SWI – IL TURISMO PRODUCE L’8,8% DELLE EMISSIONI DI C02 GLOBALI

Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, il turismo è responsabile dell’8,8% delle emissioni totali di anidride carbonica (CO₂) a livello globale

Le emissioni globali di gas serra legate al turismo rappresentano una parte rilevante del problema climatico mondiale. Secondo uno studio pubblicato martedì 10 dicembre su Nature Communications, il turismo è responsabile dell’8,8% delle emissioni totali di anidride carbonica (CO₂) a livello globale. Questo studio, che analizza dati raccolti in 175 Paesi nel corso di un decennio (dal 2009 al 2019), mette in evidenza che le emissioni del settore turistico sono aumentate del 3,5% all’anno, una crescita molto più veloce rispetto a quella degli altri settori economici. Nel 2019, le emissioni turistiche hanno raggiunto 5,2 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente.

Gli esperti avvertono che questa tendenza non è sostenibile. Ya-Yen Sun, professore associato presso l’Università del Queensland in Australia e autore principale dello studio, ha dichiarato: “Senza un’azione urgente nell’industria turistica globale, prevediamo che le emissioni aumenteranno del 3%-4% ogni anno, il che significa che raddoppieranno ogni vent’anni”. Secondo Sun, questa crescita non è compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, che richiederebbe una riduzione delle emissioni del settore turistico di oltre il 10% all’anno.

Le emissioni legate al turismo stanno aumentando a causa di diversi fattori:
Crescita della domanda: Il numero di persone che viaggiano è in continuo aumento, così come le spese durante i viaggi. Nel 2019, la spesa media per alloggio, trasporti e ristorazione è salita a 672 dollari per viaggiatore, rispetto ai 536 dollari del 2009.
Aumento della popolazione mondiale: La popolazione globale è cresciuta da 6,9 miliardi nel 2009 a 7,8 miliardi nel 2019, portando a un aumento del numero di viaggi.
Trasporti: Il settore dei trasporti contribuisce per oltre il 55% all’impronta di carbonio del turismo. L’uso dei veicoli privati e, soprattutto, dell’aviazione ha un impatto molto rilevante. L’aviazione è responsabile del 21% delle emissioni turistiche, mentre i veicoli privati contribuiscono per il 17%.

Secondo lo studio, gli alloggi rappresentano invece solo il 5% delle emissioni complessive del turismo. Anche se i progressi tecnologici e infrastrutturali hanno migliorato l’efficienza, questi miglioramenti sono stati annullati dalla crescita della domanda.

Lo studio sottolinea che le responsabilità non sono distribuite in modo uniforme tra i diversi Paesi. Tre nazioni – Stati Uniti, Cina e India – sono responsabili del 39% delle emissioni globali legate al turismo. Gli Stati Uniti contribuiscono con il 19%, la Cina con il 15% e l’India con il 6%. Inoltre, queste tre nazioni sono state responsabili del 60% della crescita delle emissioni turistiche tra il 2009 e il 2019, principalmente a causa di viaggi interni piuttosto che internazionali.

In generale, i Paesi sviluppati, compresi alcuni del Medio Oriente come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, rappresentano il 75% delle emissioni del settore. La Francia, ad esempio, ha contribuito per il 2,3% all’impronta di carbonio del turismo nel 2019.

Nel 2020, la pandemia di Covid-19 ha ridotto drasticamente il turismo a livello globale. Le emissioni del settore sono calate del 58% in un solo anno, contribuendo per due terzi alla diminuzione complessiva delle emissioni di carbonio globali registrata in quell’anno. Questo calo ha permesso agli scienziati di osservare il peso del turismo nella crescita delle emissioni globali.

Dopo la ripresa post-pandemia, il turismo è in forte crescita e si prevede che nel 2024 supererà i 20 miliardi di viaggi. Gli scienziati stimano che le emissioni del settore supereranno presto i livelli del 2019. Stefan Gössling, ricercatore dell’Università di Linné in Svezia e coautore dello studio, ha avvertito che “è molto probabile che le emissioni turistiche superino i livelli del 2019 nel prossimo futuro”.

Gli autori dello studio ritengono che sia necessario intervenire con decisione per invertire questa tendenza. Ya-Yen Sun ha affermato: “Al momento, non esiste un mandato globale per ridurre le emissioni. Gli sforzi sono del tutto volontari e si concentrano principalmente a livello aziendale”. Secondo gli autori, l’industria del turismo continua a misurare il proprio successo sulla base dell’aumento del numero di turisti e della spesa, invece che sulla sostenibilità.

Gli esperti propongono di fissare un “limite alla domanda” per ridurre le emissioni. Tra le misure suggerite ci sono:
Non ampliare o costruire nuovi aeroporti.
Eliminare i sussidi all’aviazione.
Introdurre un costo sociale del carbonio nei biglietti aerei, aumentando il loro prezzo.

A livello locale, gli operatori turistici potrebbero adottare soluzioni come l’uso di energie rinnovabili per alloggi e ristorazione, e veicoli elettrici per i trasporti. Gli scienziati sottolineano che i cambiamenti climatici, con ondate di calore, incendi e riduzione della neve, stanno già colpendo le principali destinazioni turistiche, mettendo a rischio la redditività del settore.

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WIRED – L’ITALIA VUOLE INVESTIRE 3 MILIARDI SULL’IDROGENO

L’Italia sta progettando una strategia ambiziosa per lo sviluppo dell’idrogeno verde come parte della transizione energetica. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) ha presentato la Strategia nazionale sull’idrogeno, un piano che prevede investimenti per oltre 3 miliardi di euro tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Tuttavia, il percorso verso la realizzazione di questo progetto è costellato di sfide tecnologiche, economiche e infrastrutturali. Il piano prevede la costruzione di 40 stazioni di rifornimento entro il 2026, la creazione di una rete di gasdotti dedicati all’idrogeno e l’installazione di impianti di produzione alimentati da energie rinnovabili, oggi ancora scarse. I costi di produzione dell’idrogeno verde, attualmente compresi tra 5 e 10 euro al chilogrammo, rappresentano un grande ostacolo, così come la mancanza di impianti solari ed eolici sufficienti per alimentare la produzione. L’idrogeno verde è un vettore energetico prodotto tramite l’elettrolisi dell’acqua utilizzando esclusivamente energia rinnovabile. Questo processo non emette anidride carbonica, differenziandosi dall’idrogeno grigio, ricavato dal gas naturale e responsabile di elevate emissioni di CO2. Le applicazioni sono molteplici: l’idrogeno verde può essere utilizzato per decarbonizzare processi industriali come la produzione di acciaio, alimentare celle a combustibile per veicoli pesanti o essere miscelato con il gas naturale nelle reti esistenti. Per essere competitivo, però, il costo di produzione dovrebbe scendere a circa 2 euro al chilogrammo entro il 2030. La strategia punta a una domanda di 0,25 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile all’anno, con almeno il 70% prodotto sul territorio nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, sarà necessario installare 3 gigawatt di elettrolizzatori, che trasformano l’acqua in idrogeno. I settori prioritari sono l’industria pesante (acciaio, vetro, ceramica, cemento) e i trasporti a lungo raggio (camion, treni non elettrificati e trasporto marittimo). Sul fronte infrastrutturale, il piano prevede una dorsale dell’idrogeno lunga 2.800 chilometri, da Mazara del Vallo a Tarvisio, che richiederà sia la conversione di gasdotti esistenti sia la costruzione di nuove tratte. Produrre idrogeno verde richiederà circa 90 gigawatt di nuovi impianti solari ed eolici entro il 2050. Tuttavia, le difficoltà legate alle autorizzazioni e alla resistenza delle comunità locali rendono questo obiettivo complesso. Gli investimenti stimati includono fino a 16 miliardi di euro per gli elettrolizzatori e ulteriori 33 miliardi di euro per la modernizzazione degli impianti industriali e dei mezzi di trasporto. Attualmente, in Italia esistono solo due stazioni di rifornimento per idrogeno, situate a Bolzano e Venezia Mestre. La Strategia nazionale prevede una rete di stazioni lungo i principali corridoi autostradali, con una distanza massima di 200 chilometri tra una stazione e l’altra. L’Italia ha stanziato più fondi per l’idrogeno rispetto ad altri Paesi europei, come Germania, Francia e Spagna, grazie al Pnrr. La sua posizione geografica potrebbe renderla un hub strategico per l’importazione di idrogeno dal Nord Africa tramite il Southern Hydrogen Corridor, che collegherà il Mediterraneo meridionale all’Europa centrale. Tuttavia, la Corte dei conti europea ha avvertito che gli obiettivi comunitari per il 2030 in materia di idrogeno rinnovabile potrebbero essere difficili da raggiungere a causa della frammentazione dei finanziamenti e della mancanza di una strategia coordinata. “La pubblicazione della Strategia nazionale idrogeno è un traguardo di grande importanza per tutta la filiera,” ha dichiarato Alberto Dossi, presidente di H2It, l’Associazione italiana idrogeno. “Ma attenzione: questo documento deve rappresentare un punto di partenza, non di arrivo. Ora è fondamentale trasformare le linee guida in azioni concrete: servono strumenti di breve, medio e lungo periodo che accompagnino le imprese nella realizzazione dei progetti già finanziati, che supportino la domanda attraverso incentivi mirati e sostengano tutto il comparto della componentistica legato all’idrogeno. Sarà cruciale garantire regole certe e sinergie tra i diversi ministeri per assicurare il successo delle iniziative”.

WIRED – CREATO IN SICILIA IL PRIMO IMPIANTO AL MONDO PER CATTURARE CO2 DAL MARE

Limenet, un’azienda italiana, ha creato in Sicilia il primo impianto al mondo per catturare l’anidride carbonica (CO2) direttamente dal mare, utilizzando bicarbonato di calcio. Questa innovazione ha due scopi principali: ridurre la quantità di CO2 presente nell’atmosfera e contrastare l’acidificazione degli oceani, un fenomeno che minaccia la vita marina e, di conseguenza, l’intero ecosistema globale. L’impianto si trova ad Augusta, in Sicilia, e sfrutta un metodo naturale, basato su processi chimici che la Terra utilizza da milioni di anni. Il co-fondatore di Limenet, Jacopo Visetti, ha spiegato l’efficienza del loro sistema, affermando: “Il più grande impianto di stoccaggio di CO2 in Islanda, dal costo di circa 4 miliardi di dollari, cattura 30mila tonnellate di CO2 l’anno: con Limenet possiamo farlo in 20 giorni”. Il funzionamento della tecnologia di Limenet è piuttosto semplice: si utilizza acqua marina, energia rinnovabile e carbonato di calcio, un materiale abbondante sulla Terra, che costituisce il 7% della crosta terrestre. Stefano Caserini, professore all’Università di Parma e consulente scientifico di Limenet, ha spiegato: “Il carbonato di calcio è uno dei materiali più diffusi, ce n’è molto più di quello che ci serve”. Grazie a questa tecnologia, la CO2 viene trasformata in una soluzione di bicarbonati di calcio, che è stabile e sicura per oltre 10mila anni. Oceani e mari assorbono circa il 30% della CO2 prodotta dall’uomo, ma questa capacità è stata messa sotto pressione a causa dell’eccessiva produzione di anidride carbonica, portando all’acidificazione delle acque. Questo processo è devastante per la vita marina e ha conseguenze anche per l’uomo. Limenet promette di contrastare questo problema grazie al bicarbonato di calcio, che non solo cattura la CO2 ma contribuisce anche a ridurre l’acidità dell’acqua. Il processo, completamente alimentato da energie rinnovabili, si articola in diverse fasi: la CO2 viene estratta dall’atmosfera, il carbonato di calcio viene frantumato, trasformato in calce viva, reidratato e poi utilizzato per la cattura dell’anidride carbonica. Più della metà della calce prodotta serve a rimuovere la CO2, mentre la restante parte viene impiegata per catturare ulteriore anidride carbonica. Ad Augusta, l’impianto sta già funzionando, sebbene sia ancora in fase di sviluppo. Attualmente ha una capacità produttiva di 100 kg di CO2 all’ora sotto forma di bicarbonati di calcio. Stefano Cappello, amministratore delegato e fondatore di Limenet, ha dichiarato: “Con l’impianto di Augusta si avvierà il funzionamento continuo della tecnologia. Il nostro obiettivo è raggiungere le economie di scala attese, abbattendo i costi di rimozione e stoccaggio”. L’origine del progetto di Limenet ricorda una storia da Silicon Valley. Cappello ha raccontato che tutto è iniziato “nel garage di mia nonna”, con una piccola tecnologia sviluppata grazie alle ricerche di Stefano Caserini. Queste ricerche sono state tra le prime al mondo a concentrarsi sul sequestro di CO2 in mare, e nel 2021 è stato ottenuto il brevetto per la tecnologia di Limenet. Caserini ha spiegato: “Quando abbiamo pubblicato i primi articoli, non ne uscivano molti: ora ne esce circa uno a settimana. Ma al momento noi siamo i pionieri assoluti nella realizzazione di un impianto di stoccaggio in mare”. L’impianto pilota di Augusta ha una capacità di 800 tonnellate di CO2 catturata ogni anno. Tuttavia, le ambizioni di Limenet sono molto più grandi. L’azienda ha già raccolto 2 milioni di euro di finanziamenti e punta a ottenerne altri 5, con l’obiettivo di ampliare la capacità fino a raggiungere le cosiddette “gigatonnellate” di CO2 entro il 2055. Secondo Cappello, è possibile realizzare impianti industriali che producono 100mila tonnellate l’anno di emissioni negative, con un costo per tonnellata di circa 100 dollari, un traguardo che ritiene realistico, seguendo i trend di riduzione dei costi di altre tecnologie verdi. La sfida è enorme: attualmente nel mondo sono state rimosse solo 10mila tonnellate di CO2, ma per rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi sarà necessario rimuovere 10 miliardi di tonnellate entro il 2050. Limenet si propone come una soluzione promettente per contribuire a questo obiettivo globale.

ILSOLE24ORE – IN ITALIA IL PIU’ ALTO NUMERI DI INCENDI D’EUROPA

L’Italia continua a guidare la classifica europea per numero di incendi boschivi. Nell’estate del 2024, sono stati registrati 254 roghi dai satelliti, con 28.634 ettari bruciati, che rappresentano il 24% degli incendi censiti in tutta l’Europa. Le regioni del Sud e il Lazio sono le più colpite, ma l’estensione delle aree devastate non è aumentata rispetto agli anni passati, a differenza di quanto avvenuto in paesi come Spagna e Portogallo. Nonostante l’aumento degli episodi, l’intensità è stata inferiore rispetto agli anni precedenti. L’Italia presenta dati meno allarmanti in termini di superficie bruciata: circa 28.000 ettari nel 2024, inferiori a Bulgaria (38.850) e Spagna (34.000). Anche la media 2006-2023 di 56.700 ettari annui è minore rispetto a Portogallo (93.736) e Spagna (81.623). A partire dal 15 giugno, è iniziata la campagna antincendio boschivo (Aib) 2024 che potenzia le azioni di prevenzione e le forze in campo nel periodo estivo. La campagna è stata estesa fino al 15 ottobre, due settimane oltre il consueto termine. Il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ha delineato una strategia che punta su prevenzione, pianificazione e azione rapida. Anche i Vigili del fuoco hanno confermato l’aumento degli incendi rispetto all’anno precedente. Dal 15 giugno ci sono stati 28.921 interventi, circa 5.000 in più rispetto ai 23.990 del 2023. Tuttavia, questi numeri sono inferiori a quelli del 2022, 2021 e 2017. In Calabria, la direzione regionale dei vigili del fuoco ha registrato un aumento del 10% degli incendi rispetto allo stesso periodo del 2023, ma di “minore entità” e senza causare “maggiore criticità operativa”.

