Cos’è il caso Unabomber?

Unabomber è un bombarolo seriale mai identificato, autore di numerosi atti di violenza commessi nelle regioni italiane del Veneto e del Friuli negli anni 1990 e 2000

Il caso Unabomber
Il caso Unabomber. Un “serial bomber” ancora mai identificato, noto come Unabomber, è stato responsabile per numerosi attacchi violenti avvenuti nelle regioni del Veneto e del Friuli tra gli anni 1990 e 2000. La sua strategia, senza un chiaro movente, consisteva nel posizionare ordigni esplosivi improvvisati in luoghi pubblici, causando lesioni e danni a chiunque si fosse imbattuto in essi.

Il nome Unabomber è stato utilizzato dalla stampa italiana in riferimento al caso dello statunitense Theodore Kaczynski.

Le azioni attribuite a questo individuo sono, secondo diverse fonti, tra 31 e 33, distribuite tra il 1994 e il 2006, con un periodo di inattività tra il 1996 e il 2000. L’autore degli attacchi rimane sconosciuto, non ha mai rivendicato le sue azioni, non ha lasciato tracce sufficienti per essere identificato e ha seminato il panico in un’ampia area del nord-est italiano, concentrato intorno alle città di Pordenone, Portogruaro e Lignano Sabbiadoro.

Il suo caso è stato uno dei più impressionanti eventi di cronaca nera, a causa dell’inestricabilità, dell’apparente irrazionalità e del terrore instillato negli attacchi subdoli e in grado di colpire obiettivi casuali e indifesi. Inoltre, l’autore ha spesso colpito in occasioni festive e ha scelto come bersaglio i bambini in più di un’occasione.

Origine del nome Unabomber

Il primo individuo associato al soprannome di Unabomber è stato il terrorista statunitense Theodore Kaczynski, autore di numerosi attacchi con esplosivi durante un periodo di 18 anni. Prima della sua cattura, Kaczynski era stato chiamato dall’FBI con la sigla UNABOM (UNiversity and Airline BOMber), una denominazione che è stata poi deformata dai media. Le similitudini tra l’Unabomber italiano e quello statunitense sono tuttavia limitate.

Nel 2005, il direttore del quotidiano “Gazzettino di Mestre“, Luigi Bacialli, decise di modificare il nome in uno dispregiativo e assonante come “Monabomber“, che si basava sull’espressione volgare veneta “mona“, che indicava l’organo genitale femminile e veniva utilizzato colloquialmente nel nord-est italiano per indicare una persona stupida. La scelta aveva l’obiettivo di allontanarsi dall’Unabomber originale e di gettare discredito sull’autore sconosciuto, evitandone la gratificazione. Questa decisione venne condivisa da alcune firme autorevoli ma respinta da altre, che la considerarono una violazione della regola del giornalismo secondo cui i fatti devono essere separati dalle opinioni.

Il nuovo appellativo incontrò anche il malcontento dei giornalisti del Gazzettino, che lo ritennero umiliante per la testata e riduttivo della gravità degli attentati. Essi rifiutarono di riprodurlo nel corpo degli articoli, il nome Monabomber venne quindi limitato alla titolazione. Anche il sindacato dei giornalisti del Veneto e la FNSI presero le distanze dall’iniziativa di Bacialli. Il cambio al vertice nella redazione del Gazzettino riportò il nome originale a Unabomber.

Le attività di Unabomber

Unabomber colpiva con regolarità, ma non è stato ritenuto un serial killer, poiché molto probabilmente le sue azioni erano dirette non a uccidere ma a ferire, anche se a volte hanno causato danni mortali; non dovrebbe neppure essere considerato un terrorista, poiché agiva in obbedienza a un movente sconosciuto e non rivendicava i gesti criminali e il loro significato.

Gli inquirenti ritengono possibile contestargli l’aggravante della finalità terroristica, che però non è mai stata inserita in un’imputazione formale o in una sentenza. Ad alcune vittime di Unabomber lo Stato ha riconosciuto un risarcimento, come avviene di solito per le vittime del terrorismo. La prima donna gravemente ferita, Anna Pignat, è però deceduta nel 2008 senza averlo ricevuto. Invece, Anita Buosi, Ludovica Gianni e due bambine ferite nel 2003 e nel 2005 hanno ottenuto un risarcimento (rispettivamente 90.466 euro, 38.418 euro, 190.455 euro e 53.786 euro).

