Chi sono gli Indiani d’America (o nativi americani)?

I nativi americani sono le popolazioni originarie del continente americano, comunemente conosciute anche come “pellerossa”

Chi sono gli Indiani d’America (o nativi americani)

Chi sono gli Indiani d’America (o nativi americani)? I nativi americani sono le popolazioni originarie del continente americano, comunemente conosciute anche come “pellerossa“. Molti secoli fa, durante un’era geologica diversa, l’America e l’Asia erano collegate da una striscia di terra chiamata Beringia, che ora è sommersa. Gli antenati degli indiani, provenienti dalla Mongolia, viaggiarono attraverso questa terra circa 20.000 anni fa, dando origine alle popolazioni native americane.

Il termine “indiani” fu erroneamente attribuito a queste popolazioni da Cristoforo Colombo nel 1492, quando giunse sulle coste americane cercando le Indie. Quando si rese conto di aver scoperto un nuovo continente, l’America, l’errore era già stato commesso. Il nome corretto per queste popolazioni è “nativi americani“. Il termine “pellerossa” si riferisce al colore della loro pelle ed è altrettanto inesatto quanto “indiani“.

I nativi americani erano suddivisi in circa 250 tribù sparse in tutto il Nord America, dall’estremo sud al nord del continente. Alcune delle tribù più famose includevano gli Apaches, i Sioux, i Navajo, gli Cheyenne e i Mohicani. Ogni tribù aveva un capo che stabiliva le regole della comunità. Ognuno, uomini, donne, anziani e bambini, aveva un ruolo da svolgere nella vita della tribù. Ad esempio, le donne si occupavano della cucina e della costruzione dei tepee, le tipiche tende in cui vivevano le famiglie. Gli uomini cacciavano e difendevano la tribù in caso di guerre. Gli anziani avevano il compito di educare i giovani e tramandare valori e tradizioni.

A differenza dei colonizzatori bianchi, gli indiani non combattevano per il possesso delle terre, perché credevano che la terra fosse di tutti e non potesse essere posseduta.

La casa tradizionale degli indiani era il tepee, una tenda a forma di cono che poteva essere smontata e spostata a piacimento. Spesso gli indiani conducevano una vita nomade, in cerca dei territori più fertili o seguendo le mandrie di bisonti per cacciarli e utilizzarne carne, pelli per vestiti e materiale per costruire i tepee.

La religione dei nativi americani era centrata sugli “spiriti“, che governavano su tutto, dalle persone alle piante. Il Grande Spirito o Manitù era il più importante. I sacerdoti, noti come sciamani o Wichasha Wakan nei Sioux, avevano il potere di comunicare con gli spiriti e di curare le malattie.

Ogni tribù aveva un totem, un palo di legno con simboli della tribù o del capo. Questi totem rappresentavano “qualità” desiderate dalla tribù. Ad esempio, il cavallo rappresentava la libertà, l’aquila il potere spirituale, il lupo la lealtà e il bisonte l’abbondanza.

Alcuni capi indiani famosi includono Toro Seduto, capo dei Sioux Hunkpapa che vinse la battaglia di Little Big Horn contro il generale Custer. Poi c’era Cavallo Pazzo, capo dei Sioux Lakota, anch’egli coinvolto nella vittoriosa battaglia di Little Big Horn. Era noto per il suo grido d’incitamento “Hoka Hey“, che significa “Andiamo uomini“. Infine, c’era Geronimo, il cui soprannome fu dato dai nemici messicani, mentre il suo vero nome era “Colui che sbadiglia“. Fu il capo dell’ultima grande resistenza nativa contro i colonizzatori europei.

Gli europei, come inglesi e francesi, cercarono di conquistare il nuovo continente scoperto, rubando le terre ai nativi americani. Questo portò a anni di lotte violente, massacri e guerre sanguinose, culminando nella creazione delle “riserve indiane” dove i nativi furono confinati.

Questo periodo fu segnato da un massacro vero e proprio, spesso chiamato “genocidio dei nativi d’America“, in cui oltre l’80% della popolazione nativa fu decimata, causando la perdita di circa 100 milioni di vite umane in poco più di due secoli.

Le riserve indiane erano territori scelti dai bianchi, spesso aridi o troppo freddi per l’agricoltura o l’allevamento, e venivano assegnati alle tribù indiane scacciate dalle loro terre d’origine. Nonostante la fiera resistenza delle popolazioni native, ci furono battaglie decisive. Due di esse furono la battaglia di Sand Creek nel 1864, in cui l’esercito americano compì una strage uccidendo intere famiglie, e la celebre battaglia di Little Big Horn nel 1876, in cui i nativi riportarono una vittoria cruciale contro l’esercito americano e uccisero il generale Custer.

Oggi, i discendenti dei nativi americani sono rimasti solo in piccolo numero e sono distribuiti in varie zone degli Stati Uniti.

Descrizione degli Indiani d’America (o nativi americani)

Gli etnonimi “indiani d’America” e “pellirosse” sono termini che venivano usati per indicare i popoli che abitavano il Nord America prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo. Tuttavia, questi termini sono stati considerati offensivi e oggi sono in disuso, soprattutto in Canada e negli Stati Uniti, dove si preferisce usare termini più rispettosi.

In America Latina, si usa principalmente il termine “indios“, mentre in ambiente francofono si trova ancora il termine “amerindiens“. L’uso del termine “indiano” è dovuto a un errore di Cristoforo Colombo, che credeva di aver raggiunto le Indie Orientali quando in realtà aveva scoperto un nuovo continente. Gli Spagnoli chiamarono questa nuova terra “Indie occidentali” e solo in seguito fu chiamata America, in onore di Amerigo Vespucci.

