescita economica e sociale. Il miracolo economico italiano, iniziato nel dopoguerra, ha portato a un miglioramento del tenore di vita della popolazione, con la riduzione della mortalità infantile e la scomparsa dell’analfabetismo.
In questo contesto, si è sviluppata una forte crescita culturale, spesso guidata dalla sinistra. Secondo la dottrina dell’egemonia culturale sviluppata da Antonio Gramsci, la cultura è uno strumento fondamentale per la conquista del potere politico. In questo senso, la sinistra ha cercato di diffondere i propri valori e idee attraverso i media, la scuola e la cultura popolare.
Tuttavia, gli anni sessanta sono stati anche un periodo di grandi sconvolgimenti sociali. Nel 1968, si è verificata una serie di grandi manifestazioni studentesche e operaie, che hanno portato a scontri violenti con le forze dell’ordine. Questi eventi, noti come “contestazione”, hanno segnato una svolta nella storia dell’Italia e hanno portato a un profondo cambiamento della società italiana.
La continua crescita del Partito Comunista Italiano (PCI), che in quel periodo era il secondo partito più forte d’Italia, era vista con preoccupazione dagli Stati Uniti. Il PCI era un partito di ispirazione marxista-leninista e, secondo gli Stati Uniti, rappresentava una minaccia per la loro egemonia in Europa.
Per questo motivo, gli Stati Uniti hanno iniziato a considerare forme di intervento più incisive, rispetto al precedente finanziamento della sinistra non comunista. In particolare, hanno iniziato a sostenere gruppi di estrema destra, che si opponevano al PCI e al suo programma politico.
L’inizio degli anni di piombo
L’inizio degli “anni di piombo” si sovrappose al periodo di forte contestazione studentesca che coinvolse l’Italia e l’Europa.
Nel 1969, il clima era ancora carico di proteste. Dopo le manifestazioni degli studenti, ci furono lotte dei lavoratori per ottenere rinnovi contrattuali, causando forti tensioni nei luoghi di lavoro e nelle fabbriche, un periodo noto come “autunno caldo“.
Il 25 aprile di quell’anno, a Milano, un’esplosione avvenne al padiglione FIAT della Fiera, causando diversi feriti gravi ma nessuna vittima. Nella Stazione Centrale, fu trovata una bomba all’Ufficio Cambi. Pochi mesi dopo, il 9 agosto, otto bombe detonarono su vari treni, ferendo 12 persone. Franco Freda e Giovanni Ventura, membri dell’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, furono ritenuti responsabili di tutti questi attacchi.
Il 19 novembre, durante una manifestazione a Milano dell’Unione Comunisti Italiani, l’agente di polizia Antonio Annarumma perse la vita, colpito da un tubo d’acciaio mentre guidava un fuoristrada. Per diversi storici, questa è stata considerata la prima vittima degli “anni di piombo“.
Il 12 dicembre, in Italia, cinque attentati avvennero nell’arco di 53 minuti. La strage più grave fu quella di piazza Fontana: un’esplosione nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano causò 17 morti e 88 feriti.
Dall’estremismo al terrorismo
Le stragi contribuirono a peggiorare un clima già teso. Se c’erano già manifestazioni e disordini che diventavano guerriglia urbana, la tensione aumentò ulteriormente. Persone di sinistra, come Giuseppe Pinelli (morto in circostanze misteriose durante un interrogatorio alla Questura di Milano) e Pietro Valpreda, furono subito accusate per gli attentati, ma si scoprì in seguito che erano estranee alla situazione. Vennero alla luce sospetti di depistaggio e di connivenze oscure all’interno dello stato (successivamente confermati), e si cominciò a parlare di “strage di Stato“.
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, l’ex comandante fascista Junio Valerio Borghese, a capo del Fronte Nazionale, tentò un colpo di Stato noto come “Golpe Borghese“. Questo tentativo venne improvvisamente interrotto mentre era in corso di svolgimento, per ragioni non ben chiare.
