Cos’è il delitto di Cori?

Il delitto di Cori è un caso di duplice omicidio che avvenne la sera di domenica 9 marzo 1997 a Cori (Latina), quando i giovani fidanzati Elisa Marafini e Patrizio Bovi vennero ritrovati uccisi con 175 coltellate

Cos'è il delitto di Cori?

Cos’è il delitto di Cori? Il 9 marzo 1997, la sera di domenica, a Cori, in provincia di Latina, i giovani fidanzati Elisa Marafini e Patrizio Bovi vennero ritrovati uccisi nella loro abitazione di Via della Fortuna 41. I corpi presentavano un numero impressionante di coltellate: 51 su Patrizio Bovi e 124 su Elisa Marafini.
Nei mesi successivi, il delitto ebbe vasto clamore mediatico, suscitando un forte impatto emotivo in tutta Italia. Le indagini, escludendo l’ipotesi dell’omicidio-suicidio da parte di Patrizio Bovi, si concentrarono su due piste: lo spaccio di droga e il delitto passionale. Alcuni giorni prima, a Bovi erano stati venduti 200 grammi di cocaina che, venduta al dettaglio, avrebbe fruttato 40 milioni di lire.

Marco Canale, un amico della coppia uccisa, operaio di Cisterna di 27 anni, che mesi prima aveva abitato nello stesso appartamento del delitto, venne arrestato il 26 aprile 1997. Sui suoi pantaloni, sequestrati all’indomani dell’omicidio, furono trovate tracce ematiche compatibili con quelle delle due vittime. Canale, che negò ogni accusa nei suoi confronti, venne condannato a 30 anni di reclusione nei tre gradi di giudizio. Ne ha scontati 22 prima di essere rimesso in libertà.

Storia

Il delitto di Cori è un caso di duplice omicidio avvenuto il 9 marzo 1997 a Cori, un piccolo comune della provincia di Latina. Quella sera, intorno alle 23:30, furono ritrovati i corpi di Patrizio Bovi, un giovane operaio di 23 anni, e della sua fidanzata, Elisa Marafini, una studentessa di 17 anni. I due erano stati uccisi in modo brutale, con un totale di 175 coltellate: 51 inflitte a Patrizio e 124 a Elisa. A scoprire i cadaveri furono il padre di Elisa, Angelo Marafini, un maresciallo dei carabinieri in pensione, e il fratello quindicenne della ragazza, insieme a Massimiliano Placidi, un amico della coppia.
Le indagini rivelarono che l’arma del delitto era un coltello da cucina, trovato dai carabinieri alcuni giorni dopo l’omicidio, ripulito dalle impronte. Secondo la testimonianza di una famiglia polacca che abitava nelle vicinanze, durante il delitto l’assassino aveva alzato la musica dello stereo a volume alto per coprire le grida delle vittime. La dinamica dell’omicidio suggerisce che, dopo aver cenato insieme al piano inferiore della casa, Patrizio e l’assassino salirono al piano superiore per discutere. Durante questa conversazione, l’assassino colpì Patrizio ripetutamente. Elisa, sentendo il trambusto, salì per vedere cosa stesse succedendo e fu aggredita con maggiore violenza.

Patrizio Bovi era originario della Campania e, dopo essere stato adottato da una famiglia di Cisterna di Latina, si era trasferito a Cori Monte, dove aveva conosciuto Elisa. Il giorno dell’omicidio, Elisa era uscita di casa per incontrarsi con Patrizio. Era stata vista mentre telefonava da un telefono pubblico e poi facendo autostop per raggiungere il suo fidanzato. Quella sera, poiché i suoi familiari erano fuori casa, poté restare oltre l’orario consentito per il rientro.

Il padre di Elisa, preoccupato per il ritardo della figlia, decise di andarla a cercare. Dopo aver controllato in vari posti senza trovarla, si recò a casa di Patrizio, dove non ricevette risposta. In seguito, si procurò una scala e tornò in Via della Fortuna per dare un’occhiata all’interno della casa. Qui incontrò Massimiliano Placidi, che si offrì di aiutarlo. Una volta entrati, trovarono i corpi di Elisa e Patrizio in un lago di sangue, uno nella camera da letto e l’altro nel bagno.

Le indagini portarono all’arresto di Marco Canale, un amico della coppia, che fu condannato a 30 anni di reclusione per il duplice omicidio. Canale scontò 22 anni di pena prima di essere rimesso in libertà. La vicenda suscitò un grande clamore mediatico e ha ispirato anche un romanzo di Antonio Pennacchi.