Secondo la teoria scientifica più accreditata, circa 13.000 anni fa, gli esseri umani si sono mossi dall’Asia verso l’America attraverso una striscia di terra chiamata Beringia, che collegava i due continenti. Queste popolazioni si sono poi spostate verso sud, popolando l’intero continente e dando origine a migliaia di etnie e tribù diverse.

In Centro e Sud America, i nativi americani hanno fondato grandiose civiltà come i Maya e gli Aztechi nel Messico moderno, e gli Inca sulle Ande. Nel Nord America, invece, i nativi americani sono rimasti principalmente popolazioni nomadi o seminomadi.

Ancora oggi, molte regioni del continente sono abitate da popolazioni indigene, soprattutto in America Latina, dove insieme ai mestizo costituiscono la maggioranza della popolazione. Negli Stati Uniti e in Canada, i nativi americani costituiscono una piccola minoranza. Nel continente americano si parlano ancora almeno un migliaio di lingue indigene diverse, alcune delle quali, come il quechua, l’aymara, il guaraní, le lingue maya e il nahuatl, sono parlate da milioni di persone.

Inoltre, molti di questi gruppi mantengono pratiche e usanze culturali, comprese quelle religiose, di organizzazione sociale e di sussistenza. Alcuni popoli indigeni vivono ancora in isolamento relativo rispetto alle società moderne, e alcuni non sono mai entrati in contatto con la cultura occidentale.

Dal punto di vista fisico, i nativi americani presentano somiglianze con le popolazioni asiatiche: occhi allungati, zigomi sporgenti, e tendono ad avere pochissima barba. Inoltre, hanno capelli generalmente scuri e lisci. Queste caratteristiche hanno portato gli antropologi a ipotizzare che i nativi americani abbiano un’origine comune con gli antichi asiatici, che si suppone abbiano attraversato lo stretto di Bering in epoche preistoriche. Questa teoria è stata poi confermata da studi linguistici e, soprattutto, genetici.

Il nome

L’etnonimo “indiani d’America” ha avuto origine nel XV secolo, durante le prime fasi dell’esplorazione europea delle Americhe. Cristoforo Colombo, nel suo viaggio attraverso l’oceano Atlantico, voleva dimostrare che si poteva raggiungere l’Asia navigando verso ovest, cosa che all’epoca sembrava impossibile. Quando nel 1492 Colombo arrivò sull’isola di Hispaniola (oggi Haiti e Repubblica Dominicana), pensava di essere arrivato nelle Indie Orientali e di aver scoperto una nuova rotta per raggiungere l’India. Per questa ragione, gli abitanti che incontrò vennero erroneamente chiamati indiani. Colombo non sapeva dell’esistenza del continente americano tra l’Asia e l’Europa. Solo grazie alle successive esplorazioni e soprattutto grazie ad Amerigo Vespucci, gli europei si resero conto di aver scoperto un nuovo continente finora sconosciuto. Ma l’errore era già stato commesso e il termine “indiano” per riferirsi alle popolazioni indigene delle Americhe non venne corretto.

Quindi, il termine “indiani” è una categoria etnica e culturale inventata dagli europei. I diversi gruppi che si erano stabiliti nelle Americhe non si consideravano parte di una singola comunità e non avevano una parola con cui identificarsi, a parte il nome della loro tribù o semplicemente “uomo” (come per gli Inuit). Alcuni gruppi indigeni non erano nemmeno a conoscenza dell’esistenza di altre società a cui sarebbero stati poi associati come “indiani“. Alcuni negavano qualsiasi collegamento con gruppi che ritenevano meno avanzati; ad esempio, gli Aztechi nel Messico centrale commerciavano e combattevano con molti dei loro vicini, ma non li consideravano mai loro pari. Durante i tre secoli di colonizzazione spagnola, alcuni accettarono questa nuova categoria e divennero “indiani“, mentre altri continuarono ad identificarsi con identità più antiche. La natura problematica del concetto di “indiano” ha spinto molti studiosi a sostituirlo con termini come “nativi americani” o altre etichette europee meno ambigue.

Il termine “indios“, di origine spagnola, è impiegato in italiano per indicare le comunità indigene dell’America Latina, mentre in Spagna e in molti paesi dell’America Latina, oltre che in Portogallo, rappresenta i vari popoli amerindi del Nord, Centro e Sud America. Questo termine, che significa anche “indiani“, deriva dall’errore storico nel confondere l’America con l’India.

L’utilizzo dell’espressione “pellerossa” negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali per riferirsi ai popoli indigeni nordamericani talvolta assume connotazioni dispregiative poiché fa riferimento al colore della loro pelle. Una delle possibili spiegazioni sull’origine di questo termine riguarda la pratica dei guerrieri di alcune tribù di dipingersi la pelle di ocra rossa prima dei conflitti.

Anche se il termine “indiani d’America” può essere considerato offensivo, alcuni nativi preferiscono identificarsi in questo modo. Per esempio, Russell Means, celebre attivista della tribù Lakota, ha dichiarato: «Io stesso prediligo il termine “indiano d’America”. Chiunque sia nato nell’emisfero occidentale è un nativo americano».

Attualmente, per descrivere tali popolazioni vengono impiegati vari nomi come “nativi americani“, “indiani d’America“, “indigeni americani“, “amerindi”, “amerindiani“, “indios“, “popoli precolombiani“, “prime nazioni” (in Canada), “aborigeni americani“, “pellerossa“, “popolo rosso” e “uomini rossi“.

Storia degli Indiani d’America (o nativi americani)?