In un periodo conosciuto come “strategia della tensione“, la società appariva sempre più divisa e gruppi extraparlamentari emersero, non rifiutando la violenza. Alcuni settori di sinistra passarono alla clandestinità e alla lotta armata. Si diffuse un senso generale di insicurezza perché gli attacchi non riguardavano solo obiettivi significativi, ma anche cittadini comuni, forze dell’ordine, dipendenti bancari, in una serie di azioni a volte sconosciute e misteriose. Tra i governi e nella parte moderata dell’opinione pubblica, si diffuse la teoria degli opposti estremismi. Questa teoria fu avvalorata da un rapporto del prefetto di Milano, Libero Mazza, scritto dopo gli scontri avvenuti il 12 dicembre 1970 tra militanti del MS e le forze dell’ordine. Il testo, reso pubblico quattro mesi dopo, generò intense polemiche, soprattutto dalla stampa e da politici di sinistra.
L’Unità criticò duramente il rapporto del prefetto, che metteva sullo stesso piano l’estremismo di sinistra e le azioni terroristiche di destra. Eugenio Scalfari, futuro direttore de la Repubblica, accusò il prefetto di parzialità e di manipolare la realtà. Il sindaco Aldo Aniasi, favorevole al disarmo della polizia, criticò le idee di Mazza, considerandole inutilmente allarmanti e politicamente pericolose (e lamentò di non aver avuto la possibilità di visionare il documento prima che venisse inviato al Ministro dell’Interno Franco Restivo). Solo il vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno (ucciso nel 1977 dalle Brigate Rosse), difese il rapporto di Mazza.
Durante le manifestazioni, molti partecipanti si presentavano mascherati e talvolta armati di spranghe, mazze, o chiavi inglesi. A Milano, il 3 marzo 1972, le Brigate Rosse effettuarono il loro primo sequestro, rapendo l’ingegner Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens. L’ingegnere, prelevato davanti allo stabilimento, fu fotografato con un cartello al collo recante la scritta: “Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato!“. A Genova, il 18 aprile 1974, i brigatisti rapirono Mario Sossi, un magistrato coinvolto l’anno precedente nel processo contro membri del Gruppo XXII Ottobre. Sossi fu rilasciato a Milano il 23 maggio 1974.
Poco dopo, i brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini furono arrestati dai carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
Fino al sequestro di Moro, alcune azioni delle Brigate Rosse erano ammirate da parte di alcuni gruppi sociali politicamente attivi dagli anni ’60. Tuttavia, le azioni terroristiche di questi gruppi erano condannate come atti di provocatori fascisti dalla stampa di sinistra.
Le leggi speciali in Italia durante il periodo di crisi
Durante un periodo di crisi in Italia, i partiti al governo, con il supporto del Partito Comunista Italiano, concordarono sull’elaborazione di leggi speciali per affrontare la situazione emergente. Queste leggi furono introdotte principalmente a causa della minaccia terroristica e portarono a significative modifiche nel campo legislativo, alcune delle quali furono esaminate anche dalla Corte Costituzionale.
Queste normative rafforzarono i poteri di intervento e di utilizzo delle armi da parte delle forze di polizia, pur mantenendo il rispetto delle norme costituzionali e delle leggi stabilite. Uno dei provvedimenti più rilevanti fu la legge Reale (n. 152 del 22 maggio 1975), che introdusse una serie di misure repressive. Questa legge, sebbene fosse stata oggetto di intense polemiche, è stata sottoposta a referendum il 11 giugno 1978, ottenendo il sostegno del 76,46% dell’opinione pubblica per il mantenimento e del 23,54% per l’abrogazione.
Corpi speciali antiterrorismo e legge Cossiga
Successivamente, nel 1978, furono istituiti corpi speciali con finalità antiterrorismo come:
- Il GIS (Gruppo di Intervento Speciale) dei Carabinieri
- Il NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza) della Polizia
- I reparti SVATPI (Scorta Valori Anti Terrorismo Pronto Impiego, poi ATPI) della Guardia di Finanza
Nel 1980, fu emanata la legge Cossiga (legge n. 15 del 6 febbraio), che prevedeva pesanti condanne per coloro che venivano giudicati colpevoli di atti terroristici, ampliando ulteriormente i poteri della polizia. Dopo un dibattito sulla sua compatibilità con la Costituzione, la Corte Costituzionale dichiarò questa legge conforme alla Carta.