ANSA – IN ITALIA E’ INIZIATO UN PROGETTO EUROPEO PER ESTRARRE TERRE RARE DA RIFIUTI ELETTRONICI

In Italia, a Ceccano, è iniziato un progetto pilota per estrarre terre rare da rifiuti elettronici. Il sito industriale di Itelyum Regeneration sta producendo ossidi e carbonati di terre rare (neodimio, praseodimio e disprosio) da riciclo chimico di magneti permanenti esausti, estratti da hard disk e motori elettrici a fine vita. Il progetto, coordinato da Itelyum, è stato finanziato con 2,5 milioni di euro dall’EIT RawMaterials. La seconda fase prevede investimenti ulteriori stimati in 9,5 milioni di euro per trattare oltre 20.000 tonnellate di rifiuti. Il processo a due livelli prevede il disassemblaggio dei magneti e il recupero di ossidi misti di terre rare tramite idrometallurgia. L’impianto di smontaggio potrà trattare 1.000 tonnellate all’anno di rotori elettrici, mentre l’impianto idrometallurgico a regime potrà trattare 2.000 tonnellate all’anno di magneti permanenti. Il progetto mira a recuperare circa 700 tonnellate all’anno di ossalati di REE, sufficienti per il funzionamento di 1 milione di hard disk e laptop, e 10 milioni di magneti permanenti per applicazioni varie nell’automotive elettrico. L’obiettivo del progetto è contribuire alla sicurezza delle forniture di materie prime critiche, in linea con gli obiettivi della Critical Raw Materials della UE, che prevede di estrarre almeno il 10% delle materie prime critiche consumate nell’UE da miniere europee, lavorare in Europa almeno il 40% delle materie prime critiche consumate nell’UE, e raffinare o lavorare in impianti europei almeno il 25% delle materie prime critiche consumate nell’UE.

ILMESSAGGGERO – LE RINNOVABILI HANNO COPERTO OLTRE LA META’ DELLA DOMANDA DI ELETTRICITA’ IN ITALIA

L’Italia ha raggiunto un importante traguardo nella sua transizione energetica, segnando un record nella produzione di energie rinnovabili nel mese di maggio. Questo progresso rappresenta un segnale positivo di cambiamento, aprendo scenari promettenti per il futuro. Le condizioni climatiche estreme del mese scorso hanno contribuito notevolmente a questo risultato: nel Nord Italia, intense piogge e nevicate hanno favorito la produzione di energia idroelettrica, mentre nel Sud le alte temperature hanno incrementato la produzione di energia fotovoltaica. Secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, oltre la metà della domanda di elettricità in Italia è stata coperta da energie rinnovabili nel mese di maggio, raggiungendo un picco del 52,5%. Questo rappresenta il valore mensile più alto mai registrato in Italia. Oltre al meteo, il Superbonus ha avuto un impatto positivo, incentivando numerosi investimenti green. Nel 2024 sono stati installati finora 3 gigawatt di nuova potenza rinnovabile, con una previsione di raggiungere 8 gigawatt entro la fine dell’anno, in aumento rispetto ai 6 gigawatt installati nel 2023. I dati del 2024 sulle energie rinnovabili in Italia sono incoraggianti. A maggio, l’energia idroelettrica ha visto un incremento del 34,7% rispetto allo stesso mese del 2023, l’energia fotovoltaica è aumentata del 36,3% e l’energia eolica è salita del 10,5%. Il Superbonus 110% ha favorito gli investimenti in energia solare, con un aumento significativo dei pannelli solari installati su condomini e villette in tutta Italia. Questo ha portato a una riduzione della produzione di energia termoelettrica da gas e carbone del 14,6% nei primi cinque mesi del 2024, con il carbone che ha coperto solo l’1% della domanda di elettricità in Italia, mantenendosi sotto il 2% dall’inizio dell’anno. L’aumento della capacità rinnovabile installata è stato del 42% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, indicando che il paese sta facendo progressi verso un futuro più sostenibile.

ADICONSUM – AD APRILE LE ENERGIE RINNOVABILI HANNO SODDISFATTO PIU’ DELLA META’ (51,2%) DELLA DOMANDA ELETTRICA IN ITALIA

In Italia, nello scorso mese di aprile, le energie rinnovabili hanno soddisfatto più della metà della domanda elettrica nazionale. Superando il contributo complessivo delle fonti fossili, le fonti pulite hanno soddisfatto il 51,2% del fabbisogno energetico, contro il 34,2% proveniente da fonti non rinnovabili, mentre a soddisfare il restante fabbisogno è subentrato il saldo con l’estero. A renderlo noto il rapporto mensile di Terna. In particolare, la fonte fotovoltaica ha soddisfatto da sola il 30,8% della generazione elettrica rinnovabile totale, seguita dall’idroelettrico (37,7%) e dall’eolico (17,4%). Stabili, invece, la geotermia e il calore da biomasse. Rispetto allo stesso mese del 2023, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili registra così un +43,8%, mentre la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata del 45%, registrando una crescita di 2.356 MW. In particolare, un notevole incremento lo ha subito la produzione idroelettrica rinnovabile (+197,5%), mentre quella fotovoltaica è in aumento di quasi il 20%. Ampliando lo sguardo, secondo quanto riportato dal rapporto, nei primi quattro mesi del 2024 la richiesta di energia elettrica da fonti rinnovabili si attesta al 39,6%, in netto aumento rispetto al 30,8% dello stesso periodo del 2023 e del 30,1% del 2022. In generale, a livello globale si attesta un netto aumento del ricorso a fonti energetiche rinnovabili, che sono passate dal 19% del 2000 ad oltre il 30% del 2023, in particolare grazie all’aumento dell’energia solare ed eolica. Grazie a ciò, lo scorso anno l’intensità di anidride carbonica della produzione globale di energia elettrica ha raggiunto un nuovo minimo storico, il 12% in meno rispetto al picco del 2007.

ILSOLE24ORE – I PANNELLI FOTOVOLTAICI SUI TERRENI AGRICOLI SI POTRANNO INSTALLARE SOLO SE SOLLEVATI DA TERRA

Il governo italiano ha recentemente approvato una legge che vieta l’installazione di pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli, ad eccezione di quelli posti a più di due metri da terra, noti come agrivoltaico. Tale divieto è stato approvato durante il Consiglio dei ministri del 6 maggio e rappresenta un compromesso tra il ministero dell’Agricoltura e quello dell’Ambiente. Il divieto, originariamente annunciato come totale, prevede ora alcune deroghe significative, in particolare per l’agrivoltaico. Questa modalità di installazione, che consente di utilizzare i campi per le coltivazioni mantenendo i pannelli a una distanza di almeno due metri da terra, continuerà a essere consentita. Sebbene più costosa rispetto all’installazione tradizionale a terra, l’agrivoltaico rappresenta l’unico modo per gli agricoltori di produrre energia e ottenere un ritorno economico dagli impianti. Il compromesso è stato raggiunto per favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, in linea con gli obiettivi dell’Italia di triplicare la capacità di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030. Tuttavia, il divieto riguarda solo gli impianti a terra, mentre ci saranno meno limitazioni per quelli posti a più di due metri di altezza. Le critiche al provvedimento non sono mancate, soprattutto da parte delle associazioni degli operatori del fotovoltaico. Alcuni ritengono che il divieto possa comportare un aumento dei costi e un impatto visivo maggiore degli impianti, mentre altri sottolineano che l’area occupata dagli impianti fotovoltaici nei terreni agricoli è attualmente molto limitata, rappresentando solo lo 0,1% del totale.

ADNKRONOS – OLTRE 20MILA LUPI NELL’UE (ITALIA PRIMA)

Il lupo è tornato a popolare i boschi dell’Europa, con una presenza che ha raggiunto oltre 20.300 esemplari nel 2023, distribuiti in tutti e 24 gli Stati membri dell’Unione Europea. Questo dato segna un netto aumento rispetto al 2012, quando la popolazione di lupi dell’UE era stimata a 11.193 esemplari. Il ritorno del lupo, tuttavia, non è uniforme in tutta l’Europa, con alcune regioni che mostrano un maggior numero di individui rispetto ad altre. Secondo un rapporto dettagliato redatto dai servizi della Commissione Europea, intitolato “La situazione del lupo nell’Unione Europea”, la presenza del lupo è particolarmente significativa in 23 Paesi dell’UE, dove sono stati identificati branchi che si riproducono. Questi lupi mancano solo in Irlanda, Cipro e Malta, ma la tendenza è verso un aumento della loro presenza. In particolare, l’Italia si distingue per il maggior numero di lupi, con una popolazione stimata di circa 3.307 esemplari. La crescente popolazione di lupi in Europa ha portato la Commissione Europea a considerare la proposta di abbassare lo status di protezione del lupo da “rigorosamente protetto” a “protetto”. Questa decisione politica è stata influenzata dalla pressione degli agricoltori, che lamentano danni al bestiame causati dall’aumento della presenza di lupi nelle aree rurali. Tuttavia, la proposta ha generato dibattiti e opposizione da parte di alcuni settori della società civile e degli ambientalisti, che temono possibili conseguenze negative sull’ecosistema e sulla conservazione della specie. Il rapporto della Commissione sottolinea che, nonostante l’aumento del numero di lupi, lo stato di conservazione della specie varia nelle diverse regioni biogeografiche dell’UE. Mentre in alcune aree, come la regione Alpina, il suo stato di conservazione è considerato favorevole, in altre regioni è considerato sfavorevole. Ciò suggerisce che esistono sfide significative nella gestione e nella conservazione del lupo in Europa, che richiedono un’attenzione particolare da parte delle autorità competenti. Tra le principali questioni legate alla presenza del lupo in Europa vi sono i conflitti con l’allevamento di bestiame e la sicurezza umana. Sebbene i lupi contribuiscano al controllo delle popolazioni di ungulati selvatici e alla prevenzione di malattie tra il bestiame, causano danni al bestiame domestico, specialmente nelle zone dove le prede naturali sono scarse. Gli attacchi al bestiame, sebbene relativamente rari su larga scala, possono avere un impatto significativo sulle comunità rurali e sull’economia locale. Un’altra preoccupazione è la possibilità di attacchi del lupo all’uomo. Sebbene il rischio di attacchi mortali sia molto basso, esistono casi documentati di aggressioni da parte dei lupi, soprattutto in presenza di individui confidenti o condizionati dall’alimentazione umana. Questi episodi possono generare paura e preoccupazione tra la popolazione, alimentando sentimenti contraddittori riguardo alla presenza del lupo in determinate aree. Nonostante le sfide, la presenza del lupo può anche rappresentare un’opportunità per lo sviluppo del turismo ecologico e la sensibilizzazione sull’importanza della conservazione della fauna selvatica. Il turismo legato al lupo può generare reddito nelle comunità rurali e promuovere la coesistenza pacifica tra l’uomo e il lupo, contribuendo così alla conservazione della specie e alla salvaguardia degli ecosistemi naturali.

ANSA – UNESCO: 2,2 MILIARDI DI PERSONE SENZA ACQUA POTABILE

Secondo un nuovo rapporto pubblicato dall’UNESCO in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, intitolato ‘L’acqua per la pace’, attualmente 2,2 miliardi di persone nel mondo vivono senza accesso all’acqua potabile sicura, mentre 3,5 miliardi non dispongono di servizi igienico-sanitari adeguati. L’UNESCO avverte che l’obiettivo delle Nazioni Unite di garantire l’accesso all’acqua per tutti entro il 2030 è ancora lontano dall’essere raggiunto e esprime preoccupazione per il rischio che tali disuguaglianze possano aumentare ulteriormente nel tempo. Per preservare la pace, gli Stati devono intensificare la cooperazione internazionale e gli accordi transfrontalieri, secondo quanto dichiarato dalla direttrice generale dell’UNESCO, Audrey Azoulay. Il rapporto evidenzia che tra il 2002 e il 2021 la siccità ha colpito più di 1,4 miliardi di persone, con una crescente prevalenza di gravi carenze idriche. Dal 2022, circa la metà della popolazione mondiale ha sperimentato una grave scarsità d’acqua per almeno parte dell’anno, mentre un quarto ha dovuto affrontare livelli estremamente elevati di stress idrico.

ITALIAOGGI – VIA LIBERA DELL’UE A 1,1 MILIARDI DI AIUTI ALL’ITALIA PER LA “TRANSIZIONE VERDE”

La Commissione europea ha dato il via libera a un regime di aiuti di Stato dell’Italia del valore di 1,1 miliardi di euro per sostenere gli investimenti destinati alla produzione di attrezzature necessarie per facilitare la transizione verso un’economia a zero emissioni nette, in sintonia con gli obiettivi del Green Deal. Tale misura, parzialmente finanziata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), favorirà aziende che operano nel settore delle batterie, dei pannelli solari, delle turbine eoliche, delle pompe di calore, degli elettrolizzatori, nonché dei dispositivi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio e delle componenti e delle materie prime essenziali per la fabbricazione di tali attrezzature. Gli aiuti saranno concessi sotto forma di sovvenzioni dirette. Il regime approvato dalla Commissione fa parte del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato, adottato il 9 marzo 2023 e modificato il 20 novembre 2023, al fine di sostenere misure nei settori chiave per accelerare la transizione verde e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. L’Italia ha notificato alla Commissione un regime da 1,1 miliardi di euro per sostenere investimenti finalizzati alla produzione di attrezzature, componenti e materie prime essenziali per la transizione verso un’economia a zero emissioni nette. Questa misura, che sarà parzialmente finanziata attraverso il PNRR, prevede l’erogazione di aiuti sotto forma di sovvenzioni dirette. Il massimo importo dell’aiuto per beneficiario sarà di 150 milioni di euro, cifra che potrà essere aumentata fino a 200 milioni di euro per i beneficiari situati in regioni ammissibili agli aiuti a norma dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera c) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e a 350 milioni di euro per i beneficiari situati in regioni ammissibili agli aiuti a norma dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera a). Gli aiuti saranno destinati alle imprese che producono attrezzature quali batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, nonché strumenti per la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, insieme alle componenti essenziali progettate e principalmente utilizzate come fattori di produzione per la fabbricazione di tali attrezzature o le relative materie prime necessarie. La Commissione ha valutato che il regime italiano rispetta le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi e transizione. Gli aiuti incentiveranno la produzione di attrezzature per la transizione verso un’economia a zero emissioni nette e saranno concessi entro il 31 dicembre 2025.

SCENARIECONOMICI – LA SCOPERTA DI NUOVI ISOTOPI APRE LA STRADA ALLA CONFERMA DEI “NUMERI MAGICI” DELLA FISICA NUCLEARE

Un team di scienziati cinesi dell’Istituto di Fisica Moderna (IMP) dell’Accademia Cinese delle Scienze (CAS), insieme a collaboratori, ha annunciato la scoperta di due nuovi isotopi, l’osmio-160 e il tungsteno-156. Questa scoperta apre le porte a una maggiore comprensione dell’architettura dei nuclei atomici e potrebbe contribuire alla conferma dei “numeri magici” della fisica nucleare, portando così alla definizione di nuovi isotopi stabili della materia. L’esperimento è stato condotto presso il separatore a rinculo riempito di gas-Spectrometer for Heavy Atoms and Nuclear Structure (SHANS), situato presso la Heavy Ion Research Facility di Lanzhou, in Cina. Utilizzando la reazione di evaporazione per fusione, i ricercatori hanno sintetizzato per la prima volta l’osmio-160 e il tungsteno-156. Secondo quanto riportato nello studio pubblicato su Physical Review Letters e segnalato come Editors’ Suggestion, l’osmio-160 emette particelle α, mentre il tungsteno-156 è un emettitore di β+ con un tempo di dimezzamento di 291 ms. Il Dr. Yang Huabin dell’IMP, primo autore dell’articolo, ha dichiarato che la tendenza osservata nel tasso di decadimento degli isotopi indica un rafforzamento della chiusura del guscio di 82 neutroni verso la linea di decadimento del protone. Questo sostiene l’idea di un potenziale nucleo doppiamente “magico”, come il piombo-164, che potrebbe essere stabile con 82 protoni e 82 neutroni. I “numeri magici” nella fisica nucleare indicano i numeri di protoni o neutroni che rendono un nucleo atomico particolarmente stabile. Questi numeri includono tradizionalmente 8, 20, 28, 50, 82 e 126. La scoperta di nuovi isotopi mira a confermare l’esistenza di numeri magici più elevati. Lo studio, condotto in collaborazione con diverse istituzioni accademiche cinesi, ha importanti implicazioni teoriche e pratiche. La maggiore stabilità dei nuovi isotopi potrebbe portare a nuove scoperte nel campo della fisica nucleare e potrebbe avere applicazioni pratiche in settori come la medicina nucleare e la produzione di energia. La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Letters sotto il titolo “Scoperta di nuovi isotopi 160Os e 156W: rivelazione di una maggiore stabilità della chiusura della conchiglia N=82 sul lato privo di neutroni” e ha visto la collaborazione di diverse istituzioni accademiche cinesi.

