Il glifosato è una sostanza chimica utilizzata nell’agricoltura e nell’orticoltura per combattere le erbe infestanti che competono con le colture
Il glifosato fa venire il cancro? Il glifosato è una sostanza chimica (un erbicida) utilizzata nell’agricoltura e nell’orticoltura per combattere le erbe infestanti che competono con le colture.
Storia del glifosato
Il glifosato è stato introdotto in agricoltura negli anni ’70 del secolo scorso dalla multinazionale Monsanto con il nome commerciale di “Roundup“. Il brevetto della Monsanto è scaduto nel 2001 e da allora il glifosato è prodotto da un gran numero di aziende (tra cui Bayer che nel 2016 ha acquisito la Monsanto).
Ha avuto una grande diffusione perché alcune coltivazioni geneticamente modificate sono in grado di resistergli: distribuendo il glifosato sui campi si elimina ogni erbaccia o pianta tranne quella resistente che si desidera coltivare. Si aumenta così la resa per ettaro e si riduce l’impegno per l’agricoltore.
Per la sua bassa tossicità (rispetto agli erbicidi dell’epoca) è stato, poi, usato anche in ambienti urbani per mantenere strade e ferrovie libere da erbacce infestanti.
Perché preoccupa l’uso del glifosato?
Il glifosato può essere utilizzato a condizione che sia autorizzato dalle autorità nazionali a seguito di una valutazione della sua sicurezza.
Attualmente il periodo di approvazione dell’uso del glifosato nell’UE termina il 15 dicembre 2022. L’approvazione quinquennale è stata concessa dalla Commissione europea nel 2017, a seguito di valutazioni distinte dell’EFSA e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA).
La domanda di rinnovo dell’approvazione è stata presentata formalmente nel 2019 da aziende riunite nel Gruppo per il rinnovo del glifosato. La procedura richiede diversi passaggi di valutazioni e revisioni e attori coinvolti ed è attualmente in corso. Le conclusioni delle nuove valutazioni di ECHA ed EFSA sono attese per il 2022.
Gli studi sulla glifosato
Il glifosato è da molti anni al centro di dibattiti, polemiche, casi giudiziari e oggetto di studi scientifici con risultati discordanti. Anche le più importanti istituzioni scientifiche internazionali si sono espresse in modo non del tutto concorde sulla potenziale pericolosità del glifosato.
Un gruppo di esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha preso in esame tutti gli studi relativi ai possibili effetti per gli esseri umani e per gli animali. L’analisi approfondita si è conclusa nel 2015, con la decisione di inserire il glifosato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” (categoria 2A).
Nella stessa categoria sono presenti il DDT, gli steroidi anabolizzanti le emissioni da frittura ad alta temperatura, le carni rosse, le bevande bevute molto calde e le emissioni prodotte dal fuoco dei camini domestici alimentati con biomasse, soprattutto legna. In pratica, si tratta di sostanze per cui ci sono prove limitate di cancerogenicità negli esseri umani, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali.
In particolare, gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un possibile aumento del rischio di sviluppare linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti professionalmente a questa sostanza, un’associazione riscontrata anche da una recente metanalisi. Gli studi di laboratorio in cellule in coltura hanno dimostrato che la sostanza può avere alcuni effetti dannosi, come danni genetici e stress ossidativo.
Sempre nel 2015, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha condotto un’altra valutazione tecnica (affidata all’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio) secondo la quale “è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per gli esseri umani“. In ogni modo l’EFSA ha disposto “nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti” come misura di cautela.
Queste conclusioni sono state oggetto di critiche, finché nel 2016 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Organizzazione delle nazioni unite per il cibo e l’agricoltura (FAO) hanno condotto un’analisi congiunta giungendo anche loro alla conclusione che “è improbabile che il glifosato comporti un rischio di cancro per gli esseri umani come conseguenza dell’esposizione attraverso l’alimentazione“.
Invece, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), e cioè l’autorità che è competente per la legge sulla classificazione e l’etichettatura delle sostanze e delle miscele, ha classificato il glifosato come una sostanza che può provocare lesioni oculari e come sostanza tossica per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. Nel 2017 il Comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA ha, però, concluso che in base alle prove scientifiche disponibili al tempo, il glifosato non soddisfaceva i criteri per essere classificato come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione.
Più recentemente l’EFSA ha rivisto i livelli massimi di residui (LMR) di glifosato, cioè la concentrazione massima ammissibile di residui di antiparassitari presente all’interno degli alimenti o sulle loro superfici, basata sulle buone pratiche agricole e calcolata in modo che anche i consumatori più vulnerabili siano protetti da eventuali effetti negativi.
Le misure adottate dai Paesi europei
Anche se il giudizio sulla potenziale pericolosità è incerto, numerosi Paesi hanno adottato misure precauzionali per ridurre l’uso inappropriato dei prodotti contenenti glifosato.
In Olanda, la vendita ai privati per uso casalingo è stata vietata nel 2014, mentre le vendite in ambito professionale non hanno subito limitazioni.
In Francia, il ministro dell’ecologia ha chiesto nel 2015 a vivai e negozi di giardinaggio di non esporre sugli scaffali accessibili al pubblico il glifosato, che rimane però in libera vendita.
In Italia, un decreto del Ministero della salute ha stabilito nel 2016 che il diserbante non si potrà più usare nelle aree “frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bimbi, cortili e aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie“. Un altro decreto del Ministero della salute ha, poi, stabilito che i prodotti che contengono ammina di sego polietossilata accoppiata al glifosato (una combinazione che secondo il rapporto dell’EFSA potrebbe essere responsabile degli effetti tossici sugli esseri umani) fossero ritirati dal commercio nel novembre del 2016, e che il loro impiego da parte dell’utilizzatore finale fosse vietato dalla fine di febbraio del 2017.
La sentenza della Corte Supera degli Stati Uniti
In una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, il RoundUp (erbicida contenente glifosato), si è confermato pericoloso. In pratica, la Corte Suprema ha respinto il ricorso della Bayer (che nel 2016 ha acquisito la Monsanto).
La Bayer-Monsanto si era appellata all’organo giudiziario nella speranza di ribaltare una sentenza del 2019, quando una giuria californiana aveva approvato il risarcimento al 70enne Edwin Hardeman, consumatore del RoundUp sin dagli anni 80 e malato di cancro linfoma non Hodgkin. La causa di Hardeman aveva riconosciuto per la prima volta un nesso di casualità tra l’esposizione al diserbante e la malattia e per questo aveva aperto la strada a numerose altre sentenze.
Dopo la vittoria contro Bayer sono spuntati migliaia di casi. Secondo il Financial Times sono 107mila le cause concluse con esito sfavorevole alla multinazionale ed attualmente in attesa ci sono altre 30 mila richieste.
Quindi, l’incertezza di dire un secco NO all’utilizzo del glifosato è probabile che derivi dall’enorme mercato che c’è dietro. Infatti, l’attuale modello di agricoltura è sostanzialmente basato sul glifosato.
Infatti, secondo una ricerca della Washington State University del 2016, il glifosato è l’erbicida più diffuso e massivamente utilizzato nelle colture. Nell’ultimo decennio sono stati applicati 6,1 miliardi di kg di glifosato, il 71,6% del consumo totale mondiale dal 1974 al 2014.
Consumo che poi negli anni 90 è ulteriormente aumentato dopo l’introduzione di mais, colza, cotone ed altre piante geneticamente modificate resistenti all’erbicida. Ora le colture geneticamente tolleranti al diserbante rappresentano circa il 56% dell’uso globale di glifosato.
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