In cosa consistono le operazioni della polizia sotto copertura

In cosa consistono, quali sono le origini e i limiti di utilizzabilità nei processi delle operazioni sotto copertura degli agenti

In cosa consistono le operazioni della polizia sotto copertura

In cosa consistono le operazioni della polizia sotto copertura.
Le operazioni di polizia sotto copertura riguardano una specifica modalità di indagine in cui gli agenti si infiltrano all’interno di contesti criminali per raccogliere informazioni utili all’accertamento di reati. Queste attività si basano su un equilibrio delicato tra la necessità di investigare efficacemente e il rispetto dei diritti e delle libertà personali. Sono regolamentate da norme precise, proprio per evitare abusi o l’uso improprio di prove raccolte in questo modo.

Le indagini sotto copertura sono utilizzate soprattutto in situazioni in cui risulta difficile, se non impossibile, ottenere prove con metodi tradizionali, come nel caso di reati legati al traffico di droga, criminalità organizzata o terrorismo. Gli agenti, infatti, si infiltrano tra i criminali assumendo identità false, partecipando attivamente alle dinamiche interne al gruppo che si intende monitorare.

Un elemento cruciale di queste operazioni è che l’agente deve limitarsi a osservare, controllare e contenere le azioni illecite, senza provocare o istigare il reato. Se l’agente, con il suo comportamento, spingesse qualcuno a commettere un reato che altrimenti non avrebbe commesso, si configurerebbe una provocazione, e le prove raccolte potrebbero non essere ammesse in tribunale.

Un aspetto fondamentale è quindi la distinzione tra infiltrazione e provocazione. L’infiltrazione avviene quando l’agente si limita a raccogliere informazioni senza alterare il normale svolgimento degli eventi. La provocazione, invece, si verifica quando l’agente stimola o induce una persona a commettere un crimine, che altrimenti non sarebbe avvenuto. In questo caso, l’operato dell’agente diventa illecito e le prove non possono essere utilizzate nel processo.

La legittimità delle operazioni sotto copertura è strettamente legata al fatto che l’agente non deve avere un ruolo attivo nella creazione delle condizioni che portano al reato. È una forma di controllo che, pur avvenendo dall’interno del gruppo criminale, deve essere il più possibile neutra, per evitare che l’intervento dell’agente alteri l’esito naturale degli eventi.

Il confine tra ciò che è permesso e ciò che è vietato è quindi molto sottile. Se da un lato, l’infiltrazione è vista come uno strumento legittimo per combattere reati complessi, dall’altro la provocazione, in cui l’agente diventa parte attiva del reato, può invalidare l’intera operazione e compromettere il processo.

Inoltre, le informazioni raccolte durante queste operazioni possono essere utilizzate in tribunale solo se sono state ottenute nel rispetto delle regole stabilite. Se emerge che l’agente ha partecipato attivamente alla commissione del reato, inducendo o forzando l’azione criminale, le prove possono essere dichiarate inutilizzabili, minando l’intero processo legale. Questo principio si fonda sul diritto alla difesa e sulla protezione delle libertà individuali, che non possono essere sacrificate in nome dell’efficacia investigativa.

Le operazioni sotto copertura richiedono, dunque, un’attenta pianificazione e una rigorosa adesione alle norme. Devono garantire che l’agente non oltrepassi mai il confine tra osservatore e provocatore, rispettando i diritti fondamentali di tutte le persone coinvolte, compresi i sospettati.

Quando è stata introdotta in Italia la “esimente” per l’agente infiltrato?

In Italia, l’introduzione di una norma che prevede una causa di giustificazione per l’agente infiltrato risale al 1990. Questa “esimente” è stata inserita con l’articolo 25, comma 1, della legge del 26 giugno 1990, n. 162, che riguardava la lotta contro il traffico di sostanze stupefacenti. La legge ha aggiunto due nuovi articoli, l’84 bis e l’84 ter, alla precedente normativa del 1975 sulla droga. In seguito, il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, ha stabilito ulteriori disposizioni sugli acquisti simulati di droga e sui casi in cui fosse possibile ritardare o omettere l’arresto, la cattura o il sequestro in determinate circostanze.

Tuttavia, l’esimente non si applica esclusivamente ai reati legati alla droga. Nel tempo, il legislatore ha esteso queste norme anche ad altri ambiti criminali. Sono state introdotte disposizioni che permettono operazioni sotto copertura in casi di pagamento controllato di riscatti, applicazione ritardata di misure cautelari o arresti, o per il sequestro di persona a scopo di estorsione. La legge consente anche al pubblico ministero di ritardare l’esecuzione di provvedimenti in reati come estorsione, usura, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone e terrorismo internazionale. Oggi, tutte queste attività rientrano nel quadro normativo dell’articolo 9 della legge n. 146 del 2006.

Quali sono i limiti di ammissibilità dei metodi investigativi sotto copertura?

Per quanto riguarda i limiti di ammissibilità delle operazioni sotto copertura, è fondamentale verificare se il reato sarebbe stato commesso comunque, senza l’intervento dell’agente infiltrato. È altrettanto importante accertare se le forze dell’ordine abbiano mantenuto un comportamento passivo, limitandosi a monitorare persone già sospettate di attività criminali, o se invece abbiano avuto un ruolo attivo nel sollecitare il crimine. In altre parole, l’operato degli agenti deve essere tale da non influenzare la commissione del reato, poiché altrimenti si configurerebbe una provocazione, il che renderebbe le prove raccolte inammissibili.

Esistono limiti di utilizzabilità delle prove acquisite nelle indagini sotto copertura?

Le prove raccolte tramite operazioni sotto copertura sono considerate legittime solo se l’intervento è stato autorizzato correttamente dall’autorità giudiziaria, in base a gravi sospetti di reati specifici previsti dalla legge. La valutazione della legittimità di queste operazioni deve essere effettuata prima dell’inizio dell’indagine, non a posteriori in base all’esito. Se al momento dell’autorizzazione esistevano già indizi concreti, le prove raccolte durante l’infiltrazione sono utilizzabili in tribunale, anche se dovessero riguardare reati diversi e meno gravi di quelli inizialmente ipotizzati.

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