Secondo i dati recenti diffusi dall’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, più di 7 milioni di persone sono state colpite da inondazioni in 16 Paesi dell’Africa occidentale e centrale
Secondo i dati recenti diffusi dall’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, più di sette milioni di persone sono state colpite da inondazioni in 16 Paesi dell’Africa occidentale e centrale. Tra i Paesi più colpiti figurano Ciad, Niger, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo (RDC). Le condizioni critiche create dai fenomeni climatici estremi si stanno ulteriormente aggravando, influenzando particolarmente le regioni già vulnerabili a causa di disastri naturali precedenti e conflitti.
In una conferenza stampa, il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ha sottolineato che le risorse disponibili sono limitate per affrontare la crisi, nonostante gli sforzi delle agenzie dell’ONU e dei partner internazionali. “I nostri colleghi avvertono che la situazione rischia di peggiorare, soprattutto in Africa centrale, dove la stagione delle piogge continuerà fino al mese prossimo”, ha dichiarato Dujarric, esprimendo preoccupazione per l’impatto di ulteriori piogge nelle prossime settimane.
Il Fondo centrale di risposta alle emergenze (CERF), istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2005, ha stanziato 38,5 milioni di dollari per sostenere i Paesi più colpiti, tra cui Camerun, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Niger, Nigeria e Congo. Questo stanziamento supera l’importo totale dei finanziamenti CERF destinati alle inondazioni negli ultimi quattro anni, ma si teme che tali fondi possano essere insufficienti per far fronte alla portata della crisi attuale.
La scorsa settimana, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha lanciato un appello per l’assistenza d’emergenza destinata a 228.000 persone sfollate e alle loro comunità ospitanti, fortemente colpite dalle inondazioni nell’Africa occidentale e centrale. “Gli effetti catastrofici delle inondazioni sono destinati a estendersi ben oltre la stagione delle piogge di quest’anno, aggravando le difficoltà già affrontate dalle comunità vulnerabili”, ha dichiarato l’UNHCR. L’agenzia sta collaborando con i governi locali per fornire supporto immediato e a lungo termine alle popolazioni sfollate e alle comunità ospitanti, che sono tra le più colpite dalla crisi. Abdouraouf Gnon-Kondé, Direttore dell’Ufficio regionale dell’UNHCR per l’Africa centrale e occidentale, ha avvertito: “Senza risorse aggiuntive, i bisogni critici non potranno essere soddisfatti e questo aumenterà ulteriormente la vulnerabilità delle persone colpite”.
La crisi climatica sta aggravando le difficoltà già esistenti nelle regioni interessate, causando nuovi spostamenti di massa in aree che già ospitano molte persone sradicate a causa di conflitti e situazioni di insicurezza. Nell’Africa centrale e occidentale, 14 milioni di persone sono state forzatamente sfollate, un numero che rappresenta il doppio rispetto al 2019. Le “crisi sovrapposte”, come le definisce un comunicato ONU, evidenziano l’urgenza di sviluppare una maggiore resilienza climatica e di intensificare l’assistenza umanitaria per salvare vite.
LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “MONDO”:
MONDO
PAGELLAPOLITICA – IL LIBANO E’ IL PAESE CON PIU’ RIFUGIATI AL MONDO
Il 10 ottobre, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha affrontato la questione della situazione in Libano, un paese che sta vivendo una crisi umanitaria senza precedenti. Lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha colpito alcune basi della missione Onu dell’Unifil, che coinvolge anche soldati italiani. Crosetto ha espresso un «fortissimo disappunto» verso l’azione dell’esercito israeliano, che da settimane sta bombardando alcune aree del Libano nel contesto del conflitto contro le milizie di Hezbollah. Il ministro ha sottolineato che il Libano sta attraversando una crisi dopo l’altra, con un drammatico aumento dell’inflazione e altre problematiche. In particolare, Crosetto ha evidenziato il fatto che il Libano, con «due milioni di profughi», è il Paese al mondo con la più alta «percentuale di profughi sulla popolazione». I dati forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) confermano quanto dichiarato dal ministro. Secondo l’Unhcr, nel 2023 c’erano 31,6 milioni di rifugiati in tutto il mondo sotto il mandato di protezione dell’organizzazione, che si occupa di assistenza a persone che fuggono da guerre e persecuzioni. In termini assoluti, l’Iran ospita il maggior numero di rifugiati, con quasi 3,8 milioni, seguito da Turchia (3,5 milioni) e Germania (2,6 milioni). L’Italia si posiziona ventitreesima, con circa 300 mila rifugiati. Tuttavia, il quadro cambia se si considera la proporzione tra rifugiati e popolazione residente. In questo caso, il Libano si trova in cima alla classifica: su una popolazione di circa 5,3 milioni di abitanti, quasi 800 mila sono rifugiati sotto il mandato dell’Unhcr, pari a circa il 15% della popolazione. Ciò significa che in Libano c’è un rifugiato ogni sette abitanti, rendendo il Paese mediorientale quello con la più alta percentuale di rifugiati al mondo. Al secondo posto si trova il Montenegro (10,5%) e al terzo la Giordania (6%). L’Italia, in confronto, si trova al cinquantasettesimo posto, con lo 0,5% della popolazione composta da rifugiati. Crosetto ha affermato che il Libano ospita «due milioni» di rifugiati, un dato che può sembrare superiore rispetto a quello fornito dall’Unhcr, che conta circa 800 mila rifugiati nel 2023. Tuttavia, il numero di due milioni è raggiunto sommando diverse categorie di rifugiati. Secondo un rapporto dell’Unhcr del 9 ottobre, il governo libanese stima che nel Paese vivano circa 1,5 milioni di rifugiati siriani, di cui quasi 800 mila sotto il mandato dell’Unhcr. A questi vanno aggiunti circa 500 mila rifugiati palestinesi, che sono sotto il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa). Sommando questi due gruppi, si arriva a circa due milioni di rifugiati. Di conseguenza, la percentuale di rifugiati sul totale della popolazione libanese sale al 37%, ossia un rifugiato ogni tre abitanti. Anche la Giordania ha una significativa presenza di rifugiati palestinesi, circa 2,4 milioni, sempre sotto il mandato dell’Unrwa. Se si considera anche questo gruppo, la percentuale di rifugiati rispetto alla popolazione giordana supera il 26%. L’Unhcr ha descritto il Libano come un Paese in difficoltà, colpito da un declino socio-economico causato dal crollo del settore bancario, dalla svalutazione della moneta locale, dalla mancanza di un sistema di sicurezza sociale affidabile e da una crescente inflazione. La situazione dei rifugiati è particolarmente critica, con poche possibilità di ritorni sicuri o integrazione locale. Dopo gli attacchi dell’esercito israeliano, la crisi umanitaria è ulteriormente peggiorata. Il governo libanese stima che, a seguito dei bombardamenti recenti, circa un milione di persone siano state sfollate.
