Il sistema pensionistico italiano non è più sostenibile. La popolazione italiana sta invecchiando, con un numero crescente di pensionati e un numero sempre minore di lavoratori attivi che contribuiscono al sistema. L’unica soluzione è un intervento mirato ad Incrementare il tasso di natalità e promuovere politiche che attraggano giovani lavoratori e famiglie
I giovani rischiano di non andare mai in pensione. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha sollevato una questione cruciale: il sistema pensionistico italiano, nel contesto demografico attuale, non è sostenibile. Durante un question time alla Camera il 17 luglio, rispondendo al deputato Luigi Marattin, Giorgetti ha dichiarato che «nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale» in Italia.
La sostenibilità economica del sistema pensionistico italiano è minacciata principalmente dall’andamento demografico del Paese. La popolazione italiana sta invecchiando, con un numero crescente di pensionati e un numero sempre minore di lavoratori attivi che contribuiscono al sistema. Questa situazione crea uno squilibrio tra le risorse disponibili e le esigenze di pagamento delle pensioni.
L’unica soluzione per risolvere questo problema non è una nuova riforma del sistema pensionistico, ma un intervento mirato sul quadro demografico italiano. Incrementare il tasso di natalità e promuovere politiche che attraggano giovani lavoratori e famiglie potrebbe contribuire a riequilibrare il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, rendendo il sistema più sostenibile nel lungo periodo.
La sostenibilità del sistema pensionistico italiano
Il sistema pensionistico italiano funziona attraverso un metodo “a ripartizione”, dove le pensioni attuali sono finanziate dai contributi versati oggi dai lavoratori attivi. Questo significa che chi lavora oggi paga per sostenere le pensioni degli attuali pensionati, aspettandosi che in futuro i nuovi lavoratori faranno lo stesso per loro.
L’alternativa a questo sistema è quello a capitalizzazione, dove i contributi versati dai lavoratori vengono accumulati e poi restituiti come rendita pensionistica una volta che si va in pensione. Tuttavia, il sistema italiano rimane a ripartizione, il che implica una dipendenza diretta dal rapporto tra lavoratori attivi e pensionati.
Durante un question time alla Camera, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha sottolineato che nessun sistema pensionistico è sostenibile con l’attuale quadro demografico italiano. Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è cruciale: nel 2022 l’INPS ha erogato oltre 22 milioni di pensioni per 16,7 milioni di pensionati, con circa 23,8 milioni di occupati in Italia alla fine dello stesso anno.
Il problema è evidente: il numero di lavoratori e il numero di pensioni quasi si equivalgono, ma solo una parte della retribuzione dei lavoratori finisce nei contributi pensionistici, che non sono sufficienti a coprire tutte le pensioni. Nel 2022, l’INPS ha speso circa 315 miliardi di euro per erogare trattamenti pensionistici, mentre le entrate contributive sono state di 257 miliardi di euro. Questa differenza di circa 150 miliardi di euro è parzialmente dovuta alle prestazioni assistenziali, come le pensioni di invalidità.
Anche considerando solo le pensioni derivanti da contributi lavorativi, nel 2022 l’INPS ha speso 283 miliardi di euro, con una differenza di 26 miliardi rispetto ai contributi ricevuti. Questo ammanco viene coperto dalla spesa pubblica: nel 2022 l’INPS ha ricevuto finanziamenti dal bilancio dello Stato per 157 miliardi di euro, necessari per gestire sia le pensioni assistenziali che quelle da lavoro.
Il peggioramento della situazione in futuro
Attualmente, l’INPS non riesce a sostenere autonomamente il sistema pensionistico, e la situazione è destinata a peggiorare. Il ministro Giorgetti ha sottolineato che il quadro demografico italiano non offre prospettive incoraggianti. Secondo Eurostat, l’Italia ha la popolazione più anziana dell’Unione europea, con un’età mediana di 48,4 anni. I pensionati sono 16 milioni, rappresentando il 27 per cento della popolazione, mentre i giovani sono sempre meno. Le persone in età lavorativa (15-64 anni) hanno raggiunto il picco nel 1992, rappresentando il 69 per cento della popolazione, mentre oggi sono circa il 62 per cento.