L’arrivo dell’uomo nelle Americhe è collegato a individui anatomicamente moderni. Si ritiene che l’occupazione umana delle Americhe sia avvenuta dopo lo sviluppo di abilità e tecnologie necessarie per sopravvivere nelle terre nord-orientali dell’Asia e nell’esplorazione della tundra. Queste condizioni si sono verificate circa 40.000 anni fa. L’espansione iniziale verso l’Est dell’odierna Alaska fu fatta da cacciatori-raccoglitori, attraversando la Beringia, un istmo che collegava Asia e Nord America, tra il 16.000 e l’11.000 a.C.

Le ricerche di Luigi Luca Cavalli-Sforza e altri studiosi suggeriscono che gli esseri umani siano giunti nel continente circa 40.000 anni fa, provenienti dall’Asia attraverso lo stretto di Bering, via mare. Tuttavia, questa ipotesi è oggetto di ampio dibattito, pur essendo plausibile.

Secondo il modello Clovis, si ipotizzano tre onde migratorie avvenute circa 12.000 anni fa, provenienti dall’Asia attraverso la terra emersa della Beringia.

Nel corso dei secoli, ci sono stati altri flussi migratori dall’America settentrionale verso quella meridionale.

Popoli indigeni del Nordamerica
Regione artica

Nella regione artica, che copre le coste dell’Alaska e il nord del Canada, il clima fa sì che ci siano poche persone e l’agricoltura sia praticamente impossibile. Le popolazioni qui sopravvivevano cacciando foche, caribù e, in alcune zone, balene. Durante l’estate vivevano in tende e in inverno in case fatte di blocchi di ghiaccio o di terra ricoperti da pelli. Ancora oggi, i gruppi presenti hanno pochi contatti con altre popolazioni e mantengono stretti legami con le loro tradizioni. Nell’Alaska e nei Territori del Nord-Ovest, Yukon e Nunavut, vivono gli Inuit e gli Yupik, talvolta chiamati “Eschimesi”. Parte di questi gruppi si trasferì in Groenlandia nell’XI secolo. Nella zona sud-ovest abitano gli Yuit, che si trovano anche in Siberia, mentre gli Aleutini vivono sulle omonime isole.

Regione subartica

Nella regione subartica, che include gran parte del Canada fino quasi al confine con gli Stati Uniti, il clima estremo rendeva l’agricoltura impossibile. Le persone che vivevano qui erano nomadi e si adattavano vivendo in tende o case interrate, basando la loro sopravvivenza sulla pesca e sulla caccia di animali come alci e caribù.

A est, vivevano gruppi come i Cree e gli Ojibway, mentre a ovest c’erano comunità di lingua athabaska come Carrier, Ingalik, Dogrib, Han, Hare, Koyukon, Kutchin, Mountain, Slavey, Tanaina, Yellowknife e altri. Solitamente, le famiglie erano guidate dai capifamiglia e i conflitti tra tribù erano piuttosto rari.

Per quanto riguarda la spiritualità, le credenze sugli spiriti protettori e lo sciamanesimo erano diffusi. Oggi, molte di queste comunità sono diventate sedentarie, ma continuano a dipendere dalla caccia e dalla pesca per il loro sostentamento.

Costa nord-occidentale

Nonostante lo spazio limitato per le abitazioni a causa delle montagne a est, la costa nord-occidentale del Pacifico offriva un ambiente ideale per la vita, grazie ai fiumi Columbia e Fraser, che erano ricchissimi di salmoni.

Questa zona, grazie alla sua ricchezza naturale e alla presenza di colline, ha permesso una crescita della popolazione, dando origine a una cultura sviluppata, caratterizzata da grandi case di legno, cerimonie sontuose e abili artigiani. I villaggi, solitamente composti da circa un centinaio di persone, erano spesso legati da legami familiari e organizzati in gerarchie basate sul grado di parentela con il capo. Solo prigionieri di guerra e schiavi erano esclusi da questa struttura gerarchica.

La ricchezza individuale o di gruppo aveva un ruolo cruciale durante il potlatch, una cerimonia in cui il capo e il suo gruppo donavano i loro beni. Questo rafforzava o aumentava il loro status sociale, permettendo loro di ricevere inviti ad altri potlatch e di riequilibrare la distribuzione dei beni tra i vari gruppi. La religione si basava principalmente sul culto degli antenati mitici, con rappresentazioni stilizzate presenti ovunque: sui pali totemici, sulle facciate delle case, sulle barche, sulle maschere e le coperte.

I principali gruppi presenti in questa zona erano i Tlingit, gli Tsimshian, gli Haida, i Kwakiutl, i Nootka e i Chinook. Le lingue parlate in quest’area appartenevano principalmente alle famiglie linguistiche atabasca, penutiana o mosana.

Altopiano

Nell’ampia regione situata tra Idaho, Oregon orientale, stato di Washington, Montana occidentale e Columbia Britannica sud-orientale vivevano diversi piccoli gruppi che tendevano alla pacificità. Tra questi gruppi c’erano gli Yakima, i Wallawalla, i Nimipu (conosciuti dagli europei come Nasi Forati), i Cayuse, i Palouse e, un po’ più a nord, nelle Bitterroot Mountains, i Kalispell (noti come Pend d’Oreille), gli Skitswish (noti come Coeur d’Alene), i Kootenai (noti come Flathead o Flatbow) e gli Atsina (noti come Gros Ventre). Queste comunità sopravvivevano grazie alla caccia, alla raccolta di frutta e alla pesca del salmone. La loro cultura mostrava alcune somiglianze con quella dei gruppi della costa nord-occidentale del Gran Bacino e della California. Le lingue parlate erano principalmente parte delle famiglie linguistiche Sinwit Shahaptian Penutian (Yakima-Klickitat), Waiilatpuan Shahptian Penutian (Palouse, Cayuse, Wallawalla, Nimipu), Kithunan Salish Mosan (Kalispell, Skitswish, Kootenai), ma c’erano anche lingue della famiglia Algonquian (Atsina).