Anche la legge Cossiga è stata sottoposta a un referendum abrogativo il 17 maggio 1981, ricevendo un sostegno significativo dall’opinione pubblica, con l’85,12% a favore del suo mantenimento e solo il 14,88% per l’abrogazione.
Il movimento del Settantasette
Il 1977 fu un anno cruciale contrassegnato da tensioni politiche e culturali intense, descritto da Primo Moroni e Nanni Balestrini come un periodo di conflitto diffuso che si diffuse in ogni ambito sociale. Questo confronto rappresentò uno scontro aspro, forse il più duro sin dall’unità d’Italia, tra classi sociali e all’interno di esse. Si contano quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a lunghi anni di prigione, e anche morti e feriti, centinaia da entrambe le parti.
I brigatisti presero di mira dirigenti aziendali, spesso indicati dagli stessi operai che utilizzavano le Brigate Rosse per sfidare la disciplina in fabbrica. Altri obiettivi erano esponenti della Democrazia Cristiana, medici e giornalisti accusati di favorire l’antiguerriglia.
L’11 marzo 1977, durante scontri a Bologna, le forze di polizia risposero a un attacco con molotov sparando diversi colpi. In quell’occasione, lo studente Pier Francesco Lorusso, simpatizzante di Lotta Continua, fu colpito mortalmente da un proiettile. Le proteste successive degli studenti portarono all’invio di mezzi cingolati nel centro di Bologna da parte del Ministro dell’Interno Francesco Cossiga.
Le versioni degli eventi differirono: un carabiniere, Massimo Tramontani, dichiarò di aver sparato in aria dopo aver visto bottiglie molotov. Al contrario, testimoni dissero di aver visto un agente sparare più colpi contro i manifestanti. Tramontani fu assolto in quanto il proiettile che uccise lo studente non fu trovato, e non si poté dimostrare che fosse stato sparato da lui. Le perizie mostrarono che lo studente era stato colpito mentre fuggiva dalla polizia, il proiettile entrò nel suo petto perché si era girato un attimo indietro per guardarsi le spalle.
Altri fatti di sangue del 1977
Il 31 marzo 1977, Venezia fu sconvolta dai tumulti noti come le notti dei fuochi del Veneto. Il 22 marzo a Roma, l’agente di polizia Claudio Graziosi morì, ucciso da Antonio Lo Muscio dei NAP mentre cercava di arrestare due terroriste, Maria Pia Vianale e Franca Salerno, su un autobus. Durante lo scontro a fuoco tra i colleghi di Graziosi e l’assalitore, venne ucciso anche Angelo Cerrai, un guardiano zoologico.
Il 5 aprile a Napoli, venne rapito Guido De Martino, figlio dell’ex segretario socialista Francesco De Martino. De Martino fu liberato il 15 maggio dopo trattative confuse e il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire. Il rapimento fu inizialmente rivendicato da un gruppo di Sesto San Giovanni vicino ai NAP, ma poi smentito da un comunicato nappista a Il Messaggero di Roma che accusava il terrorismo nero. Il caso, coinvolgendo un politico di alto livello, non è mai stato completamente risolto.
Il 21 aprile 1977 a Roma, dopo lo sgombero dell’Università, militanti dell’area dell’autonomia aprirono il fuoco contro le forze dell’ordine. Settimio Passamonti, un allievo sottufficiale, venne ucciso da due colpi, mentre altri agenti furono feriti insieme a una giornalista.
Il 28 aprile 1977 a Torino, l’avvocato Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino, fu ucciso da membri delle Brigate Rosse. Questo atto aveva l’intento di sabotare il processo al cosiddetto “nucleo storico” dell’organizzazione.
Il 12 maggio 1977 a Roma, durante una manifestazione, venne uccisa la studentessa Giorgiana Masi e furono feriti Elena Ascione e il carabiniere Francesco Ruggiero.
Il 14 maggio 1977 a Milano, durante una manifestazione, alcuni partecipanti aprirono il fuoco contro la polizia, uccidendo l’agente di polizia Antonio Custra. Una foto catturò il momento in cui un dimostrante puntò la pistola contro la polizia, ma successivamente si scoprì che lo sparatore non era l’assassino di Custra.