L’ultimo attacco attribuito ad Unabomber risale al 6 maggio 2006.

La lunga “pausa” in attività, che persiste ad oggi, è oggetto di diverse interpretazioni. Tra le possibili spiegazioni ci sono quelle secondo cui l’autore degli attentati potrebbe essere morto, oppure potrebbe essere stato arrestato per un altro reato e non identificato come Unabomber, aver perso l’interesse a commettere attacchi o essere semplicemente in una fase di inattività. C’è però chi propone ipotesi più complesse, sostenendo che potrebbe essere in terapia psicologica o anche in trattamento farmacologico.

Alcuni investigatori, come Domenico Labozzetta, dichiarano un sostanziale agnosticismo sul fatto che le indagini si siano mai avvicinate realmente all’autore degli attentati. Gli investigatori ritengono comunque che il caso Unabomber non sia chiuso e che sia necessario continuare a esaminarlo periodicamente.

Il profilo criminologico di Unabomber

Un elemento distintivo di Unabomber è la difficoltà nell’identificare un preciso metodo operativo nei suoi attacchi. Alcune caratteristiche comuni possono essere individuate, come la maggiore frequenza di attacchi nei pressi di Pordenone e Portogruaro e la tendenza a colpire piccoli centri piuttosto che grandi città.

Si ipotizza anche che mirasse a colpire luoghi affollati e importanti durante determinati periodi dell’anno, come chiese durante le festività religiose, spiagge durante l’estate e piazze durante il Carnevale.

La pausa operativa tra il 1997 e il 1999 ha indotto alcuni a ipotizzare un impedimento per l’attentatore, come la detenzione o una missione militare. Inoltre, sembra che conosca bene il territorio, il che potrebbe indicare un legame con la regione del Friuli occidentale o addirittura con la città di Pordenone.

La profilazione del responsabile ha restituito l’immagine di un individuo di età compresa tra i 35 e i 50 anni, data la lunga durata della sua attività e la competenza dimostrata nella costruzione degli ordigni esplosivi. La preparazione accurata e meticolosa degli ordigni suggerisce che potrebbe vivere da solo o avere accesso a un luogo isolato. Inoltre, l’uso di conoscenze chimiche avanzate e la cura maniacale per i dettagli nella costruzione degli ordigni indicano che Unabomber potrebbe avere una formazione professionale o un’esperienza nel campo della scienza o della tecnologia.

La tendenza a colpire in luoghi affollati durante le festività e la stagione estiva, così come la preferenza per le località più piccole, suggeriscono che Unabomber potrebbe mirare a causare il massimo panico e terrore nella popolazione. L’assenza di un preciso schema operativo e l’impossibilità di individuare un movente preciso rendono difficile stabilire un profilo preciso del criminale.

Le indagini
Aspetti problematici

Le indagini sul caso Unabomber si sono rivelate particolarmente difficili fin dall’inizio, a causa della mancanza di un movente evidente per gli attentati e della conseguente difficoltà nell’individuare i sospettati. La sospensione degli attentati, pur fornendo indizi preziosi, ha rappresentato un problema poiché ha indotto gli inquirenti a credere che gli episodi fossero terminati, rallentando le indagini. Inoltre, ci sono stati errori commessi da parte degli inquirenti e delle forze dell’ordine, così come informazioni confidenziali sono state rese pubbliche.

La buona volontà di associazioni e cittadini comuni di venire incontro agli inquirenti, in particolare attraverso l’istituzione di ricompense, non fu di molto aiuto, anzi quando Unabomber colpì a Fagarè, nel più drammatico dei suoi attentati, alcuni supposero si fosse attivato per vendetta contro la ricompensa di 50.000 euro posta sul suo capo, attraverso il quotidiano Libero, dall’imprenditore Giorgio Panto, la cui fabbrica si trovava nelle vicinanze. Si ritiene che le varie ricompense siano state rese inutili dall’inesistenza di un fenomeno di omertà intorno al caso.