Altre notizie:
EUROPA
SCENARIECONOMICI – IN GERMANIA 1 TEDESCO SU 20 GUIDA SOTTO EFFETTO DI DROGA (DOPO LA LIBERALIZZAZIONE DELLA CANNABIS)
I risultati della liberalizzazione della cannabis in Germania mostrano un aspetto preoccupante: circa un tedesco su venti guida sotto l’effetto di questa sostanza. Le analisi effettuate dalla polizia di Berlino hanno evidenziato che, su 812 automobilisti controllati, 47 avevano livelli di THC nel sangue superiori ai limiti consentiti per la guida. Questo dato, che rappresenta più del 5% dei casi esaminati, solleva interrogativi sulla sicurezza stradale nel contesto della recente legalizzazione della cannabis, avvenuta ad aprile. La cannabis è diventata legale in Germania il 1° aprile 2024, e il governo ha stabilito regole specifiche riguardo alla quantità di THC che può essere presente nel sangue di un conducente. Se il livello di THC supera i 3,5 nanogrammi per millilitro di sangue, si incorre in sanzioni severe, simili a quelle previste per chi guida in stato di ebbrezza. Per monitorare la situazione, la polizia di Berlino ha avviato controlli massivi in tre distretti della città. Durante un’operazione condotta giovedì pomeriggio su Tempelhofer Damm, più di cinquanta agenti hanno fermato veicoli di ogni tipo su una distanza di 200 metri, impedendo ai conducenti di eludere i controlli. Questi controlli, noti come “DiS days” (rilevamento della droga nel traffico), sono stati introdotti nel 2020 e hanno raggiunto un numero record di veicoli controllati. Il primo ispettore capo Thomas Piotrowski ha dichiarato che l’obiettivo è garantire la sicurezza sulle strade. Alla fine della giornata, 812 veicoli erano stati esaminati e 47 conducenti sono stati sottoposti a esami del sangue. Solo quattro di questi erano stati fermati per sospetto uso di alcol. Questo porta a una conclusione allarmante: più di un tedesco su venti sembra guidare sotto l’effetto del THC. Gli effetti dell’uso della cannabis sulla guida possono essere gravi e includono tempi di reazione rallentati, ridotta percezione degli stimoli luminosi periferici, difficoltà nella coordinazione e scarsa capacità di giudizio. La polizia ha implementato un sistema di controlli professionale e standardizzato per identificare i conducenti sospetti. Gli agenti indirizzano i veicoli selezionati verso il lato destro della strada per effettuare controlli sulla patente e sul libretto di circolazione. Se ci sono sospetti sull’uso di droghe, vengono eseguiti test fisici e, se necessario, test delle urine o etilometri. Se il test delle urine risulta positivo per THC, il conducente deve recarsi in un centro di controllo della polizia per un esame del sangue che determinerà il livello esatto di THC presente. La legge stabilisce chiaramente che superare il limite di 3,5 nanogrammi comporta conseguenze legali significative. In effetti, nei 47 casi riscontrati durante i controlli effettuati a Berlino, il limite era stato superato. La legalizzazione della cannabis ha portato a una serie di cambiamenti normativi in Germania che mirano a regolamentare l’uso della sostanza e a prevenire situazioni pericolose alla guida. Tuttavia, i risultati dei recenti controlli indicano che è necessario prestare maggiore attenzione alla sicurezza stradale e ai rischi associati all’uso della cannabis da parte dei conducenti.
Altre notizie:
STATI UNITI
SCENARIECONOMICI – UNA MADRE 53ENNE CONTROLLAVA LA PIU’ GRANDE GANG DEGLI STATI UNITI DI FURTI NEI NEGOZI
Le autorità della California hanno arrestato Michelle Mack, una madre di 53 anni, per presunta organizzazione di una vasta operazione di furto nei negozi. Mack è accusata di aver guidato una banda che ha rubato cosmetici e prodotti di bellezza di marca per un valore stimato di quasi 8 milioni di dollari da catene di grandi magazzini come Ulta, TJ Maxx e Walgreens in diversi Stati degli Stati Uniti. Secondo le indagini, Mack avrebbe orchestrato l’operazione dietro le mura della sua residenza di lusso a San Diego. Si ritiene che abbia reclutato e pagato fino a dodici donne per commettere furti nei negozi in California e in altri dieci Stati, tra cui Texas, Florida e Ohio. I prodotti rubati venivano successivamente rivenduti a prezzi scontati sul sito di Amazon gestito da Mack. Il gruppo criminale, soprannominato “California Girls”, ha operato su vasta scala viaggiando lungo la costa della California e in altri Stati come Texas, Florida, Massachusetts e Ohio, commettendo centinaia di furti su ordine di Mack, secondo quanto riferito dagli investigatori. Con i costi di viaggio coperti da Mack, i sospettati hanno viaggiato attraverso numerosi Stati, commettendo furti lungo la costa californiana e in luoghi come Washington, Utah, Oregon, Colorado, Arizona, Illinois, Texas, Florida, Pennsylvania, Massachusetts e Ohio. Mack, a quanto affermano gli investigatori, selezionava i negozi da colpire e indicava la merce da rubare, mentre le donne reclutate venivano incaricate di svuotare interi scaffali prima di fuggire con la refurtiva, spesso nascosta in borse di lusso come quelle di Louis Vuitton. La denuncia presentata dal Procuratore Generale della California indica che, durante una perquisizione eseguita il 6 dicembre 2023 nella casa condivisa di Michelle e Kenneth Mack a Bonsall, sono stati recuperati oltre 300.000 dollari di cosmetici e altri prodotti. Un vicino di casa dei Mack, intervistato da NBC San Diego e che ha preferito rimanere anonimo, ha commentato: “Vedo che il sistema giudiziario lavora lentamente, ma sembra che stia funzionando”.