Sempre secondo Eurostat, nel 2023 l’Italia era al secondo posto nell’Unione Europea per il rapporto di dipendenza degli anziani (old-age dependency ratio), che misura il rapporto tra persone con più di 65 anni e persone tra i 15 e i 64 anni. Più questo rapporto è alto, più una popolazione è sbilanciata verso gli anziani. Nell’intera Unione Europea, questo rapporto è pari al 33,4 per cento, mentre in Italia è al 37,8 per cento.
In questo contesto, la sostenibilità del sistema pensionistico è destinata a peggiorare. Secondo le stime del governo Meloni contenute nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) del 2023, la spesa pensionistica in percentuale al PIL crescerà almeno fino al 2045, per poi iniziare a calare. Questo cambiamento sarà dovuto sia alla progressiva riduzione della popolazione dei “Boomer” (le persone che oggi hanno tra i 52 e i 70 anni), sia all’effetto delle riforme che hanno limitato i trattamenti pensionistici insostenibili, come la “riforma Fornero” del 2012. Queste previsioni sono state confermate anche nel Documento di Economia e Finanza per il 2024, approvato lo scorso aprile.
Nel frattempo, il divario tra le prestazioni erogate dall’INPS e le entrate contributive si allargherà nei prossimi anni, con sempre più pensionati e sempre meno lavoratori a finanziare i loro assegni.
Le possibili soluzioni
La soluzione al problema della sostenibilità del sistema pensionistico potrebbe arrivare da una correzione del quadro demografico, piuttosto che da una nuova riforma complessiva del sistema, che appare piuttosto complicata. La riforma Fornero, introdotta dall’ex ministra del Lavoro Elsa Fornero durante il governo Monti, ha già corretto i principali problemi che rendevano il sistema insostenibile. Questa riforma prevede che per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 si applichi il sistema di calcolo “contributivo“, basato sui contributi effettivamente versati. In pratica, si riceve una pensione proporzionata a quanto versato durante la vita lavorativa, senza costi aggiuntivi per l’INPS.
Il vero problema è trovare abbastanza lavoratori che versino i contributi per pagare le pensioni nei prossimi anni. Per migliorare la sostenibilità del sistema pensionistico, è necessario intervenire sul quadro demografico, aumentando le nascite o favorendo l’ingresso di lavoratori stranieri in Italia. Aumentare le nascite è una soluzione importante, ma i suoi effetti si vedrebbero solo nel medio-lungo periodo. Nel 2022, secondo l’Istat, sono nati circa 379 mila bambini, il 26 per cento in meno rispetto al 2013. Anche raddoppiando il numero di nascite il prossimo anno, gli effetti positivi sul mercato del lavoro si vedrebbero solo tra 20-25 anni.
L’immigrazione potrebbe invece tamponare la mancanza di lavoratori già nel breve periodo. Gli immigrati sono spesso giovani e in grado di lavorare, ma l’Italia non è al momento una destinazione molto attrattiva. Nel 2022, secondo Eurostat, sono arrivati in Italia 7 immigrati ogni mille abitanti, contro gli 11,4 della media UE, i 24,7 della Germania e i 26,4 della Spagna. Un aumento dell’immigrazione avrebbe un impatto rilevante sull’economia italiana. Il DEF approvato dal governo Meloni nel 2023 prevedeva che con un aumento del 33 per cento degli immigrati entro il 2070, il debito pubblico in rapporto al PIL potrebbe diminuire di oltre 30 punti percentuali, grazie anche a una maggiore sostenibilità del sistema pensionistico e a una minore necessità di trasferimenti pubblici all’INPS per coprire il divario contributivo.
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