Cos’è il Delitto Pamio

Monica Busetto è stata condannata a 25 anni di carcere per l’omicidio della sua dirimpettaia, Lida Taffi Pamio, avvenuto a Mestre il 20 dicembre 2012

Cos'è il Delitto Pamio

Monica Busetto è stata condannata a 25 anni di carcere per l’omicidio della sua dirimpettaia, Lida Taffi Pamio, avvenuto a Mestre il 20 dicembre 2012. La condanna ha sollevato numerosi interrogativi e controversie, soprattutto riguardo alla solidità delle prove e alla mancanza di un movente chiaro.

Il principio di giustizia che afferma che “è meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente” è stato enunciato da Voltaire trecento anni fa. Questo concetto è fondamentale nel sistema giuridico, dove il codice di procedura penale stabilisce che un giudice può condannare solo se l’imputato è ritenuto colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Tuttavia, nel caso di Busetto, ci si chiede se sia stato effettivamente possibile eliminare ogni ragionevole dubbio, date le circostanze. Non ci sono prove di un movente, né segni che la donna sia mai entrata nell’appartamento della vittima. La difesa, rappresentata dagli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, ha presentato una richiesta di revisione del processo, che è stata respinta dalla Corte d’Appello di Trento. Ora, le speranze di riaprire il caso sono riposte nella Corte di Cassazione.

I dubbi sulla condanna di Busetto sono numerosi. Non esiste un movente chiaro e non ci sono prove che dimostrino la sua presenza nell’appartamento della Pamio, come impronte o tracce biologiche. Invece, c’è la confessione di un’altra donna, Susanna “Milly” Lazzarini, che ha lasciato un’impronta su un interruttore nell’appartamento della vittima. La condanna di Busetto si basa su tre picogrammi di DNA della Pamio trovati su una catenina a casa di Busetto. Questa quantità è estremamente ridotta e non è mai stata utilizzata come unica prova per una condanna in giurisprudenza. Esperti come il professor Emiliano Giardina e l’ex Gip Giuseppe Gennari hanno messo in discussione l’affidabilità di tale prova, suggerendo che il DNA potrebbe essere il risultato di un contatto casuale o di contaminazione.

Il caso ha anche ispirato un libro, “Lo Stato italiano contro Monica Busetto”, scritto dal giornalista Massimiliano Cortivo e dal docente Lorenzo Brusattin, che esplora ulteriormente le complessità della vicenda.

Il delitto risale a quasi dodici anni fa, quando Lida Taffi Pamio, un’anziana di 87 anni, fu trovata morta nel suo appartamento, strangolata e accoltellata. Dopo un anno di indagini, Monica Busetto fu arrestata il 30 gennaio 2014, con la catenina come prova principale. La prima condanna avvenne nel dicembre 2014, ma nel gennaio 2016, un nuovo sviluppo emerse quando Susanna Lazzarini fu arrestata per un altro omicidio. Durante un interrogatorio, Lazzarini commise un errore, menzionando Pamio, e alla fine confessò di aver ucciso anche lei. Tuttavia, le sue dichiarazioni furono contraddittorie, con tre versioni diverse riguardo al coinvolgimento di Busetto.

Attualmente, la situazione è complessa, con due sentenze contrastanti: una che condanna Busetto e una che la scagiona. La Corte d’Appello di Trento ha affermato che non ci sono prove sufficienti per giustificare la condanna, lasciando aperti interrogativi su come sia stato possibile arrivare a una decisione così controversa.

Cos’è successo

Il 20 dicembre 2012, Lida Taffi Pamio, un’anziana di 87 anni, viene brutalmente assassinata nel suo appartamento situato in viale Vespucci a Mestre. L’omicidio è caratterizzato da una violenza estrema: la donna viene strangolata con un cavo, soffocata con dei fazzoletti e infine colpita con circa 40 fendenti inflitti con due coltelli da cucina. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Venezia, durano circa un anno e si concludono con l’arresto di Monica Busetto il 30 gennaio 2014. La prova principale contro di lei è una catenina rinvenuta nella sua abitazione.

Il 22 dicembre 2014, il tribunale di primo grado condanna Busetto a 24 anni e sei mesi di carcere. Tuttavia, nel gennaio 2016, la situazione si complica ulteriormente. Durante la notte di Capodanno, Susanna “Milly” Lazzarini viene arrestata per l’omicidio di un’altra anziana, Francesca Vianello. Durante un interrogatorio, Lazzarini commette un lapsus e menziona la Pamio, il che porta gli investigatori a indagare ulteriormente. Messa alle strette, Lazzarini confessa di essere stata coinvolta nell’omicidio di Pamio, affermando che entrambe le vittime erano amiche di sua madre.

Lazzarini viene interrogata cinque volte e fornisce tre versioni diverse della sua confessione. Nelle prime tre occasioni, afferma di aver agito da sola. Solo nelle ultime due versioni inizia a coinvolgere Busetto, inizialmente dicendo di averla vista all’interno dell’appartamento della Pamio e di essere subentrata nell’omicidio. In seguito, cambia nuovamente versione, sostenendo che Lazzarini aveva ingaggiato una colluttazione con l’anziana e che Busetto era entrata in casa, aveva preso un coltello e colpito la Pamio, commentando: «Non sei nemmeno in grado di uccidere una vecchia, ti faccio vedere come si fa». Dopo l’arresto di Lazzarini, Busetto viene scarcerata, ma in appello la sua condanna viene trasformata in ergastolo, successivamente ridotto a 25 anni dopo un ricorso in Cassazione, con la sentenza definitiva emessa l’8 gennaio 2020.

Oggi, la questione è tornata al centro dell’attenzione a causa del processo di revisione, che si basa sulla sentenza di Lazzarini. Il giudice David Calabria ha evidenziato l’estraneità di Busetto, affermando che non ci sono prove sufficienti per attribuirle un ruolo nel delitto. Si trovano quindi due verdetti contrastanti: uno che scagiona Busetto e l’altro che la condanna. Nonostante ciò, la Corte d’Appello di Trento non ha ritenuto sufficiente questo nuovo elemento per rivedere i processi precedenti. La situazione ha generato un crescente “ragionevole dubbio” tra le persone che seguono il caso, rendendolo un tema di discussione e riflessione.

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