Gran Bacino

La regione del Gran Bacino, che comprende le catene montuose e le vallate di Utah, Nevada e California, fu abitata da popolazioni il cui stile di vita arcaico rimase praticamente invariato fino al 1850. Tra le popolazioni più conosciute presenti in questa zona c’erano i Paiute, gli Ute, gli Shoshoni, insieme ai Klamat, i Modoc e gli Yurok. Questi gruppi erano costituiti da piccole bande di raccoglitori, talvolta formate da un’unica famiglia, distribuite su un territorio impervio con una bassa densità abitativa.

Durante l’estate, si nutrivano di semi, radici, frutti di cactus, insetti, rettili e piccoli roditori, occasionalmente cacciavano antilope e cervi. I coyote non venivano consumati in quanto si credeva avessero poteri soprannaturali. In inverno, dipendevano dalle provviste accumulate durante l’estate, poiché la disponibilità di cibo era scarsa e la minaccia della fame costante. Nei periodi di abbondanza alimentare, i vari gruppi si univano formando bande più numerose, composte principalmente da individui legati da parentela.

Il riconoscimento della leadership avveniva in modo informale e raramente si verificavano conflitti tra tribù, che di solito scaturivano da accuse di stregoneria o rivalità sessuali. La pratica religiosa formale era limitata; prevalentemente cercavano alleanza con gli spiriti, percepiti attraverso sogni e visioni, credendo che potessero conferire poteri legati alla medicina, alla caccia e al gioco d’azzardo.

California

La regione culturale della California comprende approssimativamente l’intera superficie dello Stato attuale, ad eccezione della zona sud-orientale lungo il fiume Colorado. La popolazione residente, stimata in forse 200.000 abitanti secondo le stime più ottimistiche, parlava più di 200 lingue distinte.

Tra i gruppi etnici più significativi figuravano i Pomo, i Modoc, gli Yana, i Chumash, i Costanoan, i Maidu, i Miwok, i Patwin, i Salinan, i Wintun, gli Yokut, gli Yuki e i Mission Indians (Indiani delle Missioni), tra cui Cahuilla, Diegueño, Gabrileño, Luiseño e Serrano.

Gli indigeni americani della California erano principalmente raccoglitori di ghiande, semi erbacei e altri vegetali commestibili. Lungo la costa, pesci e frutti di mare avevano un ruolo fondamentale, mentre nell’entroterra la caccia a cervi, orsi e piccoli mammiferi era comune. Il villaggio, con un dialetto peculiare, spesso rappresentava l’unità politica più ampia. Una pratica diffusa era la divisione in metà esogame, dove i matrimoni avvenivano solo all’interno del villaggio, ma tra le due metà del villaggio stesso.

I capi, talvolta ereditari, organizzavano la vita sociale e cerimoniale, ma il loro potere politico era limitato. I conflitti organizzati tra villaggi erano rari, mentre erano comuni riti di guarigione, cerimonie di iniziazione maschile e l’uso rituale di sostanze psichedeliche.

Pianure

Nella vasta regione delle Pianure, che si estende dal Canada centrale fino al Messico e dalle Montagne Rocciose al Midwest, si svilupparono società nomadi basate sulla caccia alle mandrie di bisonti. Questa pratica, fondamentale fino al 1890, fu la principale fonte di sostentamento per le popolazioni locali, sebbene lungo alcuni fiumi si osservassero rare forme di agricoltura stanziale. La densità abitativa rimase generalmente bassa.

I primi abitanti includevano i Blackfeet, cacciatori abili, e le comunità agricole dei Mandan e degli Hidatsa. Con l’arrivo dei coloni europei, molte popolazioni del Midwest si spostarono nelle Pianure, tra cui i Sioux, gli Cheyenne e gli Arapaho, seguiti da Shoshoni e Comanche provenienti dal Gran Bacino.

L’introduzione del cavallo da parte degli europei nel XVII secolo cambiò radicalmente la vita delle Pianure. Le popolazioni precedentemente sedentarie si organizzarono in accampamenti mobili per praticare la caccia al bisonte in modo più efficiente. Le cerimonie, come la danza del sole, rinforzarono legami sociali e identità comuni.

Il potere individuale era spesso cercato attraverso riti visionari, automutilazioni e ascesi severe. La partecipazione alle incursioni belliche contro i nemici rappresentava il modo principale di manifestare il proprio status. Le società guerriere, formate in giovane età, divennero organizzazioni specializzate nella guerra e nel mantenimento dell’ordine nei grandi accampamenti. Il successo nelle incursioni, il possesso di cavalli e il conseguimento del potere attraverso visioni o danze del sole determinavano il rango sociale tra le popolazioni delle Grandi Pianure.

Foreste orientali

Le foreste orientali, che includono le regioni temperate degli Stati Uniti e del Canada orientali, erano inizialmente abitate da popolazioni cacciatrici. Intorno al 7000 a.C., si svilupparono l’agricoltura, la pesca e la lavorazione della pietra.

Le tribù native di questa zona includevano gli Irochesi, gli Uroni e varie popolazioni di lingua algonchina come gli Ojibway, i Lenape, i Mohicani e altri. Alcune tribù, come i Sioux, furono spinte verso ovest dalle tribù algonchine armate dagli Europei.