BYOBLU – LO STUDIO CHE METTE IN DISCUSSIONE L’UTILITA’ DEGLI ABBATTIMENTI DI ALBERI PER CONTRASTARE LA XILELLA

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of Phytopatology” mette in discussione l’utilità degli abbattimenti di alberi disposti dall’UE per contrastare la Xylella. Dall’inizio dell’emergenza nel 2015, migliaia di alberi sani, alcuni secolari, sono stati tagliati nel raggio di 50 metri da ogni pianta risultata positiva al batterio. La ricerca, condotta dalla geografa Margherita Ciervo e dal batteriologo Marco Scortichini, si basa su dati del monitoraggio eseguito dalla regione Puglia tra il 2013 e il 2023. I dati dimostrano che l’incidenza del batterio nelle zone di contenimento e cuscinetto a nord dell’area infetta è molto bassa, tra lo 0,06% e lo 0,70% del totale delle piante campionate. In altre parole, la maggior parte degli alberi abbattuti non era infetta o lo era in maniera trascurabile. Inoltre, su 4470 ulivi con sintomi di disseccamento esaminati nel 2021-2022, solo il 3,21% è risultato positivo alla Xylella. Alla luce di questi dati, gli autori dello studio chiedono di eliminare la norma che impone l’abbattimento di tutte le piante ospiti nel raggio di 50 metri da un albero positivo. “Una tale implementazione potrebbe salvare molti olivi centenari e monumentali e il paesaggio straordinario a cui contribuiscono”, affermano Ciervo e Scortichini.

MONDO

NEL MONDO SI PRODUCE SEMPRE PIU' ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

WIRED – NEL MONDO SI PRODUCE SEMPRE PIU’ ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI

Il rapporto “Renewables 2024” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) segnala una crescita significativa nella produzione di energia rinnovabile a livello globale. Si prevede che tra il 2024 e il 2030 saranno aggiunti oltre 5.500 gigawatt di nuova capacità, un incremento quasi triplo rispetto al periodo 2017-2023. La Cina si conferma leader mondiale nel settore, contribuendo per il 60% della capacità globale installata entro il 2030. L’India segue come la nazione con il ritmo di crescita più rapido tra le principali economie. La tecnologia principale che guida questa espansione è il fotovoltaico, che rappresenterà l’80% della nuova capacità rinnovabile entro il 2030. Questo aumento è sostenuto sia da grandi impianti solari che da installazioni domestiche. Anche il settore eolico sta mostrando segni di ripresa, con un raddoppio del tasso di espansione rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, nonostante questa crescita impressionante, i progressi attuali potrebbero non essere sufficienti per raggiungere l’obiettivo di triplicare la capacità rinnovabile globale entro il 2030, come stabilito durante la COP28. Per accelerare ulteriormente l’adozione delle energie rinnovabili, il rapporto propone azioni specifiche che i governi potrebbero intraprendere. Un elemento chiave è l’adozione di politiche ambiziose nel prossimo ciclo di contributi previsti dall’Accordo di Parigi. Inoltre, è fondamentale promuovere la cooperazione internazionale per ridurre i costi di finanziamento nelle economie emergenti, in particolare in regioni come l’Africa e il Sud-est asiatico. Un altro aspetto cruciale è migliorare la flessibilità dei sistemi elettrici per integrare meglio le fonti rinnovabili variabili. Attualmente, in alcuni paesi, circa il 10% della produzione elettrica rinnovabile viene sprecato a causa dell’insufficiente capacità di stoccaggio e rete. L’IEA sottolinea che l’espansione e la modernizzazione delle reti elettriche sono fondamentali per ridurre queste perdite, insieme all’aumento della capacità di stoccaggio, che dovrebbe raggiungere 1.500 gigawatt entro il 2030. Il rapporto evidenzia anche che la crescita dei biocarburanti e dell’idrogeno è ancora limitata e necessita di un forte supporto politico per favorire la decarbonizzazione dei settori più difficili da elettrificare. Sebbene la produzione solare globale stia aumentando e i prezzi dei moduli siano in calo, è necessario bilanciare i costi della produzione locale con le priorità di sicurezza energetica e occupazione.

Altre notizie:

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ADNKRONOS – WWF: NEGLI ULTIMI 50 ANNI SI E’ REGISTRATO UN CALO DEL 73% DELLA DIMENSIONE MEDIA DI VENTEBRATI SELVATICI

Secondo il *Living Planet Report* 2024, tra il 1970 e il 2020 si è registrato un calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici monitorati. In particolare, in America Latina e nei Caraibi si è verificato il calo più marcato, pari al 95%, seguito dall’Africa con una diminuzione del 76% e dall’Asia-Pacifico con un -60%. Questi dati emergono dal report del Wwf, che utilizza il Living Planet Index (Lpi) fornito dalla Zoological Society of London. Questo indice si basa sull’analisi di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie di vertebrati monitorate dal 1970 al 2020. Il calo più significativo è stato osservato negli ecosistemi di acqua dolce, con un decremento dell’85%, seguito da quelli terrestri (-69%) e marini (-56%). Il report avverte che mentre il Pianeta si avvicina a pericolosi punti di non ritorno, rappresentando gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà necessario un enorme sforzo collettivo per affrontare la crisi climatica e quella biologica. “La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie. Il cambiamento climatico rappresenta un’ulteriore minaccia in particolare per la biodiversità in America Latina e nei Caraibi, regioni che hanno registrato un impressionante calo medio del 95%. Il calo delle popolazioni di specie selvatiche è un indicatore di allerta precoce del crescente rischio di estinzione e della potenziale perdita di ecosistemi sani”, avverte il Wwf. Quando gli ecosistemi vengono danneggiati, “cessano di fornire all’umanità i benefici da cui dipendiamo, aria pulita, acqua e terreni sani per il cibo, e possono diventare più vulnerabili e sempre più vicini al punto di non ritorno. Un ‘tipping point’, infatti, si verifica quando un ecosistema viene spinto oltre una soglia critica, determinando un cambiamento sostanziale e potenzialmente irreversibile. I tipping point globali, come il deperimento della foresta amazzonica e lo sbiancamento di massa delle barriere coralline, creerebbero onde d’urto che andrebbero ben oltre l’area interessata, provocando un impatto sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza”. Il segnale d’allarme è arrivato con gli incendi in Amazzonia che ad agosto hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 14 anni; inoltre, all’inizio dell’anno è stato confermato un quarto evento globale di sbiancamento di massa dei coralli. Per Kirsten Schuijt, direttrice generale del Wwf Internazionale, “la natura sta lanciando un vero e proprio Sos. Le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti, con pericolosi punti di non ritorno globali che minacciano di danneggiare i sistemi che supportano la vita sulla Terra e di destabilizzare le società”. Anche Alessandra Prampolini, direttrice generale del Wwf Italia, ha dichiarato: “Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui. Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti. Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul pianeta. La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura”. Tra le popolazioni monitorate nell’Lpi emerge un calo del 57% nel numero di femmine nidificanti di tartaruga marina embricata sull’isola Milman nella Grande Barriera Corallina in Australia; inoltre si segnala un calo del 65% dell’inia (un delfino di fiume) nel Rio delle Amazzoni e un calo del 75% della più piccola sotalia tra il 1994 e il 2016 nella riserva di Mamirauá sempre in Amazzonia. Lo scorso anno, durante un periodo di caldo estremo e siccità, oltre 330 inie sono morte in soli due laghi. Tuttavia, l’indice rivela anche che alcune popolazioni animali si sono stabilizzate o sono aumentate grazie agli sforzi di conservazione; ad esempio, la sottopopolazione di gorilla di montagna è aumentata di circa il 3% all’anno tra il 2010 e il 2016 nel massiccio del Virunga nell’Africa orientale. Tuttavia, questi successi isolati non sono sufficienti. Kirsten Schuijt continua: “Nonostante la situazione sia disperata, non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno. Disponiamo di accordi e soluzioni globali per portare entro il 2030 la natura sul percorso di ripresa”. Per Andrew Terry, direttore Conservation Policy presso la Zsl, “il Living Planet Index evidenzia a livello globale la continua riduzione delle popolazioni animali selvatiche”. “Questo assottigliamento dell’albero della vita rischia di farci arrivare a pericolosi punti di non ritorno. In questa perdita non siamo inermi. Sappiamo cosa fare e sappiamo che, se ne ha la possibilità, la natura può riprendersi: ciò di cui abbiamo bisogno ora è un aumento dell’azione e dell’ambizione”. “Abbiamo cinque anni per raggiungere gli impegni internazionali volti a ripristinare la natura entro il 2030”, conclude Terry.

WIRED – I TEMPORALI TROPICALI SONO RADIOATTIVI E PRODUCONO POTENTISSIMI RAGGI GAMMA

Un’équipe di scienziati della University of Bergen in Norvegia, dell’Astrophysics and Space Science Observatory dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e di altri istituti di ricerca ha recentemente completato uno studio sulle tempeste tropicali. Questo studio è stato condotto volando sopra le nuvole con un sofisticato aereo spia della NASA, evitando di entrare direttamente nei temporali. I risultati della ricerca, pubblicati in due articoli su Nature, confermano che durante i temporali vengono prodotti raggi gamma, ovvero radiazione elettromagnetica ad altissima energia. Inoltre, spiegano dettagliatamente la natura e le caratteristiche di questi raggi, mettendoli in relazione con la formazione dei fulmini. La storia di questa scoperta risale agli anni ’90, quando i satelliti NASA progettati per individuare particelle ad alta energia provenienti dalle supernovae rilevarono radiazioni gamma provenienti dalla Terra. Si scoprì che i responsabili di queste particelle radioattive erano i temporali. Tuttavia, le caratteristiche precise del fenomeno non erano state indagate a fondo fino a questo studio. Martino Marisaldi, primo autore di uno dei lavori e co-autore dell’altro, ha spiegato: “Il mio gruppo di ricerca a Bergen si occupa di emissioni di alta energia da nubi temporalesche da oltre vent’anni. Finora tutto quello che sapevamo sull’argomento si doveva quasi esclusivamente alle osservazioni da satelliti dedicati all’astrofisica delle alte energie, combinate con le osservazioni terrestri. Poi ci siamo resi conto che per approfondire l’argomento era necessario andare più vicini: per questo abbiamo deciso di usare un aereo della NASA in grado di volare a circa 20 chilometri di quota”. Grazie a questo approccio, l’équipe ha scoperto che la radiazione gamma prodotta durante i temporali tropicali è molto più comune ed eterogenea di quanto si pensasse in precedenza.
Marisaldi continua: “I ‘blocchi di base’ della fisica della generazione di raggi gamma durante i temporali sono abbastanza noti e coinvolgono diversi fenomeni. Anzitutto, quando nelle nuvole si verifica la separazione tra le cariche, si genera un campo elettrico che accelera gli elettroni e porta alla formazione di fotoni ad alta energia. Tuttavia, questo campo elettrico da solo non sarebbe sufficiente a generare lampi gamma: è coinvolto anche un altro meccanismo chiamato ‘relativistic runaway avalanche’, in cui gli elettroni vengono accelerati ‘a valanga’, oltre ad altri fenomeni ancora”. Le nuvole si comportano quindi come enormi acceleratori di particelle, molto più grandi e potenti rispetto a quelli sulla Terra. Durante dieci voli effettuati su grandi nubi temporalesche nel sud della Florida, gli scienziati hanno registrato oltre 130 eventi di emissione di lampi gamma. Gli scienziati hanno osservato e caratterizzato la produzione di diversi tipi di raggi gamma, mostrando che queste emissioni sono fenomeni intrinseci dei temporali e presentano una variabilità peculiare mai osservata prima. Marisaldi afferma: “La dinamica delle nubi temporalesche con emissione di lampi gamma contraddice nettamente quello che si pensava finora sul fenomeno: abbiamo osservato che le nuvole sono simili a enormi pentole piene di acqua bollente”. Inoltre, alcuni lampi gamma sembrano essere associati alla genesi dei fulmini, sebbene il nesso causale tra i due eventi sia ancora oggetto di studio. Tuttavia, la scoperta non deve preoccupare chi vola: Steve Cummer, un altro degli autori del lavoro, ha concluso: “Il fatto che i temporali siano così radioattivi non rappresenta un pericolo per chi vola: da sempre gli aerei evitano di volare nel nucleo di temporali attivi proprio a causa dell’estrema turbolenza e dei venti”. Quindi, anche conoscendo ciò che è stato scoperto, non c’è motivo di preoccuparsi più del solito quando si vola.

AGI – LE FORMICHE PRATICANO L’AGRICOLTURA DA 66 MILIONI DI ANNI

Le formiche praticano l’agricoltura da 66 milioni di anni. Questo dato emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Science, che ha richiesto 35 anni di ricerche per sequenziare i dati genetici di 475 specie di funghi e 276 specie diverse di formiche. Le colonie di formiche hanno iniziato a coltivare i funghi circa 66 milioni di anni fa, in coincidenza con l’impatto di un asteroide che ha colpito il pianeta, evento che ha probabilmente contribuito all’estinzione dei dinosauri. Lo studio è stato condotto dagli scienziati del National Museum of Natural History dello Smithsonian, guidati da Ted Schultz. Il team ha analizzato i dati genetici di centinaia di specie di funghi e formiche per creare alberi evolutivi dettagliati. Gli esperti spiegano che, quando gli esseri umani hanno iniziato a coltivare le loro colture migliaia di anni fa, molti animali avevano già avviato pratiche simili da millenni. Grazie a un approccio combinato, i ricercatori hanno sviluppato una cronologia evolutiva dell’agricoltura delle formiche, identificando il momento in cui questi insetti hanno iniziato a coltivare funghi. “Le formiche praticano l’agricoltura e la coltivazione di funghi da molto prima che la specie umana emergesse – commenta Schultz – potremmo imparare qualcosa dai successi di questa specie così operosa”. Attualmente, quasi 250 specie di formiche nelle Americhe e nei Caraibi sono coinvolte nella coltivazione di funghi. Alcune di queste formiche raccolgono pezzi di vegetazione fresca per nutrire le muffe, che a loro volta producono cibo per le formiche, noto come gongylidia. Nel corso dei 35 anni, i ricercatori hanno raccolto migliaia di campioni genetici provenienti da tutte le regioni tropicali. Questi campioni sono stati utilizzati per sequenziare i dati genetici delle 475 specie di funghi e delle 276 specie diverse di formiche. Gli scienziati hanno quindi realizzato degli alberi evolutivi per entrambi i gruppi. Il confronto dei dati ha permesso agli autori di stabilire che funghi e formiche sono interconnessi da 66 milioni di anni, più o meno dal periodo dell’impatto dell’asteroide alla fine del Cretaceo. L’impatto ha riempito l’atmosfera di polvere e detriti, bloccando la luce solare e impedendo la fotosintesi per anni, il che ha causato l’estinzione di massa della metà delle forme di vita vegetali sulla Terra. Tuttavia, questo evento ha creato condizioni ideali per la proliferazione dei funghi. Le formiche si sono nutrite di queste specie fino a quando, circa 27 milioni di anni fa, hanno sviluppato un’agricoltura più avanzata. In quel periodo, un rapido raffreddamento climatico ha trasformato gli ambienti in tutto il mondo. In Sud America, habitat più secchi come savane boscose e praterie hanno fratturato ampie fasce di foreste tropicali umide. Quando gli insetti hanno portato i funghi fuori dalle foreste umide in aree più secche, li hanno isolati dalle loro popolazioni selvatiche ancestrali, favorendo la differenziazione genetica e rendendoli dipendenti dalle colonie. “Le formiche hanno coltivato i funghi – conclude Schultz – con le stesse tecniche utilizzate dagli esseri umani per le prime coltivazioni. È davvero curioso e straordinario vedere quanto ingegnosamente questi piccoli insetti siano stati in grado di interagire con i funghi”.

