Il piano Draghi per l’Europa: più fondi e meno burocrazia per i produttori di armi

Il piano proposto da Mario Draghi per l’industria della difesa europea mira a garantire più fondi e a ridurre la burocrazia per i produttori di armi. Draghi afferma che le industrie della difesa dovrebbero avere accesso completo ai fondi europei e che le fusioni tra aziende non dovrebbero essere ostacolate

Il piano Draghi per l'Europa: più fondi e meno burocrazia per i produttori di armi

Il nuovo “Rapporto Draghi” sulla competitività europea, commissionato dall’attuale Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, mette in luce le sfide strutturali che l’industria della difesa dell’Unione Europea deve affrontare. Secondo il documento, l’UE fatica a tenere il passo con i suoi concorrenti globali in termini di capacità produttiva, competenze e innovazione tecnologica. Il quotidiano statunitense Politico, che ha avuto accesso in anteprima al rapporto, riporta che l’ex Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, sostiene la necessità di facilitare l’accesso delle industrie della difesa ai fondi europei e di eliminare le restrizioni sulle fusioni aziendali, anche se queste potrebbero sollevare preoccupazioni legate alla concorrenza. Draghi sottolinea che, con il ritorno della guerra vicino ai confini europei, l’UE deve assumersi maggiori responsabilità per la propria difesa e sicurezza, ma fino a questo momento non ha fatto abbastanza.

Dopo mesi di discussioni sulle forniture di armi all’Ucraina e sui finanziamenti al settore bellico, il tema dell’industria della difesa è tornato centrale nelle politiche europee, anche in vista di un possibile ampliamento del conflitto ucraino. Il Rapporto Draghi è stato presentato a porte chiuse a Bruxelles il 4 settembre, ma non è stato ancora reso pubblico nella sua interezza. Tuttavia, secondo Politico, la pubblicazione ufficiale del documento è prevista per la seconda settimana di settembre. Nella bozza del rapporto, si evidenzia come l’industria della difesa europea sia attualmente incapace di competere a livello globale. Tra i problemi individuati da Draghi vi sono una spesa pubblica insufficiente, la limitata dimensione del mercato interno, scarsa coordinazione tra i Paesi membri e una forte dipendenza da acquisti esterni.

Draghi propone di affrontare queste criticità con maggiori investimenti, meno vincoli burocratici e un più ampio accesso ai fondi europei. Tra le raccomandazioni incluse nel rapporto vi sarebbe anche l’introduzione di un “Principio di preferenza europea”, che favorirebbe soluzioni industriali interne rispetto ai concorrenti esterni. Inoltre, viene suggerita la creazione di una governance comune per coordinare meglio le politiche della difesa a livello europeo e l’istituzione di una “Autorità per l’industria della difesa”, gestita dalla Commissione Europea e co-presieduta dall’Agenzia Europea per la Difesa. Quest’autorità sarebbe composta da gruppi specifici per ogni settore della difesa, con rappresentanti dell’industria e degli Stati membri.

L’idea che l’UE debba puntare maggiormente sulla propria industria della difesa è sostenuta da molti, sia per ragioni economiche che per il rischio crescente di un coinvolgimento diretto nei conflitti in corso. Il settore militare, infatti, è uno dei più redditizi a livello globale. Nel 2023, le spese militari mondiali hanno raggiunto i 2.443 miliardi di dollari, pari al 2,3% del PIL globale, con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente, il più alto dal 2009. Questo dato rappresenta uno dei motivi per cui, a partire da febbraio 2023, l’UE ha avviato un piano di difesa comune europeo, con un budget di 100 miliardi di euro, volto ad aumentare la produzione e gli scambi interni nel settore. I principali obiettivi della strategia europea sono quattro: incrementare la spesa, migliorare l’efficacia degli investimenti, concentrare le risorse all’interno dell’Europa e imparare dall’esperienza del conflitto in Ucraina.

Proprio l’espansione del conflitto ucraino è una delle ragioni principali che spingono l’UE a intensificare gli investimenti nella difesa. Segnali di un potenziale aggravarsi della situazione non mancano: la NATO ha aumentato la sua presenza in Europa, con nuove basi in Lettonia, Lituania e Romania, e ha istituito un nuovo centro di addestramento per le truppe ucraine in Germania. Gli Stati Uniti hanno rafforzato le loro alleanze nel Mar Baltico e in Scandinavia, e l’Alleanza Atlantica ha recentemente accolto nuovi membri, come Svezia e Finlandia. L’ex Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha sollevato la questione dell’impiego di armi europee sul territorio russo, mentre il Presidente francese Emmanuel Macron sta cercando alleati per un’escalation del conflitto, parlando anche della possibilità di inviare truppe terrestri in Ucraina.

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