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SUD AMERICA
L’INDIPENDENTE – PERU’: SCOPERTO UN TEMPIO 3.500 ANNI PIU’ ANTICO DEL MACHU PICCHU
Gli archeologi peruviani hanno scoperto i resti di un antico tempio e teatro risalenti a 4.000 – o forse anche 5.000 – anni fa nel sito di Los Paredones de la Otra Banda-Las Ánimas. La scoperta è stata possibile grazie all’indagine condotta da Luis Armando Muro Ynoñán, che ha dichiarato: “È stato davvero sorprendente che queste strutture antichissime fossero così vicine alla superficie moderna”. I ricercatori hanno scavato nel terreno un quadrato di lato 33 piedi (circa 10 metri) e hanno trovato tracce dei muri a soli sei piedi (circa 1,8 metri) di profondità. Procedendo con le indagini, è stata trovata una “sezione” di un grande tempio e persino quello che sarebbe un piccolo teatro “con un’area dietro le quinte e una scalinata che conduceva a una piattaforma simile a un palco”. Il tempio cerimoniale contiene resti umani appartenenti a tre adulti, fregi raffiguranti immagini di animali mitici e tipici della cultura dell’epoca, e diversi doni cerimoniali, suggerendo che i tre defunti siano stati uccisi durante un rituale sacrificale. La scoperta è importante perché il tempio sarebbe stato realizzato da un popolo di cui si hanno ben poche notizie, non dagli Inca. Gli archeologi hanno trovato anche la tomba di un bambino, il cui destino non è chiaro e la cui sepoltura sarebbe avvenuta secoli dopo la costruzione della struttura principale. L’ipotesi più accreditata è che la costruzione sia stata realizzata dai Moche, un popolo abbastanza misterioso di cui si hanno poche informazioni. Il tempio e il teatro sarebbero stati utilizzati per eseguire spettacoli rituali di fronte a un pubblico selezionato. I reperti risultano anteriori nella datazione sia rispetto al sito archeologico più noto del Paese – Machu Picchu – sia rispetto alle culture pre-Inca e Nazca.
Altre notizie:
AFRICA
ANSA – AFRICA QUASI SENZA INTERNET PER DANNI AI CAVI SOTTOMARINI
L’accesso a Internet in Africa è sempre più complicato a causa dei danni ai cavi sottomarini, che stanno causando instabilità nella connettività Wi-Fi in diversi Paesi del continente. Quattro dei principali cavi dati sottomarini che servono l’Africa sono stati danneggiati, rendendo difficile la fruizione dei servizi online. Secondo quanto riportato dall’Economist, il continente è stato colpito da due guasti critici in punti strategici del pianeta. La situazione ha causato ritardi significativi, come la chiusura posticipata della Borsa del Ghana e l’interruzione delle attività commerciali di un’azienda nigeriana di cemento. NetBlocks, una società di ricerca digitale, ha evidenziato che la connettività dati è crollata al di sotto dei livelli normali in Liberia, Benin e Costa d’Avorio, dove è scesa addirittura al 3%. Anche se una parte del traffico è stata ripristinata, il Wi-Fi rimane instabile in diversi Paesi, tra cui il Sudafrica. La causa di questo problema risiede nei danni subiti da quattro dei principali cavi dati sottomarini che collegano l’Africa al resto del mondo, incluso il West African Cable System (WACS). Le rotture sono avvenute in prossimità della Costa d’Avorio, probabilmente a causa di attività sismica sul fondo del mare. MainOne, l’azienda che gestisce uno dei cavi dell’Africa occidentale, ha escluso cause umane come la pesca, attribuendo il danno all’attività sismica. Le autorità competenti prevedono che ci vorranno almeno cinque settimane per risolvere completamente la situazione e ripristinare la connettività internet nelle aree colpite.
