Il caso Pisano

Il caso di Massimo Pisano è emblematico di come la verità e l’innocenza possano emergere solo dopo anni di indagini approfondite

Il caso Pisano

Il caso di Massimo Pisano è emblematico di come la verità e l’innocenza possano emergere solo dopo anni di indagini approfondite. Secondo il titolo VI bis del codice di procedura penale, il difensore ha la facoltà di condurre indagini per raccogliere prove a favore del proprio assistito. Nel 2001, gli avvocati Giorgio e Auleta hanno riaperto il caso riguardante Massimo Pisano e la sua amante, entrambi accusati dell’omicidio della moglie di Pisano, Cinzia Bruno.

Il 4 agosto 1993, Cinzia Bruno, dopo aver telefonato al lavoro per richiedere un permesso, si reca a Riano, dove sospettava che il marito avesse un’amante, Silvana Agresta. Qui, tra le due donne, scoppia una violenta lite. I vicini sentono le urla di Cinzia intorno a mezzogiorno. Il suo corpo, sgozzato e oltraggiato, viene ritrovato sul greto del Tevere il 6 agosto. In primo grado, Massimo Pisano e Silvana Agresta vengono condannati all’ergastolo, nonostante l’alibi di Massimo, che affermava di essere al lavoro. Gli inquirenti, però, avevano identificato un presunto “buco” di un’ora nella sua testimonianza. La condanna viene confermata dalla Cassazione nel 1996.

Cinque anni dopo, nel febbraio 2001, la Corte d’appello di Perugia accoglie la richiesta di revisione del processo e assolve Massimo Pisano. Durante il nuovo esame della situazione, viene accertato che, al momento del delitto, egli era effettivamente al lavoro, come aveva sempre sostenuto. Le indagini difensive degli avvocati Giorgio e Auleta hanno permesso di riconsiderare le prove già esistenti insieme a nuove evidenze, come la testimonianza del fratello della co-imputata e una consulenza tossicologica.

Un altro caso significativo è quello di Ivan La Fratta, accusato di omicidio volontario nel processo “Iscaro – Saburo” legato alla mafia garganica. Grazie alle indagini difensive condotte dall’avvocato Michele Vaira, è stato possibile dimostrare l’alibi di La Fratta, che aveva trascorso la notte del delitto con amici in un hotel a Rimini. Dopo quattro anni di detenzione, e con una Procura che non aveva raccolto prove favorevoli all’accusato, le indagini difensive hanno portato alla sua assoluzione e al risarcimento per ingiusta detenzione. La testimonianza di un amico e l’analisi della scheda telefonica hanno confermato che La Fratta si trovava lontano dal luogo del crimine al momento del delitto.

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