ADNKRONOS – SCIENCE: OLTRE 4 MILIARDI DI PERSONE NON HANNO ACCESSO A ACQUA POTABILE

Uno studio pubblicato su Science rivela che oltre 4,4 miliardi di persone in 135 Paesi a basso e medio reddito non hanno accesso a acqua potabile e sicura. Questo numero è più del doppio rispetto alla stima di 2 miliardi riportata nel 2020. La ricerca, condotta da Greenwood e colleghi, ha utilizzato dati terrestri, aerei e satellitari e indagini sulle famiglie per arrivare a questa conclusione. Il problema è aggravato da vari fattori, tra cui la depurazione inadeguata, le alte temperature e la variabilità delle precipitazioni. Anche l’uso del suolo, la vegetazione e il substrato roccioso contribuiscono a rendere l’acqua potabile meno disponibile. Falde acquifere e corpi idrici superficiali, come i fiumi, affrontano “minacce senza precedenti” a causa delle attività umane e dei cambiamenti climatici. Questa crisi idrica comporta anche un aumento dei costi per pompare, trattare e trasportare l’acqua dalle fonti lontane alle città, poiché le risorse locali sono state eccessivamente sfruttate o inquinate. Attualmente, circa 16 miliardi di metri cubi di acqua all’anno vengono trasferiti dalle aree rurali alle aree urbane in tutto il mondo.

ANSA – APPROVATO IN VIA DEFINITIVA IL REGOLAMENTO EUROPEO PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE

La Nature Restoration Law, un regolamento europeo per la tutela dell’ambiente, è stata approvata in via definitiva dal Consiglio dell’Unione Europea. Questo importante regolamento rientra nel Green Deal, un ambizioso piano europeo per il clima. Le nuove regole prevedono l’obbligo di ripristinare le condizioni naturali in almeno il 20 per cento della superficie terrestre e marina dell’Unione entro il 2030. Inoltre, si prevede di estendere gradualmente la tutela a tutti gli ecosistemi scelti entro il 2050. Queste norme saranno direttamente applicabili ai paesi membri dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione. La votazione ha visto l’Italia votare contro, insieme a Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia. Il Belgio si è astenuto. La legge è stata approvata nonostante le resistenze di molti partiti e paesi, che avevano espresso preoccupazioni sulla sua implementazione e sui possibili effetti sulla produzione agricola e sui prezzi dei generi alimentari. La Nature Restoration Law è un regolamento importante e tra i primi del suo genere, ma i suoi obiettivi sono ritenuti molto meno ambiziosi rispetto alla versione iniziale proposta dalla Commissione europea nel 2022. La proposta aveva trovato forti resistenze soprattutto nei partiti europei di destra, che avevano affermato che avrebbe comportato troppi vincoli per il settore agricolo e infine l’aumento dei prezzi dei generi alimentari.

SCENARIECONOMICI – L’EUROPA HA SOSTITUITO LA DIPENDENZA DAL GAS RUSSO CON QUELLA DA FERTILIZZANTE RUSSO

L’Europa si trova ad affrontare una nuova dipendenza, questa volta dai fertilizzanti russi, in sostituzione della precedente dipendenza dal gas russo. Questi fertilizzanti sono prodotti utilizzando un’energia a basso costo. Questa situazione solleva preoccupazioni poiché l’Europa si ritrova ora a dipendere da una fonte russa anche per l’approvvigionamento di sostanze vitali per l’agricoltura. Il CEO di Yara International, il principale produttore di fertilizzanti in Europa, ha sottolineato che l’Europa sta gradualmente diventando eccessivamente dipendente dai fertilizzanti russi. Questa preoccupazione è emersa dopo che Yara ha drasticamente ridotto la sua produzione lo scorso anno. Inoltre, le politiche volte alla sostenibilità ambientale promosse a Bruxelles potrebbero minare ulteriormente la stabilità della produzione di fertilizzanti in Europa prima ancora di raggiungere gli obiettivi climatici prefissati. Holsether ha confrontato questa situazione con la dipendenza precedente dal gas russo, sottolineando l’ironia di passare ora dalla dipendenza energetica alla dipendenza nell’approvvigionamento di cibo e fertilizzanti. La riduzione della produzione occidentale di fertilizzanti, a causa dell’interruzione dei flussi di gas naturale dalla Russia, ha portato a una maggiore importazione di fertilizzanti russi a basso costo. Yara ha ridotto la sua capacità di produzione di ammoniaca e fertilizzanti nel 2023, principalmente a causa dell’importazione di prodotti russi. Questo ha reso l’Europa sempre più dipendente dall’approvvigionamento esterno per soddisfare le proprie esigenze agricole. Se l’Europa dovesse tentare di eliminare la dipendenza dai fertilizzanti russi, potrebbe affrontare un’altra crisi economica simile a quella del gas. Tuttavia, l’assenza di considerazione delle autorità europee potrebbe portare proprio a questa scelta. Al contrario, sarebbe importante cercare fonti energetiche alternative a basso costo per mantenere la produzione di ammoniaca e fertilizzanti in Europa.

REPUBBLICA – CI SONO 57 AZIENDE CHE EMETTONO L’80% DEI GAS SERRA A LIVELLO MONDIALE

Una recente ricerca condotta dal think tank no-profit londinese InfluenceMap ha rivelato che solo 57 aziende nel mondo sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas climalteranti. Queste società operano principalmente nei settori dell’energia e del cemento, e tra di esse figura anche l’italiana Eni. Lo studio si basa sui dati raccolti dalla piattaforma “Carbon Majors”, creata nel 2013 da Richard Heede del Climate Accountability Institute negli Stati Uniti. I dati esaminati coprono un arco temporale significativo, che va dal 1854 al 2022, ma la ricerca si concentra soprattutto sul periodo successivo al 2016, anno in cui sono stati firmati gli accordi di Parigi sul clima. Durante questo periodo, sono state rilasciate nell’atmosfera circa 251 miliardi di tonnellate di CO2. Le aziende di proprietà degli investitori rappresentano il 31% di tutte le emissioni monitorate, con società come Chevron, ExxonMobil e BP tra le principali responsabili. Le società statali, tra cui Saudi Aramco, Gazprom e la National Iran Oil Company, contribuiscono al 33% delle emissioni totali. Il restante 36% è attribuibile agli Stati nazionali, con Cina ed ex Unione Sovietica in cima alla lista dei maggiori responsabili delle emissioni. L’analisi dei dati mostra che dopo gli accordi di Parigi c’è stato un aumento delle emissioni di carbonio legate alla produzione di carbone da parte delle aziende statali e degli Stati nazionali. In particolare, in Asia e nel Medio Oriente, la maggior parte delle aziende ha registrato un aumento delle emissioni durante il periodo 2016-2022. Per quanto riguarda l’Italia, Eni risulta essere la decima società privata per emissioni nel settore del gas e del petrolio a livello globale. Tuttavia, dopo la firma degli accordi di Parigi, l’azienda ha leggermente ridotto la produzione di petrolio, aumentando invece quella di gas. I risultati della ricerca sono stati commentati da Tzeporah Berman, direttrice del programma internazionale di Stand.earth e presidente del Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. Berman ha sottolineato che queste aziende hanno realizzato profitti considerevoli negando il problema dei cambiamenti climatici e ritardando la politica climatica. Ha esortato i governi a resistere a queste aziende e ha sottolineato l’importanza di una nuova cooperazione internazionale per porre fine all’espansione dei combustibili fossili e garantire una transizione verso un’economia più sostenibile.

L’INDIPENDENTE – GLI STATI UNITI SONO STATI I PRINCIPALI ESPORTATORI DI GAS NEL 2023 (GRAZIE ALLE SAZIONI ALLA RUSSIA)

Gli Stati Uniti hanno raggiunto un traguardo storico nel mercato globale del gas, diventando i principali esportatori di gas naturale liquefatto (GNL) nel 2023. Secondo i dati dell’agenzia Reuters, le esportazioni americane di GNL sono aumentate del 14,7% rispetto al 2022, raggiungendo un totale di 88,9 milioni di tonnellate. Questo risultato è stato favorito principalmente dalle sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, che hanno ridotto drasticamente le importazioni di gas russo nel Vecchio Continente. L’Europa è stata la principale destinazione del GNL americano nel 2023, con il 61% delle esportazioni totali a dicembre. Questo dato evidenzia come l’UE sia diventata dipendente dalle forniture energetiche americane, con un impatto significativo sui costi e sulla sicurezza energetica. Il boom del GNL americano ha portato notevoli vantaggi agli Stati Uniti, che hanno potuto aumentare i guadagni energetici e rafforzare la propria posizione geopolitica nel Vecchio Continente. Tuttavia, l’Europa ha dovuto pagare un prezzo alto per questa dipendenza, con costi energetici più elevati e una maggiore vulnerabilità geopolitica. L’ascesa degli Stati Uniti come leader globale del GNL non è un evento casuale, ma il risultato di una strategia a lungo termine elaborata fin dal 2019. L’amministrazione Trump aveva già puntato ad aumentare le esportazioni di gas naturale in Europa per contrastare l’influenza della Russia e la guerra in Ucraina ha solo accelerato questo processo.

CORRIERE – USA: SCOPERTO IN CALIFORNIA IL PIU’ GRANDE GIACIMENTO DI LITIO AL MONDO

Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti annuncia la scoperta del più grande giacimento di litio al mondo sotto il Salton Sea in California, promettendo di rendere gli USA autosufficienti per il metallo chiave delle batterie. Con stime di 18 milioni di tonnellate di litio, tre volte più grande del famoso Salar de Uyuni in Bolivia, il giacimento è facilmente accessibile. Questa scoperta potrebbe garantire una produzione di oltre 3.400 chilotoni di litio, valutati a 540 miliardi di dollari, supportando più di 375 milioni di batterie per veicoli elettrici (EV), superando il totale di veicoli attualmente in circolazione negli Stati Uniti. Il litio è cruciale per la decarbonizzazione e gli obiettivi del Presidente Biden di avere il 50% di veicoli elettrici entro il 2030. Il Dipartimento dell’Energia riconosce la necessità di sviluppare un’industria estrattiva e di raffinazione nazionale, riducendo l’attuale dipendenza dalle importazioni, prevalentemente da Cile e Argentina. La Known Geothermal Resource Area (KGRA) sotto il Salton Sea possiede potenziali concentrazioni di litio tra le più elevate al mondo. Il giacimento potrebbe anche favorire la produzione di elettricità pulita grazie ai suoi 400 megawatt (MW) di capacità di generazione elettrica geotermica. Tuttavia, l’autosufficienza potrebbe portare a un eccesso di offerta e un possibile crollo dei prezzi del litio, secondo analisti. L’adozione della tecnologia di estrazione diretta del litio (DLE), prevista per il 2025, potrebbe accelerare l’indipendenza e consentire un’offerta più rapida. Ciò rappresenta un passo significativo verso la sostenibilità, in quanto le miniere DLE sono portatili e limitano l’uso di risorse. Goldman Sachs prevede un aumento dell’offerta di carbonato di litio a un ritmo del 33% annuo, superando la crescita della domanda, potenzialmente portando a un cambiamento significativo nel mercato del litio entro il prossimo decennio.

ILPOST – NORVEGIA: APPROVATA L’ESTRAZIONE MINERARIA DEI FONDALI MARINI

Il parlamento norvegese ha votato martedì a favore di una legge che autorizza l’estrazione mineraria dai fondali marini, una pratica contestata ma cruciale per ottenere minerali fondamentali per la transizione energetica globale, come litio, scandio e cobalto. Questa mossa rende la Norvegia il primo paese a intraprendere su larga scala questa pratica. L’approvazione iniziale copre solo i fondali marini norvegesi, ma ci sono segnali che il paese cercherà anche l’autorizzazione per estrarre in acque internazionali. Tuttavia, il governo norvegese ha specificato che l’estrazione non inizierà immediatamente: le aziende interessate dovranno presentare proposte che includono valutazioni ambientali, e il parlamento valuterà caso per caso prima di concedere le licenze. La decisione solleva preoccupazioni sull’impatto ambientale, ma potrebbe segnare un precedente nella corsa ai minerali cruciali.

SCENARIECONOMICI – I 5 PRINCIPALI PRODUTTORI DI PETROLIO NEL 2023

La produzione di petrolio negli Stati Uniti ha visto un inatteso aumento, portando il Paese a mantenere la posizione di primo produttore mondiale. A settembre, la produzione statunitense ha toccato un record mensile storico, con previsioni di ulteriori incrementi. Nonostante una prospettata riduzione della spesa per il 2024, gli Stati Uniti prevedono una costante crescita grazie a maggiori efficienze e all’ampliamento delle reti di estrazione. Tale aumento ha spinto gli USA al vertice dei cinque maggiori produttori mondiali di petrolio. Lista dei 5 principali produttori di petrolio, OPEC e non-OPEC: Stati Uniti: Con una produzione superiore a 13 milioni di barili al giorno, gli USA prevedono un ulteriore incremento a breve e medio termine. La loro produzione di greggio ha toccato un picco di 13,236 milioni di barili al giorno a settembre. Arabia Saudita: Pur essendo leader dell’OPEC, il Regno ha implementato volontariamente un taglio di produzione da 10,2 a 9 milioni di barili al giorno nella seconda metà dell’anno. Russia: Stima si aggiri intorno ai 9 milioni di barili al giorno, ma il paese ha recentemente deciso di classificare i dati relativi alla produzione e all’esportazione di petrolio. Canada: La produzione canadese è salita a un record di 4,86 milioni di barili al giorno nel 2022, e si prevede un ulteriore aumento entro il 2025 grazie alla crescita del settore. Iraq: Ha prodotto in media circa 4,3 milioni di barili al giorno, secondo fonti secondarie dell’OPEC. Gli Stati Uniti continuano a guidare la produzione globale, registrando non solo record di produzione, ma anche una crescita esponenziale nelle esportazioni. La crescente produzione al di fuori dell’OPEC sta complicando il ruolo del cartello nel gestire i prezzi globali del petrolio, presentando sfide maggiori di quanto previsto per il prossimo anno.

SCENARIECONOMICI – RAGGIUNTA LA FUSIONE NUCLEARE CON IL METODO DEL “CONFINAMENTO IBRIDO MAGNETICO INERZIALE”

MIFTI, Magneto Inertial Fusion Technology Inc, sotto la guida di Dr. Hafiz Rahman, ha raggiunto un traguardo epocale dimostrando la fusione ibrida magnetico-inerziale presso l’L3 Harris Lab in California. Il successo ha prodotto un incredibile rendimento di 150 miliardi di neutroni, superando di 10.000 volte i risultati di qualsiasi altra azienda nel settore. Questa tecnologia fonde il confinamento magnetico e l’inerzia per comprimere e riscaldare il plasma per raggiungere la fusione nucleare. Il sistema, diverso dai Tokamak che si basano solo sulla fusione magnetica, promette una produzione di energia netta a 10 Mega Ampere. L’obiettivo è produrre isotopi per la scansione dei tumori, aiutando la medicina. US Nuclear è un investitore e potenziale appaltatore principale. L’uso dei neutroni per la produzione di isotopi rappresenta un passo verso l’utilizzo economico della fusione, in attesa di una potenziale costruzione di centrali. L’industria della fusione ha ricevuto un massiccio investimento di 6,21 miliardi di dollari, evidenziando la corsa verso questa fonte energetica. MIFTI si distingue per il suo metodo Z-pinch, offrendo vantaggi unici nel settore e prospettive per risolvere la crisi energetica mondiale.

