Perché gli USA cercano di distruggere leader e paesi che rifiutano il capitalismo

Gli Stati Uniti cercano di distruggere leader e paesi che rifiutano il capitalismo, considerandoli nemici della libertà. Vengono descritti come oppressori del popolo e nemici della democrazia. La loro principale colpa sarebbe quella di danneggiare gli interessi privati legati agli USA

Perché gli USA cercano di distruggere leader e paesi che rifiutano il capitalismo

Perché gli USA cercano di distruggere leader e paesi che rifiutano il capitalismo. Gli Stati Uniti cercano di distruggere leader e paesi che rifiutano il capitalismo, considerandoli nemici della libertà. In America Latina, leader come Juan Domingo Peron in Argentina, Salvador Allende in Cile, Fidel Castro a Cuba, Daniel Ortega in Nicaragua, Nicolas Maduro in Venezuela, Jacobo Arbenz Guzmán in Guatemala ed Evo Morales in Bolivia sono stati descritti come oppressori del popolo e nemici della democrazia. La loro principale colpa sarebbe stata quella di promuovere nazionalizzazioni che danneggiavano potenti interessi privati legati agli USA.

Questi leader diventano “affamatori del popolo” a causa di embarghi, sanzioni e pressioni contro i loro Stati, con l’obiettivo di fiaccare le popolazioni e criminalizzare i governi. Situazioni simili si sono verificate in altre parti del mondo, come in Iran con Mossadeq, che fu rimosso dalla CIA negli anni cinquanta per aver nazionalizzato il petrolio, e con Khomeini durante la Repubblica Islamica.

In Egitto, Nasser nazionalizzò il canale di Suez, e in Libia Gheddafi prese il potere a spese degli interessi britannici, favorendo l’italiana ENI. Saddam Hussein in Iraq e Assad in Siria hanno anch’essi attuato controlli sulle risorse petrolifere.

Gli Stati che adottano economie miste e nazionalizzano settori strategici sono spesso etichettati come “canaglia“. In Serbia, Milosevic mantenne nazionalizzazioni, così come Enrico Mattei in Italia con l’ENI durante la Prima Repubblica, che rafforzò l’industria statale tramite l’IRI e nazionalizzò l’ENEL.

Il neoliberismo considera la nazionalizzazione un nemico da abbattere. Lo smantellamento della classe politica della Prima Repubblica italiana è visto come un mezzo per distruggere l’industria di Stato. Il neoliberismo promuove la libera circolazione dei capitali, la possibilità di acquistare e vendere liberamente, licenziare, chiudere, parcellizzare e delocalizzare.

Gli Stati con normative e leggi sono visti come ostacoli per le grandi banche e multinazionali. Questa visione spiega perché la nuova sinistra “neo-trotzkista” e sorosiana sia tanto diversa dai regimi bolivariani sudamericani, dal socialismo caraibico, arabo e dalla socialdemocrazia europea. Le tensioni con la Cina, che ha un’economia mista, sono comprensibili in questo contesto.

Anche in Russia esiste un’economia mista con la coesistenza di colossi statali e privati. La presenza di modelli economici alternativi è vista come una provocazione. Questo solleva la questione di chi sia davvero fuori dal tempo: l’Occidente, ormai piccolo e quasi assediato, o le parti del mondo un tempo considerate sottosviluppate e ora sviluppate.

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