AGI – Cgia: al Nord stipendi più alti del 35% rispetto al Sud

Secondo un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia, basata su dati Inps e Istat, gli stipendi nel Nord Italia risultano mediamente più alti del 35% rispetto a quelli del Sud. Questo divario è principalmente legato alla maggiore produttività del lavoro nelle regioni settentrionali, dove si registrano anche 38 giorni lavorativi in più all’anno rispetto al Sud. Le province con il maggior numero di giornate lavorate sono Lecco, Vicenza, Biella e Padova.

In termini di retribuzione, i lavoratori del Nord percepiscono una media giornaliera lorda di 101 euro, mentre i loro colleghi del Sud guadagnano 75 euro. In Lombardia, la retribuzione media annua lorda di un lavoratore dipendente è di 28.354 euro, mentre in Calabria è di soli 14.960 euro. La produttività oraria riflette un gap simile: in Lombardia si registra una produttività di 45,7 euro per ora lavorata, contro i 29,7 della Calabria.

Il rapporto della Cgia evidenzia anche come le disuguaglianze salariali tra Nord e Sud, così come tra aree urbane e rurali, siano rimaste nonostante l’abolizione delle gabbie salariali negli anni ’70 e l’introduzione del contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl). Le grandi aziende, multinazionali e imprese finanziarie, concentrate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord, tendono a pagare stipendi più alti, soprattutto per personale altamente qualificato come manager e tecnici. Al contrario, la diffusione del lavoro irregolare nel Sud contribuisce a ridurre i salari contrattualizzati, soprattutto in settori come l’agricoltura e i servizi alla persona.

Nonostante le differenze salariali tra le aree geografiche, all’interno dello stesso settore le disuguaglianze sono meno marcate rispetto ad altri Paesi europei, grazie all’ampia applicazione della contrattazione centralizzata. Tuttavia, la bassa diffusione della contrattazione decentrata in Italia, rispetto ad esempio alla Germania, non consente ai salari di adeguarsi all’inflazione e alla produttività locale, accentuando i gap retributivi rispetto agli altri Paesi.

La Cgia suggerisce di incentivare la contrattazione decentrata e ridurre l’Irpef per migliorare gli stipendi, in particolare quelli dei lavoratori con qualifiche professionali più basse. In Italia, circa il 98,7% dei lavoratori dipendenti del settore privato è coperto dalla contrattazione collettiva nazionale, ma solo il 23,1% delle imprese con almeno 10 dipendenti applica un contratto decentrato, che coinvolge circa 5,6 milioni di lavoratori.

Un altro problema evidenziato è il ritardo nel rinnovo dei contratti di lavoro. A giugno, circa 4,7 milioni di lavoratori, pari al 36% del totale, erano in attesa di un rinnovo contrattuale, con una media di 23,2 mesi di attesa. Questo ritardo interessa più il settore pubblico che quello privato, ma è comunque difficile trovare un accordo sugli aumenti salariali che sia valido sia per il Nord che per il Sud.

Nel 2022, le retribuzioni medie lorde più alte sono state registrate a Milano, con 32.472 euro annui, seguita da città come Parma, Modena e Bologna, dove i settori ad alta produttività, come la meccanica e l’automotive, hanno garantito stipendi elevati. Le retribuzioni più basse si sono registrate invece a Vibo Valentia, dove i lavoratori hanno guadagnato in media 12.923 euro l’anno. A livello nazionale, la media era di 22.839 euro.

Infine, secondo i dati Inps, nel 2022 i lavoratori del Nord hanno accumulato in media 253 giorni retribuiti, 28 giorni in più rispetto ai 225 giorni medi del Sud. La maggiore presenza di precariato, lavori stagionali e intermittenti, soprattutto nei servizi e nel turismo, contribuisce a ridurre la media delle giornate lavorative nel Mezzogiorno.