INQUINAMENTO

L’INDIPENDENTE – LA QUALITA’ DELL’ARIA NELLE CITTA’ ITALIANE E’ TRA LE PEGGIORI D’EUROPA

La qualità dell’aria nelle città italiane è tra le peggiori d’Europa, come evidenziato dal nuovo visualizzatore della qualità dell’aria nelle città europee, pubblicato recentemente dall’Agenzia europea dell’ambiente (AEA). Questo strumento ha esaminato i livelli medi di particolato fine (PM2,5) in 372 città europee con più di 50.000 abitanti. I risultati mostrano che solo cinque città italiane presentano una qualità dell’aria considerata “discreta”: Sassari (6,2 μg/m³), Livorno (7,8 μg/m³), Savona (9,2 μg/m³), Battipaglia (9,6 μg/m³) e Siracusa (9,7 μg/m³). Al contrario, ben 29 città italiane mostrano una qualità dell’aria “moderata” e 27 sono classificate con una qualità “scarsa”. Cremona si distingue come la città italiana più inquinata, con un livello di PM2,5 pari a 23,3 μg/m³, seguita da Vicenza (23 μg/m³) e Padova (22,7 μg/m³). L’analisi si basa sui dati raccolti da 500 stazioni di monitoraggio nei Paesi membri dell’AEA durante il 2022 e 2023. Lo studio ha rilevato che solo 13 città europee hanno registrato concentrazioni medie di particolato fine inferiori al livello guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di 5 μg/m³, entrando così nella categoria delle città con una “buona” qualità dell’aria. Di queste, 11 si trovano nel Nord Europa, in paesi come Svezia, Islanda, Finlandia, Estonia e Norvegia, mentre le altre due sono in Portogallo. Scendendo nella classifica, si trova la categoria delle città con qualità dell’aria “discreta” (tra 5 μg/m³ e 10 μg/m³), che include le cinque città italiane già menzionate. La situazione peggiora con le città che hanno una qualità dell’aria “moderata” (tra 10 μg/m³ e 15 μg/m³), tra cui 29 centri urbani italiani, come Roma, Genova, Salerno, Firenze, Palermo, Napoli e Bologna. Ancora più critica è la situazione delle 71 città europee con qualità dell’aria “scarsa” (tra 15 μg/m³ e 25 μg/m³), tra cui figurano 27 località italiane. Le città con i peggiori risultati in questa categoria sono Cremona, Vicenza, Padova, Venezia e Piacenza. Altre città italiane incluse in questa categoria sono Torino, Milano, Brescia, Bergamo, Verona, Treviso, Reggio Emilia, Parma e Ravenna. L’ultima valutazione sanitaria dell’AEA, presentata alla fine del 2023, ha rivelato che nel 2021 la non conformità ai limiti raccomandati per la concentrazione di particolato fine ha causato 253.000 decessi in Europa. Nonostante una riduzione del 41% nel numero di morti attribuibili al particolato fine negli ultimi 18 anni, l’inquinamento dell’aria rimane il principale rischio ambientale per la salute nelle aree urbane europee. In Italia, la situazione è particolarmente grave, con quasi un quinto dei decessi per PM2,5 avvenuti nel continente registrati nel Paese. Nel 2021, l’esposizione al particolato fine avrebbe causato la morte di circa 47.000 italiani. Le malattie più frequentemente associate all’inquinamento atmosferico da PM2,5 includono cardiopatie ischemiche, ictus, diabete mellito, broncopneumopatia cronica ostruttiva, cancro al polmone e asma.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
RETEAMBIENTE – IL CONSUMO DI SOSTANZE OZONO LESIVE E’ DIMINUITO DEL 99% DAL 1996 AL 2023

In occasione della Giornata Internazionale per la Preservazione dello Strato di Ozono, celebrata il 16 settembre, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) ha diffuso i dati annuali relativi al consumo di sostanze lesive per l’ozono (ODS) all’interno dell’UE, fornendo un aggiornamento sullo stato dello strato di ozono nel 2023. Secondo il report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, a livello globale, il consumo di sostanze ozono lesive, coperte dal Protocollo di Montreal, è diminuito di circa il 99% dal 1986 al 2023. Questa riduzione ha contribuito in modo significativo al ripristino e alla protezione dello strato di ozono, uno scudo essenziale per proteggere la Terra dai raggi ultravioletti. Il 13 settembre 2024, l’EEA ha pubblicato i dati aggiornati relativi al 2023. Questi dati sono raccolti annualmente dalle aziende e comprendono informazioni riguardanti la produzione, l’importazione, l’esportazione, la distruzione e l’utilizzo di sostanze ozono lesive (ODS). Il documento dell’EEA ha evidenziato una diminuzione del consumo di tali sostanze all’interno dell’UE, che sono principalmente impiegate in settori come la refrigerazione, i prodotti farmaceutici e i prodotti chimici agricoli. Tutto ciò avviene nel rispetto delle misure adottate dal Protocollo di Montreal, un accordo internazionale volto a proteggere lo strato di ozono mediante il controllo della produzione e del consumo delle sostanze che lo deteriorano. Dal Protocollo di Montreal del 1986, il consumo delle sostanze considerate dannose per l’ozono è diminuito del 99% fino al 2023. Tuttavia, il residuo 1% si riferisce a sostanze per cui non è ancora stata trovata un’alternativa meno impattante. Queste sostanze sono utilizzate in settori specifici, come quello farmaceutico, nei sistemi di protezione antincendio e in particolari industrie di processo. Il 13 settembre 2024, l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha reso pubblici i dati relativi al consumo di ODS per il 2023, rivelando che: Il consumo di ODS nel 2023 è stato di 1.306 tonnellate, un aumento rispetto al 2022. Questo dato tiene conto della somma dei quantitativi prodotti e importati, sottraendo quelli esportati o smaltiti. L’incremento è dovuto principalmente alla presenza di grandi quantità di sostanze rimaste sul territorio ma destinate all’esportazione. La produzione di sostanze ozono lesive controllate è calata del 20% rispetto al 2022. L’importazione di ODS è diminuita del 2% rispetto all’anno precedente. Nonostante l’aumento del consumo complessivo possa sembrare preoccupante, il trend generale nell’Unione Europea è positivo. L’UE ha dimostrato un impegno concreto nella riduzione del consumo di sostanze dannose per l’ozono, adottando regolamenti e piani d’azione più ambiziosi rispetto a quanto previsto dal Protocollo di Montreal. A febbraio 2024, è stato pubblicato il nuovo regolamento europeo sull’ozono (2024/590/UE), entrato in vigore l’11 marzo 2024. Si prevede che, grazie a questo regolamento, entro il 2050 l’UE riuscirà a ridurre le emissioni di CO₂ fino a 180 milioni di tonnellate e le emissioni con potenziale di eliminazione dell’ozono (ODP) di 32.000 tonnellate.

ILPOST – I LIMONI DELLA COSTIERA AMALFITANA SI STANNO AMMALANDO

Negli ultimi mesi, migliaia di piante di limone nella costiera amalfitana e nella penisola sorrentina, in Campania, sono state colpite da un fungo contagioso, il Plenodomus tracheiphilus, noto come “mal secco”. Questo fungo ha attaccato quasi un terzo delle coltivazioni di due varietà di limoni, il limone di Sorrento IGP e il limone Costa d’Amalfi IGP, entrambe protette da certificazioni di origine protetta e utilizzate per produrre marmellate, spremute e liquori come il limoncello. Il fungo causa il disseccamento delle piante, che si manifestano con ingiallimento delle foglie, perdita delle stesse e morte delle piante. Le spore del fungo si diffondono attraverso il vento e le gocce di pioggia, infettando le piante tramite lesioni causate da eventi naturali o potature. A temperature tra i 18 e 25 gradi, il fungo colonizza i vasi linfatici della pianta, portando al disseccamento di foglie e rami, mentre il tronco assume un colore rosa-salmone o arancione con puntini neri. I sopralluoghi della Coldiretti di Salerno hanno rilevato che circa un terzo dei limoneti è stato infettato, un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. I primi contagi sono stati segnalati nella costiera amalfitana e si sono poi estesi alla penisola sorrentina. Fortunato Della Monica, sindaco di Cetara e presidente della conferenza dei sindaci della costiera amalfitana, ha avvertito che a questo ritmo le coltivazioni di limone potrebbero scomparire in 5 o 6 anni. Non esiste una cura per le piante infette, quindi l’unico modo per prevenire la diffusione del fungo è la prevenzione. Si utilizzano prodotti a base di rame dopo la potatura per sanificare le ferite del legno e impedire l’ingresso del fungo. Si raccomanda l’installazione di reti antigrandine e barriere frangivento per proteggere le piante dagli eventi atmosferici intensi. Gli agricoltori spesso potano drasticamente le piante infette e bruciano i rami colpiti. Il 23 luglio è prevista una riunione con i sindaci della costiera amalfitana, la Regione Campania e il consorzio di tutela del limone Costa d’Amalfi per discutere le misure da adottare. Le associazioni degli agricoltori hanno già richiesto un sostegno economico alla Regione. Oltre all’impatto economico, i sindaci temono che una diffusione massiccia del fungo possa compromettere il paesaggio della costiera amalfitana e della penisola sorrentina, dove i limoni sono simboli iconici, utilizzati per decorare spazi pubblici e privati e venduti come souvenir.

SCENARIECONOMICI – GLI USA INDAGHERANNO SULLE EMISSIONI GLOBALI DI CO2 DERIVANTI DA COMMERCIO E PRODUZIONE

Gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione un’indagine sulle emissioni globali di CO2 connesse al commercio internazionale e alla produzione. Lo scopo è quello di individuare e sanzionare coloro che trasferiscono la produzione in paesi con normative meno rigide sulle emissioni. John Podesta, il nuovo inviato statunitense per il clima, ha annunciato la creazione di una task force speciale per affrontare questo problema durante un discorso presso la Columbia University. Ha definito il commercio globale come una fonte significativa di emissioni e ha sottolineato l’importanza di utilizzare i sistemi economici internazionali per combattere il cambiamento climatico. La Task Force Clima e Commercio si concentrerà su questioni come la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, ovvero quando la produzione con elevate emissioni si sposta da paesi con regolamentazioni più stringenti a paesi con normative più deboli. Sarà anche attenta al “dumping delle emissioni di carbonio”, quando beni prodotti in paesi con regolamentazioni meno rigide sul clima vengono esportati in paesi con normative più severe. Podesta ha citato l’esempio dell’alluminio, sottolineando che oltre la metà della produzione mondiale avviene in Cina, dove le emissioni per tonnellata sono significativamente più alte rispetto agli Stati Uniti. Questa situazione, ha affermato, danneggia i lavoratori e le comunità americane. La task force collaborerà con i partner commerciali per sviluppare metodi standardizzati per misurare le emissioni, consentendo a ciascun paese di sfruttare i vantaggi della produzione pulita. I dati raccolti saranno utilizzati per informare nuove politiche climatiche e commerciali. Tuttavia, l’uso delle emissioni di carbonio come criterio nel commercio mondiale potrebbe avere effetti collaterali. Potrebbe, ad esempio, favorire l’economia cinese basata su energie pulite, mettendo ulteriormente in difficoltà i concorrenti internazionali. Inoltre, potrebbe portare a tensioni con paesi come l’India e causare problemi di approvvigionamento per gli Stati Uniti, influenzando i prezzi e l’inflazione.

ANSA – L’80% DELLE DISCARICHE BONIFICATE ED ESCLUSE DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE DELL’UE

Il Commissario per la bonifica dei siti inquinati, il generale Giuseppe Vadalà, ha annunciato che su 81 discariche consegnate nelle sue mani il 24 marzo 2017, oltre l’80% (65 discariche) sono state escluse dalla procedura di infrazione dell’Unione Europea. Questo risultato ha permesso all’Italia di ridurre notevolmente le sanzioni, passando da una multa iniziale di 42 milioni di euro, comminata nel 2014, a un importo attuale di 3,6 milioni di euro. La 13ª Relazione semestrale del Commissario ha evidenziato i progressi compiuti nel processo di bonifica dei siti inquinati. Tra i risultati più significativi, si contano la risanamento di 74 siti, l’uscita dall’infrazione dell’80% dei siti commissariati, e un notevole risparmio economico derivante da sconti medi del 28,2% nei contratti per la bonifica. Il generale Vadalà ha sottolineato l’importanza dei numeri riportati nella relazione, evidenziando il successo dei risultati raggiunti fino a questo momento. Il percorso del Commissario si avvia verso una conclusione entro la fine del 2025, con l’obiettivo di chiudere gli ultimi dossier e completare gli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Le azioni intraprese includono 6 visite sul campo con incontri nelle aree interessate dalle bonifiche, oltre a oltre 1900 missioni svolte. Sono stati firmati 53 protocolli attuativi e redatti 47 rapporti per le Procure.

ANSA – L’UE APPROVA LE NUOVE REGOLE SULLE EMISSIONI DEI CAMION

Il Consiglio dell’Unione Europea ha dato il via libera finale alle nuove regole sulle emissioni di CO2 per i veicoli pesanti. Queste regole prevedono un significativo taglio delle emissioni al 2030, al 2035 e al 2040. In particolare, si mira a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030, del 65% entro il 2035 e addirittura del 90% entro il 2040. Questi obiettivi sono stati stabiliti per contrastare il cambiamento climatico e ridurre l’impatto ambientale dei trasporti su strada. L’accordo politico raggiunto a gennaio con il Parlamento europeo è stato approvato durante il Consiglio dell’Unione Europea, nel corso del Consiglio Istruzione. Tuttavia, alcuni paesi, tra cui l’Italia, la Polonia e la Slovacchia, hanno votato contro l’accordo, mentre la Repubblica Ceca si è astenuta. Le nuove regole si applicheranno ai veicoli pesanti superiori alle 7,5 tonnellate e agli autobus privati. Per i nuovi autobus urbani, in particolare, è previsto un taglio delle emissioni del 90% entro il 2030 e l’obiettivo di emissioni zero entro il 2035. Inoltre, nel 2027 l’Unione Europea condurrà una valutazione intermedia degli obiettivi stabiliti. Una richiesta tedesca ha portato all’aggiunta di un considerando al testo concordato con il Parlamento. Questo considerando vincola la Commissione europea a valutare l’opportunità di introdurre una metodologia per la registrazione di veicoli commerciali pesanti che funzionano esclusivamente con carburanti neutri in termini di CO2, entro un anno dall’entrata in vigore del provvedimento.

REPUBBLICA – L’IMPATTO DELL’AGRICOLTURA SULL’INQUINAMENTO IN LOMBARDIA E’ PARAGONABILE A URBANIZZAZIONE, INDUSTRIA E TRASPORTI

Uno studio del Politecnico di Milano pubblicato sulla rivista Chemosphere ha rivelato che l’impatto dell’agricoltura sull’inquinamento da polveri sottili (PM2.5) in Lombardia è paragonabile a quello di altre fonti note come l’urbanizzazione, l’industria e i trasporti. Lo studio ha quantificato l’effetto dei terreni agricoli sulla distribuzione spaziale del PM2.5, dimostrando che esso è responsabile di picchi di inquinamento più intensi rispetto alle zone industriali e urbane, seppur con una durata limitata nel tempo. Le colture più inquinanti risultano essere i cereali e il mais, mentre l’impatto delle risaie è stato giudicato trascurabile. Lo studio è stato condotto utilizzando un framework innovativo e un modello data-driven che ha permesso di valutare l’impatto delle diverse destinazioni d’uso del territorio con una sensibilità molto maggiore rispetto ai modelli pre-esistenti. I dati satellitari e di modelli atmosferici del programma Copernicus sono stati utilizzati insieme al database open access di uso del suolo e del sistema informativo agricolo di Regione Lombardia. L’analisi è stata condotta con un innovativo sistema di GEOAI (Geomatics and Earth Observation Artificial Intelligence) che ha permesso di catturare e interpretare le dinamiche spaziali a livello locale. Questo nuovo approccio permetterà in futuro di generare evidenza rispetto alle concentrazioni di inquinante correlabili a specifiche attività agricole, come spandimenti e concimazioni. Lo studio è stato finanziato da Fondazione Cariplo nell’ambito del progetto di ricerca D-DUST (Data-driven moDelling of particUlate with Satellite Technology aid). Responsabili del progetto sono la prof.ssa Maria Brovelli e l’ing. Daniele Oxoli del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano, in collaborazione con altri ricercatori dell’Università degli Studi dell’Insubria. Le implicazioni di questo studio sono significative. Da un lato, dimostrano che l’agricoltura è una fonte di inquinamento da PM2.5 che non può essere ignorata. Dall’altro, l’utilizzo di nuovi modelli e tecnologie come la GEOAI può aiutare a identificare le cause specifiche dell’inquinamento e a sviluppare soluzioni mirate per ridurlo.