Tra il XVIII e il XIX secolo, molte tribù, compresi gli Irochesi e i gruppi algonchini, furono costrette a spostarsi a ovest o verso il Canada a causa della pressione dei coloni europei negli Stati Uniti.

Il clima freddo del nord-est limitava l’agricoltura, quindi i cibi principali erano pesce, carne di caccia, sciroppo d’acero e riso selvatico. Gli Irochesi erano organizzati in villaggi matrilineari, con le donne che avevano un ruolo importante nel governo.

I popoli di lingua algonchina lungo la costa orientale erano meno sviluppati nell’agricoltura e spesso organizzati in piccoli villaggi semisedentari. Molti di loro scomparvero a causa dell’impatto della colonizzazione europea prima del XVIII secolo.

Sud-est

Nel sud-est, una regione a clima tropicale che si estende a nord del golfo del Messico, dalle coste dell’Atlantico al Texas centrale, un tempo era coperta da foreste di pini e popolata da daini. L’agricoltura iniziò a svilupparsi in quest’area intorno al 3000 a.C., portando a un aumento significativo della popolazione. Le prime città furono costruite circa nel 1400 a.C.

Quando Spagnoli e Portoghesi arrivarono nei secoli XVI e XVII, tuttavia, le epidemie iniziarono a decimare la popolazione. Alcune tribù native di questa zona, tra cui Cherokee, Creek, Chickasaw, Choctaw e Seminole, erano note come le Cinque Nazioni Civilizzate, poiché la loro economia e organizzazione sociale erano più complesse e simili a quelle europee. I Natchez, con una cultura elaborata, subirono la distruzione causata dagli Spagnoli alla fine del XVIII secolo.

Tra i gruppi più significativi del sud-est vi erano anche gli Alabama, i Caddo, i Quapaw, i Biloxi, i Chitimacha, i Timucua e i Tunica (Tunican). Molti di questi popoli raggiunsero livelli culturali complessi paragonabili a quelli della Mesoamerica settentrionale. Fondarono villaggi fortificati con palizzate, talvolta con centinaia di abitanti, e templi con fuochi perenni al loro interno. I capi esercitavano un potere assoluto sui loro sudditi, nobili e popolani, e in alcuni casi governavano più di un villaggio. Le guerre e le incursioni erano frequenti.

Sud-ovest

La regione sud-ovest degli Stati Uniti e del Messico settentrionale, comprendente l’Arizona, il Nuovo Messico, il Colorado meridionale e aree limitrofe, presenta un ambiente caldo e arido con montagne e valli disseminate di oasi. Quest’area ha visto lo sviluppo di una cultura arcaica tra l’8000 a.C. e il 300 ca. a.C., con tracce di popolazioni precedenti, come i Clovis, risalenti a circa 11.000 anni fa.

Le popolazioni del sud-ovest includevano sia cacciatori-raccoglitori, come gli Apache, gli Havasupai e altri, sia gruppi di orticoltori, come i Mohave, i Navajo, i Pueblo, gli Yaqui e altri. Nonostante la scarsità di risorse idriche, la regione offriva una varietà di cibi selvatici, sia animali che vegetali, che permettevano agli insediamenti di prosperare, organizzati in modo patrilineare o matrilineare. Gli scontri con i vicini orticoltori erano comuni.

Intorno al 300 a.C., alcune popolazioni del Messico, che praticavano l’agricoltura su terreni irrigati, si stabilirono nell’Arizona meridionale, diventando gli antenati dei moderni Pima e Papago. Anche gli Anasazi, praticanti dell’agricoltura, si insediarono nella regione. I loro discendenti includono i Pueblo, i Navajo e vari gruppi di Apache. Le prime tombe coperte da tumuli sepolcrali, diventate centri di culto, risalgono al 1000 a.C., caratteristiche della civiltà Hopi.

Aspetti culturali

Benché le caratteristiche culturali, come la lingua, i costumi e le usanze varino enormemente da una tribù all’altra, ci sono alcuni elementi che si possono incontrare frequentemente e sono condivisi da molte tribù.

Religione

La religione prevalente tra le tribù native americane è conosciuta come Chiesa nativa americana, una forma sincretica che fonde elementi dello spiritualismo nativo di diverse tribù con simboli cristiani. La cerimonia del peyote è il suo rito principale. Questa chiesa ha svolto un ruolo significativo nel recupero delle radici culturali dei nativi americani, aiutandoli a resistere all’assimilazione culturale imposta dagli europei. In alcune regioni degli Stati Uniti, come il Nuovo Messico, si osserva un sincretismo tra il Cattolicesimo portato dai missionari spagnoli e le pratiche religiose native.

Nel Sud-ovest degli Stati Uniti, in particolare, è comune il sincretismo tra il Cristianesimo e le tradizioni religiose native, con elementi come tamburi, canti e danze dei Pueblo che si mescolano alle pratiche liturgiche cattoliche. Le tribù dell’area semidesertica del Sud-ovest, essendo agricoltori e allevatori, hanno sviluppato le Danze della Pioggia come parte della loro cultura per affrontare la scarsità d’acqua.

La cultura spirituale dei nativi americani rifletteva il loro stretto legame con la natura. Praticavano l’animismo, credendo che gli spiriti naturali si manifestassero attraverso fenomeni meteorologici e che potessero essere evocati durante stati di trance indotti da sostanze psicotrope come il peyote. I guaritori utilizzavano anche rimedi naturali come la salicina per trattare febbri ed infiammazioni. La loro cosmologia immaginava un universo circolare, riflessa nei cerchi sacri utilizzati per le assemblee e i riti.