Oltre a tutto ciò, la vicenda fu complicata dalla dispersione geografica degli episodi, che finirono per coinvolgere ben quattro procure: il fatto di Sacile (21 agosto 1994) attivò la procura di Pordenone, quello di Aquileia (11 dicembre 1995) coinvolse la procura di Udine, quello di Bibione (26 dicembre 1995) chiamò in causa la procura di Venezia e infine quello di Motta di Livenza (2 novembre 2001) riguardò la procura di Treviso.

Un altro problema fu rappresentato dal ricambio dei magistrati, troppo frequente rispetto alla lunga durata delle indagini sul caso. Per ovviare a questi inconvenienti, anche sulla spinta dell’indignazione generale seguita al caso di Fagarè (25 aprile 2003), fu istituita una superprocura con il compito di coordinare le indagini. Lo speciale ufficio però finì per naufragare, inaspettatamente travolto dall’esito imbarazzante del caso Zornitta.

Gli elementi indiziari
I principali indizi in mano alle autorità inquirenti sul caso Unabomber sono:
  • I reperti obiettivi degli ordigni esplosi e inesplosi;
  • Il DNA rinvenuto dalle analisi del RIS sui residui trovati sugli ordigni;
  • Impronte digitali trovate sugli ordigni o su altri elementi collegati al caso;
  • Profili criminologici basati sulla modalità di azione, tempistica, territorio e tecniche utilizzate per confezionare gli ordigni.

Molti degli ordigni creati dall’Unabomber erano semplici tubi bomba. Erano costituiti da pezzi di tubi da idraulica con tappi alle estremità, riempiti di una miscela di composti azotati ricavati da materiali facilmente reperibili come fuochi d’artificio, munizioni da caccia, diserbanti e fertilizzanti. Dall’ottobre 2000, i dispositivi esplosivi divennero più complessi, dimostrando la notevole perizia tecnica dell’attentatore, che arrivò anche ad utilizzare la nitroglicerina. Ciò ha fatto pensare alla possibilità di più soggetti che avrebbero preso spunto dal primo attentatore.

Alcuni indizi minori sono rappresentati da testimonianze oculari che hanno portato alla creazione di alcuni identikit. Alcune di queste sono state raccolte durante l’attentato al tribunale di Pordenone (24 marzo 2003), durante il quale sono stati anche esaminati i video del sistema di sicurezza. Tuttavia, questi hanno fornito immagini confuse, in cui era solo possibile intravedere un uomo con abbigliamento mimetico e un paio di baffi apparentemente posticci.

Indipendentemente dal movente, è facile identificare gli obiettivi dell’Unabomber dalle conseguenze delle esplosioni, dalle caratteristiche delle vittime, dai tempi e dai luoghi degli attentati. Gli ordigni esplodono di solito verso la persona, spesso causando danni permanenti alle mani (spesso la perdita delle prime tre dita) e agli occhi. Le vittime sono persone comuni, selezionate a caso, a volte bambini. Come già menzionato, i tempi e i luoghi mostrano una preferenza per i periodi di festa o vacanza e non escludono obiettivi legati al mondo della religione.

Basati su queste informazioni, è stato elaborato il profilo dell’attentatore, utilizzando anche l’esperienza degli esperti nella caccia ai serial killer. Nel corso del tempo, si è ipotizzato che si trattasse di un individuo di sesso maschile, di età compresa tra i 30 e i 50 anni, appassionato di esplosivi e forse con un desiderio di protagonismo. Si è pensato che vivesse da solo o con qualcuno che non gli impedisse di agire (ad esempio un genitore anziano o un figlio piccolo), che raccogliesse articoli sui propri atti criminali e che potesse aver commesso altri reati oltre a quelli per cui è diventato noto. Sono stati anche elaborati profili psicopatologici. Tuttavia, alcuni non hanno escluso la possibilità che si trattasse di una donna.

Le piste seguite

Inizialmente, in occasione dell’attentato di Sacile del 21 agosto 1994, fu accreditata la pista dell’ecoterrorismo, ma l’assenza di rivendicazioni disorientò gli inquirenti, che ipotizzarono in seguito il coinvolgimento di ambienti estremisti. Con l’insorgere di nuovi episodi, prese forma la teoria dell’attentatore solitario. Durante il primo attentato di Lignano, il 4 agosto 1996, tuttavia, l’insegnante Andrea Agostinis fu indagato in relazione a un’ipotesi di terrorismo.