L’INDIPENDENTE – LE AZIENDE CHE INQUINANO L’AMBIENTE AVRANNO UN RUOLO CHIAVE PER “RIPULIRLO” GUADAGNANDOCI SOPRA

L’Unione Europea ha approvato il Net-Zero Industry Act, un piano per accelerare la transizione verso un’economia a zero emissioni nette di gas serra. Il piano include misure per promuovere la produzione di energia rinnovabile e lo sviluppo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Le compagnie petrolifere e del gas saranno chiamate a giocare un ruolo chiave nello sviluppo della CCS. L’UE si aspetta che queste aziende investano in questa tecnologia, che è ancora in fase di sviluppo, e che la utilizzino per catturare le emissioni di carbonio dai loro impianti. La decisione di affidare alle compagnie fossili lo sviluppo della CCS ha sollevato diverse critiche. Alcune organizzazioni ambientaliste hanno accusato l’UE di “greenwashing”, sostenendo che questa scelta non farà altro che prolungare la dipendenza dai combustibili fossili. Altri critici hanno sottolineato il rischio che le compagnie fossili utilizzino la CCS per continuare a estrarre e produrre combustibili fossili. In effetti, la CCS potrebbe essere utilizzata per compensare le emissioni di carbonio generate da queste attività, consentendo alle compagnie fossili di continuare a operare come se nulla fosse. L’UE ha respinto queste critiche, affermando che la CCS è uno strumento necessario per raggiungere la neutralità climatica. L’UE ha inoltre sottolineato che le compagnie fossili saranno soggette a normative rigorose per garantire che la CCS sia utilizzata in modo responsabile. I punti chiave del piano dell’UE: Obiettivo: creare 50 milioni di tonnellate di capacità annuale di stoccaggio del carbonio entro il 2030. Finanziamenti: l’UE investirà 8 miliardi di euro nella CCS nei prossimi anni. Ruolo delle compagnie fossili: le compagnie fossili saranno tenute a contribuire a finanziare lo sviluppo della CCS e a utilizzarla per catturare le emissioni di carbonio dai loro impianti. Norme: le compagnie fossili saranno soggette a normative rigorose per garantire che la CCS sia utilizzata in modo responsabile.

AGI – RECORD DI EMISSIONI GLOBALI DI C02 NEL 2023 (MA LA CRESCITA RALLENTA)

Le emissioni di anidride carbonica legate all’energia hanno raggiunto un livello record nel 2023, ma la crescita è rallentata rispetto agli anni precedenti grazie all’espansione delle tecnologie pulite. Lo ha annunciato l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie). Le emissioni di CO2 sono cresciute dell’1,1% nel 2023, con un incremento di 410 milioni di tonnellate, per un totale di 37,4 miliardi di tonnellate. Nel 2022 l’aumento era stato di 490 milioni di tonnellate. Secondo l’Aie, senza tecnologie come i pannelli solari, le turbine eoliche, l’energia nucleare e le auto elettriche, l’aumento globale delle emissioni di CO2 legate all’energia negli ultimi cinque anni sarebbe stato tre volte superiore. Oltre il 40% dell’aumento delle emissioni di carbonio è stato causato da gravi siccità in Cina, Stati Uniti, India e altrove, che hanno ridotto la produzione idroelettrica e costretto le aziende a ricorrere ai combustibili fossili. Nel 2023 le emissioni di anidride carbonica sono aumentate in Cina e in India, mentre le economie avanzate hanno registrato un calo record, nonostante la crescita economica. Le loro emissioni sono scese a un minimo di 50 anni, con la domanda di carbone ai livelli più bassi dai primi anni del 1900. Per la prima volta l’anno scorso, almeno la metà dell’energia generata nelle economie avanzate proveniva da fonti a basse emissioni come le energie rinnovabili e il nucleare. “Il rallentamento della crescita delle emissioni nel 2023 è un’indicazione incoraggiante, ma non è ancora abbastanza”, ha dichiarato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie. “Dobbiamo continuare a accelerare la transizione verso un sistema energetico più pulito e sostenibile per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico”.

ANSA – PUBBLICATO L’ELENCO DEI SITI IDONEI AL DEPOSITO DELLE SCORIE NUCLEARI

Il Ministero dell’Ambiente ha reso noti i siti idonei per il deposito nazionale delle scorie nucleari, inclusi nella Carta Nazionale delle Aree Idonee. Elaborata da Sogin e Isin, la mappa indica 51 possibili località. Entro 30 giorni, enti territoriali e strutture militari potranno candidare ulteriori aree idonee. Anche enti locali non citati possono richiedere la rivalutazione del proprio territorio. La Cnai è il risultato di criteri di sicurezza, come distanza da zone vulcaniche, sismiche e insediamenti civili. Più siti in Lazio (21) e Puglia/Basilicata (15), con 5 zone definite su 6 regioni: Piemonte (5), Lazio (21), Sardegna (8), Puglia/Basilicata (15), Sicilia (2). La lista definitiva, frutto di consultazioni pubbliche, rispetta criteri di sicurezza e varie esclusioni, come aree protette o ad alto valore storico. Sogin ha perfezionato l’elenco, escludendo 16 siti rispetto alla lista iniziale di 67.

ILFATTOQUOTIDIANO – IARC CLASSIFICA I PFAS COME “SOSTANZE CERTAMENTE CANCEROGENE”

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato i Pfas, sostanze perfluoroalchiliche, come cancerogeni per l’uomo. In particolare, l’acido perfluoroottanoico (PFOA) è stato inserito nel gruppo 1 delle sostanze che possono causare tumori, mentre l’acido perfluoroottansulfonico (PFOS) è stato classificato come “possibilmente” cancerogeno, nel gruppo 2B. Questa decisione, che sarà pubblicata sulla rivista Lancet Oncology, ha importanti conseguenze per i procedimenti penali e civili in corso in Italia e in altri Paesi per l’inquinamento da Pfas. In Italia, in particolare, è in corso un processo a carico di 15 manager della società Miteni di Trissino (Vicenza), accusati di aver inquinato la falda acquifera del Veneto con Pfas. La nuova classificazione dei Pfas da parte dell’IARC rende più probabile la condanna dei manager, in quanto dimostra che l’esposizione a queste sostanze può causare il cancro. I Pfas sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate in una vasta gamma di prodotti, tra cui rivestimenti antiaderenti, tessuti impermeabili, schiume antincendio e prodotti per la cura personale. Sono stati collegati a una serie di problemi di salute, tra cui il cancro, i problemi riproduttivi e lo sviluppo neurologico. La nuova classificazione dei Pfas da parte dell’IARC è un importante passo avanti nella comprensione dei rischi per la salute associati a queste sostanze.

L’INDIPENDENTE – IN EUROPA 253MILA MORTI L’ANNO PER L’INQUINAMENTO: 1 SU 5 IN ITALIA

L’inquinamento atmosferico è ancora un grave problema per la salute pubblica in Europa, e in particolare in Italia. Secondo un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), nel 2021 l’esposizione al particolato fine (PM 2,5) ha provocato in Europa 253.000 morti, di cui quasi 47.000 in Italia. Il PM 2,5 è una miscela di particelle solide e liquide che si trovano nell’aria. Può penetrare nelle profondità dei polmoni e causare una serie di problemi di salute, tra cui malattie cardiovascolari, respiratorie e respiratorie croniche. L’Italia è al penultimo posto per decessi causati dallo smog, preceduta solamente dalla Polonia. Le regioni più colpite sono il Nord Italia, in particolare la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Veneto. Il rapporto dell’EEA sottolinea che la concentrazione di PM 2,5 nell’aria è ancora il principale rischio ambientale per la salute per tutti quei cittadini europei che vivono nelle aree urbane.

CLIMA

LA SICCITA COLPIRA 5 MILIARDI DI PERSONE ENTRO LA FINE DEL SECOLO

AGI – LA SICCITA’ COLPIRA’ 5 MILIARDI DI PERSONE ENTRO LA FINE DEL SECOLO

Un rapporto redatto dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (Unccd) avverte che, senza una significativa riduzione delle emissioni di gas serra, un ulteriore 3% delle aree umide del pianeta potrebbe trasformarsi in zone aride entro il 2100. Lo studio, intitolato “The Global Threat of Drying Lands: Regional and global aridity trends and future projection”, offre un quadro allarmante della crescente minaccia rappresentata dall’aridità globale. Tra il 1990 e il 2020, circa il 77,6% delle terre emerse del pianeta ha registrato condizioni più secche rispetto ai tre decenni precedenti. Se la situazione non cambierà, entro il 2100 l’aridità potrebbe colpire direttamente 5 miliardi di persone, con effetti devastanti su ecosistemi, agricoltura e comunità umane. Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’Unccd, ha dichiarato: “Questa analisi dissipa finalmente l’incertezza che da tempo circonda le tendenze globali sulla siccità. Per la prima volta, la crisi dell’aridità è stata documentata con chiarezza scientifica, rivelando una minaccia esistenziale che colpisce miliardi di persone in tutto il mondo. A differenza delle siccità – periodi temporanei di scarse precipitazioni – l’aridità rappresenta una trasformazione permanente e inesorabile.” Il rapporto è stato presentato durante la 16ª conferenza delle quasi 200 parti dell’Unccd (COP16) a Riyadh, in Arabia Saudita, la più grande mai organizzata e la prima in Medio Oriente, una regione già fortemente colpita dall’aridità.
Tra i dati più significativi: Le zone aride si sono espanse di circa 4,3 milioni di chilometri quadrati negli ultimi decenni, un’area superiore a un terzo delle dimensioni dell’India. Attualmente, il 40,6% delle terre emerse del pianeta (esclusa l’Antartide) è classificato come zona arida. Circa il 7,6% delle terre emerse ha oltrepassato le soglie di aridità, passando da zone non aride a zone aride o da una classe meno arida a una più arida. Le aree particolarmente colpite includono gran parte dell’Europa (95,9% del territorio), alcune zone degli Stati Uniti occidentali, il Brasile, l’Asia orientale e l’Africa centrale. Il Sud Sudan e la Tanzania sono i paesi con la maggiore percentuale di territorio in transizione verso l’aridità, mentre la Cina ha registrato l’espansione più vasta in termini assoluti. Negli scenari caratterizzati da alte emissioni di gas serra, le zone aride potrebbero estendersi ulteriormente in regioni come il Midwest degli Stati Uniti, il Messico centrale, il Brasile nordorientale, il Mediterraneo, l’Africa meridionale e l’Australia. Barron Orr, scienziato capo dell’Unccd, ha sottolineato: “Per decenni, gli scienziati hanno segnalato che le emissioni di gas serra sono alla base del riscaldamento globale. Ora, un organismo scientifico delle Nazioni Unite sta avvertendo che la combustione di combustibili fossili sta causando un aumento delle condizioni di aridità anche in gran parte del mondo, con impatti potenzialmente catastrofici che influenzano l’accesso all’acqua e che potrebbero spingere le persone e la natura ancora più vicine a punti di svolta disastrosi.” Attualmente, 2,3 miliardi di persone vivono già in zone aride, affrontando problemi legati alla scarsità d’acqua e al degrado del suolo, una situazione che alimenta la desertificazione e intensifica le migrazioni forzate. Il rapporto evidenzia che molte famiglie e comunità, colpite dal collasso agricolo e dalla mancanza di risorse, sono costrette ad abbandonare le proprie case, generando nuove sfide sociali e politiche. Per contrastare questa crisi globale, gli esperti suggeriscono diverse soluzioni, tra cui: Migliorare il monitoraggio dell’aridità. Adottare pratiche di utilizzo del suolo più sostenibili. Incrementare gli investimenti nell’efficienza idrica. Secondo Barron Orr, l’adattamento è ormai un’urgenza: “Mentre ampie zone del territorio mondiale diventano più aride, le conseguenze dell’inazione diventano sempre più terribili e l’adattamento non è più un optional, è un imperativo.”

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ANSA – L’ANTARTIDE STA DIVENTANDO SEMPRE PIU’ VERDE

L’Antartide sta diventando sempre più verde, soprattutto nella Penisola Antartica, dove la superficie coperta da vegetazione è aumentata di dieci volte negli ultimi 40 anni. È quanto emerge dalle immagini satellitari analizzate da un gruppo di ricercatori, guidato da Thomas Roland dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Geoscience. “Il paesaggio antartico è ancora quasi interamente dominato da neve, ghiaccio e roccia, con solo una piccola frazione colonizzata dalla vita vegetale, ma quella piccola frazione è cresciuta drasticamente, dimostrando che anche questa vasta e isolata regione ‘selvaggia’ sia influenzata dal cambiamento climatico indotto dall’uomo”, ha affermato Roland. Analizzando le immagini satellitari raccolte dal 1986 a oggi, i ricercatori hanno osservato che l’area coperta da vegetazione nella Penisola Antartica è passata da meno di un chilometro quadrato nel 1986 a quasi 12 chilometri quadrati nel 2021. L’aumento è stato particolarmente evidente a partire dal 2016. Sebbene si tratti di una copertura vegetale limitata, composta principalmente da muschio, lo studio sottolinea che la crescita è avvenuta rapidamente e potrebbe continuare. Con il tempo, questi nuovi ecosistemi potrebbero influenzare l’ambiente antartico. “Il suolo in Antartide è per lo più povero o inesistente,” ha commentato Olly Bartlett dell’Università di Hertfordshire. “Ma questo aumento della vita vegetale aggiungerà materia organica e faciliterà la formazione del suolo, aprendo potenzialmente la strada alla crescita di altre piante. Ciò aumenta il rischio di arrivo di specie non autoctone e invasive, eventualmente trasportate da ecoturisti, scienziati o altri visitatori del continente”.

WIRED – BIOSCIENCE: “SIAMO SULL’ORLO DI UN DISASTRO CLIMATICO IRREVERSIBILE”

Nel 2023 sono aumentati l’utilizzo di combustibili fossili, la concentrazione atmosferica di gas serra e la perdita annuale di copertura arborea. “Siamo sull’orlo di un disastro climatico irreversibile”. Inizia con queste parole il report sul clima appena pubblicato su *BioScience*, firmato, fra gli altri, da William Ripple, docente di ecologia presso il Dipartimento di ecosistemi forestali e società della Oregon State University (Stati Uniti). Secondo gli autori del lavoro, il monitoraggio dei cosiddetti “segni vitali” della Terra indica che stiamo entrando in una nuova e imprevedibile fase della crisi climatica, che richiede azioni decisive e immediate. Secondo le analisi condotte da Ripple e colleghi, dei 35 “segni vitali” della Terra che vengono costantemente monitorati, 25 hanno raggiunto livelli da record. Per esempio, nel corso del 2023, il consumo annuale di combustibili fossili sarebbe aumentato dell’1,5%, soprattutto a causa dell’incremento nell’utilizzo di carbone e petrolio. Anche la perdita annuale di copertura arborea a livello globale è aumentata, passando da 22,8 milioni di ettari nel 2022 a 28,3 milioni di ettari nel 2023. In più, la concentrazione atmosferica di anidride carbonica e metano sarebbe ai massimi storici. Uno dei pochi aspetti positivi che emerge dallo studio è che l’uso di energie rinnovabili, come quella eolica e quella solare, è aumentato di circa il 15% rispetto al 2022. Tuttavia, spiegano gli autori, l’utilizzo di combustibili fossili rimane circa 14 volte più elevato rispetto al consumo di energia derivante da fonti rinnovabili. Inoltre, l’incremento rilevato nell’utilizzo delle energie rinnovabili sarebbe servito principalmente a far fronte all’aumento nella domanda, piuttosto che a rimpiazzare l’uso di fonti fossili. Quest’anno la conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite si terrà dall’11 al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian, ed “è imperativo che vengano fatti enormi progressi”, sottolinea Ripple. Gli autori del report suggeriscono per esempio la promozione e l’adozione di politiche che favoriscano uno sfruttamento efficiente dell’energia e che promuovano la sostituzione dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili. Altro punto fondamentale è quello di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, inclusi quelli classificati come inquinanti a breve termine, come il metano. Necessario inoltre proteggere e ripristinare gli ecosistemi ricchi di biodiversità, che svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo e nello stoccaggio del carbonio. Inoltre, aggiungono ancora i ricercatori, è importante incoraggiare a livello globale l’adozione di una dieta basata su un minore consumo di carne e prodotti di origine animale e promuovere abitudini di vita che permettano di evitare sprechi e consumi eccessivi. Sul fronte della sensibilizzazione, suggeriscono inoltre di integrare l’educazione al cambiamento climatico nei programmi di studio globali per aumentare la consapevolezza e, di conseguenza, l’azione climatica. “Nonostante i sei rapporti dell’International Panel on Climate Change, le centinaia di altri rapporti, le decine di migliaia di documenti scientifici e le 28 riunioni annuali della Conference of the Parties dell’ONU, il mondo ha fatto pochissimi progressi sul cambiamento climatico”, conclude Christopher Wolf, secondo autore dello studio: “Il futuro dell’umanità dipende dalla creatività, dalla fibra morale e dalla perseveranza. Se vogliamo che le generazioni future ereditino il mondo che meritano, è necessaria un’azione decisa e rapida.”