Gli animali avevano un ruolo importante nella cultura nativa americana, con molti popoli che attribuivano un significato simbolico specifico ad animali come il corvo e il coyote. Ogni tribù aveva il proprio totem, un animale da cui si credeva di discendere.

Musica e arte

La musica dei Nativi americani si caratterizza per la sua natura prevalentemente monofonica, anche se vi sono notevoli eccezioni. La tradizione musicale nativa prevede l’uso dei tamburi come strumento principale, con pochi altri strumenti impiegati, sebbene alcuni gruppi utilizzino anche i flauti. La tonalità dei flauti dipende dalla lunghezza del legno e dalla grandezza della mano del suonatore, risultando quindi non molto precisa.

Uno degli eventi musicali più diffusi tra i Nativi americani negli Stati Uniti è il powwow, durante il quale i partecipanti formano un cerchio intorno a un grande tamburo e suonano e cantano in lingue native, mentre i danzatori si esibiscono in danze colorate intorno ai musicisti.

La musica e l’arte rivestono un ruolo centrale nella vita delle comunità indigene, molto più della semplice attività lavorativa, spesso limitata al necessario per la sopravvivenza.

Le influenze musicali dei Nativi americani sono state adottate anche da numerosi artisti pop e rock, come ad esempio Robbie Robertson (noto per il suo lavoro con The Band e Bob Dylan), che ha origini indigene.

L’arte dei Nativi americani rappresenta una componente significativa nel panorama artistico mondiale, includendo manufatti come stoviglie in terracotta, gioielli, abbigliamento, e sculture.

Nelle foreste dell’est degli Stati Uniti, erano diffuse le lavorazioni della pelle, le decorazioni su vasi, sacche e cinture, tra cui i wampum multicolori con disegni simbolici.

In tutte le regioni del Nord America, un aspetto importante dell’arte indigena è la produzione di maschere in legno a fini religiosi, raffiguranti demoni e spiriti.

Altre forme d’arte comuni includono la pittura sulla pelle, sia con motivi figurativi che geometrici, l’intreccio del vimini, la decorazione di ceramiche e la tessitura.

La democrazia indigena

Nelle società indigene, ogni individuo si sentiva parte integrante della natura e del proprio popolo. Le nazioni indiane erano costituite da gruppi locali, chiamati bande, che godevano di autonomia politica ed erano autosufficienti dal punto di vista economico. Le comunità si organizzavano in clan e villaggi, spesso senza un’autorità centrale. Le decisioni venivano prese autonomamente durante assemblee e consigli delle bande. I leader, rappresentanti scelti dalla comunità, guidavano i nativi, e tra i cacciatori-raccoglitori il capo solitamente era il più anziano o quello con maggiore esperienza. La carica di capo poteva essere a vita o temporanea, ma il leader poteva essere rimosso se considerato inadatto. Uomini e donne avevano ruoli complementari: i padri insegnavano ai figli maschi la caccia e la guerra, mentre le madri trasmettevano loro le regole sociali e le tradizioni.

Popoli indigeni della Mesoamerica

Nel corso del 1400 a.C., in Messico e nella parte settentrionale dell’America centrale, emersero civiltà di notevole importanza, insieme a varie tribù. Gli Olmechi, sulla costa orientale del Messico, costruirono templi e maestosi palazzi, raggiungendo il loro apice prima di declinare intorno al 400 a.C. Successivamente, il Messico centrale fu dominato per circa duecento anni dalla civiltà di Teotihuacan, mentre nel sud-ovest, nello Yucatán e in Guatemala si svilupparono le Città-Stato dei Maya.

Nell’XI secolo, il Messico fu controllato dai Toltechi, seguiti dagli Aztechi e successivamente dagli spagnoli. Le popolazioni residenti nella regione mesoamericana (Messico, Guatemala, El Salvador, parte dell’Honduras e del Nicaragua occidentale) garantivano il sostentamento dei grandi mercati urbani attraverso la loro agricoltura. Queste comunità erano caratterizzate da strutture sociali complesse e avevano sviluppato un’arte e una cultura sofisticate, purtroppo quasi completamente distrutte dalla conquista spagnola.

Le civiltà mesoamericane avevano un sistema di scrittura geroglifica, libri realizzati con carta di corteccia, carte geografiche, conoscenze avanzate in matematica, come il concetto dello zero e la matematica posizionale, nonché osservatori astronomici che permettevano di prevedere le eclissi. Inoltre, avevano sviluppato complessi centri civico-cerimoniali e una società stratificata con sovrani assoluti. Tuttavia, tutte queste civiltà furono conquistate dagli spagnoli e ridotte in servitù agricola.

Popoli indigeni del Sudamerica
Area settentrionale e Caraibi

Quest’area comprende giungle, savane, zone aride e la parte settentrionale delle Ande. Fin dai tempi antichi, la popolazione locale viveva in piccole comunità. In Colombia, i Chibcha erano noti per la loro abilità nell’oreficeria. Altri gruppi, come i Mosquito del Nicaragua, i Cuna di Panama, gli Aruachi e i Caribi, si dedicavano principalmente alla caccia e alla pesca.

Area amazzonica

La regione amazzonica probabilmente non fu abitata prima del 3000 a.C.. Le popolazioni indigene locali, che lavoravano il cotone e si dipingevano il corpo, mantengono ancora oggi molti costumi tradizionali, nonostante le minacce derivanti dallo sfruttamento delle miniere e del legname. Tra i gruppi presenti ci sono gli Ye’kuana, i Tupinamba e altri che parlano le lingue degli Aruachi e dei Caribi.