L’interruzione degli attentati fece pensare che Unabomber fosse un militare statunitense di stanza alla base aerea di Aviano che aveva momentaneamente sospeso le attività criminose perché impegnato nella guerra del Kosovo (che si svolse proprio tra il 1996 ed il 1999, lo stesso periodo in cui Unabomber non compì attentati), oppure un militare italiano esperto in esplosivi.

D’altro canto, l’abilità dimostrata dall’attentatore nell’eludere le mosse degli inquirenti fece sorgere anche il sospetto che si trattasse di un appartenente alle forze dell’ordine. Nessuna di queste piste trovò conferme.

Gli inquirenti si concentrarono sulla tesi dell’attentatore solitario e su una lista di persone sospette, lista però troppo estesa, per l’assenza di un movente. Emersero anche ipotesi diverse, come l’esistenza di complici o di imitatori. Nemmeno queste ipotesi trovarono riscontri concreti. Nel novembre 2022 la procura di Trieste ha riaperto il caso del bombarolo, dopo aver ricevuto la richiesta formale da parte di due delle vittime dell’attentato. Il 19 gennaio 2023, undici persone sono state indagate dalla procura, di cui dieci avevano già fatto parte dell’inchiesta precedente, poi archiviata.

Persone indagate

Numerosissimi sono stati i sospettati nel caso Unabomber. Nel 2000 gli inquirenti stavano vagliando un migliaio di nomi, che furono selezionati per esclusione con l’ausilio di un software dell’FBI che permise di incrociare le tracce telematiche e gli altri dati a disposizione. La cerchia si restrinse sempre più, fino a limitarsi a una dozzina di individui. Di tanto in tanto emerse il nome di una specifica persona.

Andrea Agostinis

Il 5 agosto 1996, dopo l’episodio a Lignano, l’ANSA ricevette una telefonata che attribuiva l’atto al Gruppo 17 novembre, autore di due attentati negli Stati Uniti nello stesso periodo. In Italia, apparentemente, esisteva una sola persona informata su tale organizzazione: Andrea Agostinis, un insegnante di disegno tecnico di Tolmezzo. Il professore era anche giornalista e aveva recentemente pubblicato un’inchiesta dettagliata sul Gruppo 17 novembre nel Quotidiano del Friuli. Agostinis aveva inoltre dato notizia della rivendicazione all’ANSA prima di chiunque altro. Gli inquirenti lo considerarono l’autore della telefonata e perquisirono la sua casa a Lignano e la scuola dove lavorava a Udine. Agostinis fu oggetto di un’informazione di garanzia e fu coinvolto nell’inchiesta, ma gli indizi furono insufficienti e il caso fu archiviato nel 1999. Anche le altre rivendicazioni del Gruppo 17 novembre furono riconosciute come false. Nel frattempo, gli attentati di Unabomber si erano interrotti.

Elvo Zornitta

Il 26 maggio 2004 venne ufficialmente indagato l’ingegnere Elvo Zornitta, con le forze dell’ordine che eseguirono una perquisizione nella sua abitazione. Il suo nome era stato suggerito da un’altra persona indagata. Gli indizi contro Zornitta erano numerosi (17) rispetto agli altri sospetti. I principali indizi erano le sue competenze tecniche in relazione agli esplosivi (che Zornitta ammise), l’area dei suoi spostamenti lavorativi, corrispondente a quella degli attentati, e il ritrovamento di oggetti compatibili con quelli usati dall’attentatore, compresi alcuni petardi privi di polvere pirica. Si sospettò anche che Zornitta avesse una lieve menomazione, una caratteristica spesso considerata nel profilo ipotetico dell’Unabomber, anche se questo sospetto non fu mai verificato. In un primo momento, anche il fratello minore di Zornitta, Giuseppe, fu sospettato.