Altre notizie:
ASIA
SCENARIECONOMICI – L’INDIA (PAESE PIU’ POPOLOSO AL MONDO) HA UN PROBLEMA DI INFERTILITA’
L’India, il paese più popoloso al mondo, sta affrontando un crescente problema di infertilità, particolarmente diffuso nelle aree urbane. Mentre alcune cause sono attribuibili a cambiamenti culturali, altre sono legate a fattori fisiologici. Secondo dati ufficiali, il tasso di fertilità totale (TFR) in India è diminuito del 20% negli ultimi dieci anni, scendendo al di sotto dei livelli di sostituzione. Nel contempo, l’incidenza dell’infertilità è aumentata, spingendo molte coppie a ricercare trattamenti come la fecondazione in vitro. La dottoressa Sulbha Arora, direttore clinico di Nova IVF Fertility a Mumbai, sottolinea che l’infertilità è diventata un problema serio di salute pubblica, coinvolgendo circa il 15% delle coppie a livello globale, con una concentrazione significativa in India, dove 15-20 milioni di coppie sono afflitte da questa condizione. Un rapporto della Società Indiana di Riproduzione Assistita ha evidenziato che circa il 10-14% delle coppie indiane è colpito dall’infertilità, con una maggiore prevalenza nelle città, dove una coppia su sei cerca assistenza per concepire. Lo studio pubblicato sulla rivista PLOS One ha indicato un aumento dell’infertilità secondaria, passando dal 19,5% nel 1992-1993 al 28,6% nel 2015-2016. Questo tipo di infertilità si riferisce alla difficoltà di concepire un altro figlio dopo averne già avuto uno. Sebbene l’infertilità sia spesso associata alla donna nella società indiana, la dottoressa Arunima Halder del Manipal Hospital Whitefield di Bengaluru sottolinea che le cause possono essere di diversa natura, inclusi fattori maschili, femminili o una combinazione di entrambi. Un rapporto dell’OMS ha rilevato che circa il 50% dei casi di infertilità in India è attribuibile a fattori maschili, con lo stress, le cattive abitudini alimentari e l’inquinamento ambientale elencati come possibili cause della diminuzione della qualità dello sperma e dei livelli di testosterone negli uomini indiani. Tuttavia, i fattori sociali e culturali giocano anche un ruolo significativo. Il matrimonio più tardivo e le crescenti opportunità di carriera per le donne stanno influenzando la decisione di formare famiglie. Inoltre, i dispositivi tecnologici, come i telefoni cellulari, possono contribuire a una riduzione dell’attività sessuale regolare. Sebbene l’accettazione dell’infertilità come una questione medica stia aumentando in India, molti trattamenti, come la fecondazione in vitro, rimangono fuori dalla portata di molte famiglie a causa dei costi elevati. Tuttavia, i governi statali stanno intervenendo per rendere tali trattamenti più accessibili, aprendo centri di fecondazione in vitro in strutture pubbliche e regolamentando il settore. Nonostante gli sforzi per affrontare l’infertilità, la proliferazione di cliniche private non regolamentate solleva preoccupazioni riguardo alle pratiche poco scrupolose. Il recente Regolamento sulla Tecnologia Riproduttiva Assistita mira a rendere più rigorosa la supervisione del settore.
Altre notizie:
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