Le forti piogge spesso impoverivano il suolo, costringendo le società agricole a spostare frequentemente le coltivazioni e i villaggi. La tecnica di coltivazione taglia-e-brucia permetteva la produzione di tuberi, cereali e palme, fornendo un’alimentazione abbondante ma povera di proteine. Le principali fonti di proteine erano il pesce, le tartarughe e le loro uova, integrate dalla caccia a mammiferi di varie dimensioni.

I villaggi erano piccoli, con una popolazione tra i 100 e i 1000 abitanti, e una bassa densità (circa 2 abitanti per km²). Questi villaggi rappresentavano spesso la più grande unità politica. La forma più comune di affiliazione sociale era il patrilignaggio, anche se in alcuni centri più grandi esistevano clan. La leadership nelle società più piccole era affidata a un anziano, mentre nelle comunità più grandi, gli sciamani a volte assumevano il potere attraverso l’intimidazione. Alcune società dell’alta Amazzonia avevano anche strutture di classe.

Gli sciamani guidavano le cerimonie della pubertà, del raccolto e della morte, tutte molto elaborate. Molti diventavano sciamani utilizzando potenti droghe allucinogene.

Ande centrali e meridionali

La parte centrale e meridionale delle Ande, che attraversa la parte occidentale dell’America del Sud, ha ospitato grandi civiltà indigene nelle sue strette valli tra i monti e l’oceano Pacifico. Dopo il 2000 a.C., i popoli delle valli costiere del Perù centrale costruirono grandi templi di pietra e mattoni. In seguito al declino delle civiltà Huari, Tiahuanaco e Chimú, gli Inca conquistarono l’intero moderno Perù e estesero il loro dominio anche su Ecuador, Bolivia, Cile, Argentina e Colombia.

Nel XVI secolo, l’Impero Inca, già indebolito da conflitti interni, fu conquistato facilmente dai conquistadores spagnoli. Oggi, diverse popolazioni di lingua quechua, la lingua ufficiale dell’Impero Inca, sopravvivono ancora. Oltre ai quechua, altre popolazioni mantengono lingue e tradizioni precolombiane, come gli Aymara nel sud del Perù e in Bolivia, e i Mapuche in Cile e Argentina.

Regione meridionale

Nella regione meridionale, comprendente Uruguay e Argentina, vivono popolazioni contadine come i Pampas, che coltivano mais, patate e cereali. Dopo le invasioni spagnole, questi gruppi iniziarono anche ad allevare bestiame e cavalli. Più a sud, nelle pampas, dove l’agricoltura era impraticabile, le popolazioni vivevano di caccia o pesca. Vicino allo stretto di Magellano, le comunità si dedicavano principalmente alla pesca di foche e leoni marini.

Questi gruppi avevano la più bassa densità di popolazione rispetto a qualsiasi altra cultura sudamericana e possedevano una semplice organizzazione sociale basata su bande. La loro tecnologia era elementare e la produttività alimentare scarsa. La religione includeva riti di passaggio, sciamanesimo e credenza negli spiriti. Faide e incursioni erano rare; la sopravvivenza di queste società dipendeva dalla loro capacità di evitare i vicini più potenti e bellicosi.

Calo demografico e sterminio

Il genocidio dei Nativi americani, noto anche come genocidio indiano, si riferisce al drastico calo demografico e allo sterminio sistematico dei Nativi americani, avvenuto per motivi di controllo del territorio, economici, etnici, politici o religiosi. Questo sterminio, perpetrato dai colonizzatori europei dal XV secolo fino al XX secolo, ha causato la morte di un numero stimato tra i 50 e i 100 milioni di nativi. Le cause principali includevano guerre di conquista, perdita dell’habitat tradizionale, cambiamenti nello stile di vita, malattie introdotte dai colonizzatori e atti deliberati di sterminio, giustificati da teorie di supremazia razziale o culturale.

L’impatto del genocidio variò a seconda delle regioni e delle culture dei colonizzatori. Nei territori che oggi comprendono gli Stati Uniti e il Canada, lo sterminio fu particolarmente massiccio e devastante, con poche unioni tra i nativi e i colonizzatori, e una conseguente scarsa discendenza e assimilazione culturale forzata.

In Centro e Sud America, il fenomeno fu in parte contrastato da alcuni colonizzatori, risultando in una popolazione che oggi include una significativa percentuale di nativi americani e individui di discendenza mista. Al contrario, in Nord America, l’impatto fu più devastante a causa della minore tendenza dei colonizzatori ad unirsi con la popolazione indigena, portando a percentuali drasticamente più basse di indigeni nordamericani rispetto al Centro e Sud America.

La difesa degli indigeni da parte dei missionari cattolici e dei papi

Secondo lo studioso Franco Cardini, la Chiesa di Roma, nonostante alcune contraddizioni interne, ha storicamente agito in difesa degli indigeni. Cardini sostiene: «Sarebbe ingiusto negare che molti della Chiesa cattolica si siano piegati alle esigenze delle potenze colonialistiche e alla loro pratica di violenza e rapina. Resta tuttavia un fatto: nel mondo protestante non c’è nessun missionario che sia riuscito a combattere ingiustizia e violenza con lo stesso successo con cui l’hanno fatto i cattolici».

Nell’America settentrionale e in Oceania si sono verificati genocidi su larga scala ad opera soprattutto di inglesi e olandesi, mentre in America meridionale, sebbene ci siano state stragi e razzie di schiavi, i missionari cattolici hanno spesso difeso apertamente i nativi, accettando talvolta la persecuzione insieme a loro. Il più noto tra questi è il domenicano Bartolomé de Las Casas, che convinse Carlo V a promulgare le “Nuevas Leyes“, un codice garantista a tutela dei nativi.