Il 3 ottobre 1977 a Torino, Roberto Crescenzio morì dopo due giorni di agonia a causa di ustioni provocate da una Molotov durante una manifestazione in risposta all’omicidio dello studente Walter Rossi a Roma ad opera di neofascisti.
Il 1978 e il sequestro Moro
Negli anni ’70, il 1978 è stato segnato da un evento significativo che ha suscitato reazioni profonde tra i gruppi eversivi di destra, influenzando gli anni a venire: la strage di Acca Larentia. Il 7 gennaio, a Roma, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, giovani attivisti missini della sezione Acca Larentia, furono uccisi con colpi di mitraglietta Skorpion da un gruppo armato autodefinitosi “Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale”. Nella stessa serata, durante scontri con le forze dell’ordine, un terzo attivista del Fronte della Gioventù, Stefano Recchioni, fu ucciso da un colpo di pistola sparato dal capitano dei carabinieri Edoardo Sivori. Questo episodio ha dato inizio a un’escalation del terrorismo nero, principalmente guidato dai NAR, non solo contro le forze antifasciste, ma anche verso lo Stato, ritenuto complice dell’evento tragico.
Tra gennaio e febbraio, varie organizzazioni di sinistra uccisero anche Carmine De Rosa, sorvegliante FIAT a Cassino, l’agente Fausto Dionisi a Firenze e il notaio Gianfranco Spighi a Prato. Nello stesso periodo, le Brigate Rosse assassinarono il consigliere di Cassazione Riccardo Palma a Roma il 14 febbraio e il maresciallo Rosario Berardi a Torino il 10 marzo.
Il 16 marzo 1978, a Roma, avvenne l’agguato di via Fani, con l’eliminazione della scorta, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, compiuto da un commando delle Brigate Rosse, che definì l’azione come un “attacco al cuore dello Stato”. Durante il processo presso la Corte d’Assise di Roma, la moglie di Moro, Eleonora Chiavarelli, riferì che le armi della scorta si trovavano nei bagagliai delle auto perché “questa gente non sapeva usare le armi, non faceva mai esercitazioni di tiro, non era abituata a maneggiarle”. Un brigatista presente, Franco Bonisoli, dichiarò che la decisione di rapire Moro fu presa una settimana prima, con una data fissa, potendo essere il 15 o il 17.
Nel corso degli anni, alcuni collaboratori hanno raccontato che durante una visita a Washington, Moro ebbe un forte contrasto con Henry Kissinger, all’epoca Segretario di Stato (contrario a un’eventuale partecipazione del PCI al governo italiano). Secondo Sergio Flamigni, Steve Pieczenik (consigliere del Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter) orchestrò il “depistaggio del lago della Duchessa”, con l’avallo di Francesco Cossiga, mentre, nello stesso giorno, qualcuno fece scoprire il covo delle BR di via Gradoli.
Il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Moro, a Milano, Fausto Tinelli e Lorenzo (Iaio) Iannucci, frequentatori del Centro Sociale Leoncavallo, furono assassinati da estremisti di destra e successivamente rivendicato anche dai NAR.
In seguito all’omicidio, il 10 maggio 1978, l’allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga si dimise. Il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, incaricato di coordinare la lotta al terrorismo, impiegò tecniche innovative nelle indagini e ottenne notevoli risultati. Nel 1982, mentre era prefetto in Sicilia per combattere la mafia, fu assassinato a Palermo insieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro, rimanendo solo e privo del supporto politico che aveva avuto in precedenza.
Il 1980 e la fine
Negli anni che vanno dal giugno 1978 al dicembre 1981, si registrarono un aumento di agguati, omicidi e attacchi terroristici in Italia. Le statistiche evidenziarono una persistenza di atti terroristici senza precedenti in Europa: il numero di organizzazioni armate attive passò da 2 nel 1969 a 91 nel 1977 e a 269 nel 1979. Proprio in quest’ultimo anno si verificò un record di 659 attentati. Tuttavia, il 1980 fu l’anno con il maggior numero di vittime, con 125 persone decedute, di cui 85 nella tragica strage della stazione centrale di Bologna.