ANSA – IL GHIACCIAIO MARMOLADA SPARIRA’ ENTRO IL 2040

Il ghiacciaio Marmolada, il più grande delle Dolomiti, è stato dichiarato in “coma irreversibile” a causa del riscaldamento climatico degli ultimi anni. Questa grave diagnosi è stata formulata al termine della Campagna dei Ghiacciai, un progetto di monitoraggio delle calotte glaciali delle Alpi condotto da Legambiente, Cipra e dal Comitato Glaciologico Italiano. Gli esperti prevedono che, mantenendo l’attuale ritmo di scioglimento, entro il 2040 non sarà più possibile considerare il ghiacciaio della Marmolada come tale. Attualmente, il ghiacciaio perde circa 10 centimetri di spessore ogni giorno, e il suo aspetto sta cambiando radicalmente, trasformandosi in un deserto di roccia bianca e levigata. Dalla superficie emergono anche rifiuti di vario genere e, a causa dello scioglimento del permafrost, sono stati ritrovati i corpi di soldati della Prima Guerra Mondiale. Legambiente ha sottolineato che oltre alla crisi climatica, il ghiacciaio è colpito anche dall’inquinamento da microplastiche e dai rifiuti accumulati negli impianti chiusi, come quello di Pian dei Fiacconi, che influiscono negativamente sulla salute della Marmolada. La situazione della Marmolada è simile a quella di altri due grandi ghiacciai delle Alpi, l’Adamello e i Forni, tutti situati a un’altitudine inferiore ai 3500 metri. Le misurazioni indicano che la Marmolada e i Forni stanno perdendo spessore a un ritmo di 7 e 10 centimetri al giorno, mentre per l’Adamello si osserva che la fusione ha reso possibile camminare sul ghiaccio formatosi con le nevicate degli anni ’80. Dopo il tragico crollo del seracco avvenuto il 3 luglio 2022, la Marmolada è diventata un oggetto di particolare attenzione per i ricercatori. Nel 1888, il ghiacciaio si estendeva su circa 500 ettari, ma ha subito una perdita areale superiore all’80% e una perdita volumetrica superiore al 94%. Attualmente, lo spessore massimo è di 34 metri e negli ultimi cinque anni ha perso 70 ettari della sua superficie, passando da circa 170 ettari nel 2019 a 98 ettari nel 2023. Dall’inizio delle misurazioni nel 1888, il ghiacciaio ha arretrato di 1200 metri, con un innalzamento della quota della fronte a 3500 metri. I responsabili della campagna glaciologica hanno affermato che è necessario un nuovo approccio alla fruizione della montagna, insieme a politiche di adattamento e mitigazione. Hanno anche sottoscritto un Manifesto per chiedere risposte urgenti e una governance sostenibile del territorio. Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di Cipra, ha dichiarato che “il ghiacciaio della Marmolada è un esempio importante della fragilità delle Alpi a causa della crisi climatica”. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha sottolineato l’urgenza di attuare un piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, partendo dalle aree più vulnerabili, come l’alta montagna.

AGI – AUMENTA LO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI IN ALASKA

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto dagli scienziati dell’Università di Newcastle, ha rilevato che il tasso di fusione dei ghiacciai della distesa Juneau Icefield, che si estende al confine tra l’Alaska e la Columbia Britannica, in Canada, è aumentato drasticamente dal 2010. In particolare, tra il 1770 e il 1979 la perdita di ghiaccio è stata pressoché costante, compresa tra 0,65 e 1,01 chilometri cubici l’anno. Successivamente, tra il 1979 e il 2010 sono stati persi in media 3,08-3,72 km 3 ogni anno. Infine, dal 2010 al 2020 il tasso di perdita è raddoppiato, raggiungendo i 5,91 chilometri cubici ogni anno. Nel complesso, il totale di ghiaccio perso nella distesa Juneau tra il 1770 e il 2020 costituisce circa un quarto del volume totale della massa ghiacciata di partenza. Inoltre, è stato riscontrato un drammatico aumento delle disconnessioni, in cui le parti inferiori di un ghiacciaio si separano da quelle superiori, e ben 108 ghiacciai sono completamente scomparsi. Bethan Davies, a capo del gruppo di ricerca, ha commentato che l’accelerazione del tasso di fusione è “incredibilmente preoccupante”, poiché i ghiacciai dell’Alaska sono particolarmente vulnerabili allo scioglimento accelerato dovuto al riscaldamento climatico. Robert McNabb, dell’Università di Ulster, ha concluso che gli archivi a lungo termine rappresentano una risorsa preziosa, in quanto permettono di osservare le alterazioni del paesaggio con un dettaglio senza precedenti, suggerendo che le proiezioni attuali potrebbero sottostimare il rischio di perdita di ghiaccio.

ANSA – I LAGHI SEMPRE PIU’ CALDI AUMENTANO IL RISCHIO ESTINZIONE DI MOLTE SPECIE

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, se le temperature continueranno ad aumentare, entro il 2100 i laghi supereranno i loro limiti naturali, andando incontro a modifiche drastiche dei loro ecosistemi e mettendo a rischio molte specie. Conseguenza delle acque sempre più calde è la carenza di ossigeno negli strati più profondi, un fenomeno già evidente nei laghi italiani, specialmente quelli più profondi del Nord Italia come il Lago Maggiore, il Lago di Como e il Lago di Garda. Questi laghi rappresentano oltre l’80% delle risorse superficiali di acqua dolce del nostro Paese. Secondo Aldo Marchetto dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il riscaldamento crea una maggiore differenza di temperatura tra acque superficiali e profonde, riducendo la circolazione che trasporta l’ossigeno dalla superficie alle profondità. Questo favorisce la proliferazione di alcune specie di alghe, con effetti negativi sulla qualità dell’acqua. I danni principali riguardano gli organismi che vivono o si spostano nelle acque più profonde: molte specie scompariranno e altre nuove potrebbero prendere il loro posto. Rispetto ad altri ecosistemi, gli organismi che abitano quelli lacustri hanno spesso possibilità limitate di spostarsi alla ricerca di condizioni più favorevoli. Lo studio guidato da Lei Huang, simulando l’andamento delle temperature dal 1850 al 2100, indica che i laghi di tutto il mondo si troveranno ad affrontare condizioni climatiche drasticamente diverse entro la fine del secolo, con i laghi tropicali che saranno i primi a sperimentare condizioni senza precedenti. Sapere quando e con quale velocità si verificheranno i cambiamenti più drastici è fondamentale per poter pianificare azioni di mitigazione degli effetti della crisi climatica.

AGI – LA RIDISTRIBUZIONE DELLA MASSA DOVUTA ALL’INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE STA AUMENTANDO LA LUNGHEZZA DEL GIORNO

La ridistribuzione della massa dovuta all’innalzamento del livello del mare sta aumentando la lunghezza del giorno (LOD) sulla Terra a un ritmo senza precedenti, suggerisce un nuovo studio pubblicato su PNAS e guidato da ricercatri dell’ETH di Zurigo. Per millenni, la LOD della Terra è gradualmente aumentata di alcuni millisecondi al secolo (ms/cy). Le variazioni della LOD sono state in gran parte dovute all’attrazione gravitazionale della luna, che ha gradualmente rallentato la rotazione terrestre. Tuttavia, lo scioglimento delle calotte glaciali e dei ghiacciai ha avuto un effetto crescente sulla LOD, trasportando grandi quantità di massa dalle regioni polari a quelle equatoriali della Terra e aumentando l’appiattimento del pianeta. Gli autori del nuovo studio hanno esaminato l’impatto dell’innalzamento del livello del mare indotto dal cambiamento climatico sulla LOD dal 1900. Gli autori hanno scoperto che la ridistribuzione della massa negli ultimi due decenni, guidata dallo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, si è verificata a un ritmo senza precedenti nell’ultimo secolo. Le fluttuazioni del livello del mare hanno fatto sì che il LOD variasse tra 0,3 e 1,0 ms/cy durante il XX secolo, ma il LOD è aumentato a 1,33±0,03 ms/cy dal 2000. Se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare senza sosta, stimano gli autori, l’effetto del cambiamento climatico sul LOD potrebbe raggiungere 2,62±0,79 ms/cy entro la fine del XXI secolo, superando l’effetto dell’attrito delle maree della

GREENREPORT – SCIENCE: UN TERZO DELLA POPOLAZIONE URBANA CINESE RISCHIA DI SPROFONDARE

Uno studio pubblicato su Science, condotto da un team di oltre 50 ricercatori cinesi guidati da Zurui Ao della South China Normal University, ha rivelato che circa il 40% del territorio delle principali città cinesi sta sperimentando un cedimento del terreno da moderato a grave, aumentando così il rischio di inondazioni per una vasta popolazione. Utilizzando osservazioni satellitari, il team ha analizzato 82 grandi città cinesi, scoprendo che il 45% del terreno urbano si sta abbassando più velocemente di 3 millimetri all’anno e il 16% si sta abbassando più velocemente di 10 millimetri all’anno, interessando rispettivamente il 29% e il 7% della popolazione urbana. La subsidenza del terreno sembra essere associata a diversi fattori, tra cui il prelievo delle acque sotterranee e il peso degli edifici. A causa di questo fenomeno combinato con l’innalzamento del livello del mare, entro il 2120 si prevede che dal 22% al 26% dei territori costieri cinesi – abitati dal 9% all’11% della popolazione costiera – sarà sotto il livello del mare. Questo studio è stato commentato da esperti come Robert Nicholls del Tyndall Center for Climate Change Research dell’University of East Anglia e Manoochehr Shirzaei del Virginia Tech National Security Institute e dell’Institute for Water, Environment and Health dell’United Nations University. Nicholls e Shirzaei sottolineano l’importanza di misurare costantemente la subsidenza e sviluppare modelli per prevedere i futuri cambiamenti, considerando tutte le variabili, comprese le attività umane e i cambiamenti climatici. Si stima che l’impatto della subsidenza urbana coinvolga circa 270 milioni di persone in Cina, con oltre 70 milioni che subiscono un cedimento rapido del terreno. Le città costiere, come Tianjin e Shanghai, sono particolarmente vulnerabili, poiché la subsidenza del terreno amplifica gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, aumentando il rischio di inondazioni e danni strutturali. Nicholls sottolinea l’importanza di una risposta nazionale e di strategie di mitigazione efficaci, citando esempi come l’interruzione del prelievo delle acque sotterranee a Osaka e Tokyo, che ha contribuito a ridurre significativamente la subsidenza. Tuttavia, è necessario sviluppare ulteriori strategie per affrontare questo problema su vasta scala e collaborare con gli urbanisti per proteggere le città costiere colpite.

ANSA – NATURE: L’ESTATE 2023 E’ STATA LA PIU’ CALDA DEGLI ULTIMI 2 MILA ANNI

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha rivelato che l’estate del 2023 è stata la più calda degli ultimi 2.000 anni nell’emisfero settentrionale, segnando quasi 4 gradi in più rispetto all’estate più fredda registrata nello stesso periodo. Questi risultati, ottenuti grazie all’analisi degli anelli di accrescimento degli alberi, indicano un chiaro superamento degli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi del 2015 per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Secondo Ulf Büntgen, co-autore dello studio, le misurazioni meteorologiche degli ultimi 150 anni potrebbero non essere sufficienti per comprendere appieno l’entità dei cambiamenti climatici. Solo esaminando le ricostruzioni climatiche è possibile contestualizzare adeguatamente i recenti mutamenti climatici di origine antropica. Gli anelli degli alberi hanno rivelato che la maggior parte dei periodi più freddi degli ultimi 2.000 anni è stata causata da grandi eruzioni vulcaniche. Ad esempio, l’estate più fredda mai registrata è stata quella del 536 d.C., che ha seguito proprio una di queste eruzioni, con una temperatura registrata inferiore di 3,93 gradi rispetto all’estate del 2023. D’altro canto, i periodi più caldi sono spesso associati all’influenza di El Niño, un fenomeno climatico che porta a un riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico. Tuttavia, negli ultimi 60 anni, il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra ha intensificato questi eventi. Con El Niño previsto fino all’inizio dell’estate 2024, è probabile che si verifichino nuovi record di temperatura.

WIRED – NATURE: USARE LA FIBRA OTTICA PER RILEVARE I TERREMOTI FUNZIONA

La rivista scientifica Nature ha confermato l’efficacia del progetto sperimentale Meglio (Measuring earthquakes signals gathered with laser interferometry on optic fibers) di Open Fiber, società incaricata di cablare l’Italia, nell’utilizzare la fibra ottica per rilevare i terremoti. Questo approccio innovativo ha suscitato l’interesse della comunità scientifica per il suo potenziale nel migliorare il monitoraggio sismico e aumentare l’efficacia dell’allerta precoce in caso di eventi sismici o tsunami. L’idea di utilizzare la fibra ottica per rilevare i terremoti nasce dall’esigenza di ampliare il monitoraggio sismico e ottenere informazioni da aree non coperte dalla rete tradizionale di sismografi. Attraverso il progetto Meglio, si è cercato di sfruttare la fibra ottica già presente nel territorio italiano come un sensore in grado di rilevare e misurare le onde sismiche in tempo reale. Il principio di funzionamento si basa sull’elasticità della fibra ottica, che subisce variazioni di lunghezza in risposta ai movimenti del terreno causati dai terremoti. Utilizzando interrogatori laser interferometrici posizionati lungo la rete di fibra ottica, è possibile rilevare queste variazioni e identificare gli eventi sismici. La sperimentazione ha dimostrato la capacità del sistema di rilevare terremoti di diverse magnitudini, anche a distanze considerevoli. L’efficacia del progetto è stata confermata da una peer review condotta da specialisti di Nature e da istituzioni come l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e l’Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim). La pubblicazione dei risultati su Nature sottolinea il potenziale di questa tecnica come strumento di monitoraggio sismico permanente e capillare. Il prossimo passo per Open Fiber è quello di trasformare la propria rete nazionale in un grande sensore sismico, sfruttando l’infrastruttura già esistente per ampliare il monitoraggio sismico su tutto il territorio italiano. Questo approccio potrebbe offrire un’alternativa economica e sostenibile rispetto alle tecnologie di monitoraggio tradizionali, grazie al riutilizzo delle infrastrutture esistenti. Attualmente, Open Fiber sta valutando possibili collaborazioni con istituzioni e partner per sviluppare ulteriormente il progetto e implementare una rete nazionale di monitoraggio sismico basata sulla fibra ottica. La complementarità di questa tecnologia con le attrezzature esistenti e la sua sostenibilità la rendono una soluzione promettente per migliorare la sicurezza e la resilienza del territorio italiano di fronte ai rischi sismici.