Storici come Rodney Stark e Eugene D. Genovese concordano con Cardini, evidenziando come la riduzione in schiavitù di interi popoli fu generalmente osteggiata dai religiosi cattolici. Tra i difensori degli indigeni ci sono i domenicani Antonio de Montesinos e Pedro de Córdoba, che furono tra i primi religiosi a raggiungere il Nuovo Mondo e a opporsi ai metodi violenti dei coloni. Bartolomé de Las Casas è universalmente riconosciuto come il “protettore degli indios”. Anche frate Francesco da Vitoria è considerato un difensore degli amerindi, per aver elaborato le basi teologiche e filosofiche a difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate.

Le Riduzioni gesuite cercarono di creare un modello di sviluppo equo e solidale con i locali, e ci sono stati episodi come la battaglia di Mbororé, in cui i gesuiti combatterono a fianco dei nativi contro i colonialisti europei. Diversi atti e bolle papali furono emanati a difesa degli indigeni. Già papa Eugenio IV, con la bolla “Sicut Dudum” del 1435, ordinò di riportare alla libertà gli abitanti delle Isole Canarie ridotti in schiavitù. La bolla “Veritas Ipsa“, conosciuta anche come “Sublimis Deus“, emanata da papa Paolo III nel 1537, proclamava che gli indios erano “uomini veri” e scomunicava chiunque li riducesse in schiavitù.

Nel 1639, papa Urbano VIII emise la bolla “Commissum Nobis” su richiesta dei gesuiti del Paraguay, proibendo in modo assoluto di ridurre in schiavitù gli indiani. Nel 1741, papa Benedetto XIV emanò la bolla “Immensa pastorum” per vietare la schiavitù dei popoli indigeni. Nel 1839, papa Gregorio XVI ribadì la condanna della schiavitù con la bolla “In Supremo Apostolatus“. Nel 1888, papa Leone XIII scrisse ai vescovi del Brasile per eliminare completamente la schiavitù nel paese e sostenne l’associazione “Anti-Slavery Society“. Infine, l’enciclica “Mater et magistra” di Papa Giovanni XXIII, del 1961, rappresenta un pilastro della dottrina sociale della Chiesa cattolica contro le discriminazioni coloniali e a favore della promozione dei popoli nativi.

La figura dell’indigeno oggi

Nel mondo moderno, le civiltà mesoamericane e andine sono state esaltate per il loro passato glorioso, mentre il presente dei loro discendenti è stato svalutato, con l’idea che abbiano subito un imbarbarimento. Questa concezione è diventata così radicata che gli stessi indigeni hanno finito per crederci.

Parallelamente alla diffusione di stereotipi negativi sugli indigeni americani, è emerso il mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau, una distorsione della realtà basata su una visione dualistica tra bene e male.

Nel corso degli anni, vari luoghi comuni sui nativi americani sono stati alimentati dai mezzi di comunicazione di massa, come fumetti, cinema, televisione, pubblicità e videogiochi. Negli Stati Uniti, ogni anno a novembre si celebra il Native American Heritage Month, un festival dedicato ai nativi americani.

“L’indiano immaginario è diventato una delle icone della società dei consumi. Il risultato è stata la riduzione delle culture native a una serie di slogan e atteggiamenti semplicistici e paternalisti. Molte delle immagini degli indiani nella pubblicità hanno un’intenzione positiva, esaltando qualità come coraggio, prestanza fisica e virtù naturale, ritenute proprie degli indiani prima del contatto con i bianchi. La pubblicità rinforza l’opinione che gli indiani migliori erano quelli di una volta; come simbolo consumista, l’indiano è ammirato per valori associati alla società preindustriale.”

I nativi americani non sono “fossili sociali”, non hanno fissato uno stadio di sviluppo della loro cultura in senso identitario. Salvaguardano i loro modi di vita, modificandoli continuamente e resistendo proprio grazie alla capacità di adattamento. In tutto il continente americano, più di 70 milioni di persone vivono stili di vita che discendono da quelli precolombiani, anche se adattati e modificati.

L’atteggiamento verso i nativi oggi è bivalente: da una parte il silenzio, dall’altra il sostegno all’integrazione. Questo ultimo comportamento è spesso incoraggiato per aiutare gli indigeni a uscire dal sottosviluppo. Tuttavia, ci sono obiezioni sul modo in cui l’integrazione e lo sviluppo sono intesi, spesso imposti con categorie europee o occidentali. Chi critica questo approccio sostiene che lo sviluppo è visto solo in termini tecnologici occidentali e che una politica assimilazionistica potrebbe svuotare la loro cultura e identità.

“Non esiste un mitico mondo indigeno unitario, sottratto al divenire storico, ma esistono culture indigene che salvaguardano alcuni tratti essenziali attraverso una lunga lotta di resistenza. Questa resistenza non avviene in una chiusura totale verso l’esterno, ma con un’interazione reciproca tra culture diverse, che trasforma profondamente la loro struttura. Il termine ‘mestizaje‘, pur con la sua genericità, definisce questo impasto originale in continua evoluzione.”

Nel 2006, il Consiglio dei Diritti Umani ha approvato una dichiarazione per i diritti degli indigeni, stabilendo categorie come il diritto alla non discriminazione, all’integrità culturale, alla proprietà e uso delle risorse, allo sviluppo e benessere sociale e alla partecipazione politica. Inoltre, gli indigeni hanno ottenuto l’accesso all’istruzione e alla vita politica dei loro paesi. Tuttavia, non si è ancora raggiunta una totale uguaglianza sociale tra indigeni e non indigeni.

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