Le indagini

Le indagini sul delitto di Cori iniziarono subito dopo il ritrovamento dei cadaveri di Patrizio Bovi ed Elisa Marafini. Gli inquirenti escluderono l’ipotesi di un omicidio-suicidio da parte di Patrizio e si concentrarono su due piste principali: lo spaccio di droga e un delitto passionale. Alcuni giorni prima dell’omicidio, Patrizio aveva acquistato 200 grammi di cocaina, il cui valore al dettaglio era di circa 40 milioni di lire.
L’atteggiamento di Angelo Marafini, il padre di Elisa, insospettì gli investigatori. Quella notte, prima di recarsi in caserma per gli interrogatori, andò a riporre la scala che aveva usato per controllare la casa. Durante le indagini, furono interrogate sette persone, tra cui Angelo Marafini, Piero Agnoni, Marco Canale, suo fratello Massimo, Massimiliano Placidi e Mauro Meloni, che aveva venduto la cocaina a Patrizio. Meloni fu arrestato per spaccio di droga, mentre Angelo e Massimo Canale furono denunciati per possesso illegale di armi.

Il numero dei sospettati si ridusse ulteriormente. Questi, infatti, erano stati invitati a una festa da Patrizio quella sera, ma tutti rifiutarono l’invito. Piero Agnoni, ad esempio, rimase a casa con sua madre, che confermò il suo alibi. Le attenzioni degli inquirenti si spostarono su Massimiliano Placidi, uno degli scopritori dei cadaveri. Placidi, 28 anni e aspirante infermiere, era un amico di Patrizio e condivideva con lui il fatto di essere figlio adottivo. Durante le indagini, furono trovate delle macchie rosse sui suoi pantaloni, che portarono al suo arresto. Placidi fu tenuto in carcere per 24 giorni.

Secondo l’accusa, Placidi, sotto l’effetto della droga, avrebbe agito per gelosia nei confronti di Patrizio. A conferma di questa tesi, fu trovata una lettera di Elisa che parlava di un amico geloso che si frapponeva tra lei e Patrizio. Inizialmente, Placidi confessò, ma successivamente negò ogni accusa, sostenendo di essere stato costretto a farlo a causa di pressioni psicologiche e violenze subite durante gli interrogatori. Le analisi delle macchie rosse sui suoi pantaloni e sul tappetino della sua doccia rivelarono che si trattava di muffa e ruggine, portando così alla sua scarcerazione. Una volta libero, Placidi lanciò accuse contro Angelo Marafini e i carabinieri, venendo a sua volta querelato.

Marco Canale, un altro amico della coppia, fu arrestato il 26 aprile 1997. I suoi pantaloni furono sequestrati e analizzati, rivelando tracce ematiche compatibili con quelle delle vittime. Canale, che aveva litigato con Patrizio pochi giorni prima dell’omicidio per un debito, negò ogni accusa, sostenendo di avere un alibi solido. Dichiarò di essere stato accompagnato da alcuni amici da Cisterna a Cori e di essere sceso a piedi verso le 16:00. Alcuni testimoni confermarono di averlo visto nel quartiere di Cisterna alle 18:40.

Il sostituto procuratore Gregorio Capasso, che dirigeva le indagini, ritenne che ci fossero sufficienti elementi per arrestare Canale, ma la sua posizione sembrava meno delicata grazie agli alibi forniti da cinque testimoni. Questi confermarono che i due fidanzati erano vivi intorno alle 20:00, mentre Canale era stato fermato da una pattuglia dei Carabinieri. Nonostante le indagini approfondite, le analisi dei capelli trovati sotto le unghie delle vittime non portarono a un colpevole certo, rendendo la situazione ancora più complessa.

I processi

Durante il processo, Marco Canale, l’imputato, fece una dichiarazione sorprendente, affermando di essere stato nell’appartamento di Via della Fortuna due volte il pomeriggio del 9 marzo. Nella prima occasione non entrò, ma nella seconda, trovando la porta aperta, entrò e scoprì Patrizio Bovi ed Elisa Marafini già morti. Secondo la sua versione, scappò senza avvisare nessuno. Tuttavia, sette testimoni smentirono la sua dichiarazione, affermando di aver visto le due vittime camminare in Piazza Signina a Cori Monte verso le 19:30. Alcuni testimoni dichiararono anche di aver visto un uomo dell’altezza di Marco Canale gettare un sacco dei rifiuti in un cassonetto vicino a Via della Fortuna intorno alle 18:20, quando Canale sosteneva di essere a Cisterna. Inoltre, a casa di Patrizio, il secchio dell’immondizia fu trovato senza busta, e lo zainetto di Elisa non fu mai ritrovato.
Le prove contro Marco Canale si accumularono, incluse le macchie di sangue sui suoi pantaloni e le testimonianze dei testimoni. Per questi motivi, nel dicembre 1998, venne condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, con un risarcimento di 250 milioni di lire alla famiglia di Elisa Marafini. La condanna fu confermata dalla Corte d’Appello e successivamente dalla Corte di Cassazione.

Dopo oltre 22 anni di reclusione, nel 2019 Marco Canale fu rilasciato definitivamente grazie a uno sconto di pena per indulto e per buona condotta. La sua liberazione suscitò diverse reazioni nella comunità, con alcune persone che contestarono la decisione di reinserirlo nella società, considerando il suo passato legato a un omicidio così violento. Nonostante la condanna e le accuse, Canale continuò a proclamarsi innocente, e la vicenda rimase un tema di discussione e di interesse pubblico.

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