Il sospettato di essere l’Unabomber, Theodore Kaczynski, fu sorvegliato per due anni, ma nonostante ciò, continuò a colpire regolarmente, sempre con alibi solidi confermati dagli inquirenti. Vittorio Borraccetti, Procuratore Capo della Procura di Venezia, confermò che almeno due degli attentati non erano stati commessi dal sospettato. Si ipotizzò la presenza di un’altra persona che collocava gli ordigni per conto di Kaczynski e sospetti caddero anche sulla moglie e sul fratello del sospettato. I test del DNA eseguiti sui parenti e amici del sospettato diedero esito negativo.

Il 10 ottobre 2006 sembrò che gli inquirenti avessero trovato una prova schiacciante contro Zornitta: la corrispondenza tra le lame di un paio di forbici sequestrate e i tagli sul lamierino dell’ordigno rinvenuto nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro. Sulle forbici fu effettuato un incidente probatorio che, tramite il metodo dei toolmarks, sembrò confermare la diagnosi. La scoperta convinse, al momento, i magistrati e i media.

Il 17 gennaio 2007 l’avvocato Maurizio Paniz, davanti al GIP Enzo Truncellitto, contestò il risultato della perizia, ipotizzando che una piccola porzione del lamierino fosse stata tagliata con le stesse forbici dopo il sequestro. Quando ulteriori analisi confermarono questa possibilità, finì sotto inchiesta il poliziotto Ezio Zernar, che risultò aver alterato la prova con l’intento di incastrare Zornitta. Questo evento indebolì le indagini nei confronti di Zornitta, il cui fascicolo fu archiviato il 2 marzo 2009 su richiesta della procura. Zernar fu condannato in primo grado e in appello a due anni di reclusione per falso ideologico e frode processuale. Nel marzo 2012 la Cassazione annullò la sentenza d’appello, ordinando la ripetizione del processo.

Nel 2010 alcune testate giornalistiche avanzarono la possibilità di una riapertura del caso Zornitta, a seguito della diffusione di un video che mostrava l’ingegnere intento a limare un paio di forbici con un oggetto. Gli inquirenti interpretarono tale gesto come un’ammissione di responsabilità e sostennero che le forbici in questione coincidessero con quelle sequestrate durante una perquisizione successiva agli attentati. Tuttavia, l’avvocato Paniz sostenne che il video in questione, girato durante il periodo di sorveglianza dell’ingegnere, era già stato esaminato insieme al resto del materiale raccolto e che l’azione di limatura era stata compiuta mesi dopo il sequestro delle forbici. Inoltre, non esistevano prove che le forbici in questione fossero state sottratte durante la perquisizione. L’ipotesi di una riapertura del caso non trovò pertanto alcun riscontro.

Il risultato dell’archiviazione ha lasciato Elvo Zornitta in una posizione giuridica simile a quella di qualsiasi altro cittadino: non c’è alcun impedimento per intentare un processo per i delitti di Unabomber contro di lui, ma allo stesso tempo non vi è alcun motivo per farlo, poiché la sua innocenza non è mai stata messa in dubbio dalla formulazione di un’accusa. Zornitta ha dichiarato di aver subito gravi danni personali e patrimoniali, tra cui la perdita del lavoro, a causa delle indagini e delle dichiarazioni fatte dagli organi inquirenti e dalla stampa a suo carico. In particolare, si è costituito parte civile nel processo contro Zernar, chiedendo un ingente risarcimento. Nel novembre 2014, la Cassazione ha condannato definitivamente il poliziotto accusato di aver alterato la prova del lamierino. Nell’ottobre 2022, Zornitta ha ricevuto un risarcimento dallo Stato pari a 300000 €.

Nel corso degli anni, sono stati considerati altri indiziati per essere l’Unabomber, tra cui:

  • Un giovane ferito gravemente da una bomba che stava confezionando e trovato in possesso di istruzioni per costruire ordigni durante il periodo tra gli attentati di Claut e Bannia (1996);
  • Un uomo di Sacile, orfano precoce di madre, la cui ex fidanzata lavorava all’ipermercato di Portogruaro (2000-2002);
  • Un insegnante di Pordenone che aveva lavorato in varie località colpite, anche se in momenti diversi rispetto agli attentati (2006). Questa persona è stata indagata contemporaneamente ai fratelli Zornitta e possedeva oggetti comuni che sembravano compatibili con quelli utilizzati negli attentati.

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