Le spese militari della NATO generano annualmente 233 milioni di tonnellate di gas serra, superando le emissioni di alcuni paesi come Colombia o Qatar
Le spese militari della Nato producono 233 milioni di tonnellate di gas serra all’anno. Le spese militari della NATO generano annualmente 233 milioni di tonnellate di gas serra, superando le emissioni di alcuni paesi come Colombia o Qatar. Questo dato proviene da uno studio del Transnational Institute, Tipping Point North South e Stop Wapenhandel, ripreso dal Guardian. Il rapporto evidenzia che la spesa militare non solo aumenta le emissioni, ma sottrae anche risorse cruciali alla lotta contro il cambiamento climatico.
I dati mostrano una correlazione tra l’aumento degli investimenti militari tra i membri della NATO, che hanno raggiunto 1.340 miliardi di dollari nel 2023, e l’incremento delle emissioni di CO2. Gli Stati Uniti, il principale emettitore istituzionale militare, hanno guidato questo aumento con 55 miliardi di dollari, seguiti da Polonia, Regno Unito e Germania.
La NATO afferma di aver iniziato a sviluppare una politica di protezione ambientale già dalla fine degli anni ’70, sebbene con risultati non sempre concreti. Dal 2021, la NATO ha iniziato a rendere pubblici i dati sulle proprie emissioni. Jens Stoltenberg, ex segretario generale, ha adottato un Piano d’azione per la sicurezza e i cambiamenti climatici e ha istituito un Centro di eccellenza per i cambiamenti climatici e la sicurezza, anche se alcuni critici lo considerano una forma di greenwashing.
In risposta alle minacce russe, parte delle aumentate spese militari della NATO è stata destinata alla ricerca e sviluppo per rendere la difesa più sostenibile. La NATO investe molte risorse nella ricerca su temi ambientali e sui cambiamenti climatici attraverso la Science and Technology Organization (STO), un network di oltre 6.000 scienziati. La STO gestisce il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) a La Spezia e finanzia il programma Science for Peace and Security (SPS), che studia i dati climatici per sviluppare modelli predittivi e strategie di mitigazione.
Nonostante l’impegno della NATO per la neutralità carbonica entro il 2050, i ricercatori dello studio citato dal Guardian ritengono che rendere più “verdi” le operazioni militari non sia sufficiente. Ho-Chih Lin, coautore del rapporto, afferma che non esiste una fonte energetica alternativa realistica per sostituire completamente i combustibili fossili nel settore militare entro quella data. Si stima che il contributo alle emissioni globali dell’industria bellica possa aumentare fino al 25% entro il 2050 se non si adottano cambiamenti sostanziali. Alcune aziende del settore stanno adottando obiettivi ambientali più ambiziosi e stanno esplorando tecnologie a basse emissioni, come motori a idrogeno e propulsione ibrida per aerei e navi, ma queste soluzioni restano lontane da un cambiamento immediato.
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