WIRED – NATURE: LO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI STAREBBE RALLENTANDO LA ROTAZIONE TERRESTRE

Uno studio recente pubblicato su Nature ha rivelato un interessante collegamento tra lo scioglimento dei ghiacci polari e il rallentamento della rotazione terrestre. Questo fenomeno, legato al cambiamento climatico, ha implicazioni anche sulla misurazione del tempo. Secondo gli esperti, quando il ghiaccio si scioglie ai poli, la massa terrestre si ridistribuisce, influenzando la velocità angolare del pianeta. Questo rallentamento della rotazione è stato paragonato al movimento di una pattinatrice che rallenta quando estende le braccia o le gambe durante una rotazione. In termini pratici, significa che meno ghiaccio è presente ai poli, più massa si accumula attorno all’equatore. Questo cambiamento nella distribuzione della massa terrestre ha implicazioni anche sulla misurazione del tempo. Attualmente, utilizziamo il Tempo coordinato universale (Utc) per impostare i fusi orari, ma questo tiene conto della rotazione terrestre, che non è costante. Di conseguenza, le due scale temporali divergono lentamente nel tempo, richiedendo l’aggiunta periodica di un “secondo intercalare” per riallinearle. Tuttavia, negli ultimi decenni, la rotazione terrestre è diventata più veloce a causa di vari fattori, compreso lo scioglimento dei ghiacci polari. Secondo lo studio, lo scioglimento dei ghiacci polari ha ritardato la necessità di aggiungere un “secondo intercalare negativo” di circa tre anni, slittando quindi al 2029. Questo significa che il fenomeno ha impedito il previsto aggiornamento del tempo coordinato universale, con conseguenti ripercussioni su sistemi informatici, satellitari e finanziari. Gli esperti sottolineano che lo scioglimento dei ghiacci polari è diventato un fattore significativo nel rallentamento della rotazione terrestre, a causa dell’uso di combustibili fossili e del riscaldamento globale causato dall’attività umana. Il movimento dell’acqua di fusione dai poli verso l’equatore contribuisce ulteriormente a questo rallentamento.

AGI – ONU: IL DECENNIO APPENA TRASCORSO E’ STATO IL PIU’ CALDO MAI REGISTRATO

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite ha rilasciato un rapporto annuale sullo stato del clima, evidenziando un quadro catastrofico. Secondo il rapporto, il decennio appena trascorso è stato il più caldo della storia registrata, con l’anno scorso che ha superato tutti i record precedenti. Le temperature globali hanno raggiunto livelli senza precedenti, le ondate di caldo hanno colpito gli oceani e i ghiacciai hanno subito drammatiche riduzioni. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha dichiarato che il pianeta è “sull’orlo del baratro” e ha sottolineato che la Terra sta lanciando una richiesta di soccorso. Ha inoltre avvertito che l’inquinamento da combustibili fossili sta causando un caos climatico su vasta scala e che i cambiamenti climatici si stanno accelerando. Il rapporto ha confermato che il 2023 è stato l’anno con le temperature più alte mai registrate, concludendo un periodo di dieci anni di record di calore. La temperatura media in prossimità della superficie era di 1,45 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali, avvicinandosi pericolosamente alla soglia critica di 1,5 gradi concordata negli accordi sul clima di Parigi del 2015. Il capo dell’OMM, Andrea Celeste Saulo, ha definito il rapporto un “allarme rosso per il mondo”, evidenziando che i record di calore sono stati battuti e distrutti in modo significativo. In particolare, le ondate di caldo marino hanno colpito quasi un terzo degli oceani globali in una giornata media, con conseguenze negative sugli ecosistemi marini e sulle barriere coralline. I ghiacciai hanno subito la più grande perdita di ghiaccio registrata dalla metà del secolo scorso, con scioglimento estremo sia in Nord America che in Europa. L’estensione del ghiaccio marino antartico è stata la più bassa mai registrata, con un livello del mare che ha raggiunto il punto più alto mai registrato dal 1993. Questi cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova le popolazioni di tutto il mondo, alimentando eventi meteorologici estremi, inondazioni e siccità, che provocano spostamenti di massa e aumentano la perdita di biodiversità e l’insicurezza alimentare. Il rapporto sottolinea che la crisi climatica è la sfida decisiva che l’umanità deve affrontare e che è strettamente intrecciata con la crisi della disuguaglianza.

WIRED – NATURE: NEI PROSSIMI 10 ANNI IL GHIACCIO DELL’ARTICO POTREBBE SPARIRE (PER QUALCHE GIORNO)

Secondo uno studio recente pubblicato sulla rivista scientifica Nature Reviews Earth & Environment, entro i prossimi 10 anni il ghiaccio marino dell’Artico potrebbe scomparire quasi completamente per alcuni giorni durante l’estate. Questo fenomeno, senza precedenti negli ultimi 80.000 anni, è attribuito alla crisi climatica provocata dalle attività umane e potrebbe avere conseguenze gravi sul clima globale e sui sistemi ecologici della regione. L’Artico sta già vivendo una drastica riduzione del suo ghiaccio marino. Negli ultimi 40 anni, la superficie media del ghiaccio estivo è diminuita da 5,5 milioni di chilometri quadrati negli anni Ottanta del Novecento a 3,3 milioni di chilometri quadrati tra il 2015 e il 2023. Senza un deciso abbassamento delle emissioni inquinanti, potremmo assistere a una riduzione ulteriore, con una superficie inferiore a 1 milione di chilometri quadrati entro il 2030. Gli scienziati avvertono che, con il livello attuale di emissioni di metano e combustibili fossili, l’assenza di ghiaccio estivo potrebbe estendersi a tutto il mese di settembre tra il 2035 e il 2067 e potrebbe verificarsi anche tra maggio e gennaio entro il 2100, in uno scenario ad alte emissioni. La trasformazione dell’Artico da un ambiente “bianco” a uno “blu” avrebbe conseguenze significative. Gli animali dell’Artico rischierebbero di perdere il loro habitat, le coste sarebbero più soggette all’erosione a causa dell’intensificarsi delle onde e il riscaldamento globale aumenterebbe ulteriormente senza il ghiaccio artico che riflette le radiazioni solari. Tuttavia, gli studiosi sottolineano che se si riuscisse a ridurre drasticamente le emissioni di CO2, il ghiaccio marino potrebbe tornare ai livelli precedenti entro un decennio, anche se si fosse già sciolto del tutto. Questa prospettiva sottolinea l’importanza di agire con urgenza per mitigare i cambiamenti climatici e proteggere l’ecosistema dell’Artico.

AGI – L’ETNA STA “SCIVOLANDO” NEL MEDITERRANEO

Si è conclusa dopo 13 giorni la spedizione scientifica Meteor M198, guidata dal Centro di ricerca oceanografica Geomar di Kiel (Germania) e con la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La missione ha esplorato i fondali marini al largo di Catania per acquisire nuove conoscenze sul movimento del fianco sud-orientale dell’Etna, che si sposta verso il Mar Ionio. “L’Ingv monitora da tempo i lenti spostamenti dell’Etna”, spiega Alessandro Bonforte, ricercatore Ingv a bordo della Meteor M198. “Non sono generalmente pericolosi, ma in alcuni casi possono diventare più consistenti e causare frane sottomarine o terremoti.” Obiettivo: comprendere se il fianco scivola come blocco unico o in più porzioni. L’Etna, il vulcano attivo più alto d’Europa, non si limita a eruttare lava e cenere. Da anni, gli scienziati monitorano i suoi lenti ma progressivi movimenti, che interessano anche la parte sommersa del vulcano. Un team di ricercatori internazionali, guidato dal Centro di ricerca oceanografica Geomar di Kiel (Germania) e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha utilizzato un approccio multidisciplinare per studiare questo fenomeno. Oltre a raccogliere campioni di roccia e sedimenti, i ricercatori hanno impiegato sonar multibeam, droni subacquei e una rete di sensori acustici per mappare il fondale marino e calcolare i movimenti del vulcano. Le prime analisi hanno già rivelato la deformazione attiva della faglia di Acitrezza fino a 1200 metri di profondità. Inoltre, l’installazione di due piezometri ha permesso di monitorare le variazioni di pressione e temperatura dei fluidi all’interno del vulcano.

LEGGO – ITALIA: NEL 2100 MARI SU DI 75 CM E PIL A -4.5%

Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha stimato gli effetti economici dell’innalzamento del livello del mare sulle regioni europee. In uno scenario peggiore, in cui le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare e non verranno prese misure per proteggere le coste, l’Italia sarebbe una delle nazioni più colpite. Il livello del mare aumenterebbe di 75 centimetri entro il 2100, causando perdite economiche per 37,8 miliardi di euro, pari al 4,43% del PIL nazionale. Le regioni più colpite sarebbero Veneto ed Emilia-Romagna, che perderanno rispettivamente il 20,84% e il 10,16% del PIL. I due territori, che nel 2015 hanno contribuito al 18,32% del PIL italiano totale, ospitano importanti attività economiche, come l’industria, il turismo e l’agricoltura. Il meridione italiano, invece, sarebbe meno colpito dalle inondazioni e potrebbe beneficiare dello spostamento degli impianti e della popolazione. Oltre all’Italia, le aree europee più a rischio sarebbero nel mar Baltico, sulla costa belga, nella Francia occidentale e in Grecia. Per l’intera Unione Europea, l’innalzamento del livello del mare potrebbe comportare danni economici per 872 miliardi di euro. Gli autori dello studio sottolineano che è necessario attuare politiche economiche specifiche per ogni regione, in modo da affrontare i possibili impatti dell’innalzamento delle acque e limitare i danni. In particolare, sarebbero necessari investimenti mirati nella logistica, nei servizi pubblici e nell’edilizia per mitigare le perdite economiche.

IDEALISTA – LO STUDIO UNESCO SUL RITIRO DEI GHIACCIAI NEL 21ESIMO SECOLO

Uno studio dell’UNESCO sui ghiacciai protetti in tutto il mondo ha rilevato che questi si stanno ritirando a un ritmo accelerato, con perdite stimate di diverse centinaia di miliardi di tonnellate di ghiaccio dal 2000. I siti più colpiti dalla fusione sono stati i parchi di Kluane, Wrangell-Saint Elias, Glacier Bay e Tatshenshini-Alsek in Alaska, Stati Uniti, e Canada, il fiordo glaciale di Ilulissat in Groenlandia e la calotta glaciale di Vatnajökull in Islanda. Il ghiacciaio più grande delle Alpi, situato nella regione di Jungfrau-Aletsch in Svizzera, è il nono sito più colpito nella lista, con una perdita netta di 7 miliardi di tonnellate di ghiaccio in vent’anni. I ghiacciai sono risorse cruciali per la Terra, poiché soddisfano i bisogni vitali di acqua per la metà dell’umanità. Inoltre, spesso hanno importanza culturale e turistica per le comunità locali. Le analisi satellitari mostrano che i ghiacciai designati come siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO stanno attualmente perdendo in media circa 58 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, contribuendo a circa il 5 percento dell’innalzamento del livello del mare. Secondo l’UNESCO, proiezioni indicano che i ghiacciai in un terzo dei siti designati scompariranno entro il 2050, indipendentemente dallo scenario climatico applicato.

ILMETEO – TERREMOTI DA GELO DIVENTANO SEMPRE PIU’ FREQUENTI

Un nuovo studio condotto dall’Università di Oulu in Finlandia e dal Geological Survey of Finland ha rilevato un significativo incremento dei terremoti da gelo nelle zone polari, associato al cambiamento climatico. Conosciuti come “criosismi”, questi eventi sismici sono scatenati dal rapido congelamento dell’acqua nel suolo durante le condizioni invernali estreme. Contrariamente alla precedente supposizione, le principali fonti di questi terremoti non sono le strade, ma le zone umide e i canali di drenaggio. Elena Kozlovskaya, docente di geofisica applicata presso l’Università di Oulu, ha rivelato che paludi e aree con falde acquifere alte sono state le principali fonti dei terremoti da gelo durante l’inverno 2022-2023 a Oulu, Finlandia. Questi fenomeni, che possono raggiungere magnitudo fino a 4,5 Richter, si verificano quando l’acqua nel terreno, accumulata durante piogge intense o lo scioglimento della neve nei periodi invernali sempre più caldi, congela rapidamente, causando crepe e scosse. Il cambiamento climatico, con inverni più caldi e precipitazioni intense, sta alimentando questo rischio. “I terremoti da gelo potrebbero diventare più comuni in futuro”, ha affermato Kozlovskaya, sottolineando l’importanza che le autorità locali adottino misure per mitigarne gli effetti. Attraverso reti di monitoraggio sismico installate nella Finlandia settentrionale, i ricercatori hanno identificato i terremoti da gelo durante il 2022-2023. Il freddo improvviso a -20°C, a una velocità di circa un grado all’ora, ha innescato questi eventi. A Oulu, le aree umide vicine alle stazioni sismiche sono risultate i principali punti di origine, mentre a Sodankylä, le fratture del ghiaccio nel fiume Kitinen hanno contribuito ai terremoti.

L’INDIPENDENTE – SULLE ALPI I GHIACCIAI CONTINUANO A RIDURSI

Secondo il quarto report di Legambiente e del Comitato Geologico italiano, la crisi climatica sta colpendo duramente i ghiacciai alpini. Il 2023 è stato un anno record climatico negativo, con picchi di caldo in alta quota, zero termico sulle vette sopra ai 5000 metri e 144 eventi meteorologici estremi registrati nelle regioni alpine da gennaio. Il Ghiacciaio del Belvedere, il più grande del Piemonte, ha perso il 20% della sua superficie dagli anni ‘50 ad oggi e negli ultimi dieci anni ha perso 70 metri di spessore. Anche i ghiacciai dell’Adamello, Lares e Lobbia stanno subendo un ritiro significativo. Il ghiacciaio di Lares ha perso oltre il 50% della superficie in 60 anni. Anche i ghiacciai svizzeri e austriaci, visitati per la prima volta dalla Carovana, si stanno ritirando. Secondo gli ultimi dati di Glamos, la piattaforma di monitoraggio dei ghiacciai svizzeri, nel 2022 questi hanno perso complessivamente 3,3 km cubi di ghiaccio. Il progressivo ritiro dei ghiacciai sta portando a una significativa trasformazione geomorfologica, con la formazione di numerosi nuovi laghi. In Valle d’Aosta tra il 2006 e il 2015 sono comparsi 170 nuovi laghi glaciali, raddoppiando il numero di quelli esistenti. Sono raddoppiati anche gli eventi di instabilità ad alta quota, con aumento di colate detritiche e frane. Il meteorologo e climatologo Luca Mercalli ha dichiarato che «i dati scientifici lo stanno dimostrando, il 2023 sarà l’anno più caldo in assoluto. Nelle ultime due estati i nostri ghiacciai hanno perso sette metri di spessore». Legambiente e CGI chiedono al governo di accelerare il passo e iniziare ad attuare politiche reali di contrasto alla crisi ecologica e climatica in corso.

EURONEWS – COPERNICUS: IL 2023 E’ STATO L’ANNO PIU’ CALDO MAI REGISTRATO

Secondo il Copernicus climate change service, C3s, le temperature di novembre hanno fatto registrare al pianeta l’autunno boreale più caldo dei tempi moderni. Per l’anno solare in corso, da gennaio a novembre, la temperatura media globale dell’aria superficiale è stata di 1,46 gradi superiore alla media preindustriale del 1850-1900. E di 0,13 gradi in più rispetto alla media degli undici mesi del 2016, l’anno che per ora detiene il record di più caldo. In Europa la temperatura media per il periodo settembre-novembre 2023 è stata di 10,96°C, ovvero 1,43°C sopra la media. Gli scienziati del C3s sostengono che “finché le concentrazioni di gas serra continueranno ad aumentare, non possiamo aspettarci risultati diversi da quelli visti quest’anno. La temperatura continuerà a crescere e così anche l’impatto delle ondate di calore e della siccità. Raggiungere la neutralità carbonica il prima possibile è fondamentale per gestire i rischi climatici”.

ANSA – RIPRENDE A MUOVERSI DOPO QUASI 40 ANNI L’ICEBERG PIÙ GRANDE DEL MONDO

L’iceberg A-23a, il più grande del mondo, è tornato a muoversi dopo quasi 40 anni. Si era staccato dall’Antartide nel 1986, ma era poi rimasto incagliato nel fondale del Mare di Weddell, diventando un’isola di ghiaccio. I primi movimenti sono stati osservati a partire dal 2020, ma nell’ultimo anno ha aumentato la velocità verso Nord e sta ora per superare la punta settentrionale della Penisola Antartica. Secondo gli esperti, che stanno monitorando i suoi spostamenti, la rotta sarà simile a quella degli altri giganti ghiacciati provenienti dal mare di Weddell: sarà quindi catturato dalla Corrente Circumpolare Antartica e proseguirà il suo viaggio entrando nell’Oceano Atlantico meridionale. La ripresa del movimento dell’iceberg è un evento significativo, che evidenzia gli effetti del cambiamento climatico sull’Antartide. La riduzione delle dimensioni dell’iceberg, infatti, potrebbe essere dovuta al riscaldamento delle acque oceaniche, che stanno provocando lo scioglimento dei ghiacci.

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