Un evento che attirò l’attenzione internazionale, secondo solo al rapimento di Aldo Moro, fu il sequestro del generale statunitense James Lee Dozier ad opera delle Brigate Rosse. Questo episodio coincise con la fase considerata comunemente conclusiva del periodo degli “anni di piombo”. Il generale, all’epoca vice comandante della NATO nel Sud Europa, fu sequestrato a Verona il 17 dicembre 1981 e successivamente liberato a Padova il 28 gennaio 1982 da un’azione dei NOCS.
Verso la fine del decennio, gli episodi di violenza cominciarono a diminuire. In particolare, il sostegno alle Brigate Rosse collassò dopo l’assassinio dell’operaio Guido Rossa nel 1979. Rossa aveva denunciato un collega che distribuiva materiale di propaganda delle BR. Gli “anni di piombo” stavano giungendo al termine, e l’idea che la lotta armata potesse portare a un cambiamento costituzionale perse credibilità. Lo scrittore Bifo Berardi, precedentemente legato alla sinistra extraparlamentare, ha affermato che alla fine degli anni settanta, ogni atteggiamento contrario al lavoro veniva condannato, criminalizzato e rimosso. Il realismo economico riprendeva il controllo, con il trionfo delle politiche neoliberiste. Iniziava la controffensiva del capitalismo, la vita sociale veniva nuovamente sottoposta alla produttività e la competizione economica veniva considerata l’unico criterio di progresso.
Tutto ciò culminò quando, all’inizio degli anni novanta, la giudice per le indagini preliminari di Savona Fiorenza Giorgi, in un decreto di archiviazione riguardante un’indagine su bombe esplose tra il 1974 e il 1975, analizza gli attentati della prima fase della strategia della tensione. Tra le altre cose, menziona le coperture fornite dai servizi italiani ad azioni terroristiche e a figure come Junio Valerio Borghese. Secondo quanto riportato dal giudice:
“Dal 1969 al 1975 si contano 4.584 attentati, l’83 percento dei quali viene attribuito alla destra eversiva (responsabile di 113 morti, di cui 50 nelle stragi, e 351 feriti). L’appoggio dei servizi segreti ai movimenti eversivi appare sempre più evidente.” (Fonte: Tribunale di Savona, ufficio del giudice per le indagini preliminari, Decreto di archiviazione procedimento penale 2276/90 R.G., pagine 23-25.)
Il terrorismo politico dopo gli anni di piombo
Dopo gli anni di piombo, il terrorismo politico non si esaurì completamente, ma si manifestò attraverso singoli attentati e episodi che miravano ad influenzare i conflitti sociali e politici, senza riuscire a minacciare la stabilità costituzionale e parlamentare dello Stato.
Nel triennio 1978-1981, le azioni terroristiche crearono preoccupazione nell’opinione pubblica, suscitando l’impressione di un fenomeno inarrestabile. Alcuni, drammatizzando la situazione, fecero riferimento a una potenziale soglia di guerra civile. Tuttavia, a posteriori, si comprese che tali attacchi rappresentavano pericolosi colpi di coda, privi di prospettive a lungo termine. Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa assunse un ruolo chiave nella lotta al terrorismo, ottenendo successi significativi.
La legge n. 304, approvata definitivamente il 29 maggio 1982, prevedeva sconti di pena consistenti per coloro che collaboravano nella lotta contro l’eversione. Questa legge ebbe un impatto devastante sulle organizzazioni terroristiche, poiché molti militanti iniziarono a cooperare con le autorità, fornendo informazioni sui complici.
Da quel momento fino al 1988, si verificarono episodi sporadici, ma si trattò comunque di eventi isolati. L’idea che la lotta armata potesse risolvere i conflitti sociali aveva perso credibilità, anche tra le ali estreme degli schieramenti politici.
L’analisi del politologo Ernesto Galli della Loggia sottolineò l’anomalia italiana rispetto al terrorismo politico, notando come l’Italia fosse l’unico grande Paese europeo in cui questo fenomeno avesse radici profonde, ad eccezione dell’Irlanda del Nord e dei Paesi Baschi, che presentavano dinamiche diverse. La sua interpretazione, attribuendo questa caratteristica a un substrato di violenza nella società italiana, generò dibattiti e opinioni contrastanti.
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