Le sanzioni dell’Occidente contro la Russia sono insufficienti perché attuate incoerentemente. Mosca ha trovato tutte le alternative di cui aveva bisogno
Perché le sanzioni contro la Russia non funzionano. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia si sono rivelate inefficaci, principalmente a causa della loro applicazione incoerente. Fin dall’inizio, molti esperti in Occidente avevano messo in dubbio l’efficacia di questo strumento, ma nonostante ciò, le sanzioni sono state adottate nella speranza di esercitare pressione su Mosca. Tuttavia, la minaccia di tali misure non è stata sufficiente a dissuadere la Russia dal portare avanti i propri piani di invasione dell’Ucraina.
Una volta iniziata la guerra, l’applicazione delle sanzioni è risultata frammentata e non omogenea. Questo ha ridotto significativamente l’impatto previsto sul conflitto e sull’economia russa. In particolare, le restrizioni economiche non sono riuscite a colpire in modo decisivo le capacità militari del paese. Anche se ufficialmente vietate, le tecnologie e i materiali necessari per l’industria bellica russa hanno continuato a essere forniti attraverso canali indiretti, soprattutto grazie a Paesi terzi che non hanno rispettato completamente le sanzioni imposte dall’Occidente.
Perché le sanzioni contro Putin e la Russia non funzionano
L’utilizzo delle sanzioni economiche per contrastare un conflitto militare si è dimostrato una scelta discutibile. Di fronte alla decisione dell’Occidente di evitare un intervento militare diretto, le sanzioni rappresentavano l’unica opzione disponibile per cercare di mettere pressione sulla Russia. Tuttavia, con il senno di poi, appare evidente che affidarsi all’efficacia delle sanzioni sia stato un errore. Sebbene la necessità morale di difendere l’Ucraina richiedesse una risposta immediata, l’azione messa in campo è stata lenta e poco incisiva.
Secondo un’analisi del Financial Times, durante il primo anno di guerra l’Unione Europea ha pagato alla Russia somme maggiori per l’acquisto di petrolio e gas di quanto abbia stanziato per sostenere l’Ucraina in due anni. La preoccupazione per le possibili ripercussioni sul mercato energetico ha spinto paesi come la Germania a opporsi all’inclusione del gas russo e di Gazprombank nelle sanzioni. La Russia, prevedendo queste esitazioni, ha ridotto l’impatto delle minacce occidentali. Già dal 2014, in seguito all’invasione della Crimea, Mosca aveva affrontato sanzioni relativamente leggere e aveva imparato a gestirle, riducendo la loro efficacia. Non c’era motivo per cui il Cremlino dovesse credere che la situazione sarebbe stata diversa questa volta.
Non solo la Germania ha opposto resistenza a un’applicazione totale delle sanzioni. Quando l’Unione Europea ha cercato di limitare i profitti della Russia derivanti dalle esportazioni di petrolio, gli armatori greci hanno aggirato le restrizioni mettendo a disposizione le loro navi per il trasporto di petrolio russo. Anche la Polonia ha contribuito indirettamente a sostenere l’economia russa: nel dicembre 2023, le esportazioni polacche verso la Bielorussia hanno raggiunto livelli record, con molti prodotti destinati ad arrivare in Russia. Questa situazione ha suscitato indignazione in Ucraina, soprattutto perché, mentre gli agricoltori polacchi bloccavano i camion ucraini carichi di merci essenziali, i camion polacchi continuavano a commerciare con la Russia attraverso il confine bielorusso.
La complessità del quadro economico e le diverse relazioni commerciali di ciascuno Stato membro dell’UE con la Russia hanno reso estremamente difficile trovare un accordo su un pacchetto di sanzioni che potesse avere un impatto concreto. Di conseguenza, con il passare del tempo, sono emerse numerose scappatoie che hanno permesso a molti di eludere le misure, riducendo ulteriormente l’efficacia complessiva delle sanzioni contro Mosca.
Le alternative di Putin
Fin dall’inizio della guerra, la Russia ha saputo mettere in campo una serie di operazioni clandestine per aggirare le sanzioni economiche. Anche se alcuni Paesi hanno aiutato Mosca più di altri, in molti, direttamente o indirettamente, hanno contribuito a indebolire l’efficacia delle misure imposte dall’Occidente. Un’inchiesta di Insider ha svelato, ad esempio, che un agente del GRU, l’intelligence militare russa, operava a Bruxelles fornendo ai produttori di armi russi componenti elettronici europei, utilizzati per la fabbricazione di missili ipersonici.
La capacità della Russia di trovare soluzioni creative per eludere le sanzioni ha superato gli sforzi dell’Occidente per impedire questi traffici. Il nodo cruciale della questione è capire come si possa pensare che le imprese private, per ragioni esclusivamente morali, decidano di interrompere ogni legame con la Russia. L’assenza di controlli efficaci ha permesso che gli interessi economici prevalessero sulle considerazioni etiche. Nonostante gli sforzi dell’Ucraina e dei suoi alleati per esporre pubblicamente le aziende che continuano a operare in Russia, molte di queste hanno ritenuto che i profitti derivanti dal mercato russo fossero superiori al danno di immagine subito, decidendo così di mantenere le loro attività nel Paese.
Per quanto riguarda la fornitura di componenti elettronici essenziali per l’industria bellica russa, è difficile credere che i governi occidentali non siano a conoscenza del ruolo che giocano le loro aziende. I dati mostrano chiaramente un incremento delle esportazioni verso la Russia attraverso i Paesi dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale, iniziato subito dopo l’invasione dell’Ucraina. I tentativi di Kiev di mettere in imbarazzo i leader occidentali, mostrando loro i resti di missili russi contenenti componenti fabbricati nei loro Paesi, non hanno sortito l’effetto desiderato.
Non è solo la Russia a beneficiare di tecnologie occidentali per l’industria degli armamenti. Un’indagine della CNN ha rivelato che un missile nordcoreano, usato per colpire Kharkiv a gennaio, era composto per la maggior parte da componenti prodotti da aziende americane, europee e asiatiche. Nel dettaglio, il 75% dei 290 pezzi analizzati proveniva da aziende statunitensi, il 16% da imprese europee e il 9% da quelle asiatiche.
Nonostante le sanzioni, l’industria bellica russa è riuscita a ripristinare quasi del tutto il flusso di forniture elettroniche, riportandolo a livelli vicini a quelli precedenti la guerra. Inoltre, i beni di lusso occidentali sono tornati sugli scaffali dei centri commerciali di Mosca e delle principali città russe. Questo ha rafforzato all’interno del regime di Putin la convinzione che la guerra possa ancora essere vinta, poiché l’Occidente sembra sempre più frammentato nel suo tentativo di mantenere un fronte compatto